GPII Omelie 1996-2005 208

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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA (5-17 GIUGNO 1999)

CELEBRAZIONE EUCARISTICA




«Biskupia Góra» (Pelplin) - Domenica, 6 giugno 1999



1. “Beati (. . .) coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28). Questa benedizione di Cristo accompagna oggi il nostro cammino attraverso la terra polacca.La pronuncio con gioia a Pelplin, salutando tutti i fedeli di questa Chiesa, con il vescovo Jan Bernard, che ringrazio per le parole di benvenuto. Saluto anche il vescovo ausiliare Pietro, i vescovi qui riuniti, con a capo il Signor Cardinal Primate, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e voi tutti diletti Fratelli e Sorelle. Che questa benedizione sia con voi!

2. “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”. Durante oltre mille anni attraverso queste terre passarono molti uomini che ascoltavano la parola di Dio. L’accoglievano dalla bocca di coloro che la annunciavano. Prima la ricevettero dalla bocca del grande missionario di queste terre, Sant’Adalberto. Furono testimoni del suo martirio. Le generazioni successive crescevano su quella seminagione, grazie al ministero di altri missionari - vescovi, presbiteri, religiosi. Le file degli apostoli della parola di Dio. Gli uni confermarono con la morte per martirio il messaggio del Vangelo, gli altri mediante il lento consumarsi nella fatica apostolica secondo lo spirito dell’ ora et labora - prega e lavora - benedettino. La parola annunziata acquistava una forza particolare come parola confermata con la testimonianza della vita.

E’ lunga in questa terra la tradizione dell’ascolto della parola di Dio ed è lunga la tradizione della testimonianza resa al Verbo, che in Cristo si è fatto Carne. Procede lungo i secoli. Questa tradizione si iscrive anche nel nostro secolo. Un’eloquente e tragico simbolo di questa continuità fu il cosiddetto “autunno di Pelplin”, il cui 60° anniversario cade quest’anno. Allora, 24 coraggiosi sacerdoti, professori del seminario maggiore e impiegati della curia vescovile, testimoniarono la loro fedeltà al servizio del Vangelo con il sacrificio della sofferenza e della morte. Durante il periodo dell’occupazione furono strappati a questa terra di Pelplin 303 pastori, che a prezzo della propria vita portarono con eroismo il messaggio della speranza nel drammatico periodo della guerra e dell’occupazione. Se oggi ricordiamo questi sacerdoti martiri, è perché fu dalla loro bocca che la nostra generazione ascoltò la parola di Dio e grazie al loro sacrificio sperimentava e sperimentò la sua potenza.

Bisogna che noi ricordiamo questa storica seminagione della parola e della testimonianza, specialmente ora, mentre ci stiamo avvicinando al termine del secondo millennio. Questa plurisecolare tradizione non può essere interrotta nel terzo millennio. Sì, considerando le nuove sfide, che si presentano dinanzi all’uomo di oggi e alle intere società, dobbiamo continuamente rinnovare in noi stessi la consapevolezza di ciò che è la parola di Dio, quale è la sua importanza nella vita del cristiano, in quella della Chiesa e di tutta l’umanità.

3. Che cosa Cristo, dice in proposito, nella pagina dell’odierno Vangelo? Terminando il discorso della montagna, disse: “chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia” (Mt 7,24-25). L’opposto di colui che costruì sulla roccia è l'uomo che costruì sulla sabbia. La sua costruzione si dimostrò poco resistente. Di fronte alle prove e alle difficoltà crollò. Cristo ci insegna questo.

Una casa costruita sulla roccia. L'edificio della vita. Come costruirlo affinché non crolli sotto la pressione degli avvenimenti di questo mondo? Come costruire questo edificio perché da ”abitazione sulla terra” diventi un’”abitazione ricevuta da Dio?, una dimora eterna nei cieli non costruita da mani di uomo” (cfr. 2Co 5,1)? Oggi udiamo la risposta a questi interrogativi essenziali della fede: alla base della costruzione cristiana c’è l’ascolto e il compimento della parola di Cristo. E dicendo “la parola di Cristo” abbiamo in mente non soltanto il suo insegnamento, le parabole, le promesse, ma anche le sue opere, i segni, i miracoli. E soprattutto la sua morte, la risurrezione e la discesa dello Spirito Santo. Più ancora: abbiamo in mente il Figlio di Dio stesso, l’eterno Verbo del Padre, nel mistero dell’incarnazione. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Jn 1,14).

Con questo Verbo - Cristo vivo, risorto - Sant’Adalberto venne in terra polacca. Per secoli vennero con Cristo anche altri annunziatori, e gli rendevano testimonianza. Per lui hanno dato la vita i testimoni dei nostri tempi membri del clero e laici. Il loro servizio e il loro sacrificio sono diventati per le successive generazioni il segno che nulla può distruggere una costruzione il cui fondamento è Cristo. Hanno camminato attraverso i secoli, ripetendo con San Paolo: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (. . .) Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Rm 8,35 Rm 8,37).

