GPII Omelie 1996-2005


1996

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SANTA MESSA IN ONORE DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO

XXIX GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

Lunedì, 1° gennaio 1996




1. “Gli fu messo nome Gesù” (Lc 2,21).

Il Vangelo che poc’anzi è stato proclamato ricorda che al figlio di Maria, nato a Betlemme, al compiersi degli otto giorni prescritti, fu messo nome Gesù, nome con cui Egli era stato chiamato dall’angelo, prima di essere concepito nel grembo della Madre (cf. Lc Lc 2,21). Era dunque il nome datogli dal Padre celeste.

Gesù significa: “Dio salva”. Con questo nome iniziamo il Nuovo Anno: il 1996 dalla nascita di Cristo. Il fatto che si computino gli anni della nostra era dalla nascita di Cristo è molto eloquente. Indica che Gesù è il centro della storia. In Cristo il Figlio di Dio ha assunto la natura umana. Ed è proprio il mistero dell’Incarnazione che spiega pienamente il significato del nome Gesù: “Egli (Dio) viene a salvarvi” (Is 35,4). Il tempo umano è interamente pervaso dal mistero salvifico di Dio. La storia dell’umanità è diventata storia della salvezza.

Il primo giorno del Nuovo Anno, unito al ricordo del nome di Gesù, rivela dunque tale profondo significato. È il giorno dell’Ottava del Natale del Signore, in cui la Chiesa venera in modo particolare la divina maternità della Madre di Dio. Il primo giorno del Nuovo Anno è la sua festa, la festa della Madre del Dio-Uomo, della Theotokos.

2. Il brano della Lettera di san Paolo ai Galati proposto dalla liturgia odierna è, in un certo senso, il commento al nome Gesù. L’apostolo rivela in modo lapidario tutto ciò che è racchiuso nel significato di questo nome, mostrando in quale modo Dio salva.Leggiamo dunque: “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna..., perché ricevessimo l’adozione a figli” (Ga 4,4-5). La salvezza dunque si compie nell’adozione a figli: in Cristo, unigenito Figlio di Dio, gli uomini sono diventati figli adottivi di Dio.

Comprendiamo perciò come il nome “Gesù” abbia in sé un particolare dinamismo. Dio non soltanto ordina di chiamare con il nome Gesù il suo Figlio, ma al tempo stesso manifesta in tale appellativo la profondità e l’estensione del mistero della salvezza. Il nome Gesù rivela il mistero dell’adozione a figli di Dio. San Paolo aggiunge quasi in prospettiva profetica: “E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: “Abbà, Padre!” (Ga 4,6). Gesù ci ha insegnato a rivolgerci a Dio dicendo: “Padre nostro”! Ma queste parole umane attingono dallo Spirito Santo, che è lo Spirito del Figlio, la potenza loro propria. Quando preghiamo: “Abbà, Padre nostro”, queste nostre parole umane sono prima di tutto un modo per partecipare alla vita del Verbo eterno, Figlio consustanziale al Padre. Mediante questa “partecipazione”, l’invocazione “Abbà, Padre nostro!” diviene espressione della salvezza.

Cristo è il Salvatore del mondo, perché mediante Lui e in Lui tutti gli uomini possono pronunciare questa parola, parola che spetta pienamente solo a Lui, l’eterno Figlio. In Lui la divina figliolanza è diventata la nostra eredità. Per volontà di Dio, come figli adottivi, siamo coeredi dell’eterno Figlio, chiamati a partecipare alla vita di Dio, all’eterna felicità in Lui.

3. Il nome Gesù, “Dio salva”, attesta che Egli è il nostro Salvatore. Le letture dell’odierna liturgia ci presentano ancora una volta la dimensione universale della salvezza, alla quale tutti gli uomini e tutti i popoli sono chiamati, per il mistero dell’Incarnazione. Ben lo pone in evidenza il Salmo responsoriale: “Esultino le genti e si rallegrino, perché giudichi i popoli con giustizia, governi le nazioni sulla terra” (Sal 66[67], 5). Ciò che la prima lettura riferisce ai figli di Israele, il Salmo lo estende ai popoli e alle nazioni della terra. La salvezza è destinata all’intera umanità. Non rimane il privilegio segreto di una persona o di un popolo, ma viene partecipata a tutti gli uomini.

