GPII Omelie 1996-2005 214

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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA (5-17 GIUGNO 1999)

LITURGIA ECUMENICA




(Drohiczyn) - Giovedì, 10 giugno 1999



1. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato” (Jn 13,34).

Abbiamo appena ascoltato le parole di Cristo che san Giovanni ci ha trasmesso nel suo Vangelo. Il Signore le ha rivolte ai discepoli nel discorso di addio prima della passione e morte in croce, nel momento in cui lavò i piedi agli Apostoli. È quasi il suo ultimo grido rivolto all'umanità, col quale esprime un desiderio ardente: «Che vi amiate a vicenda»!

Con queste parole di Cristo saluto tutti i presenti all'odierno incontro liturgico, che è, al contempo, una preghiera ecumenica per l'unità dei cristiani. Saluto cordialmente il Vescovo Antoni, Pastore della diocesi di Drohiczyn, il Vescovo Jan Szarek, Presidente del Consiglio Ecumenico Polacco, insieme con i rappresentanti delle Chiese e delle Comunità ecclesiali membri del Consiglio Ecumenico Polacco. Rivolgo parole di saluto ai fratelli e alle sorelle della Chiesa ortodossa della Polonia e a quelli che vengono dall'estero; porgo un particolare saluto all'Arcivescovo Sawa, Metropolita di Warszawa e di tutta la Polonia ringraziandolo per le parole che mi ha appena rivolto. Insieme con lui saluto tutti i Vescovi della Chiesa ortodossa in Polonia. Il mio pensiero molto cordiale va ai Signori Cardinali, agli Arcivescovi ed ai Vescovi provenienti dalla Polonia e dall'estero. Abbraccio di cuore tutto il Popolo di Dio della diocesi di Drohiczyn, a me cara. In modo speciale saluto i fratelli sacerdoti, le persone consacrate, gli studenti del Seminario Maggiore di Drohiczyn. Alle persone anziane, agli ammalati, ai disabili, ai giovani ed ai bambini qui presenti rivolgo con intenso affetto il mio pensiero. Saluto pure i pellegrini della Bielorussia, della Lituania e dell'Ucraina. La loro presenza mi riempie di particolare gioia.

Ti saluto, terra della Podlasia: terra arricchita dalla bellezza della natura e, prima di tutto, santificata dalla fedeltà di questo popolo che, nel corso della sua storia, più volte fu dolorosamente provato e dovette lottare con enormi contrarietà di ogni genere. Tuttavia, rimase sempre fedele alla Chiesa, e lo è fino ad oggi. Sono lieto di trovarmi qui con voi per esercitare il servizio pastorale. Ricordo con commozione le mie numerose visite a Drohiczyn, specialmente in occasione delle celebrazioni del Millennio, quando i Vescovi di tutta la Polonia, insieme col Primate del Millennio, resero grazie a Dio per il dono del santo battesimo, per la grazia della fede, della speranza e della carità. Qui partecipai all'ultimo viaggio del Prelato mitrato Mons. Krzywicki, Amministratore Apostolico della diocesi di Pinsk. Alcuni anni dopo vi ritornai per concludere la peregrinazione della copia dell'immagine della Madonna di Czestochowa. Questi ricordi rivivono oggi in me, mentre come Pontefice pellegrino sono qui tra voi.

2. «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato».

Queste parole di Cristo emanano una grande potenza. Quando morì sulla croce nell'orribile passione, nell'abbassamento e nell'abbandono, allora mostrò al mondo tutto il significato e la profondità di tali prove. Guardando l'agonia di Cristo, i discepoli presero consapevolezza di quale era l'impresa a cui egli li aveva chiamati dicendo: «Amatevi, come io ho amato voi». San Giovanni, nel ricordare questo evento, scriverà nel suo Vangelo: «Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (13, 1). Cristo ci ha amati per primo, ci ha amati nonostante la nostra peccaminosità e la nostra umana debolezza. È stato Lui a far sì che diventassimo degni del suo amore che non conosce alcun limite e mai finisce. Esso ha un carattere definitivo e perfettissimo. Cristo ci ha redenti infatti con il suo prezioso sangue.

Ha insegnato quest'amore anche a noi e a noi l'ha affidato: «Vi do un comandamento nuovo» (Jn 13,34). Ciò significa che questo comandamento è sempre attuale. Se vogliamo rispondere all'amore di Cristo, dobbiamo osservarlo sempre, indipendentemente dal tempo e dal luogo: deve essere per l'uomo una via nuova, un seme nuovo che rinnova i rapporti tra gli uomini. Quest'amore fa di noi, discepoli di Cristo, uomini nuovi, eredi delle promesse divine. Fa sì che diventiamo tutti fratelli e sorelle nel Signore. Fa di noi il nuovo Popolo di Dio, la Chiesa nella quale tutti dovrebbero amare Cristo e in Lui dovrebbero amarsi a vicenda.

Ecco il vero amore, che si è manifestato nella croce di Cristo. Verso questa croce tutti dovremmo guardare, verso essa dovremmo orientare i nostri desideri e i nostri sforzi. In essa abbiamo il più grande modello da imitare.

3. «Signore, indicaci le tue vie, perché possiamo camminare per i tuoi sentieri» (cfr Is 2,3).