4. “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”. Se alla soglia del terzo millennio domandiamo come saranno tempi che verranno, non possiamo simultaneamente evitare la domanda sul fondamento che poniamo sotto questa costruzione, che verrà continuata dalle future generazioni. Bisogna che la nostra generazione sia una prudente costruttrice del futuro. Costruttore prudente è colui che ascolta le parole di Cristo e le compie.

Sin dal giorno della Pentecoste la Chiesa custodisce queste parole di Cristo come il più prezioso tesoro. Annotate sulle pagine del Vangelo, sono rimaste fino ai nostri tempi. Oggi grava su di noi la responsabilità di trasmetterle alle future generazioni non come lettera morta, ma come fonte viva di conoscenza della verità su Dio e sull’uomo - fonte di un’autentica sapienza. In questo contesto acquista una particolare attualità l’esortazione conciliare, rivolta a tutti i fedeli, “ad apprendere «la sublime scienza di Cristo» (Ph 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. «L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo» (S. Girolamo)” (Dei Verbum DV 25). Perciò, mentre durante la liturgia prendo nelle mani il libro del Vangelo e in segno di benedizione l’innalzo sopra l’assemblea e su tutta la Chiesa, lo faccio con la speranza, che esso continuerà ad essere il Libro della vita di ogni credente, di ogni famiglia e di intere società. Con la stessa speranza vi prego oggi: entrate nel nuovo Millennio con il Libro del Vangelo! Esso non manchi in nessuna casa polacca! Leggetelo e meditatelo! Lasciate parlare Cristo! “Ascoltate oggi la sua voce: «Non indurite il cuore . . .»” (Sal 94[95], 8).

5. Nel corso di venti secoli la Chiesa si è chinata sulle pagine del Vangelo, per leggere nel modo più preciso possibile ciò che Dio ha voluto in esso rivelare. Ha colto i più profondi contenuti delle parole e degli eventi, ha formulato le verità, dichiarandole sicure e salvifiche. I santi le hanno messe in pratica e hanno condiviso la propria esperienza dell’incontro con la parola di Cristo. In tal modo si sviluppava la Tradizione della Chiesa, fondata nella testimonianza stessa degli Apostoli. Se oggi interpelliamo il Vangelo, non possiamo staccarlo da questo patrimonio dei secoli.

Parlo di questo perché esiste la tentazione di interpretare la Sacra Scrittura staccata dalla Tradizione plurisecolare della fede della Chiesa, applicando chiavi interpretative che sono proprie della letteratura contemporanea o della pubblicistica. Ciò genera il pericolo delle semplificazioni, della falsificazione della verità rivelata, e perfino del suo adattamento alle necessità di una filosofia individuale della vita oppure dell’ideologia, accettate a priori. Già S. Pietro Apostolo si opponeva ai tentativi di questo genere, scrivendo: “Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione” (2P 1,20). “L’ufficio poi d’interpretare autenticamente la parola di Dio (. . .) è affidato solo al Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo” (Dei Verbum DV 10).

Sono lieto che la Chiesa in Polonia aiuti con efficacia i fedeli nella conoscenza dei contenuti della Rivelazione. So quale grande importanza i pastori attribuiscono alla liturgia della parola durante la S. Messa e alla catechesi. Rendo grazie a Dio, perché presso le parrocchie e nell’ambito delle comunità e dei movimenti ecclesiali nascono continuamente e si sviluppano circoli biblici e gruppi di discussione. Tuttavia è necessario che coloro che si assumono la responsabilità di un’autorevole esposizione della Verità rivelata, non confidino nella propria, spesso fallibile, intuizione, ma in un sapere solido e in una fede inflessibile.

Come non esprimere a questo punto la gratitudine per tutti i pastori che, con dedizione e umiltà, compiono il servizio dell’annunzio della parola di Dio! Come non menzionare tutta l’innumerevole schiera dei vescovi, dei presbiteri, dei diaconi, delle persone consacrate e dei catechisti e catechiste laici, che con fervore, spesso nonostante le difficoltà, si dedicano a questa missione profetica della Chiesa? Come non dire grazie agli esegeti e ai teologi, che con un interesse degno di ammirazione, scrutano le fonti della rivelazione, portando ai pastori l’aiuto competente? Diletti Fratelli e Sorelle, che il buon Dio ricompensi con la sua benedizione la vostra fatica apostolica! “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza” (Is 52,7).