È una partecipazione che passa attraverso il santo timore di Dio, inizio della sapienza (cf. Sal 110[111], 10). La venuta del Redentore del mondo, per chi l’accoglie con timore riverenziale e grato, segna l’inizio di un nuovo ordine, l’ordine divino. Con la nascita del Figlio di Dio nella natura umana si esprime la volontà salvifica di Dio; si manifesta la Provvidenza divina che guida le sorti del mondo; è annunciata la definitiva giustizia della storia, giustizia unita a misericordia. Perciò il Salmista proclama: “Dio abbia pietà di noi e ci benedica, / su di noi faccia splendere il suo volto; / perché si conosca sulla terra la tua via, / fra tutte le genti la tua salvezza” (Sal 66[67], 2-3). Il mistero del Natale e il nome stesso “Gesù” rappresentano così per l’umanità il segno dell’ordine divino, in cui si racchiude la storia del creato e di ogni popolo e nazione.

Giustamente, pertanto, la Chiesa celebra in questo primo giorno del Nuovo Anno la Giornata Mondiale della Pace, che quest’anno ha come tema l’impegnativo invito: “Diamo ai bambini un futuro di Pace”. “Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace” (Nb 6,26), annunzia l’odierna prima Lettura. La pace, segno fondamentale della presenza divina, deve irradiarsi anche nell’ordine politico e nella vita delle comunità e delle nazioni. La nota espressione di Paolo VI: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace” (Populorum Progressio PP 87), potrebbe essere capovolta ed essere formulata così: la pace è il nuovo nome dello sviluppo e dell’ordine sociale.

Pace nel linguaggio biblico indica partecipazione alla salvezza che viene da Dio. La pace è già contenuta nel nome dato al Figlio di Dio otto giorni dopo la nascita. Quel nome significa salvezza da ogni male, in particolare dall’odio, dalla guerra e dalla distruzione. Perciò l’Apostolo Paolo dirà di Cristo: “Egli infatti è la nostra pace” (Ep 2,14).

4. “Molte volte e in diversi modi Dio ha parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti; oggi, invece, parla a noi per mezzo del Figlio” (Canto al Vangelo: cf. Eb He 1,1-2). In queste espressioni troviamo il passaggio dall’Antica alla Nuova Alleanza. Dio ci ha parlato per mezzo del Figlio, attraverso la sua vita e il suo Vangelo. Ci ha parlato mediante la sua morte e risurrezione e, in modo particolare, mediante il suo nome: Gesù, “Dio salva”. In esso tutto è racchiuso: la vita, la passione, la morte e la risurrezione, la croce e la gloria. Tutta la Buona Novella.

L’Autore della Lettera agli Ebrei riferisce che questo nome è stato conservato per gli “ultimi tempi”. All’inizio del Nuovo Anno abbiamo la consapevolezza che, nel nome Gesù, l’ultimo tempo, il tempo del compimento di ogni cosa in Dio, si è fatto vicino all’umanità in modo decisivo. E in virtù di tale nome andiamo incontro alla meta definitiva dell’uomo, alla definitiva “pienezza del tempo” (cf. Gal Ga 4,4), alla quale ci conduce Cristo per mezzo dello Spirito Santo.

Guidati da tale forza ripetiamo: “Abbà, Padre!” già qui, sulla terra, per prepararci al compimento che, proprio nel nome di Gesù, deve manifestarsi al termine del tempo per ogni uomo e per l’intera famiglia umana.
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ORDINAZIONE EPISCOPALE

NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE


Basilica Vaticana - Sabato, 6 gennaio 1996

1. La festa che celebriamo oggi, 6 gennaio, porta il nome di “Epifania”. La parola greca epiphàneia significa “rivelazione”, “manifestazione”. È detto nella Lettera a Tito: “Si è rivelata la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini . . .” (2, 11), ed ancora: “Si sono rivelati la bontà di Dio, Salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini . . .” (3, 4). La rivelazione è appunto lo svelarsi del mistero di Dio salvatore. Vi è uno stretto legame di significato tra l’una e l’altro, tra rivelazione e mistero della salvezza.

Il Creatore ha dato all’uomo la capacità di conoscere il mondo, le cose visibili, i fatti storici; gli ha dato anche la capacità di penetrare con la propria ragione oltre la superficie di ciò che è sensibile. Ma Dio è venuto incontro all’uomo anche parlandogli direttamente. La rivelazione consiste appunto in questo: Dio ha parlato all’uomo rivelandogli ciò che Egli conosce e pensa di se stesso, dell’uomo, del mondo. Così, grazie alla rivelazione, noi conosciamo il pensiero di Dio. Lo conosciamo con la nostra ragione, ma non in virtù della nostra ragione. Ciò che Dio rivela noi lo accettiamo perché ci fidiamo di Lui. Questo nostro affidarci all’autorità di Dio rivelante si chiama fede.