La visione del profeta Isaia nella prima Lettura dell'odierna liturgia ci mostra la molteplicità dei popoli e delle nazioni riunite intorno al monte Sion. Essa attesta la presenza di Dio. La profezia annunzia un regno universale di giustizia e di pace. Può essere riferita alla Chiesa, come voluta da Cristo, cioè una Chiesa nella quale regna l'irrinunciabile principio dell'unità.

Occorre che noi, cristiani, radunati oggi per questa comune preghiera, invochiamo con le parole di Isaia: «Signore, indicaci le tue vie, perché possiamo camminare per i tuoi sentieri», affinché possiamo insieme, come coloro che confessano Cristo, camminare su questi sentieri verso il futuro. La vicinanza del Grande Giubileo, in modo particolare, dovrebbe spingerci ad assumere la fatica della ricerca di nuove vie nella vita della Chiesa, Madre comune di tutti i cristiani. Nella Lettera apostolica Tertio Millennio adveniente ho espresso l'ardente auspicio che oggi rinnovo: «Che il Giubileo sia l'occasione propizia di una fruttuosa collaborazione nella messa in comune delle tante cose che ci uniscono e che sono certamente di più di quelle che ci dividono» (n. 16). La fede ci dice che l'unità della Chiesa non è soltanto una speranza per il futuro: in certa misura tale unità già esiste! Essa ancora non ha raggiunto tra i cristiani la sua forma pienamente visibile. La sua edificazione costituisce, dunque, «un imperativo della coscienza cristiana illuminata della fede e guidata dalla carità», poiché «credere in Cristo significa volere l'unità; volere l'unità significa volere la Chiesa; volere la Chiesa significa la comunione di grazia che corrisponde al disegno del Padre da tutta l'eternità» (Ut unum sint, UUS 8 UUS 9).

Siamo, dunque, chiamati ad edificare l'unità. L'unità presente agli inizi della vita della Chiesa non può mai perdere il suo valore essenziale. Tuttavia, con tristezza bisogna constatare che questa unità originaria nell'arco dei secoli, e specialmente nell'ultimo millennio, è stata seriamente indebolita.

4. La via della Chiesa non è facile. «La possiamo paragonare alla via dolorosa di Cristo. Tuttavia essa non dura alcune ore, dura secoli» - ha scritto il teologo ortodosso Pavel Evdokimov. Là dove aumentano le divisioni tra i discepoli di Cristo, viene ferito il suo Corpo Mistico. Appaiono le successive «stazioni dolorose» sul cammino della storia della Chiesa. Ma Cristo ha fondato un'unica Chiesa e desidera che essa rimanga tale per sempre. Dobbiamo dunque tutti, alle porte di un nuovo periodo della storia, fare un esame di coscienza sulla responsabilità per le divisioni esistenti. Dobbiamo ammettere le colpe commesse e perdonarcele a vicenda. Abbiamo difatti ricevuto il comandamento nuovo del vicendevole amore, che ha la sua fonte nell'amore di Cristo. San Paolo ci spinge a questo amore con le parole: «Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi in sacrificio. Fatevi dunque imitatori di Dio e camminate nella carità» (cfr Ep 5,1-2).

L'amore dovrebbe indurci a una comune riflessione sul passato, per procedere con perseveranza e coraggio sulla via verso l'unità.

L'amore è l'unica forza che schiude i cuori alla parola di Gesù e alla grazia della Redenzione. È l'unica forza capace di indurci a condividere fraternamente tutto ciò che siamo e quanto abbiamo per volontà di Cristo. Essa è un potente stimolo al dialogo, nel quale ci ascoltiamo e ci conosciamo reciprocamente.

L'amore ci apre verso l'altro, diventando con ciò la base delle relazioni umane. Rende capaci di superare le barriere delle proprie debolezze e dei propri pregiudizi. Purifica la memoria, insegna nuove vie, schiude la prospettiva di un'autentica riconciliazione, premessa essenziale per la comune testimonianza del Vangelo, di cui ha tanto bisogno il mondo di oggi.

Alla vigilia del terzo millennio dobbiamo accelerare il passo verso la perfetta e fraterna riconciliazione, per poter nel prossimo millennio testimoniare, mano nella mano, la salvezza davanti ad un mondo che tanto attende questo segno di unità.

È bene che della grande causa dell'ecumenismo parliamo proprio a Drohiczyn, nel cuore della Podlasia, dove da secoli si incontrano le tradizioni cristiane dell'Oriente e dell'Occidente. È una città che è sempre stata aperta ai cattolici, agli ortodossi e ai protestanti. Tuttavia ci sono molti momenti nella storia di questa terra, che più che in ogni altro luogo mettono in risalto la necessità del dialogo nell'aspirazione dei cristiani all'unità. Nell'Enciclica Ut unum sint ho sottolineato che «Il dialogo è (. . .) strumento naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista e soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro» (n. 38). Questo dialogo dovrebbe distinguersi per l'amore alla verità, poiché «L'amore della verità è la dimensione più profonda di una autentica ricerca della piena comunione tra i cristiani. Senza quest'amore sarebbe impossibile affrontare le obbiettive difficoltà teologiche, culturali, psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le divergenze. A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso l'interlocutore, umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe richiedere revisioni di affermazioni e di atteggiamenti» (Ibid.).

Sia, dunque, l'amore a gettare i ponti tra le nostre sponde e ci incoraggi a far tutto il possibile. Siano l'amore reciproco e l'amore per la verità la risposta alle difficoltà esistenti e alle tensioni che a volte nascono.

