GPII Omelie 1996-2005 81

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VIAGGIO APOSTOLICO NELLA REPUBBLICA CECA (25-27 APRILE 1997)

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA IN OCCASIONE DEL


MILLENARIO DEL MARTIRIO DI SANT'ADALBERTO




Spianata di Letná (Praga) - Domenica 27 aprile 1997



1. "Il buon pastore offre la vita per le pecore" (Jn 10,11).

Siamo raccolti in questa ampia spianata per cantare insieme il solenne Te Deum per il millennio della nascita al cielo di sant'Adalberto, Vescovo di Praga, apostolo del Vangelo nel cuore dell'Europa e testimone di Cristo fino al supremo sacrificio della vita.

Egli, come il buon Pastore, sin dall'inizio spese la propria esistenza per il gregge, e l'offrì definitivamente col martirio subíto in mezzo ai Prussiani quando ancora erano dediti alle religioni pagane. Egli è dunque lo zelante Pastore, che la Provvidenza ha posto all'inizio della storia delle Nazioni slave dell'Europa centrale, dei Cechi, dei Polacchi, degli Slovacchi, come pure della Nazione ungherese.

Quest'anno ricordiamo il millennio del suo martirio: avvenimento che tutte le Chiese particolari, le quali da oltre dieci secoli vivono ed annunciano il Vangelo proprio tra queste Nazioni, si sentono impegnate a celebrare con particolare intensità, cominciando da questa terra di Boemia, che diede i natali alla sua illustre figura.

2. Chiamato dal Successore di Pietro al servizio episcopale della sede di Praga, in Boemia, sant'Adalberto non ebbe un ministero facile. Di fronte alla resistenza incontrata da parte dei suoi stessi connazionali, egli dovette abbandonare la sua Sede vescovile e venire a Roma, dove, sul colle Aventino, iniziò la vita monastica secondo la tradizione benedettina.

Fece ritorno a Praga quando le circostanze sembravano essere diventate più favorevoli; tuttavia l'opposizione dei connazionali lo costrinse di nuovo ad abbandonare la sua patria. Trascorse il seguito della vita come missionario, prima nella pianura della Pannonia - l'odierna Ungheria - e in seguito fu accolto come ospite a Gniezno, alla corte di Boleslao l'Intrepido. Tuttavia egli non si fermò neppure qui. Partì nuovamente come missionario del Vangelo, dirigendosi verso il Baltico, dove incontrò il martirio. Boleslao l'Intrepido riscattò ad alto prezzo i resti mortali dell'amico Vescovo, e li fece portare a Gniezno.

Nell'anno 1000, proprio presso le reliquie del Martire, si tenne un importante incontro in cui furono prese decisioni destinate ad incidere in misura significativa sulle modalità della vita nazionale ed ecclesiale nella Polonia dei Piast. I cristiani di quella Nazione venerano perciò sant'Adalberto come uno dei loro principali Patroni, vedendo in lui un segno eloquente del legame di affinità che, sin dall'inizio, unì le Nazioni confinanti di Boemia e di Polonia.

In terra polacca i ricordi di sant'Adalberto sono legati soprattutto alla Chiesa di Gniezno. I fedeli si recano tuttavia sovente in pellegrinaggio a Praga. Fu qui infatti che ebbe inizio la missione del Santo, il quale ebbe profondi legami spirituali coi patroni della Chiesa in Boemia: san Venceslao e santa Ludmila, entrambi all'inizio di una lunga schiera di santi generati da questa vostra terra.

3. Nel brano della Lettera ai Colossesi che abbiamo ascoltato Paolo afferma: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24).

E' difficile trovare parole che esprimano meglio il significato del martirio di sant'Adalberto! Egli fu ministro del Vangelo, servitore del Cristo vivente nella Chiesa. Divenne, come gli Apostoli, testimone aperto e coraggioso del mistero di Cristo. "Il mistero - come scrive san Paolo - nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi, ai quali Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo ai pagani" (Col 1,26-27).

4. Si tratta di un Mistero destinato a tutti i popoli, sia a quelli che nel mondo antico furono raggiunti dai viaggi apostolici di Paolo, come quelli che durante il primo e il secondo millennio furono raggiunti dell'attività missionaria della Chiesa. A cavallo tra il primo e il secondo millennio, sant'Adalberto fece propria questa fatica apostolica per portare il mistero di Cristo alle nazioni pagane nel centro dell'Europa.

