GPII Omelie 1996-2005 248

248

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


GIUBILEO DEI MALATI E DEGLI OPERATORI SANITARI


Venerdì, 11 Febbraio 2000

1. "Verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge" (Lc 1,78). Con queste parole Zaccaria preannunciava l'ormai prossima venuta del Messia nel mondo.

Nella pagina evangelica poc'anzi proclamata abbiamo rivissuto l'episodio della Visitazione: la visitazione di Maria alla cugina Elisabetta, la visitazione di Gesù a Giovanni, la visitazione di Dio all'uomo.

Carissimi Fratelli e Sorelle infermi, che siete oggi convenuti in questa Piazza per celebrare il vostro Giubileo, anche l'evento che stiamo vivendo è espressione di una peculiare visitazione di Dio. Con questa consapevolezza vi accolgo e vi saluto cordialmente. Voi siete nel cuore del Successore di Pietro, che condivide ogni vostra preoccupazione ed ansia: siate i benvenuti! Con intima partecipazione celebro oggi il Grande Giubileo dell'Anno Duemila insieme con voi, e con gli operatori sanitari, i familiari, i volontari che vi stanno accanto con premurosa dedizione.

Saluto l'Arcivescovo Mons. Javier Lozano Barragan, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, con i suoi collaboratori, che hanno curato l'organizzazione di questo incontro giubilare. Saluto i Signori Cardinali ed i Vescovi presenti, come pure i Presuli ed i sacerdoti che hanno accompagnato gruppi di malati all'odierna celebrazione. Saluto il Ministro della Sanità del Governo italiano e le altre Autorità intervenute. Un saluto riconoscente va, infine, ai numerosissimi professionisti e volontari, che si sono resi disponibili per essere al servizio degli ammalati durante questi giorni.

2. "Verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge". Sì! Dio oggi ci ha visitato. In ogni situazione Egli è con noi. Ma il Giubileo è esperienza d'una sua visitazione quanto mai singolare. Facendosi uomo, il Figlio di Dio è venuto a visitare ogni persona e si è fatto per ciascuno «la Porta»: Porta della vita, Porta della salvezza. L'uomo deve entrare attraverso questa Porta se vuol trovare salvezza. Ciascuno è invitato a varcare questa soglia.

Oggi siete invitati a varcarla specialmente voi, cari infermi e sofferenti, convenuti in Piazza San Pietro da Roma, dall'Italia e dal mondo intero. Siete invitati anche voi che, collegati attraverso uno speciale ponte televisivo, vi unite a noi nella preghiera dal santuario di Czestochowa in Polonia: a voi giunga il mio saluto cordiale, che estendo volentieri a quanti mediante la televisione e la radio seguono la nostra celebrazione in Italia e all'estero.

Carissimi Fratelli e Sorelle, alcuni di voi sono da anni inchiodati in un letto di dolore: prego Dio perché l'odierno incontro sia per loro di straordinario sollievo fisico e spirituale! Desidero che questa toccante celebrazione offra a tutti, sani e malati, l'opportunità di meditare sul valore salvifico della sofferenza.

3. Il dolore e la malattia fanno parte del mistero dell'uomo sulla terra. Certo, è giusto lottare contro la malattia, perché la salute è un dono di Dio. Ma è importante anche saper leggere il disegno di Dio quando la sofferenza bussa alla nostra porta. La «chiave» di tale lettura è costituita dalla Croce di Cristo. Il Verbo incarnato si è fatto incontro alla nostra debolezza assumendola su di sé nel mistero della Croce. Da allora ogni sofferenza ha acquistato una possibilità di senso, che la rende singolarmente preziosa. Da duemila anni, dal giorno della Passione, la Croce brilla come somma manifestazione dell'amore che Iddio ha per noi. Chi sa accoglierla nella sua vita sperimenta come il dolore, illuminato dalla fede, diventi fonte di speranza e di salvezza.

Cristo sia la Porta per voi, cari ammalati chiamati in questo momento a sostenere una croce più pesante. Cristo sia anche la Porta per voi, cari accompagnatori, che vi prendete cura di loro. Come il buon Samaritano, ogni credente deve offrire amore a chi vive nella sofferenza. Non è consentito «passare oltre» di fronte a chi è provato dalla malattia. Occorre piuttosto fermarsi, chinarsi sulla sua infermità e condividerla generosamente, alleviandone i pesi e le difficoltà.

4. San Giacomo scrive: "Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati" (Jc 5,14-15). Rivivremo in modo singolare quest'esortazione dell'Apostolo quando, tra poco, alcuni di voi, cari malati, riceveranno il sacramento dell'Unzione degli Infermi. Esso, ridonando vigore spirituale e fisico, pone ben in evidenza che Cristo è per la persona sofferente la Porta che conduce alla vita.

Cari ammalati, è questo il momento culminante del vostro Giubileo! Varcando la soglia della Porta Santa, unitevi a tutti coloro che, in ogni parte del mondo, l'hanno già varcata ed a quanti la varcheranno durante l'Anno giubilare. Passare attraverso la Porta Santa sia segno del vostro ingresso spirituale nel mistero di Cristo, il Redentore crocifisso e risorto, che per amore "si è caricato delle nostre sofferenze e ha portato i nostri dolori" (Is 53,4).

5. La Chiesa entra nel nuovo millennio stringendo al suo cuore il Vangelo della sofferenza, che è annuncio di redenzione e di salvezza. Fratelli e Sorelle ammalati, voi siete testimoni singolari di questo Vangelo. Il terzo millennio attende dai cristiani sofferenti questa testimonianza. La attende anche da voi, Operatori della pastorale sanitaria, che con ruoli diversi svolgete accanto ai malati una missione tanto significativa ed apprezzata.

Si chini su ciascuno di voi la Vergine Immacolata, che a Lourdes è venuta a visitarci, come oggi ricordiamo con gioia e riconoscenza. Nella Grotta di Massabielle Ella affidò a santa Bernardetta un messaggio che porta al cuore del Vangelo: alla conversione e alla penitenza, alla preghiera e al fiducioso abbandono nelle mani di Dio.

Con Maria, la Vergine della Visitazione, eleviamo anche noi al Signore il «Magnificat», che è il canto della speranza di tutti i poveri, i malati, i sofferenti del mondo, i quali esultano di gioia perché sanno che Dio è accanto a loro come Salvatore.

Insieme alla Vergine Santissima vogliamo proclamare: "L'anima mia magnifica il Signore" e volgere i nostri passi verso la vera Porta giubilare: Gesù Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre!



Saluti

(Inglese)

I warmly greet the English-speaking pilgrims taking part in this special Jubilee Celebration for the Sick and for Health Care Workers. Commending all of you to the powerful intercession of the Blessed Virgin Mary, Help of Christians and Comfort of the Afflicted, I invoke upon you strength and peace in her Son, our Lord Jesus Christ.

(Francese)

J'adresse un salut très cordial aux malades et à ceux qui les accompagnent. Venus vivre ensemble ce Jubilé, vous formez une magnifique communauté de foi et d'espérance. Votre témoignage et votre prière sont un trésor précieux, et ils constituent une mission essentielle pour l'Église et pour le monde. En effet, toute prière, même la plus cachée, contribue à élever le monde à Dieu. Servir ses frères, c'est servir le Christ. Que la Vierge Marie vous guide chaque jour!

(Spagnolo)

Me dirijo ahora a los peregrinos de lengua española participantes en esta celebración del Jubileo de los Enfermos. Que la gracia jubilar os ayude a ser testigos valientes de Jesucristo, ofreciendo con Él vuestra vida, alegrías y tristezas, para la salvación de todos.

(Tedesco)

Mit besonderer Herzlichkeit grüße ich alle deutschsprachigen Pilger, die zur Heiligjahrfeier der Kranken nach Rom gekommen sind. Meine Wertschätzung drücke ich allen aus, die sich in der Pflege und Betreuung der Kranken einsetzen. Möge die Feier dieses Gottesdienstes zur Stärkung Eures Glaubens beitragen aus dem Ihr neuen Lebensmut schöpfen könnt.

(Portoghese)

A minha saudação amiga e solidária a todos os doentes de língua portuguesa, participantes física ou espiritualmente nesta peregrinação jubilar: Desejo assegurar-vos que diariamente confio a Deus e Pai de toda a consolação o vosso calvário, para que não desfaleça a vossa fé e esperança no divino Crucificado; Ele pode mudar em júbilo a vossa aflição, e vossas dores em remédio de salvação para quantos amais.

(Polacco)

Pozdrawiam serdecznie obecnych na tym spotkaniu z okazji Wielkiego Jubileuszu Roku 2000 niepelnosprawnych, chorych i cierpiacych, którzy przybyli z Polski oraz ich opiekunów i duszpasterzy. Przez wasze cierpienia stajecie sie w szczególny sposób bliscy Chrystusowi. Niech wasza sila w bólu i cierpieniu bedzie zawsze Chrystus, który przez swoja meke i smierc na krzyzu swiat odkupic raczyl. Najdrozsi Bracia i Siostry cierpiacy, jestesmy waszymi dluznikami. Kosciól jest waszym dluznikiem i Papiez równiez! Módlcie sie za nas.

Traduzione

Saluto cordialmente i sofferenti e i malati che sono giunti dalla Polonia, insieme con le persone che le accompagnano e sono presenti a questo incontro in occasione del Grande Giubileo dell'Anno 2000. Attraverso la vostra sofferenza siete in modo particolare vicini a Cristo. Che Cristo sia sempre la vostra forza nel dolore, Egli che per la sua passione e la morte sulla croce ha redento il mondo.

Carissimi fratelli e sorelle sofferenti, noi siamo i vostri debitori. La Chiesa è vostra debitrice e il Papa pure! Pregate per noi.



OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


DURANTE LA CELEBRAZIONE DEL


GIUBILEO DELLA CURIA ROMANA


Martedì, 22 febbraio 2000



1. "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,18).

Abbiamo varcato come pellegrini la Porta Santa della Basilica Vaticana, ed ora la Parola di Dio attira la nostra attenzione su ciò che Cristo ha detto a Pietro e di Pietro.

Siamo riuniti intorno all'Altare della Confessione, posto sopra la tomba dell'Apostolo, e la nostra assemblea è formata da quella speciale comunità di servizio che si chiama la Curia Romana. Il "ministerium petrinum", cioè il servizio proprio del Vescovo di Roma, col quale ciascuno di voi nel proprio campo di lavoro è chiamato a collaborare, ci unisce in un'unica famiglia ed ispira la nostra preghiera nel momento solenne che la Curia Romana vive oggi, festa della Cattedra di San Pietro.

Noi tutti e, in primo luogo, io stesso, siamo profondamente toccati dalle parole del Vangelo appena proclamate: "Tu sei il Cristo ... Tu sei Pietro" (Mt 16,16 Mt 16,18). In questa Basilica, presso la memoria del martirio del Pescatore di Galilea, esse riecheggiano con singolare eloquenza, accresciuta dall'intenso clima spirituale del Giubileo bimillenario dell'Incarnazione.

2. "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16): è questa la confessione di fede del Principe degli Apostoli. Questa è anche la confessione che noi oggi rinnoviamo, venerati Fratelli Cardinali, Vescovi e Sacerdoti, insieme con tutti voi, carissimi Religiosi, Religiose e Laici, che prestate la vostra apprezzata collaborazione nell'ambito della Curia Romana. Ripetiamo le luminose parole dell'Apostolo con particolare emozione in questo giorno, nel quale celebriamo il nostro speciale Giubileo.

E la risposta di Cristo suona forte nel nostro animo: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,18). L'evangelista Giovanni attesta che Gesù aveva attribuito a Simone il nome di "Cefa" fin dal primo incontro, quando lo aveva a lui condotto il fratello Andrea (cfr Jn 1,41-42). Il racconto di Matteo, invece, conferisce a questo atto di Cristo il più grande risalto, collocandolo in un momento centrale del ministero messianico di Gesù, il quale esplicita il significato del nome "Pietro" riferendolo all'edificazione della Chiesa.

"Tu sei il Cristo": su questa professione di fede di Pietro, e sulla conseguente dichiarazione di Gesù: "Tu sei Pietro" si fonda la Chiesa. Un fondamento invincibile, che le potenze del male non possono abbattere: vi è a sua tutela, la volontà stessa del "Padre che sta nei cieli" (Mt 16,17). La Cattedra di Pietro, che oggi celebriamo, non poggia su sicurezze umane - "la carne e il sangue" - ma su Cristo, pietra angolare. E anche noi, come Simone, ci sentiamo "beati", perché sappiamo di non avere alcun motivo di vanto, se non nel disegno eterno e provvidente di Dio.

3. "Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura" (Ez 34,11). La prima Lettura, tratta dal celebre oracolo del profeta Ezechiele sui pastori d'Israele, evoca con forza il carattere pastorale del ministero petrino. E' il carattere che qualifica, di riflesso, la natura e il servizio della Curia Romana, la cui missione è appunto di collaborare con il Successore di Pietro per lo svolgimento del compito affidatogli da Cristo di pascere il suo gregge.

"Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare" (Ez 34,11 Ez 34,15). "Io stesso": sono queste le parole più importanti. Manifestano, infatti, la determinazione con cui Dio intende prendere l'iniziativa occupandosi del suo popolo in prima persona. Noi sappiamo che la promessa - "Io stesso" - si è fatta realtà. Si è adempiuta nella pienezza dei tempi, quando Dio ha mandato il suo Figlio, il Pastore Buono, a pascere il gregge "con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore" (Mi 5,3). Lo ha mandato a radunare i figli di Dio dispersi offrendo se stