GPII Omelie 1996-2005 41

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SANTA MESSA ALLA GROTTA DI LOURDES NEI GIARDINI VATICANI



Domenica, 30 giugno 1996




1. "Canterò per sempre la tua misericordia" (Salmo resp.).

Queste parole esprimono la riconoscenza di chi ha sperimentato l’amore misericordioso di Dio: sono le parole del profeta ricolmato di Spirito Santo, della donna sterile diventata madre, dell’apostolo eletto dal Maestro. Sono le parole di ogni battezzato, rigenerato dal mistero pasquale di Cristo.

In realtà, l’esperienza cristiana è una circolazione di doni che parte da Dio e a Dio ritorna, mediante Cristo, a lode della sua gloria; una circolazione di misericordia e di gratitudine, anticipo e profezia del Regno dei cieli. Questa è anche la dinamica della missione e dell’apostolato.

La prima lettura dell’odierna Domenica ci ha presentato, dal ciclo del profeta Eliseo narrato nel Secondo libro dei Re, un episodio che esemplifica il detto di Gesù: "Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta" (Mt 10,41). Eliseo, erede dello spirito del grande profeta Elia, è accolto da una donna di Sunem, la quale agisce con premurosa ospitalità verso di lui, perché lo riconosce come "un uomo di Dio, un santo" (2R 4,9). E da lui riceve, come ricompensa, la promessa di un figlio ormai insperato, figlio che puntualmente verrà alla luce e, che, in seguito, sarà addirittura risuscitato dallo stesso Eliseo.

Che cosa sarà stata la vita di quella donna di Sunem, se non un inno di lode incessante alla misericordia di Dio, che l’aveva visitata?

2. "Chi accoglie voi accoglie me" (Mt 10,40).

L’apostolo del Regno dei cieli è anzitutto un uomo di Dio, uno che ha fatto esperienza personale del suo amore ed è chiamato ad annunciarlo. Egli per primo ripete ogni giorno: "Canterò per sempre la tua misericordia". In tal modo, l’apostolo diventa anche dispensatore della grazia di Dio e testimone della sua fedeltà, così da suscitare in quanti accolgono il suo messaggio il medesimo cantico di lode.

Il brano evangelico, che abbiamo appena ascoltato, costituisce la parte finale del cosiddetto "discorso apostolico" del Vangelo di Matteo. Esso presenta il criterio fondamentale e sintetico dell’esistenza apostolica, vale a dire il primato di Dio, diventato, nella Nuova Alleanza, il primato di Cristo, il Figlio di Dio incarnato. L’apostolo ha "perduto la sua vita" (Mt 10,39) per Cristo; diventando suo discepolo si è fatto "piccolo" ed ora può essere strumento della sua misericordia verso tutti coloro che lo accolgono nel nome del Signore.

3. "Anche voi, consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù" (Rm 6,11)

Carissimi Fratelli e Sorelle, ogni discepolo è chiamato ad essere apostolo del Vangelo, in virtù del battesimo, di cui ci ha parlato l’apostolo Paolo nella sua Lettera ai Romani. Cristo ha "perduto la sua vita" e l’ha ricevuta rinnovata dal Padre, per riversarla, nello Spirito Santo, in quanti credono in Lui. Il suo "battesimo" nella morte (cf. Lc Lc 12,50) è principio del nostro battesimo, la sua risurrezione principio per noi di un cammino di vita nuova, incentrata sul rapporto con Lui, che conferisce pienezza di significato e di valore ad ogni altro vincolo umano.

Volgiamo lo sguardo, carissimi, alla Vergine Maria: Ella è stata "battezzata" nel mistero pasquale di Cristo fin dal primo istante del suo concepimento: per questo è l’Immacolata. A Lei si rivolga la nostra invocazione, affinché ci ottenga di cantare in ogni tempo la misericordia del Signore.

Amen!


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CELEBRAZIONE DEL MOLEBEN IN ONORE DELLA VERGINE MARIA

IN OCCASIONE DEL IV CENTENARIO DELL'UNIONE DI BREST


Cappella Gregoriana della Basilica di San Pietro

Sabato, 6 luglio 1996




Sia lodato Gesù Cristo!

1. "E beata colei che ha creduto" (Lc 1,45).

