GPII Omelie 1996-2005 272

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FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


Domenica, 7 gennaio 2001

Carissimi Fratelli e Sorelle!


1. L'odierna festa, che chiude il tempo natalizio, ci offre l'opportunità di recarci, come ideali pellegrini, sulle rive del Giordano per partecipare ad un misterioso evento: il Battesimo di Gesù da parte di Giovanni Battista. Abbiamo ascoltato il racconto evangelico: "Mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto»" (Lc 3,21-22).

Gesù si manifesta, dunque, come il «Cristo», il Figlio unigenito, oggetto della predilezione del Padre. E così Egli inizia la sua vita pubblica. Questa "manifestazione" del Signore fa seguito a quella della Notte Santa nell'umiltà del presepe e all'incontro di ieri con i Magi, che adorano nel Bambino il Re preannunciato dalle antiche Scritture.

2. Anche quest'anno ho la gioia di amministrare, in una così significativa circostanza, il sacramento del Battesimo ad alcuni neonati. Saluto i genitori, i padrini e le madrine, con tutti i parenti che li hanno qui accompagnati.

Questi bambini tra poco diventeranno membra vive della Chiesa. Saranno unti con l'olio dei Catecumeni, segno della mite fortezza di Cristo, donata loro per lottare contro il male. Su di essi verrà infusa l'acqua benedetta, segno efficace della purificazione interiore mediante il dono dello Spirito Santo. Riceveranno poi l'unzione con il Crisma, ad indicare che vengono così consacrati ad immagine di Gesù, l'Unto del Padre. La candela accesa al cero pasquale è simbolo della luce della fede che i genitori, i padrini e le madrine dovranno continuamente custodire ed alimentare, con la vivificante grazia dello Spirito.

A voi perciò mi rivolgo, cari genitori, padrini e madrine. Voi oggi avete la gioia di offrire a questi bimbi il dono più bello e prezioso: la vita nuova in Gesù, Salvatore dell'intera umanità.

A voi, padri e madri, che avete già collaborato con il Signore nel dare alla luce questi piccoli, Egli chiede una collaborazione ulteriore. Vi domanda di assecondare l'azione della sua Parola salvifica mediante l'impegno dell'educazione di questi nuovi cristiani. Siate sempre pronti ad espletare fedelmente questo compito.

Anche da voi, padrini e madrine, Dio attende una singolare cooperazione, che si esprime nel sostegno dato ai genitori nell'educare questi neonati secondo gli insegnamenti del Vangelo.

3. Il Battesimo cristiano, corroborato dal sacramento della Confermazione, rende tutti i credenti, ciascuno nelle modalità tipiche della propria specifica vocazione, corresponsabili della grande missione della Chiesa. Ciascuno nel proprio campo, con la propria identità, in comunione con gli altri e con la Chiesa, deve sentirsi solidale con l'unico Redentore del genere umano.

Questo ci riporta a quanto abbiamo appena vissuto nell'Anno giubilare. In esso la vitalità della Chiesa si è mostrata agli occhi di tutti. Per il cristiano rimane, come eredità di questo evento straordinario, il compito di confermare la propria fede nel contesto ordinario della vita quotidiana.

Affidiamo alla Vergine Santa queste piccole creature che muovono i loro primi passi nella vita. ChiediamoLe di aiutare anzitutto noi a camminare in modo coerente col Battesimo che un giorno abbiamo ricevuto. DomandiamoLe, poi, che questi piccoli rivestiti della veste bianca, segno della nuova dignità di figli di Dio, siano per tutta la loro vita autentici cristiani e coraggiosi testimoni del Vangelo.

Così sia!



Giovedì, 25 gennaio 2001: CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI

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Basilica S. Paolo fuori le Mura




1. “Io sono la via, la verità e la vita” (
Jn 14,6). Queste parole del Vangelo di Giovanni hanno rischiarato, come luce, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si conclude oggi; esse rifulgono come una sorta di programma per il nuovo millennio nel quale ci siamo avviati.

Sono lieto di rivolgere un deferente e cordiale saluto ai Delegati delle Chiese e Comunità ecclesiali, che hanno accolto il mio invito e sono oggi qui presenti per prendere parte a questa Celebrazione ecumenica della Parola, con la quale intendiamo concludere in modo solenne i giorni dedicati ad una più intensa preghiera per la grande causa che sta a cuore a tutti noi.

Attraverso i Membri delle Delegazioni qui convenute intendo far giungere ai responsabili ed ai fedeli delle rispettive Confessioni, insieme con il mio saluto, un fraterno abbraccio di pace.

