GPII Omelie 1996-2005 101

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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA PER LA COMUNITÀ

DEL PONTIFICIO SEMINARIO ROMANO MAGGIORE


Giardini Vaticani - Domenica, 15 giugno 1997




1. Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra" (Mc 4,26). Il nome seminario fa riferimento a queste parole di Cristo. Il termine latino seminarium proviene da semen, il seme. Gesù, a proposito del seme gettato nella terra, dice che esso germoglia e cresce sia che l'uomo vegli sia che dorma: germoglia e cresce di notte e di giorno. "Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga" (Mc 4,28).

L'analogia con la vocazione sacerdotale s'impone da sola. Essa è come il seme di Dio, gettato nell'anima umana, che cresce con una dinamica propria. Ma il seme, perché cresca, deve essere coltivato. E' l'uomo che deve seminare; ed è ancora l'uomo che deve vigilare sullo sviluppo del seme. Occorre impedire che le forze contrarie, persone malevole o calamità naturali, distruggano le pianticelle che stanno crescendo. E quando esse sono giunte a maturazione, l'uomo deve mettere mano alla falce, come afferma Cristo, poiché il campo è pronto per la mietitura (cfr Mc 4,29).

In un'altra circostanza Gesù osserva: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!" (Mt 9,37-38). Anche queste parole hanno un riferimento al seminario, luogo dove si formano gli operai per la grande messe del Regno di Dio, che s'estende in tutti i Paesi e i Continenti. E' bene che, al termine dell'anno scolastico seminaristico, riascoltiamo oggi questa parabola di Cristo.

2. Il Vangelo appena proclamato contiene ancora un paragone, importante per voi che siete a conclusione dell'anno di lavoro del seminario. Cristo domanda: "A che cosa possiamo paragonare il Regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?" (Mc 4,30). E risponde: "Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra" (Mc 4,31-32). Sono parole che fanno riferimento al Libro di Ezechiele, da cui è tratta la prima lettura. I due testi parlano della stessa cosa: lo sviluppo del Regno di Dio nella storia del mondo. E, secondo un'altra analogia, parlano anche dello sviluppo della vocazione sacerdotale in ogni anima giovanile. Ecco, proprio questo è il compito del seminario.

Al termine dell'anno seminaristico, abbiamo l'occasione di dare uno sguardo al grande lavoro svolto in questi mesi dallo Spirito Santo, nell'animo di ciascun chiamato. Molti, a cominciare dagli interessati, hanno collaborato con lo Spirito, affinché il seme divino della vocazione potesse maturare favorendo la crescita del Regno di Dio nel mondo. E' in questo modo che la Chiesa si consolida nel mondo, a somiglianza del grande albero della parabola, i cui rami danno riparo agli uccelli dell'aria e all'uomo affaticato.

Questa parabola ci esorta a considerare il lavoro annuale del Seminario Romano nella prospettiva missionaria della crescita di quell'albero divino, che si sviluppa e s'estende progressivamente fino ad abbracciare i Paesi del mondo intero. Il seminario di Roma, da questo punto di vista, riveste un ruolo quanto mai significativo. Non è forse Roma, sede del Successore di Pietro, il centro propulsore dell'azione missionaria in ogni parte del mondo?

3. Anche san Paolo, nella pericope della Lettera ai Corinzi poc'anzi proclamata, ci offre l'opportunità di approfondire la questione della formazione sacerdotale. L'Apostolo scrive: "Camminiamo nella fede e non ancora in visione" (2Co 5,7). Ed aggiunge: "Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore" (2Co 5,8). Che cos'altro è la formazione nel seminario, l'istruzione e l'educazione che in esso si ricevono, se non una introduzione alle virtù teologali, che costituiscono il fondamento della vita cristiana e, in particolare, di quella sacerdotale? La più grande di esse è la carità (cfr 1Co 13,13). Non accenna forse alla carità l'Apostolo quando dice: "Perciò ci sforziamo, sia dimorando nel corpo sia esulando da esso, di essere a lui graditi" (2Co 5,9)?

Alla fine dell'anno accademico l'Apostolo sembra porre a ciascuno di voi, cari giovani, queste domande: quanto è servito quest'anno allo sviluppo della fede, della speranza e della carità? Quanto all'approfondimento dei doni dello Spirito Santo, la sapienza, l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà, e il timor di Dio? Quanto questo organismo divino si è radicato nel nostro organismo spirituale, nelle forze conoscitive dell'intelletto e nelle aspirazioni della nostra volontà? "Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male" (2Co 5,10). L'esame di coscienza di ogni giorno e di ogni anno deve svolgersi in questa prospettiva escatologica. Bisogna domandare perdono per tutte le nostre negligenze ma, soprattutto, bisogna ringraziare. A questo pure ci invita l'odierna liturgia con le parole del Salmo: "E' bello dar lode al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo" (Sal 91[92], 2). Cantare e rendere grazie per quanto, con la grazia di Dio e la nostra collaborazione, è diventato frutto di quest'anno di seminario.