6. Beati anche tutti coloro che col cuore aperto usufruiscono di tale servizio. Sono veramente “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”. Sperimentano infatti questa grazia particolare, in virtù della quale il seme della parola di Dio non cade tra le spine, ma nella terra fertile, e porta abbondanti frutti. E’ proprio questa azione dello Spirito Santo, Consolatore, che previene e soccorre, a toccare i cuori e a rivolgerli a Dio, ad aprire gli occhi della mente e a concedere “a tutti la dolcezza nel consentire e nel credere alla verità” (cfr. Dei Verbum DV 5). Sono beati, perché discernendo e compiendo la volontà del Padre trovano incessantemente il solido fondamento per la costruzione della propria vita.

A coloro che devono attraversare la soglia del terzo millennio, vogliamo dire: costruite la casa sulla roccia! Costruite sulla roccia la casa della vostra vita personale e sociale! E la roccia è Cristo - il Cristo vivente nella sua Chiesa. La Chiesa perdura in questa terra da mille anni. Venne da voi insieme al ministero di Sant’Adalberto. Crebbe sul fondamento della sua morte per martirio e persevera. La Chiesa è Cristo vivente in noi tutti. Cristo è la vite e noi siamo i tralci. Lui è il fondamento e noi siamo le pietre vive.

7. “Signore, resta con noi” (cfr. Lc Lc 24,29) dicevano i discepoli che incontrarono il Cristo risorto sulla strada per Emmaus, e “il loro cuore ardeva nel petto mentre conversava con loro e spiegava loro le Scritture” (cfr. Lc Lc 24,32). Oggi vogliamo ripetere le loro parole: "Resta con noi, Signore"! Ti abbiamo incontrato sul lungo cammino della nostra storia. Ti incontrarono i nostri avi di generazione in generazione. Tu li confermavi con la tua parola mediante la vita e il ministero della Chiesa.

Signore, resta con coloro che verranno dopo di noi! Desideriamo che tu sia con loro, come sei stato con noi. Questo desideriamo e questo ti domandiamo.

Resta con noi, quando si fa sera! Resta, mentre il tempo della nostra storia sta raggiungendo il termine del secondo millennio.

Resta con noi e aiutaci a camminare sempre lungo la via che porta alla casa del Padre.

Resta con noi nella tua parola - in quella parola che diventa sacramento: l’Eucaristia della tua presenza.

Vogliamo ascoltare la tua parola e compierla.

Desideriamo vivere nella benedizione.

Abbiamo il desiderio di essere tra i beati, che “ascoltano la parola di Dio e la osservano”.


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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA (5-17 GIUGNO 1999)

ATTO DI DEVOZIONE AL SACRO CUORE DI GESÙ




Aeroclub di Elblag - Domenica, 6 giugno 1999



1. “Al tuo Cuore rendiamo onore, o Gesù nostro, o Gesù. . .”.

Rendo grazie alla Divina Provvidenza, di poter insieme a voi, qui presenti, rendere lode e gloria al Sacratissimo Cuore di Gesù, in cui si è manifestato nel modo più perfetto l’amore paterno di Dio. Sono lieto perché la pia pratica, di recitare o di cantare ogni giorno nel mese di giugno le Litanie al Sacro Cuore di Gesù, è in Polonia così viva e sempre persevera.

Saluto tutti i presenti oggi a questa funzione, in un pomeriggio domenicale. In modo speciale saluto il vescovo Andrzej, Pastore di questa diocesi, il vescovo ausiliare e i rappresentanti dell’Episcopato polacco, i sacerdoti, le persone consacrate e tutto il Popolo di Dio. Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini della Russia, del distretto di Kaliningrad, presenti qui con il loro arcivescovo, Tadeusz. Saluto anche i fedeli della Chiesa greco-cattolica. Saluto tutta la giovane Chiesa di Elblag, particolarmente unita alla figura di Sant’Adalberto. Non lontano da qui - secondo la tradizione - egli diede la vita per Cristo. Nel corso della storia, la morte di tale martire ha prodotto in questa terra frutti abbondanti di santità. In questo luogo voglio ricordare la beata Dorota di Matowy, moglie e madre di nove figli, ed anche la Serva di Dio Regina Protmann, fondatrice della Congregazione delle Suore di Santa Caterina, che - se Dio vorrà - la Chiesa eleverà alla gloria degli altari, durante questo pellegrinaggio, tramite il mio ministero a Varsavia. Verrà annoverato nell’albo dei beati anche un figlio di questa terra, don Wladyslaw Demski, che diede la vita nel campo di concentramento di Sachsenhausen, difendendo pubblicamente la croce oltraggiata in modo sacrilego dai carnefici. Voi vi siete assunti questa magnifica eredità spirituale e bisogna che la tuteliate, la sviluppiate e costruiate il futuro di questa terra e della Chiesa di Elblag, sul solido fondamento della fede e della vita religiosa.

2. “Cuor di Gesù, sorgente di vita e di santità, abbi pietà di noi”.

