GPII Omelie 1996-2005 106

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VIAGGIO APOSTOLICO A PARIGI, IN OCCASIONE DELLA

XII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ (21-24 AGOSTO 1997)

CELEBRAZIONE EUCARISTICA PER LA

XII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ




Ippodromo di Longchamp - Domenica, 24 Agosto 1997



1. «Maestro, dove abiti?» (Jn 1,38).

Questa domanda fu posta un giorno a Gesù di Nazaret da due giovani. Accadde sulle rive del Giordano. Gesù vi si era recato per ricevere il battesimo di Giovanni; ma il Battista, al vedere Gesù che gli veniva incontro, disse: «Ecco l'Agnello di Dio» (Jn 1,36). Queste parole profetiche indicavano il Redentore, colui che avrebbe dato la vita per la salvezza del mondo. Così, fin dal battesimo nel Giordano, Giovanni designava il Crocifisso. Furono precisamente due discepoli di Giovanni Battista che, udendo queste parole, seguirono Gesù: non è questo forse denso di significato? Quando Gesù chiese loro: «Cosa cercate?» (Jn 1,38), essi risposero a loro volta con una domanda: «Rabbi (che significa maestro) dove abiti?» (Ibid.) Gesù rispose loro: «"Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui» (Jn 1,39). Divennero i primi discepoli di Gesù. Uno dei due era Andrea, che condusse a Gesù anche suo fratello Simon Pietro.

Cari amici, sono lieto di poter meditare questo Vangelo con voi, insieme con i Cardinali e i Vescovi che mi stanno intorno. Sono lieto di salutare in particolare il Cardinale Eduardo Pironio che ha molto lavorato per le Giornate mondiali. La mia gratitudine va al Cardinale Jean-Marie Lustiger, per la sua accoglienza, a Mons. Michel Dubost, ai Vescovi di Francia e a quelli di numerosi Paesi del mondo che vi accompagnano e che hanno arricchito le vostre riflessioni. Saluto pure cordialmente i sacerdoti concelebranti, i religiosi, le religiose, tutti i responsabili dei vostri movimenti e dei gruppi diocesani.

Ringrazio per la loro presenza i nostri fratelli cristiani di altre comunità, come pure le personalità civili che hanno voluto associarsi a questa celebrazione liturgica.

Nel salutarvi tutti nuovamente, desidero in particolare dare il mio incoraggiamento affettuoso a quanti di voi sono portatori di handicap; siamo loro riconoscenti per essere venuti e per averci dato la loro testimonianza di fede e di speranza. Porto ugualmente nella preghiera tutti i malati, assistiti sia in ospedale o nella propria casa.

A nome di voi tutti, vorrei esprimere la nostra riconoscenza pure ai numerosi volontari che assicurano con abnegazione e competenza l'organizzazione del vostro raduno.

2. Il breve frammento del vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato dice l'essenziale del programma della Giornata Mondiale della Gioventù: uno scambio di domande, e poi una risposta che è una chiamata. Nel presentare questo incontro con Gesù, la liturgia vuol mostrare oggi ciò che conta maggiormente nella vostra vita. Ed io, Successore di Pietro, sono venuto per chiedervi di porvi, anche voi, questa domanda a Gesù: «Dove abiti?». Se rivolgete a lui con sincerità tale questione, potrete udire la sua risposta e ricevere da lui il coraggio e la forza per seguirlo.

La domanda è frutto di una ricerca. L'uomo cerca Dio. Il giovane comprende nel profondo di se stesso che tale ricerca è la legge interiore della sua esistenza. L'essere umano cerca la sua via nel mondo visibile; e, attraverso il mondo visibile, cerca l'invisibile lungo il suo viaggio spirituale. Ognuno di noi può ripetere le parole del Salmista: «Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto» (Sal 27/26, 8-9). Ognuno di noi ha la propria storia personale e porta in se stesso il desiderio di vedere Dio, un desiderio che si prova nel momento stesso che si scopre il mondo creato. Questo mondo è meraviglioso e ricco, dispiega davanti all'umanità le sue innumerevoli ricchezze, seduce, attira la ragione tanto quanto la volontà. Ma, in fin dei conti, non riempie lo spirito. L'uomo si rende conto che questo mondo, nella diversità delle sue ricchezze, è superficiale e precario; in un certo senso, è destinato alla morte. Oggi prendiamo ancor più coscienza della fragilità della nostra terra, troppo di sovente degradata dalla mano stessa dell'uomo al quale il Creatore l'ha affidata.

Quanto allo stesso uomo, egli viene al mondo, nasce dal grembo materno, cresce e matura; scopre la sua vocazione e sviluppa la sua personalità nel corso degli anni di attività; poi si avvicina il momento in cui deve lasciare questo mondo. Più lunga è la sua vita, più l'uomo percepisce la propria precarietà, e più si pone la domanda dell'immortalità: cosa c'è al di là delle frontiere della morte?, Allora, nel profondo dell'essere, sorge la domanda posta a Colui che ha vinto la morte: «Maestro, dove abiti?». Maestro, tu che ami e rispetti la persona umana, tu che hai condiviso la sofferenza dell'uomo, tu che rischiari il mistero dell'umana esistenza, facci scoprire il senso vero della nostra vita e della nostra vocazione! «Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto» (Sal 27/26, 8-9).