2. “Io sono la via, la verità e la vita”. Il cuore dell’uomo, come quello dei discepoli di Gesù, resta spesso turbato di fronte agli eventi imprevedibili dell’esistenza (cfr Jn 14,1). Molti, specialmente giovani, si interrogano sulla strada da percorrere. Nella tempesta di parole da cui sono ogni giorno assaliti, si domandano quale sia la verità, quale sia l’orientamento giusto, come si possa sconfiggere con la vita la potenza della morte.

Sono interrogativi di fondo, che esprimono il risveglio in molti di una nostalgia della dimensione spirituale dell’esistenza. A questi interrogativi Gesù ha già risposto quando ha affermato: “Io sono la via, la verità e la vita”. Compito dei cristiani è di riproporre oggi, con la forza della loro testimonianza, questo annuncio decisivo. Solo così l’umanità contemporanea potrà scoprire che Cristo è la potenza e la sapienza di Dio (cfr 1Co 1,24), che in Lui soltanto sta la pienezza di ogni umana aspirazione (cfr Gaudium et spes GS 45).

3. Il movimento ecumenico del ventesimo secolo ha avuto il grande merito di riaffermare chiaramente la necessità di questa testimonianza. Dopo secoli di separazione, di incomprensioni, di indifferenza e, purtroppo, di contrapposizioni, è rinata nei cristiani la consapevolezza che la fede in Cristo li unisce, e che essa è una forza capace di superare ciò che li separa (cfr Lettera Enciclica Ut unum sint UUS 20). Per grazia dello Spirito Santo, con il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica (cfr ib., 3).

Non si debbono e non si possono sminuire le differenze tuttora esistenti tra di noi. Il vero impegno ecumenico non ricerca compromessi e non fa concessioni per quanto attiene la Verità. Esso sa che le separazioni tra i cristiani sono contrarie alla volontà di Cristo; sa che esse sono uno scandalo, che indebolisce la voce del Vangelo. Il suo sforzo non è di ignorarle, ma di superarle.

Al tempo stesso, la consapevolezza di ciò che ancora manca alla piena comunione ci fa apprezzare maggiormente quanto già condividiamo. Infatti, malgrado i malintesi ed i tanti problemi che ci impediscono ancora di sentirci pienamente uniti, importanti elementi di santificazione e di verità dell’unica Chiesa di Cristo, anche fuori dalle frontiere visibili della Chiesa cattolica, spingono verso la piena unità (cfr Lumen gentium LG 8,15 Unitatis redintegratio UR 3). Al di fuori della Chiesa cattolica infatti non c’è il vuoto ecclesiale (cfr Ut unum sint UUS 13). Esistono anzi molti frutti dello Spirito come, ad esempio, la santità e la testimonianza a Cristo, spinta a volte fino all’effusione del sangue, che inducono all’ammirazione e alla gratitudine (cfr Unitatis redintegratio UR 4 Ut unum sint, UUS 12 UUS 15).

I dialoghi che si sono sviluppati dal Concilio Vaticano II in poi hanno recato una nuova consapevolezza dell’eredità e del compito comune dei cristiani, ed hanno avuto risultati molto significativi. Non abbiamo certo raggiunto la meta, ma abbiamo fatto importanti passi in avanti. Da estranei e, spesso, avversari quali eravamo, siamo diventati vicini e amici. Abbiamo riscoperto la fraternità cristiana. Sappiamo che il nostro Battesimo ci inserisce nell’unico Corpo di Cristo, in una comunione non ancora piena, ma tuttavia reale (cfr Ut unum sint UUS 41 s). Abbiamo tutte le ragioni di lodare il Signore e di ringraziarlo.

4. Con animo profondamente riconoscente, ripercorro con il ricordo l’Anno giubilare. Esso ha registrato, nell’impegno ecumenico, segnali davvero profetici e commoventi (cfr Novo millennio ineunte, NM 12).

Rimane luminoso nella memoria l’incontro in questa Basilica, il 18 gennaio 2000, quando per la prima volta una Porta Santa è stata aperta alla presenza di Delegati delle Chiese e Comunità ecclesiali di tutto il mondo. Anzi, il Signore mi ha concesso ancora di più: ho potuto varcare la soglia di quella Porta, simbolo di Cristo, affiancato dal rappresentante del mio Fratello d’Oriente, il Patriarca Bartolomeo e dallo stesso Primate della Comunione Anglicana. Per un tratto - un tratto troppo breve! - abbiamo fatto strada insieme. Quanto è stato incoraggiante quel breve cammino, segno della provvidenza di Dio lungo la via che resta da percorrere! Ci siamo ritrovati insieme con i rappresentanti di numerose Chiese e Comunità ecclesiali il 7 maggio, davanti al Colosseo, per la commemorazione dei Testimoni della fede del XX secolo: abbiamo sentito quella celebrazione come un seme di vita per l’avvenire (cfr Novo millennio ineunte, NM 7 NM 41).