Così lo invochiamo nelle Litanie. Tutto ciò che Dio voleva dire a noi di sé e del suo amore, lo ha deposto nel Cuore di Gesù e mediante questo Cuore l’ha espresso. Ci troviamo di fronte ad un mistero inscrutabile. Attraverso il Cuore di Gesù leggiamo l’eterno piano divino della salvezza del mondo. Ed è un progetto d’amore.

Siamo venuti oggi qui per contemplare l’amore del Signore Gesù, la sua bontà che compatisce ogni uomo; per contemplare il suo Cuore ardente d’amore per il Padre, nella pienezza dello Spirito Santo. Cristo che ci ama, ci mostra il suo Cuore come fonte di vita e di santità, come sorgente della nostra redenzione. Per comprendere in modo più profondo questa invocazione, bisogna tornare all’incontro di Gesù con la Samaritana, nella piccola città di Sicar, presso il pozzo, che si trovava lì sin dai tempi del patriarca Giacobbe. Era venuta per attingere l’acqua. Allora Gesù le disse: “Dammi da bere”, e lei si rivolse a lui: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna Samaritana?”. Ricevette allora la risposta da Gesù: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva (...) L’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (cfr Jn 4,1-14).

Gesù è sorgente; da lui prende inizio la vita divina nell’uomo. Bisogna soltanto avvicinarsi a lui, rimanere in lui, per avere questa vita. E che cosa è questa vita se non l’inizio della santità dell’uomo? Della santità che è in Dio e che l’uomo può raggiungere con l’aiuto della grazia? Tutti desideriamo bere dal divin Cuore, che è sorgente di vita e di santità.

3. “Beati coloro che agiscono con giustizia e praticano il diritto in ogni tempo” (Sal 105[106], 3).

Fratelli e Sorelle, la meditazione dell’amore di Dio, rivelatosi nel Cuore del suo Figlio, esige dall’uomo una risposta coerente. Non siamo stati chiamati soltanto a contemplare il mistero dell’amore di Cristo, ma a partecipare ad esso. Cristo dice: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (Jn 14,15). In questo modo pone dinanzi a noi una grande chiamata e allo stesso tempo una condizione: se vuoi amarmi, osserva i miei comandi, osserva la santa legge di Dio, pratica i sentieri che io ti ho indicati.

La volontà di Dio è che noi osserviamo i comandamenti, cioè la legge di Dio data sul Monte Sinai a Israele, per mezzo di Mosè. Data a tutti gli uomini. Conosciamo questi comandamenti. Molti di voi li ripetono ogni giorno nella preghiera. E’ un’usanza molto bella e devota. Ripetiamoli, come sono scritti nel Libro dell’Esodo, per confermare e per rinnovare ciò che ricordiamo.

“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù:
Non avrai altri dei di fronte a me!
Non pronunzierai invano il nome del Signore, tuo Dio.
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo.
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio.
Non uccidere.
Non commettere adulterio.
Non rubare.
Non pronunziare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Non desiderare la casa del tuo prossimo.
Non desiderare la moglie del tuo prossimo” (cfr. Ex 20,2-17).

Ecco il fondamento della morale dato all’uomo dal Creatore: il Decalogo, le dieci parole di Dio pronunciate con fermezza sul Sinai e confermate da Cristo nel discorso della montagna, nel contesto delle otto beatitudini. Il Creatore, che allo stesso tempo è il supremo legislatore, ha iscritto nel cuore dell’uomo tutto l’ordine della verità. Tale ordine condiziona il bene e l’ordine morale e costituisce la base della dignità dell’uomo creato ad immagine di Dio. I comandamenti sono stati dati per il bene dell’uomo, per il suo bene personale, familiare e sociale. Sono veramente per l’uomo la via. Il solo ordine materiale non basta. Occorre che sia completato ed arricchito da quello soprannaturale. Grazie ad esso, la vita acquista un nuovo senso e l’uomo diventa migliore. La vita infatti ha bisogno di forze e di valori divini, soprannaturali, soltanto allora acquista il pieno splendore.

Cristo confermò questa legge dell’Antica Alleanza. Nel discorso della montagna parlava con chiarezza a coloro che lo stavano ascoltando: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17). Cristo è venuto per dare compimento alla legge, prima di tutto per colmarla nel suo contenuto e nel suo significato, e per mostrarne così il pieno senso e tutta la profondità: la legge è perfetta quando è pervasa dall’amore di Dio e del prossimo. L’amore è ciò che decide della perfezione morale dell’uomo, della sua somiglianza con Dio. “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, - dice Cristo - questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Jn 14,21). L’odierna funzione liturgica dedicata al Sacratissimo Cuore di Gesù ci ricorda questo amore di Dio, desiderato dall’uomo intensamente, e indica che una concreta risposta a questo amore è l’osservanza nella vita quotidiana dei comandamenti di Dio. Dio ha voluto che essi non si offuschino nella memoria, ma rimangano impressi per sempre nelle coscienze degli uomini, affinché l’uomo conoscendo e osservando i comandamenti, “abbia la vita eterna”.