Oggi, al termine del secondo millennio, mentre celebriamo i mille anni del martirio di sant'Adalberto, egli stesso sembra parlarci con le parole della Lettera ai Colossesi: "Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l'avete ricevuto, ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell'azione di grazie" (Col 2,6-7). Il testo paolino ci ammonisce contro ogni scienza e filosofia basata, come scrive l'Apostolo, sugli "elementi del mondo" (cfr Col 2,8), cioè su una tradizione soltanto umana, e non su Cristo. Con linguaggio moderno si potrebbe dire che Paolo mette in guardia contro la laicizzazione e la secolarizzazione. E' avvertimento quanto mai attuale in questa circostanza giubilare.

5. Carissimi Fratelli e Sorelle! Quale grande gioia poter celebrare oggi insieme con tutti voi il millennio di sant'Adalberto! Ringrazio il Signore che ci dona l'opportunità di ritrovarci qui, sulla spianata di Letná, esattamente come sette anni fa.

Rivolgo un cordiale e fraterno saluto innanzitutto al caro Cardinale Arcivescovo di Praga, Miloslav Vlk, successore di sant'Adalberto. Insieme con lui saluto i Vescovi della Repubblica Ceca e quelli provenienti dalle Nazioni limitrofe, i sacerdoti, i religiosi e le religiose. Il mio deferente pensiero va poi ai rappresentanti del mondo della politica, della cultura e della scienza che, con la loro presenza, testimoniano l'importanza sociale, oltre che religiosa, di questo anniversario.

Saluto cordialmente voi, carissimi fedeli di Boemia, Moravia e Slesia, e voi tutti, Fratelli e Sorelle, venuti dalla Slovacchia, dalla Polonia e da altre Nazioni d'Europa, che oggi siete graditi ospiti in questa solenne celebrazione.

Ricordo con commozione il cardinale František Tomášek, che ha promosso il decennio di rinnovamento spirituale in preparazione al Millennio santadalbertiano, per riscoprire le radici storiche del Paese e le sue profonde tradizioni cristiane. Nella prospettiva del Grande Giubileo del 2000, questa celebrazione pone non soltanto ai cittadini della Nazione Ceca, ma a tutti coloro che venerano il santo Martire come padre nella fede, alcune precise domande: che ne è del patrimonio spirituale da lui lasciato? Quali frutti ne sono stati tratti? Sapranno i cristiani di oggi trovare negli insegnamenti e nell'esempio del loro grande Patrono ispirazione e stimolo per contribuire efficacemente all'edificazione della nuova civiltà dell'amore?

6. Sant'Adalberto esercita ancora oggi un fascino particolare con la sua personalità tutta d'un pezzo, dotata di granitica fermezza, aperta ai bisogni spirituali e materiali dei fratelli. Sono in molti a riconoscerlo quale degno rappresentante non solo della Nazione Ceca, ma anche della tradizione cristiana ancora felicemente indivisa.

In questa luce, sant'Adalberto è un testimone, potremmo dire, poliedrico, che Dio ha dato alla Comunità cristiana del passato ed a quella del presente. Egli è segno di quell'armonia e collaborazione che deve esistere tra la Chiesa e la società. Egli è segno del legame esistente fra le Nazioni ceca e polacca. Dico questo con vivo compiacimento perché, a Dio piacendo, fra un mese sarò fra i miei connazionali a celebrare con loro il Millennio del vostro Santo. Anche grazie a lui il cristianesimo si è ben sviluppato in Polonia. Attualmente giunge nelle Diocesi ceche un considerevole numero di sacerdoti polacchi, frutto del sangue di questo grande Martire, per cooperare al lavoro pastorale nelle vostre comunità, in questa fase di speranza dopo il lungo periodo della violenza e della repressione.

Sant'Adalberto è un santo per i cristiani di oggi: li invita a non arroccarsi trattenendo per sé il tesoro delle verità possedute, in un atteggiamento di sterile difesa davanti al mondo. Al contrario, chiede loro di aprirsi alla società attuale, nella ricerca di tutto ciò che di buono e valido essa possiede, per elevarlo e, se è necessario, purificarlo alla luce del Vangelo.