Con gioia ho aderito all’iniziativa del Patriarca ecumenico, Bartolomeo I, di celebrare il millennio con una giornata di preghiera e di digiuno, alla vigilia della Trasfigurazione, il 6 agosto 2000. Penso pure con sentimenti di interiore commozione agli incontri ecumenici che ho potuto avere durante il mio pellegrinaggio in Egitto, al Monte Sinai e specialmente in Terra Santa.

Ricordo inoltre con gratitudine la visita della Delegazione che mi ha inviato il Patriarca ecumenico per la festa dei Santi Pietro e Paolo, e la visita del Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni, Karekin II. Né posso dimenticare le persone di tanti rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, che ho incontrato a Roma in questi ultimi mesi.

5. Il Giubileo ha anche richiamato, in modo salutare, la nostra attenzione sulle dolorose separazioni che ancora permangono. Non sarebbe onesto mascherarle o ignorarle. Esse non debbono tuttavia sfociare in rimproveri reciproci o provocare scoraggiamento. Il dolore per le incomprensioni o i malintesi deve essere superato con la preghiera e la penitenza, con gesti d’amore, con la ricerca teologica. Le questioni ancora aperte non devono essere sentite come un ostacolo al dialogo, ma come un invito al confronto franco e caritatevole. Ritorna la domanda: Quanta est nobis via? Non ci è dato saperlo, ma ci anima la speranza di essere guidati dalla presenza del Risorto e dalla forza inesauribile del suo Spirito, capace di sorprese sempre nuove (cfr Novo millennio ineunte, NM 12).

Forti di questa certezza, guardiamo al nuovo millennio. Esso sta davanti a noi come una immensa distesa d’acqua nella quale dobbiamo gettare le reti (cfr Lc 5,6 s). Il mio pensiero va soprattutto ai giovani che edificheranno il nuovo secolo e potrebbero cambiarne l’impronta. La nostra testimonianza concorde è un dovere nei loro confronti.

6. Un compito fondamentale, in questa prospettiva, è la purificazione della memoria. Nel secondo millennio siamo stati opposti e divisi, ci siamo reciprocamente condannati e combattuti. Dobbiamo dimenticare le ombre e le ferite del passato ed essere protesi verso l’ora di Dio che viene (cfr Ph 3,13).

Purificare la memoria significa anche edificare una spiritualità di comunione (koinônia), ad immagine della Trinità, che incarna e manifesta l’essenza stessa della Chiesa (cfr Novo millennio ineunte, NM 42). Dobbiamo vivere nel concreto la comunione che, quantunque non piena, già esiste tra noi. Lasciando alle spalle i malintesi, dobbiamo incontrarci, conoscerci meglio, imparare ad amarci reciprocamente, collaborare fraternamente insieme per quanto ci è possibile fare.

Il dialogo della carità, tuttavia, non sarebbe sincero senza il dialogo della verità. Il superamento delle nostre differenze comporta una seria ricerca teologica. Non possiamo scavalcare le differenze; non possiamo modificare il deposito della fede. Ma possiamo senz’altro cercare di approfondire la dottrina della Chiesa alla luce della Sacra Scrittura e dei Padri, e spiegarla in modo che essa sia comprensibile oggi.

Non è tuttavia dato a noi di “fare l’unità”. Essa è dono del Signore. Dobbiamo dunque pregare, come abbiamo fatto durante questa settimana, perché ci sia donato lo Spirito dell’unità. La Chiesa cattolica, in ogni celebrazione eucaristica prega: «O Signore, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa, e donale unità e pace secondo la tua volontà». La preghiera per l’unità è presente in ogni Eucaristia. Essa è l’anima di tutto il movimento ecumenico (cfr Ut unum sint UUS 21).

7. Il nuovo anno appena iniziato è un tempo quanto mai propizio per testimoniare insieme che Cristo è “la via, la verità e la vita”. Avremo modo di farlo, e già si delineano spunti promettenti. Nel 2001, ad esempio, tutti i cristiani celebreranno la Resurrezione di Cristo nella medesima data. Ciò dovrebbe incoraggiarci a trovare un consenso per una data comune di questa festa. La vittoria di Cristo sulla morte e sull’odio ha ispirato anche l’iniziativa del Consiglio Ecumenico delle Chiese di dedicare i prossimi dieci anni a sconfiggere la violenza.