Ci incontriamo, quest'oggi, sul Colle Vaticano, presso la grotta della Madonna di Lourdes. Risuonano nel nostro spirito le parole del Salmo:

Il giusto fiorirà come palma,

crescerà come cedro del Libano;

piantati nella casa del Signore,

fioriranno negli atri del nostro Dio" (Sal 91[92], 13-14).

Possano questi versetti aiutarci a meditare sulla nostra vocazione al servizio del Vangelo.

Ci accompagnino e ci siano di sostegno i santi apostoli Pietro e Paolo e tutti i Santi e i Beati della Chiesa che è in Roma, fulgidi esempi che ci hanno preceduto sulla via della fedele sequela di Cristo, nel quotidiano impegno di costruire il Regno di Dio.
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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA PER LA BENEDIZIONE

E L'IMPOSIZIONE DEI PALLI A 28 ARCIVESCOVI METROPOLITI


Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo

Domenica, 29 giugno 1997




1. "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,18).

La Liturgia della Parola nell'odierna Solennità dei santi Pietro e Paolo presenta due elementi che apparentemente sembrano contraddirsi, ma in realtà si completano reciprocamente. Infatti, da un lato abbiamo la straordinaria vocazione degli apostoli Pietro e Paolo e, dall'altro, le difficoltà che essi hanno dovuto affrontare nel compimento della missione ricevuta dal Signore.

Nel brano evangelico Gesù si rivolge così a Simon Pietro presso Cesarea di Filippo: "A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (Mt 16,19). Cristo preannuncia così l'istituzione della Chiesa, fondandola sul ministero di Pietro, che per essa riveste, in conseguenza, un significato essenziale e permanente.

Quando Gesù aveva domandato chi fosse secondo la gente il Figlio di Dio, gli Apostoli avevano riportato diverse opinioni sorte tra i Giudei. Ma quando domandò loro direttamente: "Voi chi dite che io sia?" (Mt 16,15), Pietro rispose a nome dei Dodici: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).

Pietro fece la sua professione di fede in Cristo e questa sua fede costituisce il saldo fondamento del Popolo della Nuova Alleanza. La Chiesa non è prima di tutto una struttura sociale; è la comunità di coloro che condividono la stessa fede di Pietro e degli Apostoli; la Comunità di coloro che proclamano l'unica fede apostolica. Questa comune professione di fede rappresenta l'autentica ragion d'essere della Chiesa stessa come istituzione visibile: essa ne motiva e ne sostiene ogni progetto ed iniziativa.

2. Riascoltiamo queste parole di Gesù nel giorno in cui ricordiamo con venerazione i santi apostoli Pietro e Paolo. I Padri amavano paragonarli a due colonne, sulle quali poggia la costruzione visibile della Chiesa. Seguendo l'antica tradizione, la Liturgia li celebra insieme, facendo memoria nello stesso giorno del loro glorioso martirio: Pietro, la cui tomba si trova presso questo Colle Vaticano, e Paolo, il cui sepolcro è venerato nei pressi della Via Ostiense. Entrambi hanno sigillato con il proprio sangue la testimonianza resa a Cristo con la predicazione ed il ministero ecclesiale.

Ben sottolinea questa testimonianza l'odierna Liturgia, che lascia anche intravedere la ragione profonda per cui conveniva che la fede professata dai due Apostoli con le labbra fosse anche coronata con la prova suprema del martirio.

3. Tale ragione emerge dal brano degli Atti degli Apostoli, ora proclamato, come anche dal Salmo responsoriale e dalla pericope della Lettera a Timoteo, e viene proposta in modo sintetico nel ritornello del Salmo responsoriale: "Benedetto il Signore che libera i suoi amici" (Ps 33,5).

La prima Lettura ricorda la liberazione miracolosa di Pietro dalla prigione di Gerusalemme, dove era stato rinchiuso dal re Erode. Nella seconda Lettura Paolo, quasi riassumendo l'intera attività apostolica e missionaria, afferma: "Fui liberato dalla bocca del leone" (2Tm 4,17). L'una e l'altra testimonianza mostrano, in un certo senso, il cammino comune percorso da entrambi gli Apostoli. Ambedue furono inviati da Cristo ad annunciare il Vangelo in un contesto ostile all'opera della salvezza. Pietro sperimentò questa resistenza già a Gerusalemme, dove Erode, per accattivarsi il favore dei Giudei, lo gettò in prigione con l'intento di "farlo comparire davanti al popolo" (Ac 12,4). Ma fu salvato in modo miracoloso dalle mani di Erode, e così poté portare a compimento la sua missione evangelizzatrice, prima a Gerusalemme e poi a Roma, ponendo ogni sua energia a servizio della Chiesa nascente.

Anche Paolo, inviato dal Risorto a molte città e popolazioni pagane, appartenenti all'Impero Romano, incontrò forti resistenze sia da parte dei connazionali che da parte delle autorità civili. Le sue Lettere sono una splendida testimonianza di tali difficoltà e della grande lotta che egli dovette sostenere per la causa del Vangelo.

Alla fine della sua missione, egli poteva scrivere: "Il mio sangue sta ormai per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede" (2Tm 4,6-7).

Pietro e Paolo, ciascuno con la propria vicenda personale ed ecclesiale, testimoniano che, anche in mezzo a durissime prove, il Signore non li abbandonò mai. Era con Pietro per liberarlo dalle mani degli oppositori a Gerusalemme; era con Paolo nelle continue fatiche apostoliche, per comunicargli la forza della sua grazia, così da renderlo intrepido annunciatore del Vangelo a vantaggio delle nazioni (cfr 2Tm 4,17).

4. La Chiesa è chiamata ad approfondire il proprio legame con la testimonianza degli apostoli Pietro e Paolo. Celebrando l'odierna solennità liturgica, le comunità cristiane di tutto il mondo rafforzano tra loro i vincoli di unità fondati sulla professione della stessa fede in Cristo e sulla carità fraterna. Segno eloquente di tale comunione ecclesiale è il rito dell'imposizione del Sacro Pallio da parte del Successore di Pietro ai nuovi Arcivescovi Metropoliti provenienti da varie nazioni.

Carissimi Fratelli nell'Episcopato! Sono lieto di accogliervi in questa solenne Celebrazione, durante la quale riceverete il Pallio come segno di unità con la Sede di Pietro e di condivisione della missione, affidata da Cristo agli Apostoli ed ai loro successori, di annunciare il Vangelo a tutte le genti. Insieme con voi, desidero salutare ed abbracciare con affetto le Comunità ecclesiali a voi affidate, chiedendo al Signore per i vostri fedeli l'abbondanza dei doni dello Spirito.

5. La testimonianza di fede e l'ardua lotta che gli apostoli Pietro e Paolo dovettero affrontare a causa del Vangelo, se considerate in termini semplicemente umani, terminarono con una sconfitta. Anche in questo essi seguirono fedelmente il modello di Cristo. Infatti, sempre umanamente parlando, la missione di Cristo, condannato a morte e crocifisso, terminò con una sconfitta.

Tuttavia, entrambi gli Apostoli, tenendo lo sguardo fisso sul Mistero pasquale, non dubitarono che proprio questa, che agli occhi del mondo appariva una sconfitta, costituiva in realtà l'inizio della realizzazione del piano di Dio. Era la vittoria sulle forze del male, riportata innanzitutto da Cristo e poi dai suoi discepoli, mediante la fede. L'intera comunità dei credenti poggia sul sicuro fondamento della fede apostolica e rende grazie a Cristo per la solida roccia, sulla quale è costruita sia la sua vita che la sua missione.

Il Signore, che oggi ci allieta col ricordo glorioso degli apostoli Pietro e Paolo, ci conceda di ascoltare con cuore docile, custodire con devozione e trasmettere con fedeltà il loro insegnamento, affinché l'annuncio evangelico raggiunga tutti i confini della terra.

Amen!
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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL'ASSUNZIONE

DELLA BEATA VERGINE MARIA


Cortile del Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo

Venerdì, 15 agosto 1997

1. "Risplende la Regina, Signore, alla tua destra" (Sal. resp.).

L'odierna Liturgia ci pone dinanzi la fulgida icona della Vergine assunta al cielo nell'integrità dell'anima e del corpo. Nello splendore della gloria celeste brilla Colei che, in virtù della sua umiltà, si è resa grande davanti all'Altissimo al punto che tutte le generazioni la chiamano beata (cfr Lc 1,48). Ora siede Regina, accanto al Figlio, nell'eterna beatitudine del paradiso e dall'alto guarda i suoi figli.

Con questa consolante certezza, ci rivolgiamo a Lei e la invochiamo per coloro che sono suoi figli: per la Chiesa e per l'intera umanità, perché tutti, imitandola nella fedele sequela di Cristo, possano giungere alla definitiva patria del cielo.

2. "Risplende la Regina, Signore, alla tua destra".

Prima fra i redenti dal sacrificio pasquale di Cristo, Maria risplende oggi Regina di tutti noi, pellegrini verso la vita immortale.

In Lei, assunta in cielo, ci viene manifestato l'eterno destino che ci attende oltre il mistero della morte: destino di felicità piena nella gloria divina. Questa prospettiva soprannaturale sostiene il nostro quotidiano pellegrinaggio. Maria è nostra Maestra di vita. Guardando a Lei, comprendiamo meglio il valore relativo delle grandezze terrene e il pieno senso della nostra vocazione cristiana.