4. “Beato chi pratica il diritto”.

Il Salmista chiama così colui che cammina sulla via dei comandamenti e li osserva fino alla fine (cfr. Sal 118[119], 32-33). L’osservanza della legge divina, infatti, è il fondamento per ottenere il dono della vita eterna, cioè della felicità che non termina mai. Alla domanda del giovane ricco: “Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna? (Mt 19,16), Gesù rispose: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” (Mt 19,17). Questa chiamata da parte di Cristo è particolarmente attuale nella realtà di oggi, nella quale molti vivono come se Dio non ci fosse. La tentazione di organizzare il mondo e la propria vita senza Dio oppure contro Dio, senza i suoi comandamenti e senza il Vangelo, esiste e minaccia anche noi. E la vita umana e il mondo costruiti senza Dio, alla fine si volgeranno contro l’uomo. Trasgredire i comandamenti divini, abbandonare il cammino tracciato da Dio, significa cadere nella schiavitù del peccato, e “il salario del peccato è la morte” (Rm 6,23).

Ci troviamo di fronte alla realtà del peccato. Esso è offesa a Dio, è una disubbidienza a Dio, alla sua legge, alla norma morale, che Dio diede all’uomo, inscrivendola nel cuore umano, confermandola e perfezionandola mediante la Rivelazione. Il peccato si contrappone all’amore di Dio per noi e distoglie da lui i nostri cuori. Il peccato è “l’amore di sé portato fino al disprezzo di Dio”, come dice S. Agostino (De Civitate Dei, 14, 28). Il peccato è un grande male in tutta la sua molteplice dimensione. Cominciando da quello originale, attraverso tutti i peccati personali di ogni uomo, attraverso i peccati sociali, i peccati che gravano sulla storia dell’intera umanità.

Dobbiamo essere costantemente consapevoli di questo grande male, dobbiamo costantemente acquisire la sottile sensibilità e la chiara conoscenza del fomite di morte contenuto nel peccato. Si tratta qui di ciò che si è soliti chiamare il senso del peccato. Esso ha la sua fonte nella coscienza morale dell’uomo, è legato con la conoscenza di Dio, con il senso dell’unione con il Creatore, Signore e Padre. Più profonda è questa coscienza di unione con Dio, rafforzata dalla vita sacramentale dell’uomo e dalla sincera preghiera, più chiaro é il senso del peccato. La realtà di Dio svela e illumina il mistero dell’uomo. Facciamo di tutto, per rendere sensibili le nostre coscienze, e custodirle contro la deformazione o l’insensibilità.

Vediamo quali grandi compiti Dio ci pone davanti. Dobbiamo formare in noi un vero uomo ad immagine e somiglianza di Dio. Un uomo che ama la legge di Dio e vuole vivere secondo essa. Il Salmista che grida: “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato” (Sal 50[51], 3-4), non è per noi un toccante esempio di un uomo, che si presenta pentito davanti a Dio? Vuole la metanoia del proprio cuore, per diventare una nuova creatura, diversa, trasformata dalla potenza di Dio.

Si presenta davanti a noi Sant’Adalberto. Sentiamo qui la sua presenza, perché in questa terra egli diede la sua vita per Cristo. Da mille anni egli ci dice, con la testimonianza del martirio, che la santità si consegue mediante il sacrificio, che qui non c’è spazio per alcun compromesso, che bisogna essere fedeli fino alla fine, che bisogna avere il coraggio di proteggere l’immagine di Dio nella propria anima, fino al prezzo supremo. La sua morte da martire richiama gli uomini affinché, morendo al male e al peccato, lascino che nasca in loro un uomo nuovo, un uomo di Dio, che osserva i comandamenti del Signore.

5. Cari Fratelli e Sorelle, contempliamo il Sacro Cuore di Gesù, che è sorgente di vita, poiché per suo mezzo si è compiuta la vittoria sulla morte. Esso è anche sorgente di santità, poiché in esso viene sconfitto il peccato, che è il nemico dello sviluppo spirituale dell’uomo. Dal Cuore del Signore Gesù, prende inizio la santità di ciascuno di noi. Impariamo da questo Cuore l’amore per Dio e la comprensione del mistero del peccato - mysterium iniquitatis.

Facciamo atti di riparazione al Divin Cuore per i peccati commessi da noi e dai nostri prossimi. Ripariamo per il rifiuto della bontà e dell’amore di Dio.

Accostiamoci ogni giorno a questa fonte da cui sgorgano le sorgenti d’acqua viva. Invochiamo con la donna samaritana “dacci quest’acqua”, poiché essa dà la vita eterna.