Oggi mi rivolgo ai fratelli e alle sorelle di tutte le Chiese: apriamoci all'amore riconciliante di Dio. Apriamo le porte delle nostre menti e dei nostri cuori, delle Chiese e delle Comunità. Il Dio della nostra fede, colui che invochiamo come Padre è «il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe» (Mc 12,26), è il Dio di Mosè. Egli è soprattutto il Dio e Padre del nostro comune Signore, Gesù Cristo, nel quale egli si è fatto «il Dio con noi» (cfr Mt 1,23 Rm 15,6).

Offriamo al Padre nostro celeste, al Padre di tutti i cristiani, il dono di una sincera volontà di riconciliazione, esprimendola con atti concreti. A Dio «che è amore» rispondiamo con il nostro amore umano, che guarda con benevolenza gli altri e dimostra un desiderio sincero di collaborare ovunque ciò sia possibile, e permette di apprezzare ciò che è buono e ciò che merita il plauso e l'imitazione.

5. «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe» (Is 2,3).

Ecco il grido che il profeta Isaia mette in bocca ai popoli e alle nazioni assetati di unità e di pace.

Sorelle e Fratelli, nulla esprimerà meglio e con maggiore efficacia questa sollecitudine quanto una grande preghiera per l'unità, per la fratellanza, per una comunità familiare di tutti i cristiani. L'amore di Cristo ci spinge a questa preghiera. È Cristo stesso a comandarci di pregare il Padre: «venga il tuo regno» (cfr Mt Mt 6,10). Il Regno di Dio, che Lui ha portato in sé venendo al mondo e facendosi uomo, permane nella Chiesa come realtà già esistente, ma, nel contempo, è un compito da attuare.

Soltanto la preghiera può operare una vera metanoia del cuore. Essa infatti ha il potere di unire tutti i battezzati nella fraternità dei figli di Dio. La preghiera purifica da tutto ciò che ci separa da Dio e dagli uomini. Ci protegge contro la tentazione della pusillanimità e apre il cuore dell'uomo alla grazia divina.

Esorto, dunque, tutti coloro che sono qui riuniti ad una fervida preghiera per la piena comunione delle nostre Chiese. Il progresso sul cammino verso l'unità esige il nostro sforzo, la reciproca benevolenza, l'apertura e un'autentica esperienza di fraternità in Cristo.

Imploriamo il Signore per ottenere questa grazia. ImploriamoLo di togliere gli ostacoli che ritardano il raggiungimento della piena unità. Imploriamo di essere tutti noi dei buoni esecutori dei suoi disegni, affinché l'aurora del nuovo millennio sorga sopra i discepoli di Cristo più uniti tra loro.

«Vi do un comandamento nuovo» (Jn 13,34).

Il comandamento nuovo.

«Affinché tutti siamo una cosa sola,
perché il mondo creda» (cfr Jn 17,21).

Quando sento queste parole, mi viene in mente l'incontro con il Patriarca Teoctist a Bucarest. Alla fine dell'incontro tutta la grande assemblea gridava: «Unità, unità, unità!». Vogliamo l'unità, vogliamo l'unità, preghiamo per l'unità! Che Dio vi ricompensi.

Imploriamo il Signore per ottenere questa grazia. ImploriamoLo di togliere gli ostacoli che ritardano il raggiungimento della piena unità. Imploriamo di essere tutti noi dei buoni esecutori dei suoi disegni, affinché l’aurora del nuovo millennio sorga sopra i discepoli di Cristo più uniti tra loro.


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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA (5-17 GIUGNO 1999)

CELEBRAZIONE DI CHIUSURA DEL


II SINODO PLENARIO NAZIONALE POLACCO




Cattedrale di Warszawa - Venerdì, 11 giugno 1999



1. “Lasciami andare per la campagna a spigolare” (Rt 2,2).

L'odierna liturgia richiama ai nostri occhi l'immagine della mietitura. La prima lettura ci mostra Rut la Moabita che si reca nel campo di Booz, un uomo ricco, per raccogliere le spighe dietro i mietitori. Benché la maniera di mietere in Israele fosse probabilmente diversa da quella polacca, tuttavia, vi era certamente qualcosa di simile e possiamo, pertanto, ricollegarci alla nostra propria esperienza. Con l'immagine di una messe polacca davanti agli occhi, pensiamo al II Sinodo Plenario, che termina oggi nella Cattedrale di Varsavia. Anch'esso costituisce una specie di mietitura. Durante gli anni dei lavori sinodali si è cercato di raccogliere quanto il suolo della Chiesa ha prodotto negli ultimi decenni del secolo in terra polacca. Attraverso i lavori del Sinodo, avete cercato di mettere insieme tutto questo. Prima di tutto avete cercato di osservare, di chiamare per nome, di valutare, di trarre le conclusioni. Oggi portate tutto ciò e lo presentate come un'offerta a Dio, come fanno i mietitori dopo la messe, i quali recano i covoni di grano falciato, pieni di fiducia che quanto hanno raccolto sarà utile. Come il pane che viene fatto di grano, nella speranza che le future generazioni se ne potranno nutrire.