Dalla nascita alla gloriosa assunzione, la sua esistenza si è dispiegata lungo l'itinerario della fede, della speranza e della carità. Sono queste virtù, fiorite in un cuore umile e abbandonato alla volontà di Dio, che adornano la sua preziosa ed incorruttibile corona di Regina. Sono queste le virtù che il Signore domanda ad ogni credente, per ammetterlo alla gloria della sua stessa Madre.

Il testo dell'Apocalisse, poc'anzi proclamato, parla dell'enorme drago rosso che rappresenta la perenne tentazione posta dinanzi all'uomo: quella di preferire il male al bene, la morte alla vita, il facile piacere del disimpegno all'esigente ma appagante cammino di santità per il quale ogni uomo è stato creato. Nella lotta contro "il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra" (Ap 12,9) appare il segno grandioso della Vergine vittoriosa, Regina di gloria assisa alla destra del Signore.

Ed in questa lotta spirituale il suo aiuto alla Chiesa è determinante per giungere alla definitiva vittoria sul male.

3. "Risplende la Regina, Signore, alla tua destra".

Maria brilla sulla terra "innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore" (Lumen gentium LG 68). Madre premurosa di tutti essa sorregge lo sforzo dei credenti e li incoraggia a perseverare nell'impegno. Penso qui in maniera tutta particolare ai giovani, che sono più esposti ai richiami e alle tentazioni di miti effimeri e di falsi maestri.

Cari giovani, guardate a Maria ed invocatela con fiducia! La Giornata Mondiale della Gioventù, che tra qualche giorno avrà inizio a Parigi, vi offrirà l'occasione di sperimentare ancora una volta la sua materna premura. Maria vi aiuterà a sentirvi parte integrante della Chiesa e vi spingerà a non aver paura nell'assumere le vostre responsabilità di testimoni credibili dell'amore di Dio.

Oggi, l'Assunta vi mostra dove conducono l'amore e la piena fedeltà a Cristo sulla terra: fino alla gioia eterna del cielo.

4. Maria, Donna vestita di sole, davanti alle immancabili sofferenze ed alle difficoltà di ogni giorno, aiutaci a fissare lo sguardo su Cristo.

Aiutaci a non temere di seguirlo sino in fondo, anche quando la croce ci sembra pesare eccessivamente. Facci comprendere che questa sola è la via che conduce alla vetta dell'eterna salvezza.

E dal cielo, dove risplendi Regina e Madre di misericordia, veglia su ciascuno dei tuoi figli.

Guidali ad amare, adorare e servire Gesù, il frutto benedetto del tuo seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria!


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VIAGGIO APOSTOLICO A PARIGI, IN OCCASIONE DELLA

XII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ (21-24 AGOSTO 1997)

BEATIFICAZIONE DI FEDERICO OZANAM



Cattedrale di Notre Dame de Paris - Venerdì, 22 Agosto 1997



1. «L'amore è da Dio» (1Jn 4,7).

Il Vangelo di oggi ci presenta la figura del buon Samaritano. Con questa parabola, Cristo vuole mostrare ai suoi ascoltatori chi è il prossimo citato nel più grande comandamento della Legge divina: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10,29). Un dottore della Legge domandava che cosa fare per avere la vita eterna: trovò in queste parole la risposta decisiva. Sapeva che l'amore di Dio e del prossimo è il primo e il più grande dei comandamenti. Malgrado ciò, chiede: «E chi è il mio prossimo?» (Lc 10,29).

Il fatto che Gesù proponga un Samaritano quale esempio per rispondere a tale domanda è significativo. In effetti, i Samaritani non erano particolarmente stimati dagli Ebrei. Di più: Cristo paragona il comportamento di quest'uomo a quella di un sacerdote e di un levita che avevano visto l'uomo ferito dai briganti ed era sulla strada quasi morto, ed avevano proseguito il loro cammino senza prestargli soccorso. Al contrario, il Samaritano che vide l'uomo sofferente, «ne ebbe compassione» (Lc 10,33). La sua pietà lo portò ad una serie di azioni. Anzitutto medicò le piaghe, poi condusse il ferito in un albergo perché ne avessero cura; e prima di partire, diede all'albergatore il denaro necessario perché ci si occupasse di lui (cfr Lc 10,34-35). L'esempio è eloquente. Il dottore della Legge riceve una risposta chiara alla sua domanda: chi è il mio prossimo? Il prossimo è ogni essere umano, senza eccezioni. E' inutile chiedere la sua nazionalità, la sua appartenenza sociale o religiosa. Se è nel bisogno, occorre venire in suo aiuto. Questo è quanto chiede la prima e la più grande Legge divina, la legge dell'amore di Dio e del prossimo.