Siamo consapevoli che soltanto Dio stesso può istruire l’uomo sulle realtà divine. Nella Costituzione conciliare Dei Verbum sulla Divina Rivelazione leggiamo: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare Se stesso e manifestare il mistero della sua volontà (cf. Ef Ep 1,9) . . . Con questa rivelazione, infatti, Dio invisibile (cf. Col 1,15 1Tm 1,17) nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici (cf. Es Ex 33,11 Jn 15,14-15) e si intrattiene con essi (cf. Bar Ba 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé” (n. 2).

Il fatto che Dio abbia voluto rivelare all’uomo la verità su se stesso, verità che è mistero, testimonia che l’uomo è per Dio una creatura molto cara, una creatura fatta a sua somiglianza, l’unica nel mondo visibile con la quale Dio può dialogare, alla quale può affidare la verità su se stesso e sulla propria vita intima, la verità dei suoi divini Misteri.

2. “Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2).

I Magi d’Oriente pronunciarono queste parole a Gerusalemme, di fronte al re Erode, il quale non solo le intese in modo puramente umano, ma addirittura con perfida invidia. Esse, invece, riassumono la rivelazione circa la nascita del Signore. I Saggi d’Oriente, insieme con i pastori di Betlemme, sono coloro che da Dio stesso sono stati introdotti, potremmo dire, sono stati iniziati al mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. I pastori si trovavano già quasi sul luogo, nei pressi della “Città di Davide”. I Magi invece vi giunsero da lontano, interpretando i segni che indicavano il tempo e il luogo della nascita del Salvatore. E un segno particolare fu la stella, che li guidò verso il paese di Israele: prima a Gerusalemme, e poi a Betlemme.

Nel segno visibile della stella parlava loro il Dio invisibile. Com’era potuto accadere che, tra tante stelle osservate dai Saggi nella volta celeste, quell’unica parlasse loro della nascita del Figlio di Dio nella carne umana? Ciò fu possibile soltanto mediante la fede.I Magi, giunti a Gerusalemme, cercarono presso gli scribi, esperti della rivelazione di Dio a Israele, la conferma della loro intuizione. E ottennero la risposta: il profeta Michea aveva annunziato che il Messia sarebbe nato a Betlemme (cf. Mi Mi 5,1). Si recarono dunque a Betlemme ed entrarono nella casa dove si trovava il Bambino insieme con sua Madre e Giuseppe; caddero in ginocchio ed offrirono i loro simbolici doni. Tutto questo testimonia che la fede li aveva introdotti per la giusta via al centro stesso del mistero del Natale del Signore.

3. Nella solennità dell’Epifania, secondo una significativa consuetudine, la Basilica di San Pietro ospita l’Ordinazione episcopale di alcuni sacerdoti chiamati a questo servizio ecclesiale. Come Betlemme accolse l’arrivo dei Magi, oggi Roma accoglie voi, venerati Fratelli, che qui siete giunti attraverso un lungo cammino di fede, e da qui ripartirete per la nuova missione che la Chiesa vi affida.

La Chiesa manda te, Mons. José Paulino Ríos Reynoso, nell’Arcidiocesi di Huancayo, in Perú; e invia te, Mons. Riccardo Fontana, in quella italiana di Spoleto-Norcia. Tu, Mons. Claudio Maria Celli, sei chiamato a svolgere, nella Curia Romana, l’ufficio di Segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Tu invece, Mons. Jaime Vieira Rocha, guiderai la diocesi di Caicó, in Brasile; mentre a te, Mons. Kurt Koch, è affidata quella di Basel, da cui provieni.

La Chiesa consacra te, Mons. Ärvaldis Andrejs Brumanis, e te, Mons. Antons Justs, per le mani del Vescovo di Roma, per il servizio pastorale nelle Diocesi di Liepaja e di Jelgava, in Lettonia: un evento che ben può dirsi storico. Tu, Mons. Francisco Pérez González, sei inviato alla Comunità diocesana di Osma-Soria, in Spagna; e tu, Mons. Richard Burke, sulle vie della missione ad gentes, ti accingi ad assumere il compito di Vescovo Coadiutore di Warri, in Nigeria.