Grande è la mia aspettativa per i viaggi che mi condurranno in Siria ed in Ucraina. E’ mio desiderio che essi contribuiscano alla riconciliazione e alla pace tra i cristiani. Ancora una volta mi farò pellegrino, in cammino sulle strade del mondo per testimoniare Cristo “via, verità e vita”.

La vostra presenza a questa celebrazione, carissimi Delegati delle Chiese e Comunità ecclesiali, mi incoraggia in questo impegno, che sento come parte essenziale del mio ministero. Proseguiamo insieme, con nuovo slancio, nel cammino verso la piena unità! Cristo cammina con noi.

A Lui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.


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FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


Venerdì, 2 Febbraio 2001

V Giornata della Vita Consacrata

1. "Vieni, Signore, nel tuo tempio santo" (Rit. Salmo resp.).

Con questa invocazione, che abbiamo cantato nel Salmo responsoriale, la Chiesa, nel giorno in cui fa memoria della Presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme, esprime il desiderio di poterlo accogliere ancora nel presente della sua storia. La Presentazione è una festa liturgica suggestiva, fissata fin dall'antichità quaranta giorni dopo il Natale, sulla scorta di quanto prescriveva la Legge ebraica per la nascita di ogni primogenito (cfr Ex 13,2). Maria e Giuseppe, come risulta dal racconto evangelico, ne sono stati fedeli osservanti.

Tradizioni cristiane d'Oriente e d'Occidente si sono intrecciate arricchendo la liturgia di questa festa con una speciale processione, in cui la luce dei ceri e delle candele è simbolo di Cristo, Luce vera venuta ad illuminare il suo popolo e tutte le genti. In tal modo l'odierna ricorrenza si ricollega al Natale e all'Epifania del Signore. Ma contemporaneamente essa si pone come ponte verso la Pasqua, rievocando la profezia del vecchio Simeone, che in quella circostanza preannunciò il drammatico destino del Messia e di sua Madre.

L'evangelista ha ricordato il fatto anche nei dettagli: ad accogliere Gesù nel santuario di Gerusalemme vi erano due anziane persone piene di fede e di Spirito Santo, Simeone ed Anna. Esse impersonano il "resto d'Israele", vigilante nell'attesa e pronto ad andare incontro al Signore, come già avevano fatto i pastori nella notte della sua nascita a Betlemme.

2. Nella Colletta della liturgia odierna abbiamo chiesto di poter essere anche noi presentati al Signore "pienamente rinnovati nello spirito", sul modello di Gesù, primogenito tra molti fratelli. In modo particolare voi, religiosi, religiose e laici consacrati, siete chiamati a partecipare a questo mistero del Salvatore. E' mistero di oblazione, in cui si fondono indissolubilmente la gloria e la croce, secondo il carattere pasquale proprio dell'esistenza cristiana. E' mistero di luce e di sofferenza; mistero mariano, in cui alla Madre, benedetta insieme col Figlio, è preannunciato il martirio dell'anima.

Potremmo dire che oggi si celebra in tutta la Chiesa un singolare "offertorio", in cui gli uomini e le donne consacrati rinnovano spiritualmente il dono di sé. Così facendo aiutano le Comunità ecclesiali a crescere nella dimensione oblativa che intimamente le costituisce, le edifica e le sospinge sulle strade del mondo.

Vi saluto con grande affetto, carissimi Fratelli e Sorelle appartenenti a numerose Famiglie di vita consacrata, che allietate con la vostra presenza la Basilica di San Pietro. Saluto, in particolare, il Signor Cardinale Eduardo Martínez Somalo, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, il quale presiede la celebrazione eucaristica odierna.

3. Celebriamo questa festa con il cuore ancora ripieno delle emozioni vissute nel tempo giubilare appena terminato. Abbiamo ripreso il cammino lasciandoci guidare dalle parole di Cristo a Simone: "Duc in altum - Prendi il largo" (Lc 5,4). La Chiesa attende anche il vostro contributo, carissimi Fratelli e Sorelle consacrati, per percorrere questo nuovo tratto di strada secondo gli orientamenti che ho tracciato nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte: contemplare il volto di Cristo, ripartire da Lui, testimoniare il suo amore. E' questo un apporto che voi siete chiamati a dare quotidianamente anzitutto con la fedeltà alla vostra vocazione di persone totalmente consacrate a Cristo.

Il vostro primo impegno, pertanto, non può non essere nella linea della contemplazione.Ogni realtà di vita consacrata nasce e ogni giorno si rigenera nell'incessante contemplazione del volto di Cristo. La Chiesa stessa attinge il suo slancio dal quotidiano confronto con l'inesauribile bellezza del volto di Cristo suo Sposo.