Fedele a tale comandamento del Signore, Federico Ozanam ha creduto all'amore, l'amore che Dio ha per ogni uomo. Si è sentito lui stesso chiamato ad amare, dando l'esempio di un amore grande di Dio e degli altri. Andava verso tutti coloro che avevano più bisogno di essere amati, quelli cui Dio Amore non poteva essere concretamente rivelato se non attraverso l'amore di un'altra persona. Ozanam ha scoperto in questo la sua vocazione, vi ha visto la strada sulla quale Cristo lo chiamava. Ha trovato il suo cammino verso la santità. E l'ha percorso con determinazione.

2. «L'amore è da Dio». L'amore dell'uomo ha la sua sorgente nella Legge di Dio. La prima lettura tratta dall'Antico Testamento lo mostra. Vi troviamo una descrizione dettagliata degli atti d'amore del prossimo. E' quasi una preparazione biblica alla parabola del buon Samaritano.

La seconda lettura, tratta dalla Prima Lettera di san Giovanni, sviluppa il significato della parola «l'amore è da Dio». L'Apostolo scrive ai suoi discepoli: «Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Jn 4,7-8). Questa parola dell'Apostolo è veramente al centro della Nuova Alleanza, il vertice verso il quale ci conduce tutto quello che è stato scritto nei Vangeli e nelle Lettere apostoliche. Prosegue san Giovanni: «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (Ibid., 4, 10). La remissione dei peccati manifesta l'amore che il Figlio di Dio fatto uomo ha nei nostri confronti. Allora, l'amore del prossimo, l'amore dell'uomo non è più soltanto un comandamento. E' un'esigenza che discende dall'esperienza vissuta dell'amore di Dio. Ecco perché Giovanni può scrivere: «Se Dio ci ha tanto amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Jn 4,11).

L'insegnamento della Lettera di Giovanni si prolunga; scrive l'Apostolo: «Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi; egli ci ha fatto dono del suo Spirito» (1Jn 4,12-13). L'amore è dunque la fonte della conoscenza. Se, da una parte, la conoscenza è una condizione dell'amore, dall'altra, l'amore fa crescere la conoscenza. Se rimaniamo nell'amore, facciamo esperienza intima dell'azione dello Spirito Santo che ci fa partecipare all'amore redentivo del Figlio che il Padre ha inviato per la salvezza del mondo. Riconoscendo Cristo come Figlio di Dio, noi rimaniamo in lui e, attraverso di lui, rimaniamo in Dio. Per i meriti di Cristo, abbiamo creduto nell'amore, conosciamo l'amore che Dio ha per noi, sappiamo che Dio è amore (cfr 1Jn 4,16). Tale conoscenza attraverso l'amore è in un certo senso la chiave di volta dell'intera vita spirituale del cristiano. «Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (Ibid.).

3. Nell'ambito della Giornata Mondiale della Gioventù, che ha luogo quest'anno a Parigi, procedo oggi alla beatificazione di Federico Ozanam. Saluto cordialmente il Signor Cardinale Jean-Marie Lustiger, Arcivescovo di Parigi, città dove si trova la tomba del nuovo Beato. Mi rallegro pure della presenza a tale evento di Vescovi di numerosi Paesi. Saluto con affetto i membri della Società di san Vincenzo de' Paoli venuti dal mondo intero per la beatificazione del loro fondatore principale, così come i rappresentanti della grande famiglia spirituale erede dello spirito di san Vincenzo. I legami tra vincenziani furono privilegiati sin dalle origini della Società, poiché è una Figlia della Carità, suor Rosalia Rendu, che ha guidato il giovane Federico Ozanam e i suoi compagni verso i poveri del quartiere Mouffetard di Parigi. Cari discepoli di san Vincenzo de' Paoli, vi incoraggio a mettere in comune le vostre forze, affinché, come auspicava il vostro ispiratore, i poveri siano sempre meglio amati e serviti, e Gesù Cristo sia onorato nelle loro persone!

4. Federico Ozanam amava tutti i bisognosi. Fin dalla giovinezza, ha preso coscienza che non era sufficiente parlare della carità e della missione della Chiesa nel mondo: questo doveva tradursi in un impegno effettivo dei cristiani al servizio dei poveri. Era così in sintonia con l'intuizione di san Vincenzo: «Amiamo Dio, fratelli, amiamo Dio, ma che ciò avvenga con le nostre braccia, e con il sudore della nostra fronte» (San Vincenzo de' Paoli, XI, 40). Per manifestarlo concretamente, all'età di venticinque anni, con un gruppo di amici, creò le Conferenze di san Vincenzo de' Paoli, lo scopo delle quali era l'aiuto ai più poveri, in uno spirito di servizio e di condivisione. Ben presto, tali Conferenze si diffusero fuori della Francia, in tutti i Paesi d'Europa e del mondo. Io stesso, da studente, prima della seconda guerra mondiale, facevo parte di una di esse.

Ormai l'amore verso i più miserabili, di quelli di cui nessuno si occupa, è al centro della vita e delle preoccupazioni di Federico Ozanam. Parlando di questi uomini e di queste donne, egli scrisse: «Dovremmo cadere ai loro piedi e dir loro con l'Apostolo: "Tu es Dominus meus". Voi siete i nostri maestri e noi saremo i vostri servitori; voi siete per noi le immagini sacre di Dio che non vediamo e, non sapendolo amare altrimenti, l'amiamo nelle vostre persone» (Federico Ozanam, A Louis Janmot).

5. Egli osserva la situazione reale dei poveri e cerca un impegno sempre più efficace per aiutarli a crescere in umanità. Comprende che la carità deve condurre ad operare per correggere le ingiustizie. Carità e giustizia vanno di pari passo. Egli ha il lucido coraggio di un impegno sociale e politico di primo piano in un'epoca agitata della vita del suo Paese, poiché nessuna società può accettare la miseria come una fatalità senza che il suo onore non ne sia colpito. E' così che si può vedere in lui un precursore della dottrina sociale della Chiesa, che Papa Leone XIII svilupperà qualche anno più tardi nell'enciclica Rerum novarum.

Di fronte alle povertà che opprimono molti uomini e donne, la carità è un segno profetico dell'impegno del cristiano alla sequela di Cristo. Invito pertanto i laici e particolarmente i giovani a dare prova di coraggio e di immaginazione per lavorare all'edificazione di società più fraterne dove i più bisognosi saranno riconosciuti nella loro dignità e troveranno i mezzi per una esistenza dignitosa. Con l'umiltà e la fiducia senza limiti nella Provvidenza, che hanno caratterizzato Federico Ozanam, abbiate l'audacia di condividere i beni materiali e spirituali con quanti sono nella miseria!

6. Il beato Federico Ozanam, apostolo della carità, sposo e padre di famiglia esemplare, grande figura del laicato cattolico del XIX secolo, è stato un universitario che ha avuto una parte importante nel movimento delle idee del suo tempo. Studente, professore eminente prima a Lione e poi alla Sorbona di Parigi, mira anzitutto alla ricerca e alla comunicazione della verità, nella serenità e nel rispetto delle convinzioni di coloro che non condividono le sue. «Impariamo a difendere le nostre convinzioni senza odiare i nostri avversari, scriveva, ad amare quanti pensano diversamente da noi, [...] lamentiamoci meno dei nostri tempi e più di noi stessi» (Lettere, 9 aprile 1851). Con il coraggio del credente, denunciando ogni egoismo, partecipa attivamente al rinnovamento della presenza e dell'azione della Chiesa nella società della sua epoca. Si conosce pure il suo ruolo nella istituzione delle Conferenze di Quaresima in questa cattedrale Notre-Dame di Parigi, con lo scopo di permettere ai giovani di ricevere un insegnamento religioso rinnovato di fronte alle grandi questioni che interrogano la fede. Uomo di pensiero e di azione, Federico Ozanam è per gli universitari del nostro tempo, professori e studenti, un modello di impegno coraggioso capace di far udire una parola libera ed esigente nella ricerca della verità e nella difesa della dignità di ogni persona umana. Sia per loro anche un appello alla santità!

7. La Chiesa conferma oggi la scelta di vita cristiana fatta da Ozanam, come pure il cammino che egli ha preso. Essa gli dice: Federico, la tua strada è stata veramente la strada della santità. Sono passati più di cent'anni, ed ecco il momento opportuno per riscoprire questo cammino. Bisogna che tutti questi giovani, più o meno della tua età, radunatisi così numerosi a Parigi, provenienti da tutti i Paesi d'Europa e del mondo, riconoscano che questa è anche la loro strada. Occorre che comprendano che, se vogliono essere cristiani autentici, devono intraprendere lo stesso cammino. Aprano meglio gli occhi dell'anima ai bisogni così numerosi degli uomini d'oggi. Comprendano questi bisogni come sfide. Cristo li chiama ciascuno per nome, affinché ciascuno possa dire: ecco la mia strada! Nelle scelte che faranno, la tua santità, Federico, sarà confermata in modo particolare. E la tua gioia sarà grande. Tu che già vedi con i tuoi occhi Colui che è amore, sii anche guida su ogni cammino che questi giovani sceglieranno, seguendo oggi il tuo esempio!
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VIAGGIO APOSTOLICO A PARIGI, IN OCCASIONE DELLA

XII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ (21-24 AGOSTO 1997)

MESSA AL FORUM INTERNAZIONALE DEI GIOVANI



Chiesa di S. Stefano del Monte - Sabato, 23 agosto 1997




1. «Tutti i popoli ti conoscano, Signore!». Queste parole dell'odierna liturgia si rivolgono anzitutto a voi, rappresentanti di tutte le nazioni che partecipate alla Giornata Mondiale della Gioventù a Parigi. La vostra presenza testimonia il compimento della missione che gli Apostoli hanno ricevuto da Cristo dopo la risurrezione: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Voi siete i rappresentanti dei popoli dove il vangelo è stato annunciato ed accolto; di quei popoli le cui culture sono state già impregnate e trasfigurate dal Vangelo.