2. Sin dall'inizio la Chiesa polacca ha visto nei sinodi uno strumento efficace per la riforma ed il rinnovamento della vita cristiana, seguendo una pratica, sancita dai tempi degli Apostoli, di una riflessione comune su problemi importanti e difficili. Dopo il periodo antico dello sviluppo della vita sinodale nella Chiesa, il Concilio di Trento diede un nuovo slancio a tale pratica. I sinodi svoltisi dopo il Concilio di Trento con i loro decreti divennero un valido elemento di approfondimento della fede ed un'indicazione del cammino evangelico per tutte le generazioni del Popolo di Dio nella nostra Patria. Grandi meriti ebbero in questo gli Arcivescovi di Gniezno, che convocarono vari sinodi provinciali: gli Arcivescovi Karnkowski, Maciejowski, Gembicki, Wezyk e Lubienskski. Furono autentici propagatori della riforma conciliare, che vedeva nell'istituzione sinodale un'efficace via di rinnovamento.

Nel nostro secolo l'attività sinodale si è intensificata dopo che la Polonia ebbe riacquistato l'indipendenza. E così nel 1936 si svolse il Sinodo Plenario per tutte le cinque metropoli polacche ed ebbero luogo numerosi sinodi diocesani. Il loro scopo era quello di ravvivare la vita religiosa dei fedeli dopo i lunghi anni della perdita dell'indipendenza, come pure di unificare il diritto ecclesiastico. La lodevole usanza di convocare i sinodi continuò dopo la Seconda Guerra Mondiale. Specialmente dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II si iniziò a celebrare sinodi di carattere pastorale. Nelle loro delibere essi si ricollegavano all'insegnamento e alle indicazioni del Concilio, coinvolgendo l'intera comunità ecclesiale. Questa breve storia ci fa vedere come le generazioni che si susseguivano, mediante questi sinodi, cercavano per sé vie nuove per realizzare la vita cristiana, portando un prezioso contributo allo sviluppo e all'attività della Chiesa. Otto anni fa, insieme con tutto l'Episcopato Polacco nella basilica del Sacratissimo Cuore di Gesù, a Varsavia-Praga, mi fu dato di pregare per ottenere la benedizione ai lavori del II Sinodo Plenario. Dissi allora: «il vostro Sinodo apre i suoi lavori dopo il Concilio Vaticano II (che è stato il Concilio del nostro secolo). Contemporaneamente esso si trova di fronte all'inizio del terzo millennio dopo Cristo. Queste circostanze da sole decidono del carattere del Sinodo Plenario e dei suoi compiti. In esso infatti non può far a meno di riflettersi tutto il novum conciliare unito al Vaticano II. Neppure può far a meno di mettere in risalto tutti i «segni dei tempi», che si delineano all'orizzonte del nostro secolo, mentre volge al suo termine» (Giovanni Paolo II, Omelia, 8.6.1991: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV, 1 (1991) 1595).

3. So che i più importanti temi conciliari sono stati presenti sul tavolo dei lavori sinodali, a cui hanno partecipato oltre seimila Gruppi di Studio. I documenti approvati esprimono la comune sollecitudine per il rinnovamento della vita cristiana nella Chiesa polacca, nello spirito del Concilio Ecumenico Vaticano II ed indicano anche la direzione del lavoro futuro.

Nella Lettera apostolica Tertio Millennio adveniente ho scritto che la migliore preparazione al Giubileo dell'Anno 2000 è l'attuazione, per quanto possibile fedele, nella vita di ognuno e di tutta la Chiesa, dell'insegnamento del Vaticano II. Allo stesso tempo ho indicato la necessità di fare un discernimento spirituale sul tema della «ricezione del Concilio, questo grande dono dello Spirito Santo alla Chiesa sul finire del secondo millennio» (nn. 20 e 36). Sono lieto che il II Sinodo Plenario in Polonia si sia assunto questo compito, cercando di rileggere l'insegnamento del Concilio e di assimilare con maggiore fedeltà le sue indicazioni, conformemente al motto scelto: «Con il messaggio del Concilio nel terzo millennio».

La Chiesa, in quanto realtà divino-umana immersa nella temporalità, ha bisogno di un continuo rinnovamento per poter rendersi sempre più simile al suo Fondatore. Tale rinnovamento è, prima di tutto, opera dello Spirito Santo, che «dimora nella Chiesa e con la forza del Vangelo la mantiene sempre giovane e la conduce alla perfetta unione con Cristo» (cfr Lumen gentium LG 4).

Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha svolto un enorme ruolo in questo processo di rinnovamento della Chiesa, che richiede la collaborazione di tutti i suoi membri. Durante i suoi lavori, la Chiesa ha compiuto un'approfondita riflessione su se stessa e sulle sue relazioni con il mondo contemporaneo. Allo stesso tempo ha tracciato il cammino da percorrere per poter adempiere alla missione ricevuta da Cristo. Il Concilio con grande fermezza ha posto l'accento sulla corresponsabilità di tutti i suoi membri per il bene della Chiesa: Vescovi, presbiteri, consacrati e laici. La varietà dei carismi e dei compiti concessa dallo Spirito Santo al clero e ai laici, deve servire alla costruzione di una comunità ecclesiale a vari livelli della vita parrocchiale, diocesana, nazionale o internazionale.