Se ogni cristiano è un credente che contempla il volto di Dio in Gesù Cristo, voi lo siete in modo speciale. Per questo è necessario che non vi stanchiate di sostare in meditazione sulla Sacra Scrittura e, soprattutto, sui santi Vangeli, perché si imprimano in voi i tratti del Verbo incarnato.

4. Ripartire da Cristo, centro di ogni progetto personale e comunitario: questo è l'impegno! Incontratelo, carissimi, e contemplatelo in modo tutto speciale nell'Eucaristia, celebrata e adorata ogni giorno, come fonte e culmine dell'esistenza e dell'azione apostolica.

E con Cristo camminate: è questa la via della perfezione evangelica, la santità a cui ogni battezzato è chiamato. E proprio la santità è uno dei punti essenziali - anzi, il primo - del programma che ho delineato per l'inizio del nuovo millennio (cfr Novo millennio ineunte, NM 30-31).

Abbiamo ascoltato poc'anzi le parole del vecchio Simeone: Cristo "è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori" (Lc 2,34). Come Lui, e nella misura della conformazione a Lui, anche la persona consacrata diventa "segno di contraddizione"; diventa cioè, per gli altri, salutare stimolo a prendere posizione di fronte a Gesù, il quale - grazie alla mediazione coinvolgente del "testimone" - non resta semplicemente personaggio storico o ideale astratto, ma si pone come persona viva a cui aderire senza compromessi.

Non vi sembra questo un servizio indispensabile che la Chiesa attende da voi in quest'epoca segnata da profondi mutamenti sociali e culturali? Solo se persevererete nel seguire fedelmente Cristo, sarete testimoni credibili del suo amore.

5. "Luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele" (Lc 2,32). La vita consacrata è chiamata a riflettere in modo singolare la luce di Cristo. Guardando a voi, carissimi Fratelli e Sorelle, penso alla schiera di uomini e donne di ogni nazione, lingua e cultura, consacrati a Cristo con i voti di povertà, verginità e obbedienza. Questo pensiero mi riempie di consolazione, perché voi siete come un "lievito" di speranza per l'umanità. Siete "sale" e "luce" per gli uomini e le donne di oggi, che nella vostra testimonianza possono intravedere il Regno di Dio e lo stile delle "Beatitudini" evangeliche.

Come Simeone ed Anna, prendete Gesù dalle braccia della sua santissima Madre e, pieni di gioia per il dono della vocazione, portatelo a tutti. Cristo è salvezza e speranza per ogni uomo! Annunciatelo con la vostra esistenza dedicata interamente al Regno di Dio e alla salvezza del mondo. Proclamatelo con la fedeltà senza compromessi che, anche di recente, ha condotto al martirio alcuni vostri fratelli e sorelle in varie parti del mondo.

Siate luce e conforto per ogni persona che incontrate. Come candele accese, ardete dell'amore di Cristo. Consumatevi per Lui, diffondendo dappertutto il Vangelo del suo amore. Grazie alla vostra testimonianza anche gli occhi di tanti uomini e donne del nostro tempo potranno vedere la salvezza preparata da Dio "davanti a tutti i popoli, / luce per illuminare le genti / e gloria del tuo popolo Israele".

Amen.


Domenica, 4 febbraio 2001: VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI

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1. "Duc in altum! - Prendi il largo!" (
Lc 5,4). Quest'invito rivolto da Gesù all'apostolo Pietro costituisce il motivo dominante della liturgia dell'odierna quinta domenica del tempo ordinario.

Queste stesse parole ho ripreso nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, che ho firmato nel corso della celebrazione conclusiva dell'Anno Santo. In essa, dopo aver ripercorso gli elementi fondamentali, che hanno caratterizzato l'esperienza giubilare, ho tracciato le linee guida per la vita della Chiesa e la sua missione evangelizzatrice nel terzo millennio.

"Maestro... sulla tua parola getterò le reti" (Lc 5,5). Così risponde Simon Pietro all'invito di Cristo. Egli non nasconde la delusione per il lavoro infruttuoso compiuto durante un'intera notte, e tuttavia ubbidisce al Maestro: abbandona le proprie convinzioni di pescatore, che ben conosce il mestiere, e si fida di Lui. Conosciamo il seguito della vicenda. Alla vista delle reti colme di pesci, Pietro prende coscienza della distanza che separa lui "peccatore" da colui che ora riconosce come il «Signore». Si sente interiormente trasformato, e all'invito del Maestro lascia le reti e lo segue. Il pescatore di Galilea diviene così l'apostolo di Cristo, la roccia su cui Cristo fonda la sua Chiesa.