La luce di Cristo illumini te, Mons. Marko Sopi, e il tuo ministero di Ausiliare del Vescovo di Skopje-Prizren, nella ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia; illumini pure te, Mons. Rafael Conde Alfonzo, nel tuo ministero di Ausiliare dell’Arcivescovo di Caracas, in Venezuela.

Anche tu, Mons. Riccardo Ruotolo, Ausiliare dell’Arcivescovo di Manfredonia-Vieste, sii testimone di Cristo, luce del mondo, nel compito che ti è affidato; tu, Antal Mainek, lo sarai nella regione ucraina della Zakarpatia, come Ausiliare dell’Amministratore Apostolico; e tu, infine, Mons. Stanislaw Rilko, come Segretario del Pontificio Consiglio per i Laici, dovrai dare alla tua sollecitudine pastorale un respiro universale.

Con l’Episcopato, carissimi Fratelli, voi diventate in pienezza custodi del grande mistero, amministratori di quella “rivelazione” di cui ci ha parlato san Paolo nel brano della Lettera agli Efesini, poc’anzi proclamato (cf. Ef Ep 3,2-3 Ef Ep 3,5-6). In questo consiste la vostra particolare vocazione nella Chiesa. Ogni Vescovo è ministro dei misteri di Dio, cioè custode del mistero salvifico, nel quale Dio rivela se stesso, si avvicina agli uomini, li cerca, conduce ciascuno nella comunità della Chiesa sul cammino della fede.

Custodire il Mistero non significa nasconderlo, ma trasmetterlo, come appunto sottolinea l’Apostolo nel medesimo brano. Per questo Dio vi ha chiamati da vari paesi e continenti, per essere ordinati in questa Basilica, in sintonia con lo spirito dell’odierna Solennità. L’Epifania, infatti, annuncia la vocazione alla fede di tutti i popoli della terra.

4. “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te... Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio” (Is 60,1 Is 60,3-4).

I Magi, giunti a Betlemme dall’Oriente, costituiscono le primizie del grande pellegrinaggio della fede, che procede di generazione in generazione, avvicinando gli uomini, i popoli e le nazioni a Cristo luce del mondo. A questo pellegrinaggio, che dura ormai da quasi duemila anni, hanno preso parte molti popoli e molte nazioni. E la luce, che sorse su Gerusalemme nella pienezza dei tempi, non si spegne, ma brilla con fulgore sempre nuovo. Essa illumina il cammino dell’umanità in mezzo alle tenebre, che avvolgono la terra. E continuamente, attraverso la notte di cui parla il profeta Isaia (cf. Is Is 60,2), risuona il grido dei pastori, dei Magi, di tutti i credenti di ogni epoca: “Christus apparuit nobis, venite adoremus!”.
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FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE

OMELIA DIGIOVANNI PAOLO II


Cappella Sistina - Domenica, 7 gennaio 1996

Carissimi Fratelli e Sorelle!


1. L'odierna festa del Battesimo di Gesù conclude il tempo di Natale, il tempo liturgico delle «manifestazioni» progressive di Gesù: nella nascita a Betlemme, quando appare con il volto di Bambino, «primogenito di ogni creatura», «immagine visibile dell'invisibile Dio» (cfr. Col Col 1-15); nella festa dell'Epifania, in cui si offre come atteso e cercato dono per tutte le genti della terra e come luce verso cui converge il cammino interiore della storia; ed infine nella celebrazione di oggi, in cui, entro le acque del Giordano, Egli si fa solidale con l'uomo, china «il capo immacolato dinanzi al Precursore; /e, battezzato, scioglie il genere umano dalla schiavitù, /amante degli uomini» (Liturgia Byzantina: EE, 3038). Viene cosi consacrato Servo «con unzione sacerdotale, profetica e regale, perché gli uomini riconoscano in lui il Messia, inviato a portare ai poveri il lieto annunzio» («Praefatio» in festo Baptismatis Domini).

Sono le tappe di una manifestazione di Cristo che si fa progressivamente sempre più interiore e profonda.

2. Essa si trasferisce, oggi, in modo singolarissimo, nella celebrazione del Battesimo di questi 20 bambini, provenienti da varie Nazioni del mondo. Questo sacramento rinnova in loro il misterioso dono della grazia divina, che imprime un sigillo incancellabile nella loro anima, dando origine ad una nuova nascita: « ...da Dio sono stati generati... A quanti l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio... » (Io. 1, 12-13).

La grazia santificante, che elimina il peccato originale, infonde in essi con il Battesimo le virtù teologali e i doni dello Spirito Santo; li inserisce inoltre nel Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa.