3. Ai bordi del Giordano, e anche in seguito, i discepoli non sapevano chi era veramente Gesù. Avranno bisogno di molto tempo per capire il mistero del Figlio di Dio. Pure noi portiamo in noi stessi il desiderio di conoscere Colui che rivela il volto di Dio. Cristo risponde alla domanda dei discepoli mediante tutta la sua missione messianica. Insegnava; per confermare la verità di quanto proclamava, compiva grandi prodigi, guariva i malati, risuscitava i morti, calmava le tempeste del mare. Ma questo intero percorso fuori del comune giunse alla sua pienezza sul Golgota. E' contemplandolo sulla croce, con lo sguardo della fede, che è possibile "vedere" chi è Cristo Salvatore, lui che si è caricato delle nostre sofferenze, il giusto che ha fatto della sua vita un sacrificio per la giustificazione di molti (cfr Is 53,4 Is 53,10-11).

San Paolo riassume la sapienza suprema nella seconda lettura odierna, con parole davvero impressionanti: «La parola della croce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: "Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l'intelligenza degli intelligenti". [. . .] Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione[. . .]. Noi predichiamo Cristo crocifisso» (1Co 18-19 1Co 21-23). L'Apostolo parlava alle genti del suo tempo, ai figli d'Israele che avevano ricevuto la rivelazione di Dio sul monte Sinai e ai Greci che elaboravano un'alta sapienza umana, una grande filosofia. Ma ormai, la fine e il vertice della sapienza è Cristo crocifisso, non soltanto a causa della sua parola, ma perché ha dato se stesso per la salvezza dell'umanità.

Con il suo ardore eccezionale, san Paolo ripete: « Noi predichiamo Cristo crocifisso». Colui che, agli occhi degli uomini, sembra non essere altro che debolezza e follia, noi lo predichiamo essere Potenza e Sapienza, pienezza della Verità. E' vero che in noi la fiducia ha degli alti e bassi. E' vero che lo sguardo della fede è spesso oscurato dal dubbio e dalla nostra stessa fragilità. Umili e poveri peccatori, accettiamo il messaggio della Croce. Per rispondere alla domanda: «Maestro, dove abiti?», Cristo ci lancia un appello: venite e vedrete; nella Croce vedrete il segno luminoso della redenzione del mondo, la presenza amorevole del Dio vivente. Proprio perché hanno compreso che la Croce domina la storia, i cristiani hanno posto il crocifisso nelle chiese e ai bordi delle strade, o la portano sul loro cuore. Poiché la Croce è un segno vero della presenza del Figlio di Dio; attraverso questo segno si rivela il Redentore del mondo.

4. «Maestro, dove abiti?». La Chiesa risponde ogni giorno: Cristo è presente nell'Eucaristia, il sacramento della sua morte e risurrezione. In essa e attraverso di essa riconoscete la dimora del Dio vivente nella storia dell'uomo. Poiché l'Eucaristia è il sacramento dell'amore vincitore della morte; è il sacramento dell'Alleanza, puro dono d'amore per la riconciliazione degli uomini; è il dono della presenza reale di Gesù, il Redentore, nel pane che è il suo Corpo immolato, nel vino che è il suo Sangue versato per tutti. Mediante l'Eucaristia, incessantemente rinnovata in tutti i popoli del mondo, Cristo costituisce la sua Chiesa: ci unisce nella lode e nell'azione di grazie per la salvezza, nella comunione che solo l'amore infinito può suggellare. Il nostro raduno mondiale prende così ora tutto il suo significato, attraverso la celebrazione della Messa. Giovani, miei amici, la vostra presenza sia una reale adesione di fede! Ecco che Cristo risponde alla vostra domanda e, al tempo stesso, alle domande di tutti gli uomini che cercano il Dio vivente. Risponde con il suo invito: questo è il mio Corpo, mangiatene tutti. Egli affida al Padre il desiderio supremo dell'unità nella stessa comunione di tutti quelli che egli ama.

5. La risposta alla domanda: «Maestro, dove abiti?» comporta dunque numerose dimensioni. Essa ha una dimensione storica, pasquale e sacramentale. La prima lettura di oggi suggerisce ancora un'altra dimensione della risposta alla domanda-tema della Giornata Mondiale della Gioventù: Cristo abita nel suo Popolo. E' il popolo di cui parla il Deuteronomio, in rapporto con la storia d'Israele: «Perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha riscattati liberandovi dalla condizione servile [. . .]. Riconoscete dunque che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele, che mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni» (Dt 7,8-9). Israele è il Popolo che Dio si è scelto, con il quale ha stretto un'Alleanza.