2. Ho la gioia quest'oggi di compiere la prima Visita pastorale ad una Parrocchia romana, dopo lo straordinario evento di grazia del grande Giubileo. La vostra chiesa è ubicata poco lontano dal luogo chiamato "Saxa Rubra", dove nell'anno 312, come narra la tradizione, apparve misteriosa la Croce. "In hoc signo vinces": queste parole, a voi ben note, si collegano idealmente a quelle che oggi abbiamo ascoltato: "Duc in altum - Prendi il largo". Fidarsi di Cristo conduce a condividere con Lui il cammino della sofferenza e della morte. Ma ciò che umanamente appare una disfatta, significativamente espressa nel mistero della Croce, diviene garanzia di sicura e definitiva vittoria.

Queste considerazioni mi richiamano alla mente Don Eulogio Carballido Diaz, generoso e amato Pastore, che ha guidato questa Comunità per venticinque anni. Egli amava recarsi in pellegrinaggio ogni anno a "Saxa Rubra" accompagnato da tanti di voi per venerare l'immagine della Vergine Immacolata, Madre di Dio, che io stesso ho avuto la gioia di incoronare. Il Signore, che un anno fa lo ha chiamato improvvisamente a sé, gli conceda il premio celeste riservato ai suoi servi buoni e fedeli.

3. Vi saluto tutti con affetto, carissimi Fratelli e Sorelle della Parrocchia di sant'Alfonso Maria de' Liguori! Uno speciale pensiero rivolgo al Cardinale Vicario, al Vescovo Ausiliare del Settore Nord, al vostro Parroco, Don Stefano Alberici, ai sacerdoti collaboratori ed ai rappresentanti dei bambini e dei giovani, ai quali va il mio ringraziamento per le cortesi parole di benvenuto, pronunciate all'inizio della celebrazione. Il mio cordiale pensiero si estende alle Religiose delle due Comunità femminili presenti in Parrocchia: le Suore Francescane di Susa e le Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria.

Saluto specialmente voi, carissimi parrocchiani di sant'Alfonso, convenuti in così gran numero a questa Messa domenicale, come pure tutti gli abitanti della zona, che in questi anni ha visto crescere, accanto ai primi insediamenti rurali ed a quelli ricostruiti dopo la terribile alluvione del 1965, nuovi e moderni centri residenziali.

4. "Duc in altum! - Prendi il largo!". Che cosa significa per voi, carissimi Fratelli e Sorelle di questa Parrocchia, "prendere il largo" all'inizio del nuovo millennio? I primi abitanti di questa periferia romana, immigrati dall'Italia centrale e meridionale, hanno portato con sé una fede semplice e sincera, con tradizioni religiose ben consolidate. È andata così costruendosi, sotto la guida di un parroco zelante, una comunità attiva e vigile sul piano della fedeltà a Cristo e della solidarietà verso chi si trova in condizioni disagiate.

Certo, anche qui, come altrove, non sono mancati e non mancano difficoltà e prove. Tuttavia, insieme con san Paolo, potete oggi ripetere che la grazia di Dio in voi non è stata vana (cfr 1Co 15,10). I tanti germi di bene seminati nel corso degli anni stanno portando frutti abbondanti. Grazie al nuovo complesso parrocchiale inaugurato il primo ottobre scorso, la vostra Parrocchia dispone adesso di un luogo adeguato per accogliere e formare gli abitanti del quartiere, con una speciale attenzione ai fanciulli ed ai giovani.

Guardando, quindi, al tanto bene già cresciuto tra voi, vi dico: "prendete il largo"! Diventate, come singoli e come comunità, missionari dell'amore del Signore. Prendetevi cura di ogni uomo e di ogni donna che vive e lavora in questo territorio, seguendo l'esempio del vostro celeste Patrono, sant'Alfonso, che sentì costante l'ansia dell'evangelizzazione.

5. Allargando poi lo sguardo, viene da chiedersi: che cosa significa "prendere il largo" per la nostra Comunità diocesana? Non significa forse ripartire da Cristo per recare a tutti l'annuncio della salvezza?

A questo proposito, so che l'intera Diocesi si sta preparando con impegno al Convegno che si svolgerà nel prossimo mese di giugno. Io stesso l'ho desiderato come un grande incontro utile per delineare, sulle basi dell'esperienza della Missione cittadina, le linee portanti di una "mobilitazione" costante al servizio del Vangelo.