Quanto è grande il Battesimo, il primo dei Sacramenti e il più necessario per la salvezza! È il cardine della vita cristiana, soglia di tutti gli altri Sacramenti e della rigenerazione a quella vita immortale di cui ci parlano anche i meravigliosi affreschi di Michelangelo, che possiamo ammirare in questa suggestiva Cappella Sistina.

È da questa consapevolezza che si è sviluppata la prassi di battezzare i bambini fin dal primo inizio della loro esistenza terrena. Ovviamente, tale prassi suppone che gli anni successivi, soprattutto quelli dell'infanzia, della fanciullezza e della giovinezza, siano poi configurati come un autentico catecumenato, un itinerario di iniziazione alla vita cristiana e di progressivo inserimento nella Comunità dei credenti.

3. Cari genitori, cari padrini e madrine, questi piccoli, ai quali oggi è amministrato il Battesimo, avranno bisogno di capire, ripensare ed apprezzare l'inestimabile dono del Sacramento ricevuto. Tocca a voi affiancarvi ad essi, che ora non sanno e non capiscono, ed essere i loro primi maestri nell'insegnamento delle verità cristiane.

Ascoltateli, questi bambini! La fede nasce dall'ascolto della Parola di Dio. E quello dell'ascolto è un atteggiamento che come ogni altro - si impara anzitutto in famiglia. Chi ha trovato ascolto, sa dare ascolto, come chi è stato amato, più facilmente sa amare.

Aiutateli, questi bambini, a crescere fedeli al Vangelo, pronti ad amare Dio ed i fratelli. Guidateli, con l'esempio e con la parola, sul sentiero della santità cristiana.

La vostra missione di genitori non si limita al dono della sola vita fisica. Voi siete chiamati a generare i vostri figli anche nella fede e nella dimensione dello spirito.

Imitate la Santa Famiglia di Nazaret, ed invocate la costante protezione della Vergine Santa e di San Giuseppe sulle vostre case.

In questa occasione solenne, davanti ad un cosi significativo numero di battezzandi che stanno per diventare figli adottivi di Dio, sembra di riudire le parole del Padre celeste ascoltate poc'anzi nel Vangelo: Ciascuno di questi bambini e di queste bambine è mio figlio prediletto, oggetto della mia compiacenza ».

E per voi - genitori, padrini, madrine, adulti e cristiani consapevoli della nostra vocazione - risuona l'invito: «Ascoltatelo!» (Mc 9,7).

Vi aiuti in cosi impegnativa missione Maria, Madre di Dio e della Chiesa e tutti i santi che tra poco invocheremo.
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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA

DI SANT'ANTONIO DA PADOVA


Domenica, 21 gennaio 1996




1. “Il Signore è mia luce e mia salvezza” (Sal 26[27], 1).

Le letture dell’odierna domenica sembrano ancora riferirsi al Natale del Signore. Risuonano le stesse parole del libro del Profeta Isaia, che abbiamo udito alla Messa di mezzanotte: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9,1). Insieme a questa luce, sgorga nel cuore degli uomini la gioia: “Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete” (Is 9,2).

Mentre gustiamo ancora il gaudio tipico del Natale la liturgia ci fa fare un balzo in avanti di circa trent’anni, ci porta all’inizio dell’attività messianica di Gesù. La luce che brillava sulla stalla di Betlemme, ora deve manifestarsi mediante le parole della Buona Novella, di cui Gesù s’è fatto banditore. Egli “predicava la buona novella del Regno e curava ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (cf. Mt Mt 4,23). Gesù è venuto come colui che annunzia il Regno dei cieli e chiama gli uomini alla conversione: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17).

2. Questo accadeva in Galilea, dopo il battesimo di Gesù, quando Giovanni venne rinchiuso in carcere da Erode.

Abbandonata Nazaret, città della sua giovinezza, Gesù si stabilisce a Cafarnao, sul Lago di Galilea dove incontra i primi discepoli. L’odierno Vangelo parla della chiamata di Pietro e di Andrea, di Giovanni e di Giacomo: “Vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: ‘Seguitemi, vi farò pescatori di uomini’. Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono” (Mt 4,18-19). In modo simile, chiama poi altri due fratelli: Giacomo, figlio di Zebedeo e il fratello Giovanni. Anch’essi, udita la chiamata di Cristo, immediatamente lasciano la barca e il padre e lo seguono (cf. Mt Mt 4,21-22). Così dunque Gesù non è più solo. Con lui ci sono i primi discepoli, insieme ai quali egli attraversa tutta la Galilea, insegnando nelle sinagoghe. Ovunque annunzia il Vangelo del Regno e guarisce malati ed infermi.