7. "Il buon pastore offre la vita per le pecore" (Jn 10,11).

La Liturgia della Parola dell'odierna Solennità trova, in certo senso, il suo coronamento nel brano del Vangelo secondo Giovanni. La parabola del "Buon Pastore" è centrata sulla persona e sulla missione di Cristo. E' proprio Lui il Buon Pastore che offre la sua vita per le pecore, come avvenne sul Calvario con la passione e la morte in Croce.

Nel momento in cui si offre, Cristo ha chiara coscienza del valore universale che il suo Sacrificio possiede. Egli dice: "Offro la vita per le pecore" (Jn 10,15). E subito aggiunge, rivolgendo quasi il pensiero a tutti coloro per i quali egli si offre: "E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore" (Jn 10,16). Sul Golgota sono già spiritualmente presenti i popoli e le nazioni della terra, chiamati tutti alla salvezza.

8. Il Vangelo è destinato a tutti gli uomini, perché tutti sono stati redenti dalla passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Tutti: e dunque anche i popoli ai quali mille anni fa fu mandato sant'Adalberto come testimone del mistero di Cristo.

Dopo mille anni, mentre ricordiamo il martirio e l'intera vita evangelica di sant'Adalberto, cantiamo con l'intera Comunità cristiana: Te Deum laudamus . . .: - "Noi ti lodiamo, Dio. / Ti proclamiamo Signore. / Ti acclama la candida schiera dei martiri".

Ed allo stesso tempo raccomandiamo alla divina Provvidenza la terra natia del santo Vescovo, l'illustre Nazione da cui egli nacque, come pure i popoli slavi che, agli inizi della loro storia, sperimentarono i frutti della sua missione. Salvum fac populum tuum, Domine, . . .: "Salva il tuo popolo, Signore, / benedici e proteggi i tuoi figli".

Salvum fac! L'opera di salvezza iniziata in questa terra da sant'Adalberto rimanga salda e fruttifichi abbondantemente tra voi, suoi connazionali, come pure tra coloro a cui egli fu inviato!

Amen.


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BEATIFICAZIONE DEI SERVI DI DIO: FLORENTINO ASENSIO BARROSO,

CEFERINO GIMÉNEZ MALLA,GAETANO CATANOSO,

ENRICO REBUSCHINI E MARÍA ENCARNACIÓN ROSAL


VI Domenica di Pasqua, 4 maggio 1997




1. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Jn 15,12).

La Liturgia di questa sesta domenica di Pasqua ci invita a riflettere sul grande comandamento dell'amore alla luce del Mistero pasquale. Proprio la meditazione del nuovo comandamento, cuore e sintesi dell'insegnamento morale di Cristo, ci introduce nell'odierna celebrazione, resa particolarmente solenne e suggestiva dalla proclamazione di cinque nuovi Beati.

Nella seconda lettura e nel brano evangelico la legge della carità ci viene presentata come il testamento di Gesù alla vigilia della sua Passione. "Questo vi ho detto, perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Jn 15,11): così Egli conclude il suo discorso agli Apostoli nell'ultima Cena.

L'amore di Dio è dunque la sorgente della vera letizia. E' quanto hanno personalmente sperimentato questi nostri fratelli nella fede, che vengono oggi presentati alla Chiesa come modelli di generosa adesione al comandamento del Signore. Essi sono "beati". Nella loro esistenza terrena, hanno vissuto in un modo del tutto particolare l'amore di Dio e, proprio per questo, hanno potuto godere la pienezza della gioia promessa da Cristo.

Oggi vengono proposti alla nostra venerazione come testimoni privilegiati dell'amore di Dio. Con il loro esempio e con la loro intercessione, indicano il cammino verso quella piena felicità che costituisce l'aspirazione profonda dell'animo umano.

2. Come abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale, poc'anzi cantato, il mondo intero è invitato a gioire per le grandi opere di Dio: "Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia" (Ps 97,4). Oggi da diverse parti del mondo, in particolare dai luoghi dove i nuovi Beati hanno vissuto ed operato, sale a Dio un intenso cantico di lode e di ringraziamento per la beatificazione di Florentino Asensio Barroso, Vescovo e martire, Ceferino Giménez Malla, martire, Gaetano Catanoso, presbitero, fondatore della Congregazione delle Suore Veroniche del Volto Santo, Enrico Rebuschini, presbitero, dell'Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi e María Encarnación Rosal, religiosa, riformatrice dell'Istituto delle Suore Betlemite.