Con queste parole, che Elisabetta disse a Maria, venuta a farle visita, mi rivolgo oggi alla Rus’ di Kiev: Beata te, terra di santa Olga e di san Vladimiro, che hai creduto in Cristo, ricevendo il Battesimo mille anni fa, sulle rive del Dnepr. Nel 1988 abbiamo celebrato solennemente, qui a Roma, il millennio del Battesimo; fu l’occasione di un grande Te Deum per la vostra Nazione, come lo fu per la Nazione polacca il 1966, anno millenario del suo Battesimo. Beata colei che ha creduto ed ha ricevuto il Battesimo nello Spirito Santo, che rigenera in Cristo per una vita nuova (cf. Tt Tt 3,5). Beata te, Rus’ di Kiev, madre di tante generazioni di credenti.

Oggi desideriamo tornare a quell’evento, perché in esso si radica il quarto Centenario dell’Unione di Brest, che stiamo celebrando. E mentre ricordiamo quel Battesimo, il pensiero non può non andare ai due santi fratelli di Salonicco, Cirillo e Metodio, apostoli degli Slavi, nella cui lingua essi hanno annunziato il Vangelo. Slavorum Apostoli: con l’Enciclica del 1985 ho voluto rendere omaggio, a perpetua memoria, alla loro grande missione.

2. "Euntes in mundum universum" (Mc 16,15). Andando nel mondo intero, "ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19). Ci siamo riferiti a queste parole nel celebrare il millennio del Battesimo della Rus’: quel Battesimo costituisce non soltanto l’inizio della Chiesa nelle vostre terre, bensì l’inizio della storia della vostra Nazione. Così, del resto, è accaduto anche altre volte, come nel già citato caso del Battesimo della Polonia, o in quello della Slovenia milleduecentocinquanta anni fa.

Le parole pronunciate da Cristo risorto indicano che gli Apostoli devono ammaestrare le nazioni. L’esperienza storica mostra anzi che, non di rado, è l’evangelizzazione apostolica che si trova all’origine delle nazioni stesse: insieme col Battesimo inizia la storia della cultura nazionale, e la cultura è sempre il fondamento della vita di un popolo. Grazie ad essa, si forgia la sua identità e si esprime il suo caratteristico "genio".

L’odierna celebrazione ci porta a ricordare la storia della cultura slava, che affonda le radici nel battesimo di Vladimiro a Kiev. Tale evento segna l’inizio di quella grande cultura che, valorizzando gli elementi preesistenti e ricollegandosi alla tradizione bizantina, acquistò carattere orientale con riferimento sia alla cultura rutena, sia a quella bielorussa, sia all’ucraina. Ciò riguarda la liturgia e tutta la tradizione religiosa dell’arte sacra, dello stile della pietà, dei canti, della letteratura e dell’arte. Per poter comprendere fino in fondo la specificità e la peculiarità della vostra cultura, occorre andare a quelle fonti bizantine che l’esperienza storica dei vostri avi ha tradotto nella propria lingua e ha consolidato nei tanti monumenti del vostro ricco patrimonio storico e spirituale. Attraverso queste opere traspare costantemente quell’Orientale Lumen, di cui tratta la Lettera Apostolica che ho pubblicato lo scorso anno al fine di promuovere l’avvicinamento e il dialogo ecumenico tra l’Occidente e l’Oriente cristiani.

3. "Ut unum sint": perché siano una cosa sola (cf. Jn 17,21). Al momento in cui la Rus’ di Kiev ricevette il Battesimo, nel 988, i cristiani conservavano tra loro tale unità. Tra l’Oriente bizantino e l’Occidente c’era ormai una chiara differenza di tradizione liturgica e culturale, ma non c’era divisione. Questa sopraggiunse solo in seguito. Da allora le vicende dei popoli cristiani in Oriente e in Occidente cominciarono a svolgersi separatamente. Quando si parla di scisma d’Oriente, si deve anche notare che a coloro che nell’undicesimo secolo vivevano nei territori della Rus’, gli effetti di tale scisma non erano ancora giunti. Essi rimasero convinti di appartenere alla Chiesa di Cristo una ed indivisa.