Siete qui, non soltanto perché avete ricevuto la fede e il Battesimo, ma anche perché desiderate trasmettere questa fede agli altri. Tanti cuori attendono il Vangelo! Il grido della liturgia odierna può acquistare tutto il suo senso sulle vostre labbra: «Tutte le nazioni ti conoscano, Signore!».

2. La Giornata Mondiale della Gioventù ha chiaramente una dimensione missionaria. Oggi la liturgia lo manifesta. La prima lettura, da Libro di Isaia dice: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annuncia la pace, messaggero di bene che annuncia la salvezza, che dice a Sion "Regna il tuo Dio"» (Is 52,7). Il profeta pensa certamente al Messia che allora era atteso. Sarà Cristo, il Messia, che annuncerà prima di tutto la Buona Novella. Ma La Buona Novella egli la trasmetterà agli Apostoli. Partecipando alla sua missione profetica, sacerdotale e reale, essi, e al loro seguito tutto il Popolo di Dio della Nuova Alleanza, ne diverranno i messaggeri nel mondo intero. Le parole del Profeta dunque li riguardano: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi...».

Queste parole riguardano voi, qui riuniti e partecipate alla Giornata Mondiale della Gioventù da tutte le nazioni che sono sotto il sole. Il vostro raduno è come una nuova Pentecoste. E bisogna che sia così! Occorre che, come gli Apostoli nel Cenacolo e oltre la percezione dei nostri sensi, noi sentiamo il rumore, l'irruzione di un vento violento, che appaiano sul capo di quanti sono qui radunati le lingue di fuoco dello Spirito Santo, e che tutti comincino a proclamare nelle diverse lingue le meraviglie di Dio (cfr Ac 2,1-4). Allora sarete, i testimoni della Buona Novella pure nel terzo millennio.

3. La lettura dal Vangelo di san Matteo ci rammenta la parabola del seminatore. La conosciamo, ma le parole del Vangelo le possiamo rileggere incessantemente e trovarvi sempre una nuova luce. Ecco dunque il seminatore uscito per seminare. Mentre seminava, la semente è caduta in parte sulla strada, in parte sul suolo roccioso, in parte tra i rovi, in parte infine sulla terra buona e soltanto questa ha portato frutto (cfr Mt 13,3-8).

Gesù non si è contentato di presentare la parabola, l'ha spiegata. Ascoltiamo anche noi la spiegazione della parabola del seminatore. La semente caduta sulla strada designa quanti ascoltano la parola sul Regno di Dio, ma non la comprendono; sopraggiunge il Maligno e porta via quanto era stato seminato nel loro cuore (cfr Mt 13,19). Il Maligno cammina spesso su questa strada, e si dà da fare per impedire che la semente germogli nel cuore degli uomini. Questo è il primo paragone. Il secondo è quello del grano caduto sulle pietre. Questo suolo designa le persone che ascoltano la parola e l'accolgono subito con gioia, ma non hanno radici in sé e sono incostanti. Quando viene la tribolazione o la persecuzione a causa della Parola, esse cadono subito (cfr Mt 13,20-21). Quanta psicologia in questo paragone di Cristo! Conosciamo bene, in noi e attorno a noi, l'incostanza di persone sprovviste di radici che possono far crescere la parola! Il terzo caso è quello della semente caduta tra i rovi. Cristo spiega che si riferisce alle persone che ascoltano le parole ma che, a causa delle loro preoccupazioni mondane e del loro attaccamento alle ricchezze, soffocano la parola che così non può dare frutto (cfr Mt 13,22).

Infine, la semente caduta su terreno fertile rappresenta quanti ascoltano la parola e la comprendono, e la parola in essi porta frutto (cfr Mt 13,23). Tutta questa magnifica parabola ci parla oggi, come parlava agli ascoltatori di Gesù duemila anni fa. Durante questo incontro mondiale della gioventù, diventiamo terra fertile che riceve la semente del Vangelo e porta frutto!

4. Coscienti di quanto sia timido l'animo umano nell'accogliere la Parola di Dio, eleviamo allo Spirito l'ardente preghiera liturgica:

Veni Creator Spiritus
Mentes tuorum visita,
Imple superna gratia,
Quae tu creasti pectora.

Vieni, o Spirito creatore,
Visita le nostre menti,
Riempi della tua grazia
I cuori che hai creato.

Con tale preghiera, noi apriamo il cuore, supplicando lo Spirito di riempirlo di luce e di vita.