3. «Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Jn 15,9). Il Vescovo Florentino Asensio Barroso rimase nell'amore di Cristo. Come Lui si dedicò al servizio dei fratelli, soprattutto nel ministero sacerdotale, che svolse generosamente per diversi anni prima a Valladolid e poi per un breve lasso di tempo come Vescovo Amministratore Apostolico a Barbastro, sede per la quale era stato eletto pochi mesi prima dell'inizio della deplorevole guerra civile del 1936. Per un ministro del Signore l'amore si vive nella carità pastorale e pertanto, di fronte ai pericoli che si profilavano, non abbandonò il suo gregge, ma, da Buon Pastore, offrì la sua vita per esso.

Il Vescovo, come maestro e guida nella fede per il suo popolo, è chiamato a professarla con le parole e con le opere. Monsignor Asensio assunse fino alle sue estreme conseguenze la responsabilità di Pastore morendo per la fede che viveva e predicava. Negli ultimi istanti della sua vita, dopo aver subito vessatori e laceranti tormenti, quando uno dei suoi carnefici gli chiese se conosceva il destino che lo attendeva, rispose con serenità e fermezza: «Vado in Paradiso». Proclamava così la sua incrollabile fede in Cristo, vincitore della morte e donatore di vita eterna. Mentre viene elevato alla gloria degli altari, il Beato Florentino Asensio Barroso continua ad animare con il suo esempio la fede dei fedeli della sua amata Diocesi aragonese e veglia su di essa con la sua intercessione.

4. «Vi ho chiamato amici» (Jn 15,15). Sempre a Barbastro lo zingaro Ceferino Giménez Malla conosciuto come «El Pelé» morì per la fede in cui era vissuto. La sua vita dimostra che Cristo è presente nei diversi popoli e razze e che tutti sono chiamati alla santità, che si raggiunge osservando i suoi comandamenti e rimanendo nel suo amore (cfr Jn 15,11). El Pelé fu generoso e accogliente con i poveri, pur essendo lui stesso povero, onesto nella sua attività, fedele al suo popolo e alla sua razza «gitana», dotato di un'intelligenza naturale straordinaria e del dono del consiglio. Fu soprattutto un uomo di profonde credenze religiose.

La frequente partecipazione alla Santa Messa, la devozione alla Vergine Maria con la recita del rosario, l'appartenenza a diverse associazioni cattoliche lo aiutarono ad amare Dio e il prossimo con interezza. Così, anche a rischio della propria vita, non esitò a difendere un sacerdote che stava per essere arrestato, per la qual cosa lo condussero in prigione, dove non abbandonò mai la preghiera e quando fu fucilato stringeva fra le sue mani il rosario. Il Beato Ceferino Giménez Malla seppe seminare concordia e solidarietà fra i suoi, mediando anche nei conflitti che a volte nascono fra «payos» e zingari, dimostrando che la carità di Cristo non conosce limiti di razza e di cultura. Oggi «El Pelé» intercede per tutti dinanzi al Padre comune e la Chiesa lo propone come modello da seguire ed esempio significativo dell'universale vocazione alla santità, specialmente per gli zingari che hanno con lui stretti vincoli culturali ed etici.

5. Padre Gaetano Catanoso ha seguito Cristo sulla via della Croce, facendosi con lui vittima di espiazione per i peccati. Ripeteva spesso di voler essere il Cireneo che aiuta Cristo a portare la Croce, gravosa più per i peccati che per il peso materiale del legno.

Vera immagine del Buon Pastore, egli si prodigò instancabilmente per il bene del gregge affidatogli dal Signore, nella vita parrocchiale come nell'assistenza agli orfani ed agli ammalati, nel sostegno spirituale ai seminaristi ed ai giovani preti come nell'animazione delle Suore Veroniche del Volto Santo da lui fondate.

Nutrì e diffuse una grande devozione al Volto insanguinato e sfigurato di Cristo, che egli vedeva riflesso nel volto di ogni uomo sofferente. Tutti coloro che lo incontravano, percepivano nella sua persona il buon profumo di Cristo; per questo amavano chiamarlo "padre", e tale lo sentivano realmente, poiché egli era un segno eloquente della paternità di Dio.

