GPII Omelie 1996-2005 21


CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME

E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE


XI Giornata Mondiale della Gioventù

Domenica delle Palme, 31 marzo 1996




1. "Osanna al Figlio di Davide!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore" (Antifona d’ingresso).

La Domenica delle Palme, nella quale la Chiesa fa memoria dell’ingresso trionfale di Cristo in Gerusalemme, costituisce come un solenne portale che introduce nella Settimana Santa. Guardando a questo giorno in chiave di spiritualità liturgica, possiamo considerarlo in qualche modo presente in ogni Celebrazione Eucaristica. Come, infatti, a suo tempo costituì la soglia degli eventi della Settimana pasquale di Cristo, così esso rappresenta costantemente la soglia del mistero eucaristico. Anzi, la soglia stessa della Liturgia. Nel momento in cui varchiamo questa soglia, noi ci accostiamo al centro del Mysterium fidei.

Questo Mysterium, "sempre e in ogni luogo" viene celebrato e compiuto da Cristo stesso, mediante il servizio del sacerdote, ministro dell’Eucaristia. Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, giunge a Gerusalemme per compiervi il suo unico sacrificio, il sacrificio della Nuova Alleanza: prima, nell’ultima Cena del Giovedì Santo, come sacramento; poi, sul Calvario, come realtà redentrice.

"Benedetto colui che viene nel nome del Signore!".

2. La sua venuta è una rivelazione, una rivelazione radicale ed integrale della santità di Dio: "Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth". "Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria... ".

Proprio questa Settimana - che, umanamente parlando, è colma fino all’orlo della sofferenza, dell’umiliazione, della spogliazione, in una parola: della kenosis di Dio - questa Settimana contiene la rivelazione della santità di Dio, culmine della storia del mondo. "Santo, Santo, Santo . . . Osanna nell’alto dei cieli".

Dal fondo dell’umiliazione redentiva di Cristo l’uomo riceve in dono la forza per raggiungere l’apice del proprio essere e del proprio destino. L’"Osanna nell’alto dei cieli" trova in questo giorno e in questa Settimana, che a ragione è detta "Santa", la pienezza del suo significato.

3. Da undici anni nella Domenica delle Palme si celebra la Giornata Mondiale della Gioventù. In un certo senso, si può dire che "giornata della gioventù" ha cominciato ad esserlo fin dall’inizio, fin dal giorno che oggi commemoriamo, quando i giovani di Gerusalemme andarono incontro a Cristo che entrava in città, mite ed umile, cavalcando un asino, secondo la profezia di Zaccaria (cf. Za 9,9). Andarono per salutarlo ed accoglierlo con le parole del salmo: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore . . . " (Ps 117,26).

Cristo non dimentica. Quanto è avvenuto allora Egli lo ricorda. E anche i giovani ricordano. Cristo è fedele. E anche i giovani sanno essere fedeli verso chi dà loro fiducia.

Ed ecco che i giovani ritornano, di anno in anno, a questo incontro, nato dal loro incontenibile entusiasmo per Gesù e per il Vangelo. È iniziato così un pellegrinaggio che attraversa le diocesi del mondo intero e, ogni due anni, converge in un grande incontro internazionale, costruendo ponti di fraternità e di speranza tra i continenti, i popoli e le culture. È un cammino sempre in atto, come la vita. Come la giovinezza.

Quest’anno - a metà strada, per così dire, tra l’indimenticabile tappa di Manila e quella prevista a Parigi nell’agosto 1997 - l’itinerario del "popolo giovane" torna oggi a far sosta nelle Chiese locali, arricchito anche dall’esperienza del pellegrinaggio europeo alla Santa Casa di Loreto.

4. Carissimi giovani presenti oggi in Piazza San Pietro, a voi il mio speciale saluto! Rivolgo un caloroso benvenuto a quanti sono giunti da lontano, e in particolare ai giovani filippini, che tra poco passeranno la croce della Giornata Mondiale nelle mani degli amici francesi.

Abbracciare in questo giorno la croce, passarla di mano in mano, costituisce un gesto molto eloquente. È come dire: Signore, non vogliamo restare con te solamente nel momento degli "Osanna"; ma, col tuo aiuto, vogliamo accompagnarti nella via della croce come fecero Maria, Madre tua e nostra, e l’apostolo Giovanni. Sì, o Signore, perché "Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68), e noi abbiamo creduto che proprio la tua Croce è parola di vita, di vita eterna!

Carissimi, voi ben sapete che il Signore non illude con falsi miraggi di felicità, ma dice: "Se qualcuno vuol venire dietro di me... prenda la sua croce e mi segua" (Mc 8,34). Questo linguaggio è duro, ma è sincero, e contiene la verità fondamentale per la vita: solo l’amore realizza l’uomo e non c’è amore senza sacrificio. Andate, cari giovani, e portate questa parola di vita per le strade del mondo incamminato verso il Terzo Millennio. La Croce di Cristo è la speranza del mondo.