Cuore di Gesù, fornace ardente di carità,
Cuore di Gesù, sorgente di vita e di santità,
Cuore di Gesù, propiziazione per i nostri peccati
- abbi pietà di noi. Amen.
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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA (5-17 GIUGNO 1999)

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA




Bydgoszcz - Lunedì, 7 giugno 1999



1. “Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,10).

Abbiamo appena sentito le parole dette da Cristo nel discorso della montagna. A chi si riferiscono? Esse si riferiscono prima di tutto a Cristo stesso. Egli è povero, Egli è mite, Egli è operatore di pace, Egli è misericordioso, ed Egli è anche colui che è perseguitato per causa della giustizia. Questa beatitudine in modo particolare ci pone davanti agli occhi gli eventi del Venerdì Santo. Cristo condannato a morte come un malfattore, e poi crocifisso. Sul Calvario sembrava che fosse abbandonato da Dio e in balia dello scherno degli uomini.

Il Vangelo che Cristo annunziava, venne allora sottoposto ad una prova terribile: “E’ il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo” (Mt 27,42); così gridavano quanti furono testimoni di quell’evento. Cristo non scende dalla croce poiché è fedele al suo Vangelo. Soffre l’ingiustizia umana. Solo in questo modo, infatti, può compiere la giustificazione dell’uomo. Voleva che prima di tutto si verificassero su di lui le parole del discorso della montagna: “Beati voi quando [gli uomini] vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi” (Mt 5,11-12).

Cristo è il grande profeta. In Lui si compiono le profezie, perché tutte indicavano Lui. In Lui, allo stesso tempo, si apre la profezia definitiva. Egli è colui che soffre la persecuzione a causa della giustizia, pienamente consapevole che è proprio tale persecuzione a schiudere davanti all’umanità le porte della vita eterna. D’ora in poi a coloro che crederanno in Lui deve appartenere il regno dei cieli.

2. Rendo grazie a Dio perché sul percorso del mio pellegrinaggio si è trovata Bydgoszcz, il più grande centro urbano dell’Arcidiocesi di Gniezno. Saluto tutti voi, giunti per partecipare a questa Celebrazione Eucaristica. In modo particolare saluto l’arcivescovo Henryk, Pastore della Chiesa di Gniezno, i vescovi ausiliari. Esprimo la mia gioia per la presenza qui dei cardinali ospiti: di Berlino, di Colonia, di Vienna, ed anche dei cardinali, arcivescovi e vescovi polacchi. Saluto il clero, le persone consacrate ed anche i pellegrini che sono venuti da altre parti della Polonia, come pure coloro che non possono essere presenti a questa S. Messa, specialmente i malati.

Due anni fa, a Gniezno, mi fu dato di ringraziare il Signore, unico Dio nella Santa Trinità, per il dono della fedeltà di Sant’Adalberto fino al supremo sacrificio del martirio e per i beati frutti, portati da quella morte, non soltanto alla nostra Patria, ma anche alla Chiesa intera. In quella occasione dissi: “Sant’Adalberto è sempre con noi. E’ rimasto a Gniezno dei Piast e nella Chiesa universale, circondato dalla gloria del martirio. E dalla prospettiva del millennio sembra parlarci oggi con le parole di san Paolo: «Soltanto però comportatevi da cittadini degni del Vangelo, perché nel caso che io venga e vi veda o che di lontano senta parlare di voi, sappia che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del Vangelo, senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari» (Ph 1,27-28). (. . .) Oggi rileggiamo una volta ancora, dopo mille anni, questo testamento di Paolo e di Adalberto. Chiediamo che le loro parole si compiano anche nella nostra generazione. Ci è stata infatti concessa in Cristo la grazia, non soltanto di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, dato che abbiamo sostenuto la stessa lotta di cui Adalberto ci ha lasciato la testimonianza (cfr Ph 1,29-30)” (Giovanni Paolo II, Omelia, 3.06.1997: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XX, 1 (1997) 1377).

Voglio rileggere questo messaggio alla luce della beatitudine evangelica che comprende coloro che sono disposti ad essere “perseguitati” per causa della giustizia. Tali confessori di Cristo non sono mai mancati in terra polacca. Non sono mancati neppure nella città sul fiume Brda. Negli ultimi decenni Bydgoszcz è stata contraddistinta con il particolare segno della “persecuzione per causa della giustizia”. Qui infatti, nei primi giorni della Seconda Guerra Mondiale i nazisti compirono le prime esecuzioni pubbliche dei difensori della città. Il Mercato Vecchio di Bydgoszcz ne è il simbolo. Un’altro tragico luogo è la cosiddetta “Valle della Morte” a Fordon. Come non ricordare in questa occasione il vescovo Michal Kozal, che, prima di diventare vescovo ausiliare di Wloclawek, era un pastore zelante a Bydgoszcz. Morì come martire a Dachau, testimoniando un’incrollabile fedeltà a Cristo. Molte persone legate con questa città e con questa terra hanno subito una simile morte nei campi di concentramento. Solo Dio conosce con precisione i luoghi del loro supplizio e della loro sofferenza.