6. Anche il beato Enrico Rebuschini ha camminato decisamente, lungo la sua esistenza, verso quella "perfezione della carità", che costituisce il tema dominante della Liturgia della Parola di questa Domenica. Sulle orme del Fondatore, san Camillo de Lellis, egli ha testimoniato la carità misericordiosa, esercitandola in tutti gli ambiti in cui ha operato. Il suo saldo proposito di "consumare il proprio essere per dare Dio al prossimo, vedendo in esso il volto stesso del Signore", lo impegnò in un arduo cammino ascetico e mistico, caratterizzato da un'intensa vita di preghiera, da un amore straordinario per l'Eucaristia e dall'incessante dedizione per gli ammalati ed i sofferenti.

Egli è divenuto un punto di riferimento sicuro sia per i Chierici Regolari Ministri degli Infermi, che per la Comunità cristiana di Cremona. Il suo esempio costituisce per tutti i credenti un pressante invito ad essere attenti verso i sofferenti ed i malati nel corpo e nello spirito.

7. «Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Jn 15,16). Madre María Encarnación Rosal, prima guatemalteca beatificata, fu scelta per continuare il carisma del Beato Pedro de San José Betancourt, fondatore dell'Ordine Betlemita, il primo ordine latinoamericano. Oggi il suo frutto permane nelle Suore Betlemite che, insieme a tutti i membri della grande famiglia dell'Associazione dei Laici, si adoperano per mettere in pratica il loro carisma evangelizzatore al servizio della Chiesa.

Donna costante, tenace e animata soprattutto dalla carità, la sua vita fu fedeltà a Cristo, suo confidente assiduo attraverso la preghiera e la spiritualità di Betlemme. Ciò le causò molteplici sacrifici e afflizioni, dovendo pellegrinare da un luogo all'altro per poter consolidare la sua opera. Non le importò rinunciare a molte cose pur di salvare l'essenziale e affermó: «Che si perda tutto, meno la carità».

Sulla base di ciò che aveva imparato alla scuola di Betlemme, ossia l'amore, l'umiltà, la povertà, la dedizione generosa e l'austerità, visse una splendida sintesi di contemplazione e di azione, unendo alle opere esclusivamente educative lo spirito di penitenza, di adorazione e di riparazione al Cuore di Gesù. Che il suo esempio permanga fra le sue figlie e che la sua intercessione accompagni la vita ecclesiale del Continente americano che si dispone con speranza a varcare le soglie del Terzo Millennio dell'era cristiana!

8. La santità è chiamata che Dio rivolge a tutti, ma senza forzare la mano a nessuno. Dio chiede ed attende la libera adesione dell'uomo. Nell'ambito di questa vocazione universale alla santità, Cristo sceglie poi per ciascuno un compito specifico e, se trova corrispondenza, Egli stesso provvede a portare a compimento l'opera iniziata, facendo sì che il frutto rimanga.

"Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi... Voi siete miei amici" (Jn 15,9 Jn 15,14), continua a ripetere il Signore ed attende la nostra risposta, come ha fatto con i nuovi Beati. Il loro esempio ci ricorda che tutti siamo impegnati, ciascuno in modo diverso, a portare frutto, per il bene non solo nostro, ma dell'intera comunità.

Esultiamo, oggi, per il dono di questi nuovi Beati. Rendiamo grazie a Dio per quanto essi hanno compiuto e per le opere di bene che hanno lasciato al loro passaggio sulla terra. Preghiamo affinché il loro esempio sia seguito da molti ed aumenti il numero degli operai nella vigna del Signore.

Si rinnovi la faccia della terra (cfr Ps 103,30) per la potenza dello Spirito Santo, ed in ogni angolo del mondo risuoni il cantico della gioia, risuoni l'annuncio dell'amore divino.

Dio è amore: Egli ci ha amati per primo. Nostro compito ora è di amarci gli uni gli altri come Egli ci ha amati. Da questo ci riconosceranno per suoi discepoli. Nasce di qui la nostra responsabilità: essere testimoni credibili. I nuovi Beati lo sono stati. Ci ottengano di esserlo anche noi, affinché questo mondo che amiamo sappia riconoscere in Cristo l'unico vero Salvatore!