Tale importante momento di riflessione e di condivisione non mancherà di conferire un'impronta missionaria stabile alla pastorale diocesana. Servirà, inoltre, ad accrescere la sensibilità verso il tempo presente, nel quale è possibile e doveroso vivere in modo coerente da cristiani in ogni ambiente di vita, di attività e di servizio.

6. "Ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me" (1Co 15,10). Le parole dell'apostolo Paolo, che abbiamo ascoltato nella seconda Lettura, ci guidano alla giusta comprensione del valore dei nostri sforzi: la realizzazione di quanto ci proponiamo dipende certamente dalla nostra buona volontà; ma dipende soprattutto dalla grazia di Dio. Il cammino pastorale della vostra Parrocchia, come pure quello della Diocesi e della Chiesa intera, deve essere pertanto essenzialmente un cammino di santità, nell'adesione sempre più profonda a Colui che per antonomasia è il tre volte Santo (cfr Is 6,3).

In questo itinerario di fede, di speranza e di carità ci accompagna la Vergine Santa, Aurora luminosa e Guida sicura del nostro inoltrarci sulle strade del mondo e della storia. Imitiamola nella contemplazione, meditando nel cuore il mistero di Cristo (cfr Lc 2,51). Seguiamola nella perseverante e concorde preghiera, in comunione con gli Apostoli e l'intera Comunità ecclesiale (cfr Ac 1,14). Accogliamo il suo invito ad avere fiducia nel Figlio: "Fate quello che vi dirà" (Jn 2,5).

E Tu, Maria, Stella del nuovo millennio, prega per noi! Amen.


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CAPPELLA PAPALE PER LE ESEQUIE

DEL CARDINALE GIUSEPPE CASORIA


OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANI PAOLO II


Sabato, 10 febbraio 2001

1. "Abyssus abyssum invocat" (Ps 41,8).

L'abisso della morte evoca un altro abisso: quello infinitamente più grande di Dio e del suo amore. Ne parla il Vangelo che abbiamo poc'anzi ascoltato: "Dio ha tanto amato il mondo..." - ecco l'abisso che abbraccia ogni cosa: anche la morte - "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16).

Per la salvezza degli uomini il Padre ha voluto donare il Figlio, a Lui consostanziale: quale mistero di amore sconfinato! E' in questo abisso di grazia e di misericordia che si compie per noi la profezia che abbiamo ascoltato nella pagina del profeta Isaia. In piena verità, possiamo esclamare: "Ecco il nostro Dio; / in lui abbiamo sperato perché ci salvasse; / questi è il Signore in cui abbiamo sperato; / rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza" (Is 25,9).

Sta qui la sorgente e il segreto della gioia cristiana, che nessuno può togliere agli amici del Signore, secondo la sua stessa promessa (cfr Jn 16,23). Isaia ci ha offerto un'eloquente immagine di tale profonda e definitiva gioia nel simbolo del banchetto: vi è adombrato l'annuncio del Regno messianico, che il Figlio di Dio è venuto ad inaugurare. La morte sarà allora eliminata per sempre e le lacrime saranno asciugate su ogni volto (cfr Is 25,6-8).

Per il nostro compianto Fratello, il caro Cardinale Giuseppe Casoria, è giunta l'ora di entrare definitivamente in questo Regno. Dopo un lungo cammino sulla terra, durante il quale ha lavorato alacremente come Sacerdote, come Vescovo e come Cardinale, ora il Signore lo ha chiamato con sé a condividere la sorte promessa ai suoi fedeli servitori.

2. Nativo di Acerra, Giuseppe Casoria divenne sacerdote giovanissimo. Insieme con le attività di ministero, a cui si dedicò subito con entusiasmo, egli continuò a coltivare gli studi, laureandosi in Teologia, in Filosofia, in Utroque Iure ed in Scienze politiche. Il campo giuridico fu quello in cui maggiormente si addentrò, sia mediante diversi approfondimenti e specializzazioni sia attraverso l'esercizio di svariati uffici nei Tribunali della Segnatura Apostolica e della Rota, come pure in alcuni Dicasteri della Curia Romana. In particolare, egli operò a lungo nella Congregazione dei Sacramenti, di cui divenne Sotto-Segretario e poi Segretario.

Il Papa Paolo VI lo elesse all'Episcopato all'inizio del 1972 e un anno dopo lo nominò Segretario della Congregazione per le Cause dei Santi. Per oltre otto anni egli assolse con zelo tale impegno, fino a quando gli affidai la guida del Dicastero che meglio conosceva, quello per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Nel Concistoro del 2 febbraio 1983 volli crearlo Cardinale, assegnandogli il Titolo di San Giuseppe in Via Trionfale.