Il Servo di Dio, Cardinale Stefan Wyszynski, sapeva leggere in modo perspicace l’eloquenza di tali eventi. Avendo ottenuto nel 1973, dopo tanti tentativi, dalle autorità comuniste di allora, il permesso di costruire a Bydgoszcz la prima chiesa dopo la Seconda Guerra Mondiale, le conferì uno strano titolo: dei “Santi Martiri Fratelli Polacchi”. Il Primate del Millennio voleva esprimere in questo modo la convinzione che la terra di Bydgoszcz provata dalla “persecuzione per causa della giustizia” è un luogo adatto per un tale tempio. Esso commemora tutti i Polacchi anonimi che nel corso della storia ultramillennaria del cristianesimo polacco, diedero la loro vita per il Vangelo di Cristo e per la Patria, cominciando da Sant’Adalberto. E’ significativo anche il fatto che don Jerzy Popieluszko partì proprio da questo tempio per il suo ultimo viaggio. In questa storia si iscrivono le parole pronunciate durante la funzione del rosario: “A voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui” (Ph 1,29).

3. “Beati i perseguitati per causa della giustizia”.

A chi ancora si riferiscono queste parole? A molti, a molti uomini ai quali, nel corso della storia dell’umanità, fu dato di soffrire la persecuzione per causa della giustizia. Sappiamo che i primi tre secoli dopo Cristo furono segnati da terribili persecuzioni, specialmente sotto alcuni imperatori romani, da Nerone a Diocleziano. E benché dai tempi dell’Editto di Milano esse sono cessate, tuttavia venivano riproposte nelle varie epoche storiche in numerosi luoghi della terra.

Anche il nostro secolo ha scritto un grande martirologio. Io stesso, nel corso del ventennio del mio pontificato, ho elevato alla gloria degli altari numerosi gruppi di martiri: giapponesi, francesi, vietnamiti, spagnoli, messicani. E quanti ve ne furono nel periodo della Seconda Guerra Mondiale e sotto il sistema totalitario comunista! Soffrivano e davano la loro vita nei campi di sterminio hitleriani oppure sovietici. Tra pochi giorni, a Warszawa, procederò alla beatificazione dei 108 martiri che nei campi di concentramento diedero la loro vita per la fede. E’ giunto ora il momento di ricordare tutte queste vittime e di rendere loro l’onore dovuto. Questi sono dei “martiri, spesso sconosciuti, quasi «militi ignoti» della grande causa di Dio” - ho scritto nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente (n. 37). Ed è bene che si parli di essi in terra polacca, poiché essa sperimentò una particolare partecipazione a questo martirologio contemporaneo. E’ bene che se ne parli a Bydgoszcz! Tutti diedero la testimonianza di fedeltà a Cristo nonostante sofferenze che fanno inorridire per la loro crudeltà. Il loro sangue si riversò sulla nostra terra e la fecondò per la crescita e per la messe. Esso continua a produrre il centuplo nella nostra nazione, che persevera fedele accanto a Cristo e al Vangelo. Perseveriamo senza cessare di essere uniti a loro. Rendiamo grazie a Dio, perché uscirono vittoriosi dalle fatiche: “Dio (. . .) li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto” (Sg 3,6). Costituiscono per noi un modello da seguire. Dal loro sangue dovremmo attingere forze per il sacrificio della nostra vita, che dobbiamo offrire a Dio ogni giorno. Sono per noi esempio affinché, come loro, diamo una coraggiosa testimonianza di fedeltà alla Croce di Cristo.

4. “Beati voi quando [gli uomini] vi insulteranno, vi perseguiteranno (...) per causa mia” (Mt 5,11).

A coloro che lo seguono, Cristo non promette una vita facile. Annunzia piuttosto che, vivendo il Vangelo, dovranno diventare segno di contraddizione. Se egli stesso soffrì persecuzione, essa si compirà anche per i suoi discepoli: “Guardatevi dagli uomini - egli annunzia - perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe” (Mt 10,17).