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VIAGGIO APOSTOLICO IN LIBANO (10-11 MAGGIO 1997)

INCONTRO CON I GIOVANI




Basilica di Nostra Signora del Libano (Harissa) - Sabato, 10 maggio 1997



Allora, che Belo Horizonte! Sapete che cosa vuol dire? Sapete troppo! Si trova in Brasile. E' stato in Brasile, nel 1980. La prima volta che ho visitato quel Paese e ho incontrato i giovani nella città di Belo Horizonte e quando l'ho guardata, come guardo voi adesso, ho detto: che Belo Horizonte! Diciassette anni sono passati, oggi ricordo quel momento e lo ripeto: che Belo Horizonte! Il giorno di Pentecoste. Dovete celebrare questo "happy birthday" quel giorno, questa domenica. Ma il programma di oggi prevede che l'incontro si svolga all'interno, quindi penso che sopporteremo il caldo che farà là dentro, altrimenti torneremo qui.

Cari Giovani del Libano!

1. Sono particolarmente lieto di incontrarvi questa sera, nel corso del mio viaggio apostolico nel vostro Paese. Ringrazio anzitutto il Cardinale Nasrallah Pierre Sfeir, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, per le sue parole di benvenuto, come pure Monsignor Habib Bacha, Presidente della Commissione episcopale per l'Apostolato dei Laici, per avermi presentato la gioventù del Libano.

Cari giovani, sono particolarmente sensibile alle parole che, tramite i vostri portavoce, mi andrete ad indirizzare con franchezza e fiducia. Comprendo le aspirazioni che vi animano e la vostra impazienza di fronte alla situazione quotidiana che vi sembra di non poter cambiare. Scopro così i volti di ragazzi e ragazze che, con tutto l'ardore e lo slancio della loro giovinezza, hanno il profondo desiderio di guardare verso il futuro, pregando il Signore di dare loro forza e coraggio, di comunicare loro il suo amore e la sua speranza, come chiedemmo nella preghiera di apertura della nostra celebrazione. Costantemente, negli scorsi anni, vi ho sostenuto con la preghiera, implorando Cristo di assistervi nel cammino verso la pace e nella vita personale e sociale.

2. Stiamo per ascoltare il racconto evangelico sui discepoli di Emmaus. La loro esperienza può aiutarvi, perchè assomiglia a quella di ciascuno di voi. Rattristati dagli avvenimenti della Settimana santa, disorientati dalla morte di Gesù e delusi per non poter realizzare le loro attese, i due discepoli decidono di lasciare Gerusalemme il giorno di Pasqua e di ritornare al loro villaggio. La speranza suscitata da Cristo nel corso dei tre anni del suo ministero in Terra santa sembra essersi annullata con la sua morte. Tuttavia, camminando lungo la strada, i pellegrini di Emmaus ricordano il messaggio del Signore, messaggio d'amore e di carità fraterna, messaggio di speranza e di salvezza. Essi conservano nel cuore il ricordo dei fatti e dei gesti da Lui compiuti durante la sua vita pubblica, dalle rive del Giordano fino al Golgota, passando per Tiro e Sidone.

Entrambi si ricordano delle parole e degli incontri col Signore, che manifestava la sua tenerezza, la sua compassione ed il suo amore nei confronti di ogni essere umano. Tutti erano colpiti dal suo insegnamento e dalla sua bontà. Aldilà della bruttura del peccato, Cristo sapeva cogliere la bellezza interiore dell'essere creato ad immagine di Dio. Sapeva percepire il desiderio profondo di verità e la sete di felicità che abitano nell'anima di ogni persona. Col suo sguardo, con la mano tesa e la parola di conforto, Gesù chiamava ciascuno a rialzarsi dopo aver sbagliato, perchè ogni persona ha un valore che supera ciò che essa ha fatto e non c'è peccato che non possa venir perdonato. Ricordando tutto questo, i discepoli incominciano così a meditare la Buona Novella recata dal Messia.