Nella liturgia della Domenica delle Palme, i giovani hanno un ruolo di protagonisti, come "i ragazzi ebrei", che "andavano incontro al Signore portando rami d’ulivo e acclamavano a gran voce: Osanna nell’alto dei cieli" (Antifona della processione).

. . . Andavano incontro al Signore.

Giovani di Roma e del mondo! Cristo vi chiama: andateGli incontro!
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MESSA CRISMALE



Giovedì Santo, 4 aprile 1996




1. "Lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato . . ." (Is 61,1).

Queste parole del profeta Isaia sono la chiave di lettura dell’odierna Liturgia. Cristo stesso fece ricorso ad esse nel momento in cui assumeva la sua missione messianica. "Messia" significa "unto", cioè consacrato per virtù dello Spirito Santo.

Cristo è mandato dal Padre per recare la liberazione dai peccati, per consolare e rialzare gli afflitti, per annunziare il tempo di grazia, il tempo della redenzione. Ecco: Cristo è il Testimone fedele del mistero del Dio vivente, del Dio che è Amore.

Cristo, "generato prima di ogni creatura" è "il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti" (Col 1,15 Col 1,18). In Lui tutto rivive, perché Egli porta in sé il soffio della vita nuova, della vita redenta. Accogliendo la chiamata del Padre a farsi uomo, l’Unigenito ed eterno Figlio è entrato nell’ordine della creazione ed è divenuto causa di salvezza per tutti coloro che credono in Lui.

2. Cristo, il Consacrato del Padre, con l’incarnazione è stato costituito "sacerdote per sempre", l’unico sacerdote della nuova ed eterna Alleanza. Egli sta al centro della Liturgia della Missa Chrismatis, durante la quale vengono benedetti gli olii che recheranno il balsamo della grazia al Popolo di Dio. Nella sua unzione, Cristo raccoglie in unità tutti coloro che partecipano alla sua consacrazione: battezzati, cresimati, ordinati. Si unisce a ciascuno con l’unzione nella potenza dello Spirito che Egli ci ha donato nel Triduum paschale del suo sacrificio: nella croce, nella morte e nella risurrezione, quando "ci ha liberati dai nostri peccati... e ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (Ap 1,5-6).

Ogni battezzato partecipa, dunque, al sacerdozio regale e profetico di Cristo "per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio" (1P 2,5). Il Verbo incarnato ha voluto, tuttavia, lasciare agli Apostoli il suo sacerdozio in un modo diverso.Il sacerdozio ministeriale differisce essenzialmente da quello comune a tutti i fedeli, come insegna la Tradizione e come il Concilio Vaticano II ha autorevolmente ribadito (cf. Lumen gentium LG 10).

Partecipi in maniera speciale del sacerdozio di Cristo, noi ministri ordinati siamo coscienti di essere chiamati a condividere l’offerta (oblatio) di Cristo e a viverla nel servizio al sacerdozio comune dei fedeli. Il Giovedì Santo ci rende consapevoli di questo ministero in modo particolarissimo: dopo averci chiamati, Cristo ci ha consacrati, come Lui e in Lui, affidandoci il proprio "sacrificio".

3. È per me motivo di intensa gioia celebrare quest’anno la Messa del Crisma, nel ricordo del 50° anniversario della mia Ordinazione sacerdotale. Mi torna alla memoria quanto avveniva nel Seminario di Cracovia, ove era consuetudine che, nel giorno precedente le Ordinazioni sacerdotali, si recitassero le belle Litanie a Cristo, sacerdote e vittima: Christus sacerdos et oblatio. In esse sono raccolte riflessioni profonde, tratte dalla Lettera agli Ebrei e dalla Tradizione apostolica.

"Iesu, sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech...
sacerdos sancte, sacerdos immaculate . . .;
ex hominibus assumptus, pro hominibus constitutus...
qui obtulit semetipsum pro nobis oblationem et hostiam Deo . . .
qui sedet ad dexteram Patris in caelis...
qui apparet Vultui Dei pro nobis;
Iesu, sacerdos et victima . . .
hostia laudis, hostia propitiationis, hostia salutis,
hostia in qua habemus accessum ad Deum . . . ".

Sono invocazioni ricche di contenuto biblico e spirituale. Esse risvegliano nell’anima pensieri ed emozioni indimenticabili.

4. E poi la preghiera: "Deus, qui omnium corda nosti, ostende quos elegisti in ministerium!": O Dio, tu che conosci i cuori di tutti, manifesta coloro che hai chiamati al sacro ministero!

Cristo, infatti, aveva detto agli Apostoli: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Jn 15,16). Per questo ci ha consacrati con l’unzione.