Cari Fratelli e Sorelle! Ogni cristiano, unito con Cristo mediante la grazia del santo Battesimo, è divenuto membro della Chiesa e “ormai non appartiene a se stesso” (cfr 1Co 6,19), ma a colui che per noi è morto e risorto. Da quel momento entra in un particolare legame comunitario con Cristo e con la sua Chiesa. Ha dunque l’obbligo di professare davanti agli uomini la fede ricevuta da Dio tramite la Chiesa. Come cristiani siamo dunque chiamati a testimoniare Cristo. A volte ciò esige un grande sacrificio da parte dell’uomo, da offrire ogni giorno e, a volte, anche per tutta la vita. Questa ferma perseveranza accanto a Cristo e al suo Vangelo, questa disponibilità ad affrontare “sofferenze per causa della giustizia” sono sovente atti di eroismo e possono assumere forma di autentico martirio, che si compie ogni giorno e in ogni istante nella vita dell’uomo, goccia a goccia, sino al conclusivo “tutto è compiuto”.

Un credente “soffre per causa della giustizia” quando in cambio della sua fedeltà a Dio sperimenta umiliazioni, viene oltraggiato, deriso nel proprio ambiente, incompreso perfino da parte delle persone a lui più care. Quando si espone ad essere contrastato, rischia l’impopolarità e altre spiacevoli conseguenze. Tuttavia è sempre pronto ad ogni sacrificio, perché “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (Ac 5,29). Accanto al martirio pubblico, che si compie esternamente, davanti agli occhi di molti, quanto spesso si attua il martirio nascosto nei segreti dell’intimo umano; il martirio del corpo e il martirio dello spirito. Il martirio della nostra vocazione e della nostra missione. Il martirio della lotta con se stessi e del superamento di se stessi. Nella Bolla di indizione del Grande Giubileo dell’Anno 2000, Incarnationis mysterium, ho scritto tra l’altro: “Il credente che abbia preso in seria considerazione la propria vocazione cristiana, per la quale il martirio è una possibilità annunciata già nella Rivelazione, non può escludere questa prospettiva dal proprio orizzonte di vita” (n° 13).

Il martirio è per l’uomo una prova grande e radicale. La somma prova dell’essere uomo, la prova della dignità dell’uomo di fronte a Dio stesso. Sì, è una grande prova per l’uomo, che si svolge davanti agli occhi di Dio stesso, ma anche davanti a quelli del mondo dimentico di Dio. In questa prova, l’uomo riporta la vittoria, quando si lascia sostenere dalla forza della Grazia e diventa un eloquente testimone di essa.

Non si trova davanti ad una simile prova la madre che decide di offrirsi in sacrificio, per salvare la vita del proprio figlio? Quante numerose furono e sono queste madri eroiche nella nostra società! Le ringraziamo per l’esempio d’amore, che non indietreggia davanti al supremo sacrificio.

Non si trova davanti ad una prova di questo genere un credente che difende il diritto alla libertà religiosa e alla libertà di coscienza? Penso qui a tutti quei fratelli e a tutte quelle sorelle che, durante le persecuzioni nei riguardi della Chiesa testimoniavano la fedeltà a Dio. Basti ricordare la recente storia della Polonia e le difficoltà e le persecuzioni a cui veniva sottoposta la Chiesa in Polonia e i credenti in Dio. Fu una grande prova per le coscienze umane, un autentico martirio della fede, che esigeva di confessarla davanti agli uomini. Fu un tempo di prova spesso molto dolorosa. Nei riguardi di numerose persone si verificarono pienamente le parole del Libro della Sapienza “Dio (. . .) li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto” (Sg 3,5-6). Oggi vogliamo rendere loro onore perché non temettero di affrontare tale prova e perché ci hanno mostrato la strada da percorrere verso il nuovo millennio. Sono per noi un grande richiamo. Con la loro vita dimostrano che il mondo ha bisogno di questo genere di “folli di Dio”, che attraversano la terra, come Cristo, come Adalberto, Stanislao, o Massimiliano Maria Kolbe e molti altri. Ha bisogno di persone che abbiano il coraggio di amare e non si tirino indietro davanti ad alcun sacrificio nella speranza che esso darà un giorno frutto abbondante.

5. “Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,12). Ecco il Vangelo delle otto beatitudini. Tutti quegli uomini - lontani e vicini, di altre nazioni e nostri connazionali - tutti essendo perseguitati per causa della giustizia, si unirono a Cristo. Mentre stiamo celebrando l’Eucaristia, che rende presente il sacrificio della croce compiutosi sul Calvario, vogliamo annoverare in esso quanti, come Lui, furono perseguitati per causa della giustizia. A loro appartiene il regno dei cieli. Hanno già ricevuto la loro ricompensa.

Con la preghiera abbracciamo anche coloro che continuano ad essere sottoposti alla prova. Cristo dice loro: “Rallegratevi ed esultate”, perché avete parte non soltanto alla mia sofferenza, ma anche alla mia gloria e alla mia resurrezione.

Veramente, “rallegratevi ed esultate”, voi tutti pronti a soffrire per causa della giustizia, poiché è grande la vostra ricompensa nei cieli! Amen.
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GPII Omelie 1996-2005 208