Tuttavia, il processo di separazione, che inizialmente riguardò Bisanzio e Roma, progressivamente si estese ad altre parti della Chiesa in Oriente. Si rese, così, ben presto chiaro che occorreva compiere dei passi miranti al superamento dell’avvenuta divisione. E parecchi ne furono fatti, in molte occasioni. La questione della ricostruzione dell’unità tra i cristiani dell’Oriente e dell’Occidente non ha cessato di essere un programma costante della Sede Apostolica. In modo particolare furono dedicati a questo problema alcuni Concili: il Concilio di Lione nel secolo tredicesimo (1274) e, successivamente, quello di Firenze, nel quindicesimo secolo (1439). Non sono mancati neppure uomini che hanno consacrato tutta la vita alla causa della ricostruzione dell’unità, secondo le parole della preghiera di Cristo: ut unum sint.

4. Il quarto centenario dell’Unione di Brest si spiega su questo ampio sfondo delle aspirazioni all’unità, che mettono in evidenza la ferma volontà della Chiesa di essere fedele al testamento spirituale di Cristo nel Cenacolo: Padre, fa’ che siano una cosa sola (cf. Gv Jn 17,11 Gv Jn 17,21-22).L’Unione di Brest riguardò soltanto una specifica area geografica. L’aspirazione della Chiesa, rilanciata con forza nel programma ecumenico del Concilio Vaticano II, è che si giunga all’unità piena tra tutti i cristiani. Al tempo stesso, però, non si può non apprezzare ciò che accadde nel 1596. Se l’Unione di Brest sul fiume Bug non portò alla piena unità con l’Oriente cristiano nel suo insieme, tuttavia essa rivelò, al di là di ogni dubbio, una precisa realtà: che cioè lo Spirito Santo operava negli uomini, destando in essi la sana inquietudine a motivo della divisione e spingendoli a cercare le vie dell’unità. Non possiamo negare che questo grande desiderio ispirò quanti, quattrocento anni fa, divennero gli artefici dell’Unione di Brest.

5. Oggi, mentre rendiamo grazie alla Divina Provvidenza per questa sua opera, non cessiamo di pregare affinché la salvifica inquietudine, che allora produsse frutti preziosi, anche se parziali, continui ad agire nella presente generazione dei cristiani in Oriente e in Occidente. Non ci dobbiamo dar pace finché le divisioni, esistenti tra noi da tanti secoli, non abbiano ceduto il posto all’unità di tutti i battezzati, per la quale Cristo prega incessantemente: Padre, fa’ che "tutti siano una sola cosa" (Jn 17,21). Non dobbiamo abbandonare la speranza che la preghiera del nostro Redentore e Maestro produca pieni frutti. Non dobbiamo abbandonare la speranza che gli ultimi anni del secondo millennio possano portare nuovi avvicinamenti, così da permetterci di entrare nel terzo, se non pienamente uniti, almeno non così divisi come prima. Per questo preghiamo lo Spirito Santo. Preghiamo Maria, Madre dell’unità; gli Apostoli Pietro e Paolo, Andrea, Cirillo e Metodio; i Santi e i Martiri, che nell’arco di questi quattro secoli non hanno risparmiato sforzi, sacrifici e perfino la propria vita per la causa dell’unità. Invochiamo in modo particolare l’intercessione del Vescovo san Giosafat, apostolo e martire della comunione, le cui spoglie mortali riposano in questa Basilica Vaticana, e che, al termine della celebrazione, ci recheremo a venerare.

In questo spirito cantiamo le parole del Magnificat, che abbiamo sentito proclamare nell’odierno Vangelo: "L’anima mia magnifica il Signore . . . perché ha guardato l’umiltà della sua serva... tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome" (Lc 1,46-49).

Amen.

Conclusa la celebrazione del Moleben il Santo Padre ha conferito il Pallio all’Arcivescovo Metropolita di Przemysl S.E. Mons. Ivan Martyniak accompagnando la consegna del Pallio con le seguenti espressioni augurali:

Sono lieto di conferire ora il Pallio a Mons. Ivan Martyniak, nuovo Arcivescovo di Przemysl.

Auguro al neo-Metropolita un ministero ricco di frutti e di cuore lo benedico insieme con tutti i fedeli affidati alle sue cure pastorali.
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DIVINA LITURGIA IN RITO BIZANTINO-UCRAINO

IN OCCASIONE DEL IV CENTENARIO DELL'UNIONE DI BREST


Basilica Vaticana - Domenica, 7 luglio 1996

Sia lodato Gesù Cristo!


1. "Ut unum sint".

Risuonano oggi nuovamente, in questa Basilica Vaticana, le parole della liturgia vespertina di ieri. Questo è il luogo in cui, quattrocento anni or sono, si incontrarono i rappresentanti della Metropolia di Kiev con il Vescovo di Roma, Clemente VIII. Giungendo alla Sede di Pietro, il 23 dicembre del 1595, essi espressero il desiderio dell’unione di quella Chiesa Orientale con Roma. Così facendo, erano certi di corrispondere all’azione dello Spirito Santo, che non cessava di esortare all’unità delle Chiese cristiane ormai separate.

In modo particolare, essi erano consapevoli di agire sulla scia delle decisioni prese dal Concilio di Firenze, nel 1439. Del resto, erano fortemente spinti dall’eloquente sollecitudine della grande preghiera di Cristo nel Cenacolo, riproposta dal Vangelo dell’odierna liturgia. Alla vigilia della sua passione, Cristo pregò il Padre per i discepoli. Non soltanto per quelli di allora, bensì per quanti, in futuro, avrebbero creduto in lui (cf. Gv Jn 17,20-21). Cristo pregò per tutti i suoi discepoli, per la Chiesa di tutti i secoli e di tutte le generazioni: Padre, fa’ che "tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola... perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me" (Jn 17,21 Jn 17,23).

Quant’è toccante questa invocazione di Cristo per l’unità di tutti i suoi discepoli, di tutti i testimoni della fede! Non c’è da meravigliarsi che queste parole abbiano toccato, lungo i secoli, il cuore dei cristiani di ogni generazione, specialmente quando bisognava difendere o ritrovare l’unità. Uno di questi momenti fu, senza dubbio, quello che commemoriamo nell’odierna assemblea liturgica, e che passò alla storia sotto il nome di Unione di Brest, giacché là, il 9 ottobre 1596, furono ratificate le decisioni prese durante la missione a Roma dei rappresentanti della Metropolia di Kiev.

2. "Unitatis redintegratio". Con queste parole inizia il Decreto del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo. Vi leggiamo: "... il Signore dei secoli, il quale con sapienza e pazienza persegue il disegno della sua grazia verso di noi peccatori, in questi ultimi tempi ha incominciato a effondere con maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l’interiore ravvedimento e il desiderio dell’unione. Moltissimi uomini in ogni parte del mondo sono stati toccati da questa grazia, e anche tra i nostri fratelli separati è sorto, per impulso della grazia dello Spirito Santo, un movimento ogni giorno più ampio per il ristabilimento dell’unità di tutti i cristiani. A questo movimento per l’unità, chiamato ecumenico, partecipano quelli che invocano la Trinità e professano la fede in Gesù Signore e Salvatore, e non solo singole persone separatamente, ma anche riunite in gruppi, nei quali hanno ascoltato il Vangelo e che i singoli dicono essere la Chiesa loro e di Dio. Quasi tutti però, anche se in modo diverso, aspirano alla Chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale e mandata a tutto il mondo, perché il mondo si converta al Vangelo e così si salvi per la gloria di Dio" (Unitatis redintegratio UR 1).

Sono parole che appartengono ad un Concilio dei nostri tempi, tuttavia siamo certi che "il Signore dei secoli" ispirò i protagonisti di quell’evento di quattro secoli fa, che noi chiamiamo l’Unione di Brest, nonostante i limiti storici implicati nell’avvenimento. In esso, effettivamente, si trattava della unitatis redintegratio. Per i vostri avi, cari Fratelli e Sorelle, si trattava di restaurare quell’unità, di cui sentivano la mancanza. Sapevano bene, infatti, che l’unità dei credenti è un dono di Cristo ed un suo esplicito desiderio; sapevano che per essa egli pagò con il suo sangue e la sua passione in croce; che di tale unità egli fece il segno della propria missione: "Perché il mondo creda [Padre] che tu mi hai mandato" (Jn 17,21). Per la conclusione dell’Unione di Brest, resta certo che il più profondo motivo fu proprio questo: unitatis redintegratio. È questa la ragione essenziale che portò al felice evento di quattro secoli fa.

Ed è per questo che ci siamo riuniti oggi, in rendimenti di grazie a Dio, nella Basilica di San Pietro. Non cessiamo, anzi, di sperare che, pur avendo avuto quell’unione un carattere parziale, indirettamente essa possa contribuire a sostenere e a ravvivare i propositi di unità, di cui parla il Concilio Vaticano II.