Il 21 dicembre scorso, il caro Porporato ha celebrato il settantesimo di Ordinazione sacerdotale. In tale occasione, è stato opportunamente sottolineato ciò che soprattutto egli è stato nella sua lunga vita: un'anima appassionata di Cristo, che come sacerdote ha sempre cercato di imitare, servendolo con totale dedizione nel quotidiano lavoro per la Chiesa. Nel testamento spirituale egli ha lasciato scritto: "Confesso apertamente che sempre ho creduto e voglio continuare a credere, con gioia e convinzione, fermamente e senza difficoltà, tutte le verità della religione cattolica, insegnatemi dal Magistero di Santa Madre Chiesa, nel cui seno, come ho avuto la grazia di nascere, così spero di vivere e di morire".

Sorretto da queste convinzioni, il Cardinale Casoria è andato incontro alla morte con piena rassegnazione alla volontà di Dio. Chi gli è stato vicino negli ultimi giorni ha raccolto dalle sue labbra espressioni come questa: "Ogni singolo giorno di vita, anche se in malattia o sofferenza, è un particolare dono del Signore, per il quale Gli rendo grazie". E ancora: "Con profondo amore offro tutte le mie sofferenze per la Chiesa, per il Santo Padre, per il mondo intero".

3. "Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui" (Rm 6,8).

La pagina della Lettera ai Romani, da cui è tratta la seconda Lettura dell'odierna celebrazione, costituisce uno dei testi fondamentali del Lezionario liturgico. Essa, infatti, ci viene proposta ogni anno nel corso della Veglia pasquale. Pensiamo a queste illuminanti parole di Paolo, mentre rendiamo al nostro Fratello l'ultimo commosso saluto. Quante volte egli stesso le avrà lette, meditate e commentate. Ciò che l'Apostolo scrive a proposito della mistica unione del battezzato con Cristo morto e risorto, egli ora lo sta vivendo nella realtà ultraterrena, svincolato dai condizionamenti imposti alla natura umana dal peccato. "Infatti - come afferma Paolo in quel medesimo passo - chi è morto è ormai libero dal peccato" (Rm 6,7).

L'unione sacramentale, ma reale, con il mistero pasquale di Cristo apre al battezzato la prospettiva di partecipare alla sua stessa gloria. E questo ha una conseguenza già per la vita di quaggiù, perché se, in virtù del Battesimo noi già partecipiamo alla risurrezione di Cristo, allora già adesso "possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,4). Ecco perché la pia morte di un fratello in Cristo, tanto più se segnato dal carattere sacerdotale, è sempre motivo di un intimo e riconoscente stupore per il disegno della divina paternità, che "ci ha liberati dal potere delle tenebre / e ci ha trasferiti / nel regno del suo Figlio diletto, / per opera del quale abbiamo la redenzione, / la remissione dei peccati" (Col 1,13-14).

4. Raccolti intorno all'altare, rendiamo grazie a Dio per la luce che, attraverso la sua parola, proietta sulle vicende della nostra esistenza e sul mistero della morte. A Lui rivolgiamo fiduciosi la nostra preghiera per questo nostro amico e fratello.

Il Cardinale Casoria, che per il suo ministero si è trovato innumerevoli volte a dover discernere e giudicare, ora è chiamato, come avverrà per ciascuno di noi, a comparire dinanzi al tribunale di Cristo (cfr 2Co 5,10). A nostro conforto, tuttavia, il Vangelo ci ha ricordato che "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Jn 3,17).

E' consolante sapere che saremo giudicati da Chi ci ha amati e ha dato se stesso per noi (cfr Ga 2,20). Quale gioia andare incontro al Buon Pastore, la cui unica e sovrana volontà è che ciascuno abbia la vita e l'abbia in abbondanza (cfr Jn 10,10)! Sia così per te, caro fratello in Cristo, che oggi consegniamo nelle mani misericordiose del Padre celeste.

Al fianco di Cristo Signore, è sicuramente presente la Madre sua e nostra, Maria, che ogni giorno invochiamo perché ci assista "in hora mortis nostrae". "Mi raccomando alla Madonna Santissima - scriveva il Cardinale Casoria nel già citato testamento - perché mi aiuti a ben compiere il mio cammino in terra e mi presenti amorosamente al Suo unico Figlio Gesù Cristo".

Facciamo nostra questa sua invocazione: sia Maria in questo momento ad introdurlo nella patria del Cielo, perché possa prendere parte alla gioia del convito eterno, che Dio ha preparato per i suoi servi fedeli. Amen.



GPII Omelie 1996-2005 272