Per il compimento di tale missione, Cristo ci invia lo Spirito Santo, affinché operi in noi con la sua potenza, così che possiamo portare molto frutto, un frutto che duri. Il terreno su cui Dio depone i semi della sua grazia e della sua bontà è il cuore degli uomini. Ma Cristo ci offre il suo Spirito, perché tale terreno sia dissodato e reso fertile dalla sua potenza e a tutti sia dato di attingere abbondantemente al mistero della Redenzione.

Il Triduum Sacrum ci parla di tali stupende realtà: è il tempo della fecondità salvifica. Quanto ci insegna la Missa Chrismatis!

5. Iesu, sacerdos in aeternum!

Oggi, qui riuniti, ti invochiamo:
ascolta la nostra preghiera!
Infondi nei nostri cuori
il desiderio di servire sempre
con animo generoso te ed i fratelli.

Fa’ che possiamo guidare il Popolo santo con mansuetudine,
insegnando ciò che tu hai insegnato,
perdonando come tu hai perdonato,
servendo come tu hai servito,
affinché, nel giorno che tu vorrai,
possiamo cantare in eterno la tua lode.

Amen!
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SANTA MESSA NELLA CENA DEL SIGNORE



Basilica di San Giovanni in Laterano

Giovedì Santo, 4 aprile 1996

1. "Pange, lingua, gloriosi corporis mysterium, sanguinisque pretiosi . . .".

San Tommaso d’Aquino, il Dottore angelico, descrive e commenta con parole di teologo, di mistico e di poeta i gesti misteriosi e commoventi compiuti da Gesù alla vigilia della sua Passione nell’Ultima Cena e trasmessi nel racconto degli Evangelisti.

Attraverso gli accenti di questo inno latino, che da tanti secoli accompagna la fede della Chiesa, a noi è dato di rivivere quanto Gesù compì in quella notte. Ci è dato di contemplare il Sacramento che Egli istituì per "perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il Sacrificio della Croce e per affidare così alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua Morte e della sua Risurrezione" (Sacrosanctum Concilium SC 47).

Gli occhi della fede contemplano, la mente accoglie, il cuore esulta, la lingua canta: "Canta, o lingua, il gran mistero!". Canta, perché? Perché si tratta del mistero di "quel Corpo glorioso e del Sangue prezioso che il Re delle genti sparse in riscatto per il mondo": "in mundi pretium". Canta per lodare il supremo atto d’amore di Cristo, che nel Sacramento eucaristico s’è fatto cibo e bevanda dell’uomo, unica sorgente di vita vera per la Chiesa e per il mondo.

"Nobis datus, nobis natus, ex intacta Virgine . . . - Dato a noi da madre pura, per noi tutti s’incarnò...". Contemplando il mistero eucaristico la mente è portata a ripercorrere le tappe attraverso le quali il Verbo di Dio giunse a coronare la sua missione salvifica: l’incarnazione, la nascita, il ministero pubblico, la predicazione e infine, alla vigilia della sua Passione, il dono di sé sotto le specie del pane e del vino: "miro clausit ordine".

2. L’apostolo Paolo descrive come questo si compì: nella notte in cui veniva tradito, Gesù "prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è offerto per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue: fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me"" (1Co 11,23-25).

San Tommaso d’Aquino commenta: "In supremae nocte cenae recumbens cum fratribus . . . - Nella notte della Cena coi fratelli si trovò. Del pasquale sacro rito ogni regola compì e agli Apostoli ammirati come cibo si donò". Donò se stesso con le proprie mani: "Se dat suis manibus"!

Donò il Corpo e il Sangue che dovevano diventare offerta della Vittima nel sacrificio cruento della Croce, per la Redenzione del mondo.

Si donò alla Chiesa sotto le specie del pane e del vino per l’incruento sacrificio eucaristico, mediante il quale è reso sacramentalmente presente l’unico sacrificio della Croce.

Si donò come cibo e bevanda sacramentale per il popolo della Nuova ed Eterna Alleanza, popolo in cammino.

3. Ci è ben noto il racconto degli Evangelisti: "Prese il pane... prese il calice, e disse: "Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue..."". San Tommaso canta: "La parola del Signore pane e vino trasformò: pane in carne, vino in sangue, in memoria consacrò".

Ed aggiunge: "Non i sensi, ma la fede prova questa verità". Abbi fede, dunque! Fede è guardare: spalanca gli occhi del cuore!

In ciò che accadde durante l’Ultima Cena non vi è una logica che stupisce? Ma non è proprio questa la logica di tutto il Vangelo? In quale altro modo, se non così, poteva confermare la sua missione Colui che "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Jn 13,1)?