Lungo il cammino sulla strada di Emmaus, mentre riflettono sulla persona di Cristo, sulla sua parola e sulla sua vita, i discepoli sono raggiunti dal Risorto stesso, che rivela loro la profondità delle Scritture e fa loro scoprire il disegno di Dio. Gli avvenimenti di Gerusalemme la morte sulla croce e la risurrezione recano la salvezza ad ogni uomo. La morte è vinta, la via della vita eterna è definitivamente aperta. Ma i due uomini non riconoscono ancora il Signore. Il loro cuore è ottenebrato e turbato. Solo al termine della strada, quando Gesù spezza per loro il pane, quando ripete il gesto della Cena, memoriale del suo sacrificio, i loro occhi si aprono per accogliere la verità: Gesù è risorto; li precede per le vie del mondo. La speranza non è morta. Subito, ritornano a Gerusalemme ad annunciare la Buona Notizia. Forti di queste promesse, anche noi sappiamo che Cristo è vivo e realmente presente in mezzo ai suoi fratelli, tutti i giorni e fino alla fine dei tempi.

3. Cristo ripercorre senza sosta questo cammino di Emmaus, questo cammino sinodale con la sua Chiesa; infatti, la parola "sinodo" significa camminare insieme. Ha rifatto questo cammino con i pastori della Chiesa cattolica del Libano, nel corso dell'Assemblea Speciale che si è tenuta a Roma in novembre e dicembre 1995. Cari giovani, egli vuole rifarlo anche con voi. Con voi, perchè il Sinodo dei Vescovi per il Libano è stato fatto proprio per voi: il futuro siete voi. Quando voi svolgete il vostro compito quotidiano, nello studio o nel lavoro, quando servite i fratelli, quando condividete insieme i dubbi e le speranze, quando meditate la Scrittura, da soli o nella Comunità, quando voi partecipate all'Eucaristia, Cristo vi raggiunge; cammina al vostro fianco; è vostra forza, vostro cibo e vostra luce.

Cari giovani, nella vita di tutti i giorni, non abbiate paura di lasciarvi raggiungere da Cristo, sul modello dei discepoli di Emmaus. Nella vita personale, nella vita ecclesiale, il Signore vi accompagna e infonde in voi la sua speranza. Cristo ha fiducia in voi, perchè siate responsabili della vostra esistenza e di quella dei vostri fratelli e sorelle, del futuro della Chiesa nel Libano e del futuro del vostro Paese. Viva la pace. Oggi e domani, Gesù vi invita a lasciare i vostri sentieri per fare la strada con lui, uniti con tutti i fedeli della Chiesa cattolica e con tutto il popolo libanese.

4. Allora accettate di seguire Cristo? Se accettate di seguire Cristo e di lasciarvi afferrare da lui, Egli vi mostrerà che il mistero della sua morte e risurrezione è la chiave di lettura per eccellenza della vita cristiana e della vita umana. Infatti, in ogni esistenza, vi sono dei tempi in cui Dio sembra fare silenzio come nella notte del Giovedì santo; tempi di sgomento come il giorno del Venerdì santo, in cui Dio sembra abbandonare quelli che ama; tempi di luce come l'alba del mattino di Pasqua, che ha visto la vittoria definitiva della vita sulla morte. Sull'esempio di Cristo, che ha consegnato la sua vita nelle mani del Padre, è ponendo la vostra fiducia in Dio che voi farete grandi cose. Perchè, se contiamo unicamente su noi stessi, i nostri progetti fanno apparire troppo spesso interessi particolari e parziali. Ma tutto può cambiare quando si conta anzitutto sul Signore, che viene a trasformare, purificare e pacificare l'essere interiore. I cambiamenti ai quali aspirate nella vostra terra necessitano anzitutto e soprattutto di cambiamenti nei cuori.

5. In realtà, spetta a voi far cadere i muri che hanno potuto erigersi durante i periodi dolorosi della storia della vostra Nazione; non innalzate nuovi muri nel vostro Paese! Al contrario, è vostro compito costruire dei ponti tra le persone, tra le famiglie e tra le diverse comunità. Nella vita quotidiana, vi auguro di porre gesti di riconciliazione, per passare dalla diffidenza alla fiducia! E' vostro compito anche far sì che ogni Libanese, in particolare ogni giovane, possa partecipare alla vita sociale, nella casa comune. Così nascerà una nuova fraternità e si intrecceranno solidi legami, poiché per la costruzione del Libano l'arma principale e determinante è quella dell'amore. Attingendo dall'intimità con il Signore, sorgente dell'amore e della pace, sarete a vostra volta artigiani di pace e d'amore. Da questo, ci dice l'Apostolo, saremo riconosciuti come suoi discepoli.