4. La formazione di una società nuova basata sul rispetto dei diritti dell'uomo, della verità e della libertà, esige da parte di tutte le figlie e di tutti i figli della Chiesa una coscienza che sia in grado di costituire il punto di partenza per una più ampia responsabilità ecclesiale. È bene che in una situazione di questo genere il Sinodo Plenario abbia riconosciuto come suo compito fondamentale lavorare alla ricostruzione ed all'approfondimento di questa coscienza ecclesiale, e ciò sia tra i laici che nel clero. Il lungo periodo di lotte contro il sistema totalitario comunista in molti ha indebolito il senso religioso, favorendo la tendenza a ridurre la Chiesa all'ordine delle istituzioni puramente umane e a spingere la religione nell'ambito del privato. Si è cercato di indebolire la Chiesa in quanto comunità riunita intorno a Cristo, che rende pubblica testimonianza alla fede che professa.

Se, grazie ai lavori del Sinodo, la Chiesa è chiamata a consolidarsi come comunità dei credenti, ciò può essere realizzato principalmente mediante una partecipazione consapevole alla sua vita, conformemente al carisma proprio dello stato di vita di ciascuno e secondo il principio di sussidiarietà. Il Sinodo, dunque, potrà attuare il proprio compito in quanto riuscirà a ravvivare nei cuori di tutti -sia del clero che dei laici - il senso di responsabilità ecclesiale e la volontà di cooperare alla realizzazione della missione salvifica della Chiesa.

Il messaggio lasciatoci dal Concilio Vaticano II è, tuttavia, molto più ampio. Riguarda non soltanto la verità sulla Chiesa come comunità visibile di fede, di speranza e di carità, ma anche il suo rapporto con il mondo che ci circonda. L'evangelizzazione oggi richiede un dinamismo apostolico, che non si chiuda davanti ai problemi del mondo. Rendo grazie a Dio onnipotente per ogni ispirazione, per ogni insegnamento che, attraverso il Sinodo, ha raggiunto le menti e i cuori dei suoi partecipanti ed ha permesso loro di presentarsi dinanzi al mondo come testimoni del Vangelo.

Il Sinodo Plenario polacco si inserisce nella preparazione di tutto il Popolo di Dio all'incontro con l'anno 2000, nella serie di Sinodi che si svolgono in questo tempo nella Chiesa. Ne fanno parte i Sinodi ordinari come quelli straordinari, i Sinodi continentali, regionali, nazionali o diocesani. Il II Sinodo Plenario e la sua attuazione vanno incontro alla grande sfida che oggi si pone davanti alla Chiesa in Polonia. Tale sfida è la necessità di una nuova evangelizzazione, la realizzazione cioè dell'opera salvifica di Dio che domanda nuove vie per la diffusione del Vangelo di Cristo.

5. Voglio dire il mio grazie a tutti coloro che hanno dato il loro contributo alla preparazione di questo Sinodo e che hanno collaborato per tutto il tempo della sua durata. Ringrazio il Signor Cardinale Primate, Presidente del Sinodo, i Vescovi, i sacerdoti e i laici che hanno lavorato nella Commissione Permanente e nella Segreteria del Sinodo. In modo particolare ringrazio tutti coloro che si sono impegnati nei Gruppi Sinodali e che con la preghiera, la riflessione e con concrete iniziative apostoliche hanno costruito questo Sinodo. Voglia Dio ricompensare la vostra fatica e il vostro zelo, mediante i quali avete dimostrato quanto amate la Chiesa e quanto vi sta a cuore il suo futuro.

6. «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra» (Mc 4,26). L'odierno Vangelo parla della crescita del regno di Dio. Esso è simile ad un seme. Non importa se l'uomo «dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura» (Mc 4,27-29). Mentre stiamo per chiudere il Sinodo Plenario Cristo ci indica ciò a cui esso è servito sin dall'inizio e a che cosa deve servire in futuro. È servito all'estensione del regno di Dio. Le parole del Vangelo mostrano come questo regno cresca nella storia dell'uomo, in quella delle nazioni e delle società. Esso cresce in modo organico. Da un piccolo inizio, come il granello di senape, diventa gradualmente un grande albero. Auspico che sia così anche per questo II Sinodo Plenario e per tante altre iniziative della Chiesa nella terra polacca.

La Divina Provvidenza ha certamente voluto che la chiusura del Sinodo cadesse nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, istituita dalla Sede Apostolica nel diciottesimo secolo in seguito alle insistenti richieste dei vescovi polacchi. Oggi tutta la Chiesa medita e venera in modo particolare l'ineffabile amore di Dio, che trovò la sua espressione umana nel Cuore del Salvatore trafitto dalla lancia del centurione. Oggi ricordiamo anche il centesimo anniversario della consacrazione di tutto il genere umano al Sacratissimo Cuore di Gesù, un grande evento nella Chiesa che contribuì allo sviluppo del culto e produsse frutti salvifici di santità e di zelo apostolico.

«Dio è amore» (Jn 4,8) e il cristianesimo è la religione dell'amore. Mentre gli altri sistemi di pensiero e di azione vogliono costruire il mondo dell'uomo basato sulla ricchezza, sul potere, sulla sopraffazione, sulla scienza o sul godimento, la Chiesa annuncia l'amore. Il Sacratissimo Cuore di Gesù è proprio l'immagine di questo amore infinito e misericordioso che il Padre celeste ha riversato nel mondo per mezzo del suo Figlio, Gesù Cristo. La nuova evangelizzazione ha come scopo di condurre gli uomini all'incontro con questo amore. Soltanto l'amore, rivelato dal Cuore di Cristo, è capace di trasformare il cuore dell'uomo e aprirlo al mondo intero, per renderlo più umano e più divino.