Quella che adesso viviamo è un’ora decisiva, l’ora della fede, l’ora in cui siamo invitati ad accettare nella sua integrità la parola di Gesù, anche se va al di là dell’umana comprensione; l’ora in cui celebriamo il "mistero della fede"; l’ora in cui ripetiamo e scopriamo con Pietro: "Signore, da chi andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna" (Jn 6,68).

4. "Tantum ergo Sacramentum veneremur cernui . . . ".

"Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci donò" - oh, quanto è grande questo Sacramento! - "et antiquum documentum novo cedat ritui . . .".

L’antico rito voluto da Mosè prevedeva la celebrazione della cena pasquale nel ricordo della liberazione d’Israele dall’Egitto per opera del sangue dell’agnello sparso sulla porta di ogni casa (cf. Es Ex 12,1-8 Es Ex 12,11-14). Ce lo ha opportunamente richiamato la prima lettura. Nel nuovo rito del Cenacolo, il sangue dell’Alleanza è il sangue del Salvatore. Questa è la vera vittima liberatrice, che subentra alla "figura" dell’Antico Testamento e inaugura il Nuovo Testamento, definitivo e perenne, in cui la schiavitù del peccato è definitivamente abolita.

Da quel momento, da quella istituzione innumerevoli labbra sacerdotali hanno ripetuto e ripetono le parole pronunziate dalle labbra di Gesù durante l’Ultima Cena: "Hoc est Corpus meum . . . - Questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi". "Hic est calix Sanguinis mei . . . - Questo è il calice del mio Sangue per la Nuova ed Eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati".

"Fate questo in memoria di me... - Hoc facite in meam commemorationem"! Oggetto di incancellabile ricordo: "In memoria di me". Il prodigio della sua presenza viva e reale è proprio ciò che il Signore ci ha detto di ricordare, anzi di rinnovare: "Fate questo"! In virtù dell’atto consacratorio, sta sull’altare la Vittima per la salvezza del mondo: "In mundi pretium".

"Tu ci hai redenti
con la tua Croce e la tua Risurrezione.
Salvaci, o Salvatore del mondo!".

Amen!
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VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA



Basilica Vaticana - Sabato Santo, 6 aprile 1996




1. Lumen Christi!

"La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta" (Jn 1,5).

Così si esprime il Prologo del Vangelo di Giovanni, sintetizzando efficacemente il dramma del rifiuto di Cristo al momento del suo ingresso nel mondo. Ma in questa notte, la notte di Pasqua - secondo le Scritture e al di là di ogni umana attesa - si verifica il contrario: la luce vince le tenebre.

Ecco il primo gesto simbolico della solenne Veglia pasquale: il diacono porta il cero, simbolo di Cristo luce del mondo, all’interno della basilica immersa nel buio. Dal "fuoco nuovo" di questo cero vengono accese le fiammelle di alcune candele, e da queste, a poco a poco, le candele di tutti i fedeli, finché il tempio si trova ricolmo di luce.

Il diacono, allora, canta il Preconio pasquale, che è l’inno a Cristo-Luce. Nella notte viene innalzata la lode al Redentore, che dalle tenebre ci ha condotti alla mirabile luce di Dio (cf. 1P 2,9).

2. "O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem! Felice colpa, che meritò di avere un così grande Redentore!" (Preconio pasquale).

Tanto grandi sono la gioia e la meraviglia per la salvezza ricevuta in dono, che la colpa stessa appare degna di essere benedetta!

Che cosa sono, infatti, le tenebre se non il simbolo del peccato e della morte?

E che cos’è la luce se non il simbolo della vita che vince la morte?

La notte di Pasqua, "notte beata" (beata nox) è testimone di questa vittoria.

"Andarono le tre Marie,
portando unguenti preziosi
per ungere il corpo di Cristo,
e rendergli la lode e la gloria.
Camminando dicevan fra loro:
C’è lì una pietra sì grande,
chi ce la toglierà?" (da un antico canto pasquale polacco).

Le donne, giunte al sepolcro per prime, videro rotolata la pietra tombale. Ed a loro apparve un angelo: "Non abbiate paura, voi! - disse loro - So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto" (Mt 28,5-6).

A Pasqua i simboli cedono il passo alla realtà: "La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta" (Jn 1,5): la Vita è stata uccisa, inchiodata ad una croce. Ma "in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini" (Jn 1,4). Ed ora nel Cristo risorto la luce finalmente risplende. Lumen Christi. Era necessario che si facesse "buio su tutta la terra" (Mt 27,45), perché la Luce brillasse in tutto il suo fulgore. La Vita doveva morire, perché potesse vivificare tutte le cose.

3. Nella Veglia pasquale, la Chiesa si rivolge ai catecumeni, che si apprestano a ricevere il Battesimo, con le parole dell’apostolo Paolo:

"Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova... Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui... Consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù" (cf. Rm Rm 6,3-4 Rm Rm 6,8 Rm Rm 6,11).