3. L’apostolo Paolo scrive: "Vi esorto... a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore" (Ep 4,1-2). Accogliamo queste parole come rivolte a noi. Ciascuna di esse riveste una grande importanza per noi, che celebriamo oggi il quarto Centenario dell’Unione di Brest. Non c’è dubbio che tale Unione ha definito pienamente la vostra vocazione cristiana, cari Fratelli e Sorelle, Figli e Figlie della Chiesa greco-cattolica ucraina. In quell’Atto s’è rinnovata la sua unione con la Chiesa di Roma.

L’Apostolo ci esorta tutti ad agire in modo degno di questa vocazione e, al tempo stesso, sottolinea che la nostra vita deve essere caratterizzata dall’umiltà e dalla mitezza, dalla pazienza e dalla disponibilità a sopportarsi vicendevolmente nell’amore. Che cosa possono significare queste parole nel contesto del nostro tempo? Esse richiamano l’esigenza che voi, cari fedeli Greco-cattolici, vi facciate promotori di tale spirito sia nei riguardi dei vostri fratelli Ortodossi che dei vostri fratelli Cattolici di rito latino, invitandoli a condividere lo stesso spirito di comunione. È simile atteggiamento a testimoniare che voi vi comportate in modo degno della vostra particolare vocazione.

Scrive poi l’Apostolo: "Cercate di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace" (Ep 4,3). Si tratta qui dell’edificazione della Chiesa, corpo mistico di Cristo, nelle dimensioni della sua universalità. Paolo scrive di essa con grande trasporto: "Un solo corpo, un solo spirito..., un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti" (Ep 4,4-6).

Cari Fratelli e Sorelle, avendo una tale visione del mistero della Chiesa, potete applicare a voi stessi anche le altre parole dell’Apostolo: "Una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati" (Ep 4,4). Celebrare il quarto Centenario dell’Unione di Brest è come varcare una soglia storica. E la Parola di Dio ci insegna con chiarezza che questa celebrazione è anche una chiamata alla grande speranza portataci da Cristo crocifisso e risorto.

È stato Lui a rivelarci i misteri del Regno. È stato Lui a trasmetterci la gloria di Dio ricevuta dal Padre e a farne la nostra speranza. Uniti a Lui, nella Chiesa Apostolica, abbiamo fiducia che questa gloria diventi l’eredità di tutti noi, nonostante i nostri peccati, poiché "la speranza . . . non delude" (Rm 5,5). Amen!.

SANTA MESSA IN SUFFRAGIO DEL SERVO DI DIO PAOLO VI


OMELIA DIGIOVANNI PAOLO II


Cortile del Palazzo Pontificio - Castel Gandolfo

Festa della Trasfigurazione del Signore

Martedì, 6 agosto 1996


1. "Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia" (Mt 17,4).

Nelle parole di Pietro, testimone privilegiato, insieme con Giacomo e Giovanni, della Trasfigurazione del Signore, s’esprime, oltre alla gioiosa meraviglia, la consapevolezza che solo nell’incontro con Cristo, Uomo nuovo, trova senso pieno la vita. La curiosità dell’Apostolo si trasforma così nel desiderio di stare sempre con Lui.

La Liturgia, proponendoci oggi l’evento della Trasfigurazione, invita anche noi a spingere lo sguardo della fede oltre la ferialità delle vicende quotidiane, per scorgere il mistero d’amore che le sostiene: il mistero del Cristo pasquale, cuore della storia umana.

Essa ci indica, inoltre, la strada maestra per giungere a questa penetrante visione di ogni evento umano: è la strada dell’ascolto della "parola dei profeti", la quale è "come lampada che brilla in un luogo oscuro" (2P 1,19). Confortati da una tale luce, potremo perseverare fiduciosi in attesa che "spunti il giorno" e "la stella del mattino" (cf. 2P 1,19) si levi a portare al nostro cuore gioia e pace imperiture.

2. Carissimi Fratelli e Sorelle, ricordiamo oggi il diciottesimo anniversario della morte del mio venerato predecessore, il Servo di Dio Paolo VI. La singolare coincidenza della sua morte con la festa della Trasfigurazione ci sollecita a considerare quanto profondamente egli abbia vissuto il mistero che commemoriamo.

"Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue, nel lume di Cristo, che solo la rischiara; e perciò con umile e serena fiducia. Avverto la verità, che per me si è sempre riflessa sulla vita presente da questo mistero, e benedico il vincitore della morte per averne fugate le tenebre e svelata la luce" (Dal Testamento di Paolo VI: Insegnamenti, vol. XVI [1978] 590).

Queste parole, che il Papa Paolo VI ci lasciò nel suo testamento, confermano la lucida visione degli eventi che l’intensa familiarità con Dio gli offriva, facendone un testimone credibile delle realtà future. L’incontro con il Signore, centro delle sue faticose giornate di pastore assillato dalla preoccupazione dei fratelli, gli faceva attingere il senso vero delle cose, sostenendolo nella generosa donazione di se stesso a Cristo per il bene del popolo cristiano.

Alla luce di tale esperienza egli visse il cammino, difficile e denso di gravi responsabilità, affidatogli dalla Provvidenza. Lo visse nella riconoscenza e nell’attesa, fervida e vigile, dell’incontro col Padre celeste. Alla contemplazione del mistero di Dio egli alimentava, altresì, la ricerca, talora struggente ma senza cedimenti, dell’incontro con la cultura contemporanea, per offrire a ciascuno nel Vangelo prospettive di salvezza e di liberazione dallo smarrimento e dalla disperazione.

Ricordando al Signore la sua grande testimonianza di fede e di carità pastorale, che si manifestò con particolare forza al cospetto del mistero della morte e dell’incontro supremo con Dio, affidiamo al Signore la sua anima benedetta, nella fiducia che, dopo aver seguito fedelmente Cristo nel cammino terreno, egli lo contempli ora e per sempre nella Patria celeste.
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VIAGGIO APOSTOLICO IN UNGHERIA

CELEBRAZIONE DEI VESPRI NELLA RICORRENZA DEI


1000 ANNI DI FONDAZIONE DELL'ARCIABBAZIA DI PANNONHALMA




Basilica dell'Arciabbazia di Pannonhalma

Venerdì, 6 settembre 1996




Venerati Fratelli nell’Episcopato,
Caro Padre Arciabate e cari Padri di questa Abbazia,
Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Con grande gioia sono venuto pellegrino qui, sulla collina di san Martino, nell’antico monastero di Pannonhalma. Commemoriamo insieme i mille anni di fondazione di questo storico centro di vita spirituale e di cultura, nel quale ha preso avvio una tradizione rimasta viva ininterrottamente fino ai nostri giorni. Per la prima volta il Vescovo di Roma si reca a fare visita a voi che, fin dalle origini, siete rimasti molto strettamente legati alla Sede Apostolica.

All’inizio giunse da Roma, per fondare Brevnov, presso Praga, e da lì la vostra Abbazia, una piccola schiera di monaci, confratelli e discepoli di sant’Adalberto, Vescovo di Praga. Sant’Adalberto (Wojciech), il protomartire e patrono della mia patria, è il santo comune dei popoli della storica corona boema, polacca e ungherese. La speciale venerazione per sant’Adalberto vi unisce così ai popoli che hanno vissuto e vivono nell’Europa centrale assieme agli slavi.

Nella primavera dell’anno prossimo, in occasione del millesimo anniversario del martirio di sant’Adalberto-Wojciech, avrò la gioia di visitare, a Dio piacendo, la sua sede d’un tempo. La collina su cui abitate porta il nome di san Martino. Vivete, pertanto, sotto il patrocinio di un Santo nato in questa regione, che all’epoca costituiva la provincia romana della Pannonia. San Martino da millecinquecento anni è venerato in tanti Paesi d’Europa. Con essi, attraverso la sua persona così ricca di carisma, voi siete spiritualmente collegati.

Da questa terra che gli diede i natali, mi è caro, pertanto, inviare un saluto agli abitanti di Tours, in Francia, ove avrò la gioia di recarmi tra pochi giorni in pellegrinaggio. Gli inizi della vostra storia ci portano all’epoca in cui l’Oriente e l’Occidente cristiani erano ancora indivisi. Commemorare i mille anni dalla fondazione di Pannonhalma significa pertanto risalire con la memoria a quella situazione di unità tra i credenti che caratterizzò il primo millennio. Le vostre radici affondano in quell’epoca benedetta. È un passato che vi vincola e vi impegna, ma al tempo stesso vi dà sicurezza per il vostro futuro.

2. “O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio?” (Rm 11,33-35).

Le parole della lettera dell’Apostolo Paolo ai Romani acquistano nel contesto dell’odierna celebrazione uno speciale significato. Abbiamo celebrato recentemente il millennio del battesimo dell’Ungheria - quasi contemporaneamente a quello della Polonia - e oggi innalziamo in questa antichissima Abbazia benedettina un solenne canto di ringraziamento al Signore per i mille anni passati. Sono giornate commemorative di notevole significato storico, legate come sono alla memoria del santo Re Stefano. La liturgia però ci guida oltre la dimensione storica dell’evento, inducendoci a cercarne le più profonde radici nella sapienza e nella scienza di Dio, fondamento dell’ordine creato e della storia.

Se, infatti, nel corso dei secoli gli uomini hanno avviato grandi opere, se gli inizi degli stati e dei regni sono legati a singole personalità, il credente sa riconoscere in queste vicende umane l’azione misteriosa e sapiente della divina Provvidenza. Spesso le stesse persone che erano all’origine di quegli eventi storici si resero conto che la loro capacità creativa e le loro iniziative erano radicate soltanto in Dio, nella sua infinita sapienza e nel suo eterno amore. E poiché tutto - come dice l’Apostolo - è “da lui e grazie a lui”, tutto è anche “per lui” (cf. Rm Rm 11,36). Ut in omnibus glorificetur Deus - come soleva dire san Benedetto. Tutto è per lui. A lui onore e gloria per l’eternità!

3. “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1).Qui l’Apostolo evoca la figura del Servo del Signore, come fu profetizzato da Isaia: il Servo sacrifica se stesso come offerta viva, santa e gradita, facendosi “obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Ph 2,8). Per mezzo di questa sua obbedienza egli ha redento il mondo. Con essa egli ha in qualche modo ispirato non soltanto la “Regola di san Benedetto”, ma anche le Regole di tutti gli Ordini religiosi dando così occasione a uomini e donne di intraprendere, nel corso dei secoli, la via del santo servizio di Dio in fedele risposta alla vocazione del perfetto amore sponsale di Cristo.

Nell’Incarnazione, il Figlio di Dio “spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo” (Ph 2,7). Egli creava così, e crea tuttora per molte persone, la via meravigliosa della vocazione. In essa dice a ciascuno: “Seguimi”; lo dice normalmente con parole che soltanto il cuore riesce a percepire. Egli parla con la forza espressiva del mistero della sua morte e risurrezione. Rivela così una forma di vita umana che permette all’uomo di trovare il senso più profondo del suo essere. Nella vocazione benedettina, come del resto in ogni vocazione cristiana, e specialmente nella vita consacrata, la persona è chiamata ad offrire il “culto spirituale” (Rm 12,1), è chiamata a realizzare pienamente il suo essere, che Dio ha creato a propria immagine e somiglianza (cf. Gen Gn 1,27). Come insegna il Concilio Vaticano II, l’uomo è la sola creatura in terra che Iddio abbia voluto per se stessa e che possa ritrovarsi pienamente solo attraverso il dono sincero di sé (cf. Gaudium et spes GS 24).

È questo il motivo, per cui voi tutti siete qui, venerati e cari fratelli: Cristo vi ha chiamati mediante il dono unico e gratuito, che Egli ha fatto di se stesso; vi ha chiamati mediante il sacrificio offerto al Padre sull’altare della Croce. In questo modo, ha generato in voi la disponibilità a diventare, come Lui e in Lui, dono gratuito al suo Popolo santo, partecipando alla vita della vostra comunità benedettina. Ed è così che viene scritta, da mille anni, la storia di questa Abbazia, chiamata Pannonhalma.

4. L’Apostolo proseguendo esorta poi: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2). Forse san Benedetto aveva davanti agli occhi queste parole quando scrisse la sua Regola. È significativo comunque che, prendendo le distanze dallo spirito dei tempi, egli abbia inserito nella sua Regola una raccolta di principi straordinariamente efficaci, orientati alla trasformazione del mondo.

Su questo tutti sono d’accordo. Persino autori non sempre molto obiettivi nei confronti del cristianesimo concordano nel riconoscere che san Benedetto e i suoi figli “rinnovarono la faccia della terra” (cf. Sal Ps 103,30) e che l’Europa, specialmente nel primo millennio, deve in gran parte ad essi il gigantesco rinnovamento culturale e sociale di cui ha beneficiato. La semplice frase “ora et labora” ha gettato le basi per un vasto programma grazie al quale il Continente, dopo gli eventi della grande migrazione dei popoli, cominciò ad assumere le forme culturali che hanno caratterizzato fino ad oggi le nazioni europee e il loro speciale ruolo nel mondo. L’economia era allora prevalentemente agricola.

Il dissodamento di vastissime zone boscose e la coltivazione dei campi furono il contributo più significativo con cui i figli di san Benedetto incisero sul miglioramento del livello di vita delle popolazioni. Ciò fu all’origine di decisivi processi di trasformazione sociale e culturale. È nel contesto di questa secolare preparazione che si poterono formare, nel secondo millennio, le città europee con le opere d’arte e di architettura che ci è possibile anche oggi ammirare. Celebrando i mille anni della fondazione dell’Abbazia di Pannonhalma ricordiamo, in un certo senso, un millennio di quell’Europa benedettina, sulle cui fondamenta è stata costruita la civiltà europea ed anche quella della vostra patria, l’Ungheria.

5. San Paolo continua: “... trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2). La trasformazione dell’aspetto esteriore della terra ha la sua base e la sua origine nella trasformazione del cuore dell’uomo, nel suo rinnovamento interiore. Ogni bene economico, culturale ed estetico, nato dal grande lavoro benedettino, trova il suo primo inizio nello spirito di quegli antichi vostri predecessori che consegnarono nelle opere la loro maturità interiore.

San Benedetto insegnava che niente deve essere anteposto all’amore di Cristo: è l’amore di Cristo, l’Amore crocifisso e risorto, che nella vostra Abbazia ha regnato in passato e regna tuttora. Esso è presente nel contributo di cultura e di civiltà offerto dalla vostra Abbazia alla storia della Nazione ungherese e di tutta l’Europa. Per tutto ciò ringraziamo oggi, dopo mille anni, la divina Provvidenza. Il Vescovo di Roma si rallegra di poter partecipare al solenne Te Deum della comunità di Pannonhalma e del popolo ungherese.

6. Rendiamo insieme grazie a Dio per i prodigi da Lui operati in questi mille anni. E tu, Comunità benedettina di Pannonhalma, continua, come città posta sul monte, ad essere sorgente di luce per questo territorio e per l’intera Nazione. Resta fedele a questa tua vocazione, come hai fatto nel corso dei secoli. Continua ad introdurre le nuove generazioni sulle strade della sapienza umana e divina, e per riuscirci con immutata efficacia renditi tu stessa, secondo la parola di Benedetto, alunna “alla scuola del servizio del Signore” (Regula Benedicti, Prol., 45).

Restare in ascolto come allievi diligenti della parola di Dio, carissimi Fratelli, rende il vostro cuore disponibile a tutto ciò che il Signore suggerisce in risposta alle esigenze di ogni epoca della storia. Siate vigilanti ed attenti nello scrutare i “segni dei tempi”, in atteggiamento di umile obbedienza al Signore, affinché il suo messaggio di salvezza, da voi rettamente recepito, sia efficacemente trasmesso.

Alle soglie ormai del terzo millennio, la Chiesa attende da voi un rinnovato slancio spirituale ed apostolico. Cristo, crocifisso e risorto, illumini i passi della vostra missione. Egli sia per voi tutto: l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine. Siate testimoni della sua risurrezione ed apostoli del suo amore.

Operate, nel quotidiano ministero, per favorire l’unità dei cristiani, dialogando con tutti. Dal vostro impegno nel dialogo, nell’ascolto, nella promozione delle convergenze grande vantaggio può trarre il movimento ecumenico. Sia la vostra Abbazia una casa sempre aperta ai bisogni dei fratelli.

Vi accompagni, in questo quotidiano cammino, l’esempio del vostro patrono san Martino, che lasciò quanto possedeva e persino la metà del suo mantello al povero, che risultò poi essere Cristo stesso.

Vi proteggano il santo Vescovo Adalberto, che offrì la sua vita per Gesù, e il primo santo Re Stefano, fedele servitore di Dio e del popolo in una lunga esistenza piena di abnegazione e di generosità. Resti sempre vivo in ciascuno di voi lo spirito di san Benedetto, affinché la catena dei monasteri benedettini colleghi tra di loro le nazioni e i cristiani in Occidente e in Oriente. Grazie anche al vostro servizio, brilli, sopra il bacino dei Carpazi, l’arco della pace e della riconciliazione. Maria, delicia Benedictorum, vi accompagni e protegga sempre.
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GPII Omelie 1996-2005 41