Il Papa Leone XIII scrisse cent'anni fa che nel Cuore di Gesù «bisogna deporre ogni speranza. In Lui bisogna cercare e da Lui attendere la salvezza di tutti gli uomini» (Annum sacrum, 6). Anch'io vi esorto a rinnovare e a sviluppare il culto del Sacratissimo Cuore di Gesù. Avvicinate a questa «Fonte di vita e di santità» le persone, le famiglie, le comunità parrocchiali, gli ambienti perché possano da Lui attingere «le imperscrutabili ricchezze di Cristo» (Ep 3,8). Soltanto coloro che sono radicati e fondati nella carità» (Ep 3,17) sanno contrapporsi alla civiltà della morte e costruire sulle rovine dell'odio, del disprezzo e della sopraffazione una civiltà che ha la sua sorgente nel Cuore del Salvatore.

Per terminare il mio incontro con voi, in questa solennità così cara a tutta la Chiesa, affido l'intera opera del II Sinodo Plenario, la sua realizzazione e i suoi frutti in terra polacca al Sacratissimo Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato della Madre sua, che pronunciando il suo fiat si è unita senza riserve al sacrificio redentore del suo Figlio.


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VIAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA (5-17 GIUGNO 1999)

CELEBRAZIONE EUCARISTICA




Spianata di Blonia Rybitwy (Sandomierz) - Sabato, 12 giugno 1999



1. “Sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”” (Lc 2,48).

Oggi la Liturgia della Chiesa fa memoria del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria. Volgiamo il nostro sguardo verso Maria che, piena di premura e di preoccupazione, cerca Gesù smarrito durante il pellegrinaggio a Gerusalemme. Come devoti israeliti, Maria e Giuseppe si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando Gesù ebbe dodici anni andò con loro per la prima volta. E proprio allora ebbe luogo l'evento che contempliamo nel quinto mistero glorioso del santo Rosario, il mistero del ritrovamento. San Luca lo descrive in modo molto toccante, in base alle notizie, come si può supporre, ricevute dalla Madre di Gesù: «Figlio, perché ci hai fatto così? (. . .) angosciati ti cercavamo». Maria, che aveva portato Gesù sotto il suo cuore e lo aveva protetto contro Erode fuggendo in Egitto, confessa umanamente la sua grande angoscia per il Figlio. Sa di dover essere presente sul suo cammino. Sa che mediante l'amore e il sacrificio collaborerà con Lui all'opera della Redenzione. Entriamo così nel mistero del grande amore di Maria verso Gesù, dell'amore che abbraccia con il suo Cuore Immacolato l'Amore ineffabile, il Verbo dell'eterno Padre.

La Chiesa ci ricorda questo mistero proprio qui, a Sandomierz, in questa antichissima Città, dove da oltre mille anni vivono la storia della Chiesa e quella della Patria. Saluto l'intera Chiesa di Sandomierz con il suo Pastore, il Vescovo Waclaw, insieme con i Vescovi ausiliari, i sacerdoti e gli Ordini maschili e femminili. Vi saluto tutti, diletti Fratelli e Sorelle, che partecipate a questo Santissimo Sacrificio. Saluto il Vescovo castrense dell'Esercito Polacco e, insieme con lui, i soldati, i sottufficiali, gli ufficiali e i generali. Saluto i rappresentanti dell'Episcopato Polacco, e anche i Vescovi ospiti delle Autorità statali e locali qui presenti.

Saluto con deferenza l'antichissima Sandomierz, a me così cara. Abbraccio col cuore le altre città e i centri industriali, in modo particolare Stalowa Wola, città simbolo del grande lavoro, della grande fede dei lavoratori, che con generosità degna di ammirazione e con coraggio edificarono il loro tempio, nonostante le difficoltà e le minacce da parte delle Autorità di allora. Ho avuto la gioia di benedire questa chiesa. Quante volte ho visitato questa terra di Sandomierz; spesso mi è stato dato di incontrarmi con la storia della vostra città e apprendere qui la storia della cultura nazionale. In questa città, infatti, si cela una mirabile forza, la cui fonte è radicata nella tradizione cristiana. Sandomierz è, in realtà, un grande libro della fede dei nostri avi. Molte sue pagine sono state scritte da santi e da beati. Nomino anzitutto il Patrono della città, il beato Wincenty Kadlubek, che fu preposito della Cattedrale di Sandomierz e Vescovo di Cracovia e, più tardi, si fece povero monaco dell'Ordine Cistercense a Jldrzejów. Fu il primo, tra i Polacchi, che scrisse la storia della Nazione nella «Cronaca Polacca».

Nel XIII secolo questa terra fu fecondata dal sangue dei beati Martiri di Sandomierz, chierici e laici, che in gran numero morirono per la fede per mano dei Tartari e, insieme con loro, il beato Sadok e 48 Padri Domenicani del convento presso la chiesa romanica di san Giacomo. Nei templi di Sandomierz annunziarono il Vangelo san Giacinto, il beato Czeslaw, sant'Andrea Bobola. I Padri Domenicani diffondevano qui con fervore il culto della Madonna. Nel collegio «Gostomianum» i Gesuiti hanno istruito e formato la gioventù. Presso la chiesa dello Spirito Santo i Religiosi della Congregazione dello Spirito Santo gestivano l'ospedale per i malati, il ricovero per i poveri e gli asili per bambini. Questa città ricorda Jan Dlugosz e santa Edvige regina, della quale quest'anno celebriamo il 600° anniversario.