Nella Nuova Alleanza, l'elezione di Dio si estende a tutti i popolo della terra. In Cristo Gesù, Dio ha scelto l'umanità intera. Ha rivelato l'universalità dell'elezione mediante la redenzione. In Cristo, non c'è più né Giudeo né Greco, né schiavo né libero, ma tutti sono uno (cfr Ga 3,28). Tutti sono stati chiamati a partecipare alla vita di Dio, grazie alla morte e alla risurrezione di Cristo. Il nostro incontro, in questa Giornata Mondiale della Gioventù, non mette in luce forse questa verità? Voi tutti, qui radunati, venuti da tanti Paesi e continenti, siete i testimoni della vocazione universale del Popolo di Dio redento da Cristo! L'ultima risposta alla domanda: «Maestro, dove abiti?» deve dunque intendersi così: abito in tutti gli esseri umani salvati.

Sì, Cristo abita il suo Popolo, che ha affondato le sue radici in tutti i popoli della terra, il popolo che segue Lui, il Signore crocifisso e risorto, il Redentore del mondo, il Maestro che ha parole di vita eterna, lui «il Capo del nuovo ed universale Popolo dei figli di Dio» (Lumen gentium LG 13).

Il Concilio Vaticano II lo ha detto in maniera mirabile: è lui che «ci ha dato del suo Spirito, il quale, unico e identico nel capo e nelle membra, dà a tutto il corpo la vita, l'unità e il movimento» (id., n. 7). Grazie alla Chiesa che ci fa partecipare alla vita stessa del Signore, tutti possiamo riprendere le parole di Pietro a Gesù: da chi andremo? Da chi altri andremo? (cfr Jn 6,68).

6. Cari giovani, il vostro cammino non si ferma qui. Il tempo non si ferma oggi. Andate sulle strade del mondo, sulle strade dell'umanità, restando uniti nella Chiesa di Cristo!

Continuate a contemplare la gloria di Dio, l'amore di Dio; e sarete illuminati per costruire la civiltà dell'amore, per aiutare l'uomo a vedere il mondo trasfigurato dalla sapienza e dall'amore eterni.

Perdonati e riconciliati, siate fedeli al vostro Battesimo! Testimoniate il Vangelo! Membri della Chiesa, attivi e responsabili, siate testimoni di Cristo che rivela il Padre, rimanete nell'unità dello Spirito che dona la vita!
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VISITA PASTORALE A BOLOGNA, IN OCCASIONE DEL

XXIII CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE (27-28 SETTEMBRE 1997)

CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI E

BEATIFICAZIONE DI BARTOLOMEO MARIA DAL MONTE




Piazza Maggiore (Bologna) - Sabato, 27 settembre 1997



1. "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro" (Col 1,2).

Il saluto dell'Apostolo, che abbiamo appena ascoltato nella "Lettura breve" di questi primi Vespri della Domenica, introduce ad una prospettiva di speranza: quella - dice san Paolo - "che vi attende nei cieli". "Di questa speranza - egli aggiunge - voi avete già udito l'annunzio dalla parola di verità del Vangelo il quale è giunto a voi" (Col 1,5-6).

Carissimi Fratelli e Sorelle! E' questo il giorno della beatificazione del sacerdote Bartolomeo Maria Dal Monte.Tutta la Chiesa, e in particolare la Comunità cristiana di Bologna che lo ebbe per figlio, si rallegra perché oggi il suo nome è iscritto in modo solenne nel "libro della vita" (Ap 21,27).

Il nuovo Beato spese la sua non lunga esistenza terrena nell'annuncio della "parola di verità del Vangelo" (Col 1,5). Il Signore si servì di lui e della sua fedeltà per far giungere quella parola integra, viva e vivificante a tante persone in ricerca. Si compiva così, anche attraverso la sua persona, la promessa di Gesù: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo" (Mt 28,20).

2. Don Bartolomeo Maria Dal Monte, carissimi Bolognesi, è l'ultima gemma venuta ad impreziosire il santorale della vostra Arcidiocesi. Un libro già ricco di testimoni esemplari del Vangelo: Apollinare, Zama, Vitale, Agricola, Procolo, Felice, Petronio, Lucia da Settefonti, Guarino, Domenico, Diana, Cecilia, Amata, Imelda Lambertini, Nicolò Albergati, Caterina de' Vigri, Marco da Bologna, Lodovico Morbioli, Giacomo da Ulma, Arcangelo Canetoli, Elena Duglioli, Clelia Barbieri, Elia Facchini, e tanti altri ancora.

Un libro di santi e beati, nel quale si trova tracciata l'identità più vera della Bologna cristiana, come anche di questa vostra terra ricca di arte e di cultura. Un libro che tutti dovrebbero tenere prezioso: quelli che credono come quelli che non credono. Un libro da amare, come appunto si ama la propria identità più autentica.

Il volto di Bologna è anche quello dei suoi santi, che hanno ispirato alla verità ed alla carità del Vangelo la loro parola e la loro azione tra gli uomini e le donne di questa città, plasmandone la fisionomia originale e ancor oggi viva.

Rendiamo grazie al Signore questa sera, nel contesto del Congresso Eucaristico Nazionale, perché Bologna può presentarsi all'appuntamento del terzo millennio con questa sua fisionomia caratteristica: un volto umano e cristiano, che le consente di affrontare con serena fiducia le difficili sfide del nostro tempo. Essa sa di poter contare sui suoi santi che con la "parola di verità" e con l'esuberanza della loro carità, tanto più efficace quanto più nascosta, le hanno consentito di superare i momenti più difficili della sua storia.

3. Preziosa agli occhi di Dio, la santità non è inutile al mondo. Essa non solo edifica il corpo di Cristo, ma lascia incancellabile traccia nel succedersi degli avvenimenti del tempo e nell'articolato comporsi della stessa società.

L'attività terrena di Bartolomeo Maria Dal Monte, pur connotata da un impegno tipicamente intraecclesiale quale la predicazione missionaria al popolo e la formazione dei sacerdoti, ha esercitato un influsso non piccolo sullo stesso tessuto civile della nazione, contribuendo efficacemente a promuovere in esso le componenti della giustizia, della concordia, della pace. E' anche attraverso l'opera di missionari in terra patria, come il novello Beato, che il popolo italiano ha potuto conservare, nel corso dei secoli, quel patrimonio di valori umani e cristiani che rappresenta il suo tesoro più prezioso e costituisce l'apporto più significativo che esso può offrire alla costruzione della nuova Europa.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle, la beatificazione di Bartolomeo Maria Dal Monte si inserisce in modo provvidenziale nelle celebrazioni del Congresso Eucaristico, perché pone in pieno risalto il legame esistente tra una consapevole e vissuta spiritualità eucaristica e l'impegno personale ed ecclesiale nell'evangelizzazione.

Nell'Italia del XVIII secolo, a situazioni di dilagante ignoranza religiosa e a fenomeni di preoccupante scristianizzazione, che contagiavano città e campagne, fecero fronte in modo sorprendente quei santi sacerdoti che si dedicarono generosamente alle missioni al popolo. Tra di essi vi fu anche san Leonardo da Porto Maurizio, il quale conobbe personalmente don Bartolomeo Maria e lo incoraggiò ad intraprendere questa attività pastorale.

La fama dell'efficacia delle missioni al popolo e della santità e generosità di don Bartolomeo si diffuse così rapidamente che a stento egli riusciva ad esaudire tutte le richieste. Alla sua morte, all'età di soli 52 anni, aveva predicato missioni al popolo e corsi di esercizi spirituali in più di 60 diocesi italiane.

In tempi in cui la formazione al sacerdozio non conosceva l'attuale lungo percorso del seminario, don Bartolomeo Maria intuì l'esigenza di preti diocesani che, in piena comunione con il proprio Vescovo, fossero totalmente disponibili per la predicazione. Per prepararli in modo adeguato istituì la "Pia Opera delle Missioni", che divenne una vera e propria fucina di apostoli. Era convinto che non si poteva essere degli autodidatti nella difficile via della santità. Per questo si preoccupò di disporre adeguate strutture formative per i suoi collaboratori, dedicando loro interessanti scritti spirituali redatti di suo pugno.

5. Ma donde traeva don Bartolomeo Maria tanto slancio e vigore per un così eccezionale ministero? La Santa Messa, l'adorazione eucaristica e la confessione sacramentale erano al centro della sua vita, della sua azione missionaria e della sua spiritualità. Di questa pietà eucaristica troviamo tracce frequenti nei suoi scritti, dai quali traspare l'assillo quotidiano per la salvezza delle anime, priorità del suo impegno ascetico e pastorale.

L'intera sua esistenza fu plasmata sul ministero di Cristo, intransigente nel proclamare la Verità e nello stigmatizzare il vizio, ma accogliente e misericordioso verso i peccatori. Egli divenne, così, icona vivente di Colui che è "ricco di misericordia" (Ep 2,4).

Il nuovo Beato amava inoltre con interiore trasporto la Vergine Madre di Dio. Nato e cresciuto nella città che s'onora della particolare protezione della Madonna di san Luca, don Bartolomeo Maria provava per Lei una tenera devozione. La venerava e faceva invocare col titolo di "Mater Misericordiae - Madre della Misericordia". Amava ripetere: "Ogni pensiero, ogni moto, ogni parola: sì, tutto io ebbi per Maria".

6. Il beato Dal Monte rifulge questa sera davanti a noi come testimone di Cristo particolarmente sensibile alle esigenze dei tempi moderni. Egli incoraggia tutti ad affrontare con ardore e fiducia le sfide della nuova evangelizzazione. Un vasto campo di lavoro missionario è dinanzi a noi, alle soglie del terzo millennio cristiano.

Possa l'esempio del nuovo Beato sostenere ed incoraggiare tutti voi, carissimi Fratelli e Sorelle qui presenti, che saluto con affetto. Sia modello per te, venerato Cardinale Giacomo Biffi, Pastore di questa comunità diocesana; lo sia per tutti voi, carissimi Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, provenienti dalla città di Bologna e dall'intera Italia. Il suo instancabile zelo apostolico sia di incoraggiamento e sostegno per voi, religiosi e religiose, persone consacrate, chiamate ad una peculiare testimonianza nella Chiesa di Cristo; lo sia per voi, cari giovani, speranza di un mondo rinnovato dall'amore; per voi, care famiglie, piccole chiese domestiche; per voi, cari ammalati, associati in maniera più intensa alle sofferenze di Cristo.

La nuova evangelizzazione è compito di ogni credente. Siatene consapevoli voi tutti, raccolti in questo vespro della XXVI domenica del tempo ordinario. Iddio ci chiama a custodire la "parola di verità del Vangelo" (Col 1,5). Il fervore missionario che ha consumato la vita del Beato Bartolomeo Maria Dal Monte è il modello che oggi la Chiesa consegna ai suoi figli.

Ci aiuti ad esserne umili, fedeli e coraggiosi imitatori la sua intercessione, insieme con quella di Maria Santissima, qui specialmente venerata nella immagine della Madonna di san Luca, la "Odigitria", colei che indica la via.

La "via" è Gesù. Su questa via vogliamo camminare senza titubanze fino all'incontro definitivo con Lui. Amen!


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VISITA PASTORALE A BOLOGNA, IN OCCASIONE DEL

XXIII CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE (27-28 SETTEMBRE 1997)

SANTA MESSA PER LA CHIUSURA

DEL XXIII CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE




Centro Agroalimentare (Bologna) - 28 settembre 1997



1. "Dov'è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?" (Mc 14,14).

Così domanda Gesù il Giovedì Santo a Gerusalemme. Trovato il luogo ove consumare la cena pasquale, i discepoli vanno e preparano tutto come ha disposto il Maestro e lì, in quella stanza privilegiata, ha luogo l'Ultima Cena, la cena pasquale, durante la quale Cristo istituisce l'Eucaristia, il sommo sacramento della Nuova Alleanza.

Preso del pane, lo benedice e lo dona ai discepoli dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". Fa poi lo stesso con il calice del vino: dopo averlo benedetto, lo dà ai discepoli dicendo: "Prendete e bevetene. Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza, versato per molti, fate questo in memoria di me" (cfr Mc 14,22-24).

Entriamo quest'oggi idealmente a Gerusalemme, nella stanza veneranda dove ebbe luogo l'Ultima Cena ed avvenne l'istituzione dell'Eucaristia. Entriamo, al tempo stesso, in tanti altri luoghi di ogni parte della terra, in innumerevoli altri "cenacoli". Nel corso della storia, durante i periodi di persecuzione, è stato a volte necessario allestire tali stanze nelle catacombe. Anche oggi, purtroppo, non mancano situazioni in cui i cristiani devono celebrare l'Eucaristia di nascosto, come ai tempi delle catacombe. Ma ovunque si celebra la Cena, nelle stupende cattedrali ricche di storia o nelle piccole cappelle dei paesi di missione, sempre si ricompone il Cenacolo di Gerusalemme.

2. Sono numerosissimi i luoghi in cui si rinnova la Cena pasquale, specialmente in questa nostra Italia. In maniera simbolica oggi bisognerebbe far qui convenire tutte le "stanze eucaristiche" di questa terra dalle antiche tradizioni cristiane. Questo è, infatti, il senso del Congresso Eucaristico Nazionale, che costituisce, nella meravigliosa coreografia di questa celebrazione, una speciale "stanza pasquale", un nuovo "Cenacolo", dove si rende presente in modo solenne il grande Mistero della fede. Viene celebrata l'Eucaristia della Chiesa come dono e mistero, viene elevata al cielo la grande preghiera di ringraziamento del popolo italiano, che da quasi duemila anni partecipa al banchetto eucaristico.

Penso qui agli inizi della Chiesa, agli apostoli Pietro e Paolo, ai martiri dei primi secoli e, dopo l'editto di Costantino, all'epoca dei santi Padri, dei Dottori, dei Fondatori di Ordini e Congregazioni religiose sino ai nostri tempi. Incessante è il memoriale della grande Eucaristia, che racchiude il rendimento di grazie della storia, perché Cristo "con la sua santa Croce ha redento il mondo".

Per il popolo italiano questo Congresso è l'ultimo del secolo: un secolo che ha visto consumarsi su scala planetaria gravi attentati all'uomo nella verità del suo essere. In nome di ideologie totalitarie e menzognere, questo secolo ha sacrificato milioni di vite umane. In nome dell'arbitrio, chiamato libertà, si continuano a sopprimere esseri umani non nati e innocenti. In nome di un benessere che non sa mantenere le prospettive di felicità che promette, molti hanno pensato che fosse possibile fare a meno di Dio. Secolo segnato, dunque, da ombre oscure, ma anche secolo che ha conservato la fede trasmessa dagli Apostoli, impreziosendola col fulgore della santità.

Nel pellegrinaggio spirituale che ci conduce al Grande Giubileo dell'anno 2000, questo Congresso Eucaristico costituisce una tappa importante per le Chiese che sono in Italia. Lo attesta anche il grande numero di Vescovi che oggi sono qui a celebrare con me l'Eucaristia e i tanti fedeli giunti da ogni parte del Paese. A ciascuno di loro rivolgo il mio cordiale saluto. In particolare al Venerato Fratello, il Signor Cardinale Giacomo Biffi, Arcivescovo di Bologna che mi accoglie per questa straordinaria circostanza; al Cardinale Camillo Ruini, mio Legato a questo Congresso. Saluto inoltre i numerosi Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose presenti. Un cordiale pensiero rivolgo ai giovani con i quali ieri sera mi sono intrattenuto, alle famiglie ed ai malati, uniti in special modo al mistero eucaristico mediante la loro sofferenza fisica e morale. Saluto il Presidente del Consiglio dei Ministri, Onorevole Romano Prodi, e le altre Autorità civili e militari che hanno voluto unirsi alla nostra celebrazione.

Raccolti tutti insieme in questa assemblea liturgica, che rappresenta l'intera Comunità cristiana d'Italia, acclamiamo: "Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta".

3. "Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto" (Dt 8,2).

Nella prima Lettura, l'odierna Liturgia fa riferimento alla storia d'Israele, popolo eletto, che Dio ha fatto uscire dall'Egitto, dalla condizione servile, e per quarant'anni ha guidato nel deserto verso la terra promessa. Quel cammino di quarant'anni non è soltanto un dato storico; è anche un grande simbolo, dal significato in qualche modo universale. Tutta l'umanità, tutti i popoli e le nazioni sono in cammino, come Israele, nel deserto di questo mondo. Certo, ogni regione del pianeta ha sue caratteristiche di cultura e di civiltà, che la rendono interessante e gradevole. Ciò non toglie che ogni terra resti sempre, da un punto di vista più profondo, un deserto attraverso il quale l'uomo avanza verso la patria promessa, verso la casa del Padre.

In questo pellegrinaggio la guida è Cristo crocifisso e risorto che, mediante la sua morte e la sua risurrezione, conferma costantemente l'orientamento ultimo del cammino umano nella storia. Di per sé, il deserto di questo mondo è luogo di morte: l'essere umano vi nasce, vi cresce e vi muore. Quante generazioni, nel corso dei secoli, hanno trovato la morte in questo deserto! L'unica eccezione è Cristo. Solo Lui ha vinto la morte e ha rivelato la vita. Solo grazie a Lui coloro che sono morti potranno risorgere, perché Lui soltanto può introdurre l'uomo, attraverso il deserto del tempo, nella terra promessa dell'eternità. Lo ha già fatto con sua Madre; lo farà con tutti coloro che credono in Lui e fanno parte del nuovo Popolo in cammino verso la Patria del Cielo.

4. Durante i quarant'anni trascorsi nel deserto, al popolo fu necessaria la manna per sopravvivere. Il deserto, infatti, non poteva essere coltivato e, pertanto, non poteva sfamare il popolo in cammino: occorreva la manna, pane che scendeva dal cielo. Cristo, nuovo Mosè, nutre il Popolo della Nuova Alleanza con una manna del tutto particolare. Il suo Corpo è il vero cibo sotto la specie del pane; il suo Sangue è la vera bevanda sotto la specie del vino. Siamo mantenuti in vita da questo cibo e da questa bevanda eucaristici.

Nel mistero del Sangue ci introduce la seconda Lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei. L'Apostolo scrive: "Cristo, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri . . . entrò una volta per sempre nel santuario . . . con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna . . . Per questo egli è mediatore di una nuova alleanza, perché, essendo ormai intervenuta la sua morte in redenzione delle colpe commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l'eredità eterna che è stata promessa" (He 9,11-12 He 9,15).

L'Apostolo riserva un posto particolare al mistero del Sangue di Cristo, di cui un canto eucaristico proclama: "Sangue santissimo, Sangue della redenzione, tu curi le ferite del peccato". Verità, questa, precisamente enunciata dall'Autore ispirato: ". . . il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte" (He 9,14).

5. Si tratta di due significati dell'Eucaristia, che vanno congiunti in modo stretto e peculiare nella nostra riflessione odierna. L'Eucaristia è nutrimento, è cibo e bevanda. Al tempo stesso l'Eucaristia, in quanto "Corpo dato" e "Sangue versato", è fonte della nostra purificazione. Mediante l'Eucaristia Gesù Cristo, Redentore dell'uomo, unico Salvatore del mondo, rimane non soltanto tra noi, ma anche dentro di noi. Con la sua grazia Egli rimane in noi "ieri, oggi e sempre" (He 13,8).

Questo Congresso Eucaristico vuole esprimere tutto ciò in modo corale e significativo per la gloria di Dio, per il rinnovamento delle coscienze degli uomini, per il conforto del Popolo di Dio. Esso vuole far risaltare che l'Eucaristia è il dono supremo di Dio all'uomo.Come tale, essa è l'archetipo di ogni vero dono dell'uomo all'uomo, il fondamento di ogni autentica solidarietà.

A conclusione del Congresso, così ben preparato dalla Chiesa che lo ha ospitato e dalla città che lo ha accolto, vorrei dire a tutti i credenti di questo amato Paese: guardate con fiducia a Cristo, rinnovate il vostro amore per Lui, presente nel Sacramento eucaristico! Egli è l'Ospite divino dell'anima, il sostegno per ogni debolezza, la forza per ogni prova, la consolazione di ogni dolore, il Pane della vita, il supremo destino di ogni essere umano.

Dall'Eucaristia scaturisce la forza per misurarsi sempre e in ogni circostanza con le esigenze della verità e col dovere della coerenza. I Congressi Eucaristici Nazionali hanno segnato una ormai lunga tradizione di servizio all'uomo; tradizione che da Bologna oggi viene consegnata alla Cristianità del terzo millennio.

Con lo sguardo fisso sull'Eucaristia, mistero centrale della nostra fede, noi imploriamo: Signore Gesù, Verbo di Dio incarnato nel seno della Vergine Maria, accompagna i passi del popolo italiano sulle strade della giustizia e della solidarietà, della riconciliazione e della pace!

Fa' che l'Italia conservi intatto quel patrimonio di valori umani e cristiani che l'ha resa grande nei secoli. Dagli innumerevoli tabernacoli che costellano il Paese si sprigioni la luce di quella verità e il calore di quell'amore in cui sta la speranza del futuro per questo, come per ogni altro popolo della terra.

Amen!


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VIAGGIO APOSTOLICO A RIO DE JANEIRO, IN OCCASIONE DEL

II INCONTRO MONDIALE CON LE FAMIGLIE (2-6 OTTOBRE 1997)

SANTA MESSA A CONCLUSIONE DEL CONGRESSO

TEOLOGICO PASTORALE DEDICATO ALLA FAMIGLIA




Cattedrale di São Sebastião (Rio de Janeiro ) - Sabato, 4 ottobre 1997



Sia lodato Gesù Cristo!

«Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea» (Jn 2,1).

1. Oggi la liturgia ci conduce a Cana di Galilea. Ancora una volta prendiamo parte alle nozze che lì si celebrano, e alle quali venne invitato Gesù, insieme a sua madre e ai discepoli. Questo dettaglio fa pensare che il banchetto nuziale ebbe luogo in casa di conoscenti di Gesù, poiché anch'Egli crebbe in Galilea. Umanamente parlando, chi avrebbe potuto prevedere che una tale occasione avrebbe, in un certo senso, rappresentato l'inizio della sua attività messianica? Eppure è così. Fu lì, infatti, a Cana, che Gesù, sollecitato da sua madre, compì il primo miracolo, trasformando l'acqua in vino.

L'evangelista Giovanni, testimone oculare dell'evento, ha descritto dettagliatamente lo svolgersi dei fatti. Nella sua descrizione tutto appare pieno di profondo significato. E, dato che siamo qui riuniti per partecipare all'Incontro Mondiale delle Famiglie, dobbiamo scoprire poco a poco questi significati. Il miracolo operato a Cana di Galilea, come altri miracoli di Gesù, costituisce un segnale: mostra l'azione di Dio nella vita dell'uomo. È necessario meditare su questa azione, per scoprire il senso più profondo di ciò che lì avvenne.

Il banchetto nuziale di Cana ci porta a riflettere sul matrimonio, nel mistero del quale è inclusa la presenza di Cristo. Non è forse legittimo vedere nella presenza del Figlio di Dio in quella festa di nozze, un indizio del fatto che il matrimonio dovrebbe essere un segno efficace della sua presenza?

2. Con lo sguardo rivolto alle nozze di Cana e a quegli invitati, mi rivolgo a voi, rappresentanti dei grandi popoli dell'America Latina e del resto del mondo, durante il Santo Sacrificio della Messa celebrata insieme a voi, Vescovi e sacerdoti, accompagnati dalla presenza dei religiosi, dei rappresentanti del Congresso Teologico Pastorale, in questo Secondo Incontro Mondiale della Famiglia, e dai fedeli che sono giunti in questa Cattedrale Metropolitana di São Sebastião di Rio de Janeiro.

Desidero anzitutto salutare il Venerato Fratello, Cardinale Eugênio de Araújo Sales, Arcivescovo di questa tradizionale e dinamica Chiesa, che conosco e stimo da molti anni; so quanto egli sia unito alla Sede di Pietro. Che le benedizioni degli Apostoli Pietro e Paolo ricadano su questa città, sulle sue parrocchie e sulle iniziative pastorali; sui diversi centri di formazione del clero, in modo particolare sul seminario arcidiocesano di San Giuseppe, dinamico e ricco di vocazioni sacerdotali, che accoglie anche molti seminaristi di altre Diocesi; sulla Pontificia Università Cattolica; sulle numerose congregazioni religiose, gli istituti secolari e i movimenti apostolici; sull'Abbazia di Nostra Signora di Montserrat; sulle benemerite confraternite e, in generale, non potendo menzionare tutti ma non volendo escludere nessuno, sugli organismi assistenziali che tanto si prodigano per la protezione dei più bisognosi.

Saluto voi, carissimi Fratelli nell'Episcopato del Brasile e del mondo, e voi che rappresentate gli Ordinariati per i fedeli dei Riti orientali; saluto pure voi, sacerdoti, religiosi, religiose e animatori della Missione popolare dell'Arcidiocesi; e voi, delegati del Congresso Teologico Pastorale, così come i rappresentanti delle Chiese cristiane di diversa denominazione e della comunità musulmana qui presenti. Desidero salutare tutti, con l'espressione del mio profondo affetto, gli auspici di ogni bene e la mia Benedizione.

3. Torniamo spiritualmente al banchetto nuziale di Cana di Galilea, la descrizione evangelica del quale ci permette di contemplare il matrimonio nella prospettiva sacramentale. Come leggiamo nel Libro della Genesi, l'uomo lascia suo padre e sua madre, e si unisce a sua moglie per costituire, in un certo senso, con lei un corpo solo (cfr Gn 2,24). Cristo ripeterà queste parole del Vecchio Testamento parlando ai farisei, che gli facevano domande riguardo all'indissolubilità del matrimonio. Essi si riferivano alle prescrizioni della Legge di Mosè, che permettevano, in certi casi, la separazione dei coniugi, ossia il divorzio. Cristo rispose loro: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così» (Mt 19,8). E citò le parole del Libro della Genesi: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina . . . Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi» (Mt 19,4-6).

Alla base di tutto l'ordine sociale si trova quindi questo principio di unità e d'indissolubilità del matrimonio, principio su cui si fonda l'istituzione della famiglia e tutta la vita familiare. Tale principio riceve conferma e nuova forza nell'elevazione del matrimonio alla dignità di sacramento.

E quale grande dignità, carissimi fratelli e sorelle! Si tratta della partecipazione alla vita di Dio, ossia della grazia santificante e delle innumerevoli grazie che corrispondono alla vocazione al matrimonio, all'essere genitori e a quella familiare. L'evento di Cana di Galilea sembra condurci proprio a questo. La mirabile trasformazione dell'acqua in vino! Ecco che l'acqua, la nostra bevanda più comune, acquista, grazie all'azione di Cristo, un nuovo carattere: diventa vino, quindi una bevanda in un certo senso di maggior pregio. Il significato di questi simboli - dell'acqua e del vino - trova la sua espressione nella Santa Messa. Durante l'Offertorio, unendo un po' d'acqua al vino, chiediamo a Dio, mediante Cristo, di partecipare alla sua vita nel Sacrificio Eucaristico. Il matrimonio, l'essere genitori, la maternità, la paternità, la famiglia: tutto questo appartiene all'ordine della natura, da quando Dio ha creato l'uomo e la donna; e tutto questo, mediante l'azione di Cristo, viene elevato all'ordine soprannaturale. Il sacramento del matrimonio diventa il modo di partecipare alla vita di Dio. L'uomo e la donna che credono in Cristo, che si uniscono come coniugi, possono, da parte loro, confessare: i nostri corpi sono redenti, è redenta l'unione coniugale. Vengono redenti l'essere genitori, la maternità, la paternità e tutto ciò che porta con sé l'impronta della santità.

Questa verità appare in tutta la sua chiarezza quando si legge, ad esempio, la vita dei genitori di santa Teresa di Gesù Bambino; e questo è solo uno degli innumerevoli esempi. Molti conoscono i frutti dell'istituzione sacramentale del matrimonio. Con questo nostro Incontro di Rio de Janeiro, ringraziamo Dio per tutti questi frutti, per l'opera di santificazione delle coppie e delle famiglie, che dobbiamo a Cristo. Per tale ragione, la Chiesa non cessa di presentare nella sua integrità la dottrina di Cristo sul matrimonio, per ciò che riguarda la sua unità e la sua indissolubilità.

4. Nella prima lettura, dal Libro di Ester, è ricordata la salvezza della nazione grazie all'intervento di questa figlia di Israele, durante il periodo della cattività babilonese. Questo brano della Scrittura ci fa comprendere anche la vocazione al matrimonio, in modo particolare l'immenso servizio che essa rende alla vita umana, alla vita di ogni persona e di tutti i popoli della terra. «Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio . . .: al re piacerà la tua bellezza» (Ps 44 [45], 11-12). Il Papa oggi desidera dire la stessa cosa a ogni famiglia umana: «Ascolta, guarda: Dio vuole che tu sia bella, che tu viva la pienezza della dignità umana e della santità di Cristo, che tu sia al servizio dell'amore e della vita. Hai avuto inizio nel Creatore e sei stata santificata dallo Spirito Paraclito, per diventare la speranza di tutte le nazioni».

Possa questo servizio all'umanità rivelare ai coniugi che una chiara manifestazione della santità del loro matrimonio è proprio la gioia con cui accolgono e chiedono al Signore vocazioni fra i loro figli. Per questo, mi sia permesso di aggiungere che «la famiglia che è aperta ai valori trascendenti, che serve i fratelli nella gioia, che adempie con generosa fedeltà i suoi compiti ed è consapevole della sua quotidiana partecipazione al mistero della Croce gloriosa di Cristo, diventa il primo e il miglior seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio (Familiaris consortio FC 53). Sono lieto, in questa circostanza, di salutare e di benedire con paterno affetto tutte le famiglie brasiliane che hanno un figlio che si sta preparando al ministero presbiterale o alla vita religiosa, o una figlia in cammino verso la totale consacrazione di se stessa a Dio. Affido questi giovani e queste giovani alla protezione della Sacra Famiglia.

Maria Santissima, speranza dei cristiani, ci dia la forza e la sicurezza necessarie per il nostro cammino sulla terra. Per questo le chiediamo: sii Tu stessa il nostro cammino, perché Tu, o Madre Benedetta, conosci le vie e i sentieri che, per mezzo del tuo amore, conducono all'amore e alla gloria di Dio.

Sia lodato Gesù Cristo!
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GPII Omelie 1996-2005 106