Spirito di Dio, rendici disponibili alla tua visita, fa crescere in noi la fede nella Parola che salva. Sii la sorgente viva della speranza che germoglia nelle nostre vite. Sii in noi il soffio d'amore che ci trasforma e il fuoco di carità che ci sospinge a dare noi stessi mediante il servizio ai fratelli.

Tu che il Padre ci ha inviato, insegnaci ogni cosa e facci gustare la ricchezza della parola di Cristo. Rafforza in noi l'uomo interiore, facci passare dal timore alla fiducia, così che sgorghi in noi la lode della tua gloria.

Sii la luce che viene a colmare il cuore degli uomini e a dar loro il coraggio di cercarti incessantemente. Tu, Spirito di Verità, introduci ciascuno di noi nella verità tutta intera perché proclamiamo con fermezza il mistero del Dio vivo che agisce nella nostra storia. Rischiaraci il senso ultimo della storia.

Allontana da noi le infedeltà che ci separano da te, togli in noi il risentimento e la divisione, fa crescere in noi uno spirito di fraternità e di unità affinché sappiamo costruire la città degli uomini nella pace e nella solidarietà che viene da Dio.

Facci scoprire che l'amore si trova nell'intimo della vita divina e che siamo chiamati a parteciparvi. Insegnaci ad amarci gli uni gli altri come il Padre ci ha amati donandoci il suo Figlio (cfr Jn 3,16).

Tutti i popoli conoscano Te, o Dio, Padre di tutti gli uomini che il Figlio è venuto a rivelare, Te che ci hai mandato il tuo Spirito per comunicarci i frutti della Redenzione!

5. Saluto cordialmente questa mattina i responsabili del Pontificio Consiglio per i Laici, organizzatori del Forum internazionale dei Giovani, che vi ha radunati per questo tempo di preghiera e di riflessione. Ringrazio quanti hanno assicurato il buon svolgimento di tale incontro, particolarmente i responsabili della Scuola politecnica che l'hanno accolto con generosità e disponibilità.

Cari amici, ieri nella cattedrale di Notre-Dame di Parigi, ho beatificato Federico Ozanam, un laico, un giovane come voi; lo ricordo volentieri in questa chiesa di santo Stefano del Monte, poiché è in questo luogo che ha svolto le sue prime attività con altri giovani a favore dei poveri del quartiere. Illuminato dallo Spirito di Cristo e fedele alla meditazione quotidiana della Parola, il Beato Federico vi propone un ideale di santità per oggi, quello del dono di sé al servizio dei più bisognosi della società. Auspico che nel ricordo di questa 12ª Giornata Mondiale della Gioventù egli rimanga per voi un amico e un modello nella vostra testimonianza di giovani cristiani!

6. Lungo i giorni così densi che avete vissuto, voi pure siete andati incontro a Cristo e avete lasciato penetrare in voi la Parola, affinché essa germogli e porti frutto. Facendo un'esperienza eccezionale dell'universalità della Chiesa e del patrimonio comune di discepoli di Cristo, avete reso grazie per le meraviglie che Dio compie nel cuore dell'umanità. Avete anche condiviso le sofferenze, le angosce, le speranze e le invocazioni degli uomini d'oggi.

Questa mattina, lo Spirito Santo vi invia, come una «lettera di Cristo» per proclamare in ciascuno dei vostri Paesi le opere di Dio e per essere testimoni ardenti del Vangelo di Cristo tra gli uomini di buona volontà, fino agli estremi confini della terra. La missione che vi è stata affidata esige che, nel corso della vostra vita, vi prendiate il tempo necessario alla formazione spirituale e dottrinale, così da approfondire la fede e diventare a vostra volta formatori. Così risponderete alla chiamata "a crescere, a maturare in continuità, a portare sempre più frutto" (Christifideles laici CL 57).

Che il tempo di rinnovamento spirituale vissuto insieme vi impegni ad avanzare con tutti i fratelli cristiani nella ricerca dell'unità voluta da Cristo. Vi conduca, con carità fraterna, ad incontrare uomini e donne di altre convinzioni religiose o intellettuali per la conoscenza autentica e il mutuo rispetto che fanno crescere in umanità. Lo Spirito di Dio vi invia, perché diveniate con tutti i fratelli e le sorelle del mondo, costruttori di una civiltà riconciliata, fondata sull'amore fraterno. All'approssimarsi del terzo millennio, vi invito ad essere molto attenti alla voce e ai segni della presenza e dell'azione dello Spirito Santo nella Chiesa e nel mondo. Contemplando e imitando la Vergine Maria, modello di fede vissuta, sarete allora veri discepoli di Cristo, il suo divin Figlio, che fonda la speranza sorgente di vita. Carissimi giovani, la Chiesa ha bisogno di voi, ha bisogno del vostro impegno al servizio del Vangelo. Anche il Papa conta su di voi. Accogliete il fuoco dello Spirito del Signore per diventare araldi ardenti della Buona Novella!
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GPII Omelie 1996-2005 101