Anche in tempi recenti questa terra è portatrice di frutti di santità. Il vanto della Chiesa di Sandomierz sono i laici e i chierici, che con la loro vita diedero testimonianza dell'amore a Dio, alla Patria ed all'uomo. Voglio ricordare in modo particolare il servo di Dio, il Vescovo Piotr Golebiowski, che custodì il gregge a lui affidato con mitezza e perseveranza. Attualmente, come sappiamo, è in corso il processo di beatificazione di questo Pastore buono della diocesi di Sandomierz. Ricordo anche il servo di Dio, il sacerdote professor Wincenty Granat, insigne teologo e Rettore dell'Università Cattolica di Lublin, con cui mi incontrai molte volte in varie occasioni. Voglio ricordare con gratitudine anche Franciszek Jop, Vescovo ausiliare di questa Diocesi, nominato più tardi Vicario capitolare a Cracovia e, infine Vescovo di Opole. L'Arcidiocesi di Kraków, di cui fu Amministratore nei difficili anni cinquanta, gli deve molto. Mons. Jop fu anche uno dei miei Vescovi Consacranti.

Oggi a Sandomierz, insieme con tutti voi qui riuniti, lodo Dio per questo grande patrimonio spirituale che, nei tempi delle spartizioni, dell'occupazione tedesca e della dominazione totalitaria da parte del sistema comunista, permise alla popolazione di questa terra di conservare l'identità nazionale e cristiana. Dobbiamo, con grandissima sensibilità, porci in ascolto di questa voce del passato, per portare oltre la soglia dell'anno duemila la fede e l'amore per la Chiesa e per la Patria e trasmetterli alle future generazioni. Qui possiamo renderci conto facilmente come il tempo dell'uomo, il tempo delle comunità e quello delle nazioni è impregnato dalla presenza di Dio e dalla sua azione salvifica.

2. Sul percorso del mio pellegrinaggio attraverso la Polonia mi accompagna il Vangelo delle otto beatitudini pronunciate da Cristo nel discorso della montagna. Qui a Sandomierz Cristo si rivolge a noi: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Queste parole ci introducono nel profondo della verità evangelica sull'uomo. Trovano Gesù coloro che lo cercano, come lo cercavano Maria e Giuseppe. Questo evento getta luce su quella grande tensione presente nella vita di ogni uomo, qual è la ricerca di Dio. Sì, l'uomo veramente cerca Dio; lo cerca con la sua mente, con il suo cuore e con tutto il suo essere. Dice sant'Agostino: «inquieto è il cuor nostro finché non riposa in Dio» (cfr Le Confessioni, I). Questa inquietudine è un'inquietudine creativa. L'uomo cerca Dio perché in Lui, solo in Lui, può trovare il proprio compimento, il compimento delle proprie aspirazioni alla verità, al bene e alla bellezza. «Tu non mi cercheresti se non mi avessi trovato gia prima», scrive di Dio e dell'uomo Blaise Pascal (Pensieri, sez. VII, n. 555). Ciò significa che Dio stesso prende parte a questa ricerca, vuole che l'uomo lo cerchi e crea in lui le condizioni necessarie, affinché egli lo possa trovare. Del resto, Dio stesso si avvicina all'uomo, gli parla di sé, gli permette di conoscersi. La Sacra Scrittura è una grande lezione sul tema di questo ricercare e trovare Dio. Ci presenta numerose e magnifiche figure di coloro che cercano e che trovano Dio. Allo stesso tempo insegna come l'uomo dovrebbe avvicinarsi a Dio, quali condizioni dovrebbe soddisfare per incontrare questo Dio, per conoscerlo e per unirsi a Lui.

Una di queste condizioni è la purezza del cuore. Di cosa si tratta? A questo punto tocchiamo l'essenza stessa dell'uomo il quale, in virtù della grazia della redenzione operata da Cristo, ha riacquistato l'armonia del cuore perduta nel paradiso a causa del peccato. Avere il cuore puro vuol dire essere un uomo nuovo, restituito alla vita in comunione con Dio e con tutto il creato dall'amore redentore di Cristo, riportato alla comunione che è il suo originario destino.

La purezza del cuore è, prima di tutto, un dono di Dio. Cristo donandosi all'uomo nei sacramenti della Chiesa prende dimora nel suo cuore e lo illumina con lo «splendore della verità». Soltanto la verità che è Gesù Cristo è capace di illuminare la ragione, di purificare il cuore e di formare la libertà umana. Senza la comprensione e l'accettazione la fede si spegne. L'uomo perde la visione del senso delle cose e degli eventi, e il suo cuore cerca la soddisfazione là dove non la può trovare. Perciò la purezza del cuore è anzitutto la purezza della fede.

La purezza del cuore, infatti, prepara alla visione di Dio faccia a faccia nelle dimensioni dell'eterna felicità. Accade così perché già nella vita temporale i puri di cuore sono capaci di scorgere in tutta la creazione ciò che è da Dio. Sono capaci, in un certo senso, di svelare il valore divino, la dimensione divina, la divina bellezza di tutto il creato. La beatitudine del discorso della montagna, in certo qual modo, ci indica tutta la ricchezza e tutta la bellezza della creazione e ci esorta a saper scoprire in ogni cosa ciò che proviene da Dio e ciò che porta a Lui. Di conseguenza l'uomo carnale e sensuale deve cedere, deve lasciare il posto all'uomo spirituale, spiritualizzato. È un processo profondo, congiunto allo sforzo interiore. Esso, sostenuto dalla grazia di Dio, porta frutti meravigliosi.