3. Il brano della Prima Lettera di san Paolo ai Corinzi, che è stato proclamato come seconda lettura, ci trasferisce in un futuro ancor più lontano. Dopo l’ascesa di Cristo al Padre, gli Apostoli s’impegnano a compiere la missione che Egli ha loro affidato: edificare la sua Chiesa. Paolo si sente, come egli stesso afferma, il più piccolo degli Apostoli, essendo stato l’ultimo ad essere chiamato (cf. 1Co 15,19).

La Lettera ai Corinzi testimonia come si è formata e si è sviluppata la prima Chiesa cristiana, all’interno della quale non mancavano, purtroppo, le divisioni. L’Apostolo scrive: “Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d’intenti” (1Co 1,10). E domanda: “Cristo è stato forse diviso?” (1Co 13). Può essere diviso Cristo che ha mandato me, Paolo, ad annunziare il Vangelo, non nella sapienza della parola, ma in virtù della sua croce (cf. 1Co 1,17)? Possono dire alcuni tra voi: “‘Io sono di Paolo’, ‘Io invece sono di Apollo’, ‘e io di Cefa’, ‘e io di Cristo’”? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo, che siete stati battezzati (cf. 1Co 1,13)? Ci sono molti apostoli, molti servi di Cristo, fondatori di nuove comunità cristiane, ma attraverso di loro opera sempre lo stesso Cristo crocifisso e risorto. La Chiesa è di Cristo - soltanto di Cristo!

Come sono attuali queste parole, specialmente in questa settimana che la Chiesa dedica alla preghiera per l’unione dei cristiani! Come abbiamo bisogno di prendere a cuore queste riflessioni dell’Apostolo per abbattere, al termine del ventesimo secolo, i muri delle divisioni e ritrovare la strada della piena unità!

4. Queste sono le parole dell’odierna liturgia. Queste parole di San Paolo si rivolgono oggi a noi, carissimi Fratelli e Sorelle della parrocchia di sant’Antonio da Padova a Circonvallazione Appia. Sono lieto di celebrare l’Eucaristia in questa chiesa che fu costruita nel 1938 su un terreno acquistato dal Padre Annibale Di Francia per iniziare a Roma la sua provvidenziale attività apostolica dedicata al Cuore di Gesù e a S. Antonio da Padova. Dal 1988 essa è divenuta sede della vostra parrocchia. Saluto con affetto tutti voi. In particolare il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare di Settore, il Parroco P. Gioacchino Chiapperini e i Padri Rogazionisti che con lui collaborano. Un saluto speciale va alla Comunità Religiosa delle Figlie del Divino Zelo, presenti da tanti anni in questa zona di Roma con la loro Casa Generalizia. Esse sono dedite sia alla cura di minori provenienti da precarie situazioni familiari nell’Orfanotrofio Antoniano femminile, sia all’educazione scolastica nella scuola cattolica “Annibale Di Francia”, sia all’accoglienza di studentesse universitarie nella “Casa della Giovane”. Saluto inoltre la piccola comunità dell’Istituto Gesù Sacerdote e ciascuno di voi, cari parrocchiani qui presenti, come pure le vostre famiglie. Tutte le generazioni: gli anziani, i giovani, i bambini, tutte le famiglie.

Mi congratulo con la vostra comunità che si sente giustamente una cellula viva della Chiesa di Roma ed auspico che, crescendo nella preghiera e nell’impegno di costante formazione spirituale, essa possa continuare a diffondere con slancio missionario il Vangelo di Cristo fra tutti coloro che abitano nel quartiere. Il segreto è camminare insieme; sacerdoti, religiosi e religiose, laici impegnati, giovani e adulti, anziani e famiglie, tutti coinvolti nella meravigliosa opera dell’annuncio di Cristo, unico Salvatore del mondo ieri, oggi e sempre.

A voi, come ad ogni parrocchia di Roma, chiedo di valorizzare al massimo l’opportunità offertaci di preparare il grande Giubileo del 2000 mediante la grande missione cittadina. Dovranno anzitutto essere chiamate a raccolta le forze vive operanti nel seno della Chiesa: gruppi, comunità, istituti religiosi, varie forme di testimonianza apostolica presenti sul territorio, per manifestare alla città di Roma le ragioni della speranza che anima i credenti.

Operando in comunione con le varie realtà diocesane, sono sicuro che si potrà portare a compimento tale straordinaria iniziativa missionaria. Si tratta di riflettere tutti come far sì che l’incontro con Dio sia il fulcro della vita e dell’impegno di ogni cristiano; come formare i battezzati ad essere missionari nel proprio ambiente di vita e di lavoro; come promuovere nel territorio una coraggiosa ed aperta pastorale di evangelizzazione. Attraverso le risposte che emergeranno grazie anche al Convegno ecclesiale diocesano, in programma nel prossimo mese di febbraio, sarà più facile individuare la via da percorrere perché ogni cuore si apra a Cristo ed accolga Lui che si è incarnato per noi.

5. “Il Signore è mia luce e mia salvezza”. Ecco la luce che illumina le vie di ogni uomo, e che guida i passi anche della vostra Comunità parrocchiale e dell’intera diocesi nell’itinerario di costante conversione al Vangelo.

È la luce che rifulse una volta su Betlemme e che, sin dall’inizio dell’attività messianica di Cristo, si spostò sulla riva del Lago di Galilea; è la luce che accompagna la chiamata degli Apostoli: Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, e più tardi - ormai dopo la risurrezione - seguirà anche la vocazione di Paolo presso le porte di Damasco. “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore?” (Sal 26[27], 1). Così canta la Chiesa nell’odierno Salmo responsoriale. La luce di Cristo illumina il cammino della vita dell’uomo e dell’intera umanità; essa va oltre i confini dell’esistenza terrena, oltre la soglia della morte. “Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi (...) Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario” (Sal 26[27], 13.4). E perciò il Salmista esclama: “Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore” (Sal 26[27], 14).

Carissimi Fratelli e Sorelle, camminiamo nella luce della fede! Essa ci prepara a vedere il volto di Dio nella gloria. Possa la speranza della vita eterna, la speranza di giungere alle eterne dimore di Dio stesso infondere in ciascuno di voi il coraggio necessario per affrontare le difficoltà dell’esistenza quotidiana.

Come ci dice la liturgia:
“Spera nel Signore, sii forte,
si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore!”.
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CELEBRAZIONE EUCARISTICA CONCLUSIVA

DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI


Basilica di San Paolo fuori le mura

Giovedì, 25 gennaio 1996

1. “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo” (Mc 16,15).

Si conclude oggi la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”, durante la quale siamo stati tutti invitati ancora una volta a prendere coscienza della grandezza del compito ricevuto da Cristo: Annunziate al mondo il Vangelo! Apparendo agli Apostoli dopo la risurrezione Gesù disse: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,15-16). Bisogna dunque predicare affinché credano. Bisogna agire in modo che tutti gli uomini possano essere salvati.

È proprio la responsabilità verso il Vangelo che ci sollecita a cercare con insistenza le vie dell’unità. L’unità dei cristiani, infatti, è una delle principali condizioni di credibilità della nostra testimonianza e della sua fruttuosità. Per questo Cristo pregò: “Siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Jn 17,21).

Questa verità evangelica si presenta ai nostri occhi con forza ancor maggiore nell’odierna assemblea liturgica, che ci vede raccolti nella Basilica di san Paolo fuori le mura, tornata al suo primitivo splendore per quanto riguarda il transetto, con il ricco soffitto e la pavimentazione marmorea. Siamo qui riuniti al termine della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

2. L’ultimo giorno dell’Ottavario, infatti, coincide con la festa liturgica della Conversione di san Paolo. Si tratta di una coincidenza davvero felice! Infatti, il frutto di questa settimana ecumenica dovrebbe essere proprio la conversione. E quella di Saulo di Tarso è una conversione in qualche modo esemplare e particolarmente toccante.

Saulo, persecutore dei cristiani e della Chiesa nascente, diventa Apostolo di quello stesso Cristo di cui era nemico. Accadde alle porte di Damasco: provvisto delle lettere del Sinedrio di Gerusalemme, Saulo si recava a Damasco con l’intento di arrestare i cristiani che lì si trovavano per condurli a Gerusalemme, dove sarebbero stati puniti. All’improvviso fu sorpreso da uno straordinario fulgore. Dopo anni ricorderà ancora quel momento: “Una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti” (Ac 22,6-8).

In quel momento si rese conto che tutto quello che faceva contro i cristiani colpiva Gesù Cristo. Paolo non lo conosceva di persona. Secondo il punto di vista del Sinedrio, riteneva certamente giusta la sua condanna a morte sulla croce e rifiutava di accettare ciò che si diceva riguardo alla sua risurrezione. Alle porte di Damasco si trova faccia a faccia con il Risorto che, come ben descrive l’iconografia tradizionale, lo fa cadere a terra con una potenza invisibile, l’abbaglia con lo splendore che accompagna la sua apparizione e gli dice: Tu perseguiti me; “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti” (Ac 22,8).

Così dicendo, Cristo risorto si identifica con i suoi discepoli, si identifica con la Chiesa. Paolo comprende tutto questo immediatamente. In modo folgorante ciò si imprime nel profondo della sua coscienza e diventa la fonte di tutte quelle ispirazioni, che in seguito egli esprimerà nelle sue Lettere. Si potrebbe dire che in quell’istante egli ricevette per rivelazione tutta la luce del Vangelo e si convertì.

3. Toccato nell’intimo del cuore, Paolo domandò: “Che devo fare, Signore?”. E il Signore gli rispose: “Alzati e prosegui verso Damasco; là ti diranno ciò che devi fare” (cf. At Ac 22,10). Così avvenne. A Damasco andò da lui Anania, fedele osservante della legge diventato cristiano. Gli disse: “Saulo, fratello, torna a vedere!”. In quell’istante Paolo riebbe la vista. E Anania soggiunse: “Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito (...) Ricevi il battesimo e lavati dei tuoi peccati, invocando il suo nome” (Ac 22,14-16).

In precedenza Anania aveva ricevuto dal Signore il seguente incarico: “Va’, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome” (Ac 9,15-16).

E così Paolo da persecutore diventò apostolo di Cristo. Tutti coloro che lo vedevano e lo udivano rimanevano stupiti: “Ma costui non è quel tale che a Gerusalemme infieriva contro quelli che invocano questo nome ed era venuto qua precisamente per condurli in catene dai sommi sacerdoti?” (Ac 9,21).

Ma costui non è quel Saulo?...” (cf. At Ac 9,21). Davvero, Paolo è quel Saulo di Tarso, il temuto persecutore del nome di Cristo. Ed è allo stesso tempo un uomo nuovo: è un Apostolo. Davanti a lui c’è un compito immenso, unico nel suo genere; compito che egli, sospinto dalla grazia, si assumerà con la determinazione e il coraggio di cui era capace, con eroica fortezza, così da diventare, agli inizi della Chiesa, forse il più grande testimone di Cristo e una delle salde colonne della comunità primitiva, edificata sul fondamento degli Apostoli con a capo Pietro.

4. Non è possibile leggere il racconto della conversione di san Paolo senza provare una grande emozione. Ed è più che mai opportuno rileggerlo in quest’ultima giornata di preghiera per l’unità dei cristiani. Un’opera ecumenica, infatti, non può compiersi senza una multiforme conversione. Dobbiamo trasformarci da “confessori separati” in “confessori uniti”. Cristo non può essere diviso, come abbiamo letto nella liturgia della scorsa domenica (cf. 1Co 1,13). Cristo è uno! Questa unità di Cristo è una sfida per i cristiani separati. Cristo vivente nella sua Chiesa è uno. E la Chiesa è il suo Corpo mistico.

Come membri di questo Corpo, di questo organismo vivente, dobbiamo costantemente ritornare all’unità organica. Quest’unità di Cristo non significa l’esclusione di tutte le differenze. Nella sua predicazione sulla Chiesa come Corpo di Cristo, Paolo stesso annunzia la pluralità e la diversità dei membri (cf. 1Cor 1Co 12,1-11). Esiste una pluralità che serve l’unità. Dobbiamo pregare per tale ricchezza nella varietà e lavorare perché essa s’esprima. Ma dobbiamo, al tempo stesso, chiedere allo Spirito Santo il superamento di tutte quelle differenze che intaccano l’unità.

Si avvicina l’anno Duemila. Esso porta con sé una particolare sfida ecumenica. In occasione del Grande Giubileo dobbiamo cercare di presentarci davanti a Cristo, se non pienamente uniti, almeno più vicini, meno divisi e più desiderosi dell’unità organica voluta da Cristo. Così il Giubileo sarà il momento solenne in cui esprimere nell’unità del Corpo mistico, che è la Chiesa, la nostra lode a Cristo e rendere onore a Lui, “che è, che era e che viene” (Ap 1,8).



GPII Omelie 1996-2005