Queste parole risuonano in modo singolare per voi, carissimi Fratelli e Sorelle, che tra poco sarete battezzati e segnati col sacro Crisma. Per la prima volta vi accosterete alla Mensa eucaristica. A voi giunga con speciale affetto il mio saluto!

Accogliendovi, intendo salutare le Chiese e i Paesi da cui provenite: la Corea del Sud, la Francia, il Giappone, l’Italia, la Repubblica Popolare di Cina, gli Stati Uniti d’America e il Vietnam.

La luce di Cristo è per tutti i popoli, e voi, in questa Celebrazione, costituite in qualche modo la risposta delle Nazioni del mondo intero alla nuova evangelizzazione.

Nel fatto che sette di voi, su dieci, provengono dall’Asia, possiamo leggere un segno del grande desiderio di Cristo e della Chiesa di incontrare le popolazioni e le culture di quell’immenso continente, ricco di storia e di nobili tradizioni.

Nessuno abbia timore della luce di Cristo! Il suo Vangelo è luce che non mortifica, ma sviluppa e realizza pienamente quanto di vero, di buono, di bello è presente in ogni umana cultura. Il Vangelo di Cristo è per l’uomo, per la vita, la pace, la libertà di ogni uomo e di tutto l’uomo. Di questo, carissimi catecumeni, siate voi stessi testimoni, animati dallo Spirito Santo che tra poco sarà effuso con abbondanza nei vostri cuori.

4. Battesimo significa "immersione". Essere battezzati significa essere "immersi" nel mistero dell’amore di Dio, sgorgato dal cuore trafitto del Crocifisso.

La grande Veglia pasquale è, nell’anno liturgico, il momento battesimale per eccellenza. In essa il simbolo della luce si unisce a quello dell’acqua e ricorda che tutti noi siamo rinati dall’acqua e dallo Spirito Santo, per partecipare alla vita nuova, rivelata mediante la risurrezione di Cristo.

"In lui è la vita, e la vita è la luce degli uomini" (cf. Gv Jn 1,4).
O vere beata nox!
Notte veramente beata,
che porti agli uomini la luce di Cristo!
Notte che splendi senza confini,
illumina di speranza e di pace
ogni angolo della terra!

Amen.
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VISITA PASTORALE IN TUNISIA (14 APRILE 1996)

SANTA MESSA PER I FEDELI DELL'ARCIDIOCESI DI TUNISI




Cattedrale dedicata a San Vincenzo de Paoli e a Sant'Oliva (Tunisi)

Domenica, 14 aprile 1996




1. Il Signore è veramente risorto!

In questa liturgia pasquale proclamiamo la fede ricevuta dagli Apostoli che, la sera del giorno della Risurrezione hanno incontrato il Signore. Poi, otto giorni dopo, il Signore si è unito a loro per convincere Tommaso, assente la settimana precedente.

Cari Fratelli e Sorelle, sono felice di celebrare il Signore con voi a Tunisi, nella vostra cattedrale, nella luce di Pasqua. Ringrazio Monsignor Fouad Twal, Vescovo della Chiesa in Tunisia, per il messaggio di accoglienza che mi ha rivolto a nome vostro. Vi saluto tutti, sacerdoti, religiosi, religiose e laici.

Rivolgo un saluto particolare ai miei Fratelli nell’Episcopato giunti dall’Algeria, dal Marocco e dalla Libia, accompagnati da delegazioni delle loro diocesi. Tengo a dire loro che il Successore di Pietro è vicino ad essi ogni giorno. Li incarico di esprimere ai fedeli delle loro comunità il mio affetto e di assicurarli della mia preghiera.

Oggi i nostri fratelli delle Chiese d’Oriente celebrano la Pasqua del Signore. Il Vescovo di Roma è particolarmente vicino a loro, con sentimenti di viva carità fraterna.

Desidero salutare anche il Signor Ministro degli Affari Religiosi e le alte personalità civili che, con la loro presenza a questa celebrazione festiva, manifestano la loro amicizia alla comunità cristiana.

2. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci mostra Gesù che ritrova i suoi discepoli la sera di Pasqua. È colui con il quale sono stati per tanto tempo, è lo stesso, eppure c’è qualcosa di nuovo. Entra attraverso la porta chiusa. Il suo corpo è diverso da quello che era prima. Della sua Passione ha conservato le tracce dei chiodi nelle mani e nei piedi e la ferita del costato trafitto dalla lancia del centurione. Dopo essere entrato nel Cenacolo dalla porta chiusa, saluta gli Apostoli con queste parole: "Pace a voi!" (Jn 20,19). Quindi, Colui che il Padre ha mandato nel mondo, manda i suoi discepoli comunicando loro la potenza dello Spirito Santo.

3. Gli Apostoli riuniti nel Cenacolo sono testimoni della Risurrezione di Cristo. Tommaso, proprio perché inizialmente non ha creduto, diventa un testimone eccezionale. È lui che esprime nella maniera più completa il mistero di cui la Risurrezione di Cristo ci apre le porte: "Mio Signore e mio Dio" (Jn 20,28). Già una volta Simon Pietro aveva professato questa fede rispondendo ad una domanda di Gesù: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!" (Mt 16,16). Ora, dopo la Risurrezione, questa verità si impone con una forza ancora più grande: Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.

Gli Apostoli ne sono i testimoni. Dei testimoni oculari. I primi testimoni. In virtù di questa testimonianza, sono anche inviati: "Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi" (Jn 20,21). Sono i primi ad essere inviati. Dopo di loro ne verranno altri e di essi Cristo dirà: "Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!" (Jn 20,29). Diventeranno, a loro volta, testimoni perché hanno creduto ai testimoni oculari. E sarà così di generazione in generazione.

Tutti costoro formano la Chiesa di Cristo.

4. Fratelli e Sorelle della Tunisia e dell’Africa del Nord, voi costituite qui la Chiesa di Cristo. Siete testimoni della Buona Novella, nella sequela dei grandi santi che hanno contrassegnato questa terra nel corso dei primi secoli del cristianesimo. Siate i fedeli eredi di quei testimoni supremi che sono state le martiri Felicita e Perpetua. Riprendete gli insegnamenti dei Padri e dei Pastori del passato, come San Fulgenzio. Seguite le orme di san Cipriano da Cartagine che è stato uno dei più grandi Vescovi dei primi secoli; ricordatevi del suo amore per la Chiesa e della sua infaticabile ricerca dell’unità. Sant’Agostino, che ha vissuto qui, fu Pastore di Ippona, ma allo stesso tempo servitore di tutta la Chiesa, il Corpo di Cristo diffuso nel mondo; la sua vita consacrata alla ricerca di Dio, la sua lettura approfondita delle Scritture, il suo spiccato senso del dono della grazia continuano ad essere fonte di ispirazione per il mondo cristiano. E la cattedrale dove siamo riuniti, che state accuratamente restaurando, evoca altri santi legati a questo paese, San Vincenzo de’ Paoli e Sant’Oliva: anch’essi sono per voi degli intercessori.

Piccolo gregge, è vero, ma di lingua, di cultura e di origini diverse, siete un’immagine eloquente della Chiesa universale. Per i vostri vincoli con il Nord e il Sud, con l’Oriente e l’Occidente, siate qui fermenti di unità e di solidarietà. Attraverso il vostro radicamento in questo accogliente Paese, grazie alla vostra amicizia fraterna con i vostri compagni di lavoro e i vostri vicini di quartiere, mediante i vostri scambi nella vita di tutti i giorni e nella riflessione sul senso della vita e sulla situazione del mondo, lasciate trasparire la grazia che avete ricevuto di essere discepoli di Gesù Cristo!

5. Gli Atti degli Apostoli descrivono gli inizi della Chiesa, comunità di fede e di preghiera, comunità della Parola e dell’Eucaristia: "Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (Ac 2,42). Ancora oggi, dopo venti secoli, la Chiesa è sempre questa stessa comunità. Voi trovate in queste parole apostoliche i fondamenti della vita di una comunità cristiana. Leggiamo ancora che essi lodavano Dio e godevano della stima di tutto il popolo (cf. At Ac 2,47). Questa frase ricorda, in qualche modo, il duplice comandamento fondamentale dell’amore verso Dio e verso il prossimo. Dio viene infatti onorato degnamente quando coloro che lo adorano rispettano l’uomo, sua creatura.

Mettete in atto ogni giorno questo programma di vita cristiana, nella preghiera e nell’azione. Penso alle opere di educazione e di formazione professionale che portate avanti. E so che molti di voi dispensano generosamente cure agli ammalati, ai disabili e ai vostri fratelli più bisognosi, senza discriminazione e disinteressatamente, in collaborazione con i vostri amici musulmani. Proseguite questi servizi fraterni, queste opere di misericordia che danno una consistenza concreta all’amore per il prossimo. A volte dovete superare incomprensioni che possono derivare dalla storia: possa il Signore Gesù, il cui amore abbatte tutte le barriere, darvi coraggio e conservarvi nella pace!

6. Le parole rivolte dall’Apostolo Pietro alla prima generazione di cristiani riguardano anche noi. Egli scrive: "Voi (Cristo) lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui" e "della potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi" (1P 1,8 1P 1,5).

Questa fede e questa speranza della salvezza ci uniscono strettamente a Cristo risorto. L’Apostolo Pietro lo testimonia con queste parole: "Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi" (1P 1,3-4).

Fratelli e Sorelle della Tunisia e dell’Africa del Nord, rendo grazie per i doni che avete ricevuto, per la fede e per la speranza che mantenete vive malgrado il vostro esiguo numero, attraverso le prove che dovete affrontare. Ringrazio il Signore per i vostri vincoli di amicizia, per il vostro amore verso i poveri, per la vostra apertura verso i fratelli di questa terra.

Che questa Eucaristia sia per tutti voi, che avete il cuore colmo della gioia e della speranza della Pasqua, un segno profondo di comunione con Cristo vivo e con tutti gli uomini che Egli ama!
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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA

DI SANTA MADDALENA DI CANOSSA


Borgata Ottavia - III Domenica di Pasqua, 21 aprile 1996




1. "Surrexit Dominus vere, alleluia": "Il Signore è veramente risorto, alleluia" (Liturgia delle Ore, vol. II, Invitatorio del Tempo pasquale).

In questa breve formula di fede la liturgia riassume il contenuto dell’evento pasquale. Le letture dell’odierna domenica ci conducono a rivisitare ancora una volta la morte e la risurrezione del Signore e, allo stesso tempo, mostrano il valore redentivo del sacrificio di Cristo per l’intera umanità. Guidati dalla liturgia della Parola, siamo invitati ad approfondire il mistero della Pasqua di Cristo.

"Haec est dies, quam fecit Dominus": "Questo è il giorno che ha fatto il Signore" (Ps 117,24). Il Vangelo secondo san Luca ci conduce sulla via di Emmaus, alla sera del giorno di Pasqua. E, dunque, "ipsa die": "in quello stesso giorno". Cristo era risorto la mattina di quel giorno.

I due discepoli, però, che si trovano in cammino da Gerusalemme ad Emmaus, ancora non ne sono a conoscenza. Anzi, ciò che hanno riferito alcune donne al riguardo sembra non costituire per loro un argomento sufficiente per credere alla risurrezione di Gesù. Eppure, come ricorda l’Evangelista, essi ammettono che "alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma Lui non l’hanno visto" (Lc 24,24). Si trova in queste parole un’analogia con l’iniziale incredulità di Tommaso: se non vedrò, non crederò (cf. Gv Jn 20,25).

2. A questo punto del racconto di Luca il misterioso personaggio, che si era unito ai due discepoli durante il cammino (ed era lo stesso Gesù, ma essi non lo avevano riconosciuto), di propria iniziativa svolge una magnifica catechesi sulla Risurrezione. Richiama l’Antico Testamento, cominciando da Mosè e, attraverso i vari profeti, spiega ciò che "in tutte le Scritture . . . si riferiva a Lui" (Lc 24,27). Si lascia poi persuadere e si ferma con loro: "Resta con noi . . . il giorno già volge al declino" (Lc 24,29). Allo spezzare del pane lo riconobbero, "ma Lui sparì dalla loro vista" (Lc 24,31).

E subito, senza indugio, i due discepoli fanno ritorno a Gerusalemme, dove la loro fede pasquale viene confermata dal lieto annuncio degli Apostoli: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone" (Lc 24,34). Davvero il racconto dei discepoli di Emmaus è un capolavoro letterario e, contemporaneamente, una profonda catechesi sul mistero della Pasqua.

3. "Il Signore . . . è apparso a Simone".

Nelle letture di questa terza Domenica di Pasqua Simon Pietro è in primo piano. Lo ascoltiamo mentre, il giorno di Pentecoste, parla alla folla radunata dopo la discesa dello Spirito Santo.

Conosciamo bene questo primo messaggio pasquale di Pietro, ma vale la pena ascoltarlo ancora una volta: Dio - egli dice - ha confermato la missione di Gesù di Nazaret prima "per mezzo di miracoli, prodigi e segni" e, in seguito, in modo definitivo risuscitandolo, "sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere" (Ac 2,22-24).

Pietro, come Cristo sulla via di Emmaus, si richiama qui all’Antico Testamento e, più concretamente, a Davide, riportando le parole proclamate nell’odierno Salmo responsoriale: "Anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza" (Ps 15,9-11).

Come non scoprire in tali parole lo stesso contenuto di quel "Surrexit Dominus vere...", che abbiamo ricordato all’inizio?

4. Carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di Santa Maddalena di Canossa! Sono lieto di essere oggi finalmente in mezzo a voi per celebrare, nel gioioso clima pasquale, il "Giorno del Signore" in questa vostra bella chiesa. Il rito della dedicazione, presieduto dal Cardinale Vicario, si è svolto il 24 marzo scorso, quando io stesso avrei desiderato essere tra voi. Oggi mi è concessa l’opportunità di ringraziare tutta la Famiglia Canossiana, in particolare le care Suore Canossiane, per il dono che hanno fatto alla Chiesa di Roma di questo splendido edificio sacro. Esso mi venne offerto fin dal 2 ottobre 1988, quando ebbi la gioia di canonizzare la vostra Patrona. Questa chiesa ha perciò la peculiare vocazione di ricordare ad ogni fedele della nostra Diocesi il grande amore per Iddio e per i fratelli che ebbero Maddalena di Canossa e la sua figlia spirituale Giuseppina Bakita. Esse vollero camminare accanto ad ogni persona, scoprendo e sperimentando insieme la cura che Dio ha per ciascuno ed annunciando a tutti l’autentico volto del Padre celeste, buono e misericordioso.

Grazie, carissimi Fratelli e Sorelle, per la vostra presenza e per la vostra cordiale accoglienza. Vi saluto tutti con affetto. Saluto in particolare il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il Parroco, Padre Antonio Gentilin, ed i Padri Canossiani che collaborano nel ministero parrocchiale. Rivolgo poi un riconoscente pensiero alle Suore Canossiane, sempre disponibili al servizio della Comunità, ed alle Suore Ancelle dell’Incarnazione, che curano la clinica di lunga degenza "Salus Infirmorum". Saluto, inoltre, gli aderenti ai gruppi ed alle associazioni della parrocchia, come pure quanti collaborano, in vario modo, alle attività formative, caritative e missionarie della vostra Comunità parrocchiale.

5. A voi, carissimi Fratelli e Sorelle di questa zona, mi rivolgo con le parole dell’apostolo Pietro, riportate negli Atti degli Apostoli: "Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni" (Ac 2,32). L’affermazione: "noi tutti ne siamo testimoni" costituisca per voi come, del resto, per ogni cristiano di Roma il programma di vita, soprattutto ora che la diocesi si appresta ad iniziare la grande missione cittadina. È urgente essere testimoni del Risorto con coraggio e coerenza; è dovere di ogni credente estendere oltre le strette mura delle nostre Comunità parrocchiali il messaggio evangelico per raggiungere ogni uomo e ogni donna che vive nella Città.

Molti e noti sono i problemi e le sfide del tempo presente. Guardando alla situazione di questo quartiere, voi vi rendete conto di quanto sia vasto il campo d’azione apostolica. La vostra Parrocchia è attiva e me ne compiaccio. Fate sì che il tessuto sociale costituito dalle famiglie che compongono il quartiere rimanga sano e sia portatore di valori morali e religiosi, valori sui quali è necessario fondare la pastorale dell’intera vostra Comunità. Coinvolgete, in stretta collaborazione con i sacerdoti, tutte le forze vive della Parrocchia, che è giovane ma già ben organizzata, in un capillare annuncio del Vangelo rivolto a tutte le categorie sociali.

Alle famiglie di recente costituzione, che rappresentano la gran parte della vostra Comunità, raccomando di essere evangelizzatrici dei nuovi nuclei familiari. Famiglie cristiane, aiutate i giovani che si preparano al matrimonio, e quanti hanno da poco formato una famiglia, a vivere un’autentica esperienza di amore cristiano secondo il Vangelo! Date l’esempio di coppie stabili e fedeli, fondate sul vincolo indissolubile del matrimonio cristiano ed aperte all’accoglienza della vita.

E voi tutti, fedeli di questa Comunità parrocchiale, retta dalla Congregazione Canossiana, per suo specifico carisma missionaria, abbiate una forte passione per la diffusione del Vangelo nel mondo. Siate accoglienti verso coloro che cercano, a volte perfino inconsapevolmente, la verità di Cristo, ed hanno bisogno di incontrare autentici annunciatori e testimoni del Risorto.

6. È ancora l’apostolo Pietro che esorta ciascuno di noi, come fece nei confronti della prima generazione dei cristiani, ad essere testimoni del mistero pasquale: "Voi sapete che... foste liberati... con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi. E voi per opera sua credete in Dio, che l’ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria e così la vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio" (1P 1,18-21).

È nella risurrezione di Cristo che l’opera della redenzione raggiunge la sua pienezza.

Carissimi Fratelli e Sorelle, questo lieto annunzio dobbiamo recarlo a tutti non solo a parole, ma con la vita; è messaggio di speranza e di amore che deve permeare tutti gli ambienti e le persone. In questa impegnativa missione, che è di ogni battezzato, vi sostenga l’esempio di Maddalena di Canossa, di Giuseppina Bakita e di tanti fratelli e sorelle che hanno tradotto in generose scelte di vita la loro fede nel Risorto.

Vi aiuti soprattutto Maria, Madre del Cristo risorto e modello di ogni credente. Insieme con i discepoli di Emmaus invochiamo il Risorto:

Resta con noi, Signore!
Resta con noi in questo lieto giorno,
resta con noi per sempre.
Non arde forse il nostro cuore,
mentre ci accompagni nel nostro cammino
ed illumini per noi il senso delle Scritture?
Resta con noi, Signore!

Amen! Alleluia!
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GPII Omelie 1996-2005 21