La purezza del cuore è, dunque, data come compito all'uomo. Egli deve costantemente assumersi la fatica di opporsi alle forze del male, a quelle che premono dall'esterno ed a quelle che agiscono dall'interno, che lo vogliono distogliere da Dio. E così nel cuore dell'uomo si combatte una lotta incessante per la verità e per la felicità. Per riportare la vittoria in questa lotta, l'uomo deve rivolgersi a Cristo. È in grado di vincere soltanto corroborato dalla sua forza, dalla forza della sua Croce e della sua resurrezione. «Crea in me, o Dio, un cuore puro» (Sal 50[51], 12), esclama il Salmista, consapevole dell'umana debolezza, perché sa che per essere giusto davanti a Dio non basta il solo sforzo umano.

3. Cari Fratelli e Sorelle, questo messaggio sulla purezza del cuore diventa oggi molto attuale. La civiltà della morte vuole distruggere la purezza del cuore. Uno dei suoi metodi di agire è quello di mettere intenzionalmente in dubbio il valore dell'atteggiamento dell'uomo, che definiamo come virtù della castità. È un fenomeno particolarmente pericoloso quando l'obiettivo dell'attacco sono le coscienze sensibili dei bambini e dei giovani. Una civiltà che, così facendo, ferisce o perfino uccide una corretta relazione tra uomo e uomo, è una civiltà della morte, perché l'uomo non può vivere senza il vero amore.

Rivolgo queste parole a tutti voi che partecipate all'odierno Sacrificio eucaristico, ma in modo speciale le indirizzo ai numerosi giovani qui presenti, ai soldati di leva e agli scouts. Annunziate al mondo «la Buona Novella» sulla purezza del cuore e, con l'esempio della vostra vita, trasmettete il messaggio della civiltà dell'amore. So quanto siete sensibili alla verità e alla bellezza. Oggi la civiltà della morte vi propone, tra le altre cose, il cosiddetto «libero amore». In questo genere di deformazione dell'amore si arriva alla profanazione di uno dei valori più cari e più sacri, perché il libertinaggio non è né amore, né libertà. «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2), ci ammonisce san Paolo. Non abbiate paura di vivere contro le opinioni di moda e le proposte in contrasto con la legge di Dio. Il coraggio della fede costa molto, ma voi non potete perdere l'amore! Non permettete ad alcuno di rendervi schiavi! Non lasciatevi sedurre dalle illusioni della felicità, per le quali dovreste pagare un prezzo troppo alto, il prezzo di ferite spesso incurabili o perfino di una vita spezzata la propria e quella degli altri! Voglio ripetere a voi ciò che già una volta ho detto ai giovani in un altro Continente: «Solo un cuore puro può amare pienamente Dio! Solo un cuore puro può portare a termine fino in fondo la grande impresa dell'amore che è il matrimonio! Solo un cuore puro può servire pienamente gli altri. Non lasciate che distruggano il vostro futuro. Non fatevi carpire la ricchezza dell'amore! Consolidate la vostra fedeltà, quella delle vostre future famiglie che formerete nell'amore di Cristo» (Giovanni Paolo II, Asunción, 18.5.1988: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XI, 2 (1988) 1557 ss.).

Mi rivolgo anche alle nostre famiglie polacche, a voi padri e madri. Bisogna che la famiglia prenda una ferma posizione in difesa della salvaguardia delle soglie della sua casa, in difesa della dignità di ogni persona. Custodite le vostre famiglie contro la pornografia, che oggi invade sotto varie forme la coscienza dell'uomo, specialmente dei bambini e dei giovani. Difendete la purezza dei costumi nei vostri focolari domestici e nella società. L'educazione alla purezza è uno dei grandi compiti dell'evangelizzazione che ora stanno davanti a noi. Più pura sarà la famiglia, più sana sarà la nazione. E noi vogliamo rimanere una nazione degna del proprio nome e della propria vocazione cristiana.

«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8).

4. Fissiamo lo sguardo sulla Vergine Immacolata di Nazaret, Madre del Bell'Amore, che accompagna gli uomini di tutti i tempi in particolare dei nostri tempi nella «peregrinazione di fede» verso la casa del Padre. Ce la ricorda non soltanto l'odierna memoria liturgica, ma anche la magnifica Basilica Cattedrale che domina questa città. Porta il suo nome: è una coincidenza eloquente del luogo e del momento. Perfino la Madre di Gesù, alla quale fu rivelato nel modo più pieno il mistero della divina figliolanza di Cristo, ha dovuto a lungo apprendere il mistero della Croce: ««Figlio, perché ci hai fatto così? - ci ricorda il Vangelo di oggi - Ecco, tuo padre e io angosciati ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole» (Lc 2,48-50). Gesù, infatti, parlava loro della sua opera messianica.

Prima di comprenderlo, l'uomo impara «col dolore del cuore» l'Amore crocifisso. Però se, come Maria, - «serba tutto fedelmente nel suo cuore» (cfr Lc 2,51) tutto ciò che dice Cristo, se è fedele alla chiamata divina, comprenderà ai piedi della Croce la cosa più importante, cioè che vero è soltanto l'amore unito a Dio, che è Amore.
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GPII Omelie 1996-2005 214