Voi siete la ricchezza del Libano, voi che avete sete di pace e di fraternità, e che avete il desiderio di impegnarvi ogni giorno per questa terra alla quale siete profondamente attaccati. Con i vostri genitori, i vostri educatori e tutti gli adulti che hanno responsabilità sociali ed ecclesiali, siete chiamati a preparare il Libano di domani, per farne un popolo unito, con la sua diversità culturale e spirituale. Il Libano è un'eredità colma di promesse. Impegnatevi ad acquisire una solida educazione civica e morale, per essere pienamente consapevoli delle vostre responsabilità nella ricostruzione nazionale. Tra gli elementi che creano l'unità in seno ad una nazione, vi è il senso del dialogo con tutti i fratelli, nel rispetto delle sensibilità specifiche e delle differenti storie comunitarie. Lungi dall'allontanare le persone le une dalle altre, questo atteggiamento fondamentale di apertura è uno degli elementi morali essenziali della vita democratica ed uno degli strumenti essenziali dello sviluppo delle solidarietà, per ricomporre il tessuto sociale e per dare nuovo slancio alla vita nazionale.

6. Per manifestarvi la mia stima e la mia fiducia, tra qualche istante, al termine dell'omelia, firmerò davanti a voi l'Esortazione apostolica post-sinodale. Con le vostre riflessioni voi avete apportato un notevole contributo alla preparazione dell'Assemblea, nella quale voi siete stati anche rappresentati ed ascoltati. Oggi, io vi scelgo come testimoni privilegiati e come depositari del messaggio di rinnovamento di cui la Chiesa ed il vostro Paese hanno bisogno. Vi esorto a prendere con ardore parte attiva all'attuazione degli orientamenti dell'Assemblea sinodale. Con i Patriarchi e i Vescovi, pastori del gregge, con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, e con l'intero popolo cristiano, voi avete il compito di essere i testimoni del Risorto con la parola e con tutta la vostra vita. Nella comunità cristiana, ciascuno di voi è chiamato ad assumere una parte di responsabilità. Ascoltando Cristo che vi chiama e che vuole assicurare la riuscita della vostra esistenza, risponderete alla vostra vocazione particolare, nel sacerdozio, nella vita consacrata o nel matrimonio. In ogni stato di vita, impegnarsi a seguire il Signore è fonte di grande gioia.

La chiesa in cui ci troviamo è posta in cima al monte: essa è visibile per gli abitanti di Beirut e della regione, e per i visitatori che giungono nella vostra terra; allo stesso modo, possa anche la vostra testimonianza essere per i vostri amici un esempio luminoso! Non dimenticate la vostra identità cristiana e la vostra condizione di discepoli del Signore. E' la vostra gloria; è la vostra speranza; è la vostra missione. Ricevete l'Esortazione come un dono che la Chiesa universale fa alla Chiesa nel Libano ed al vostro Paese, con la certezza che il vostro dinamismo e il vostro coraggio daranno luogo a trasformazioni profonde in voi e nell'intera società. Abbiate fede e speranza in Cristo. In Lui, non sarete delusi.

7. Imploriamo la Vergine Maria, Nostra Signora del Libano, di vegliare sul vostro Paese e sui suoi abitanti, e di assistervi con la sua tenerezza materna, perchè siate i degni eredi dei santi della vostra terra. Contribuirete così a far rifiorire il Libano, Paese che fa parte dei Luoghi santi che Dio ama, perchè è venuto a porvi la sua dimora e a ricordarci che dobbiamo costruire la città terrena con lo sguardo fisso sui valori del Regno.

Al termine del discorso il Papa ha aggiunto le parole che pubblichiamo in una nostra traduzione italiana:

Allora, devo dirvi che avete seguito il discorso con attenzione e devo dirvi anche che vi ho seguito: reagiscono al momento giusto? Applaudono quando bisogna applaudire? Ebbene, lo avete fatto: così avete superato il vostro esame! Adesso dobbiamo tornare nella Basilica, in chiesa, per celebrare la parte liturgica. Dovete partecipare ancora e poi tornerò a vedervi!



GPII Omelie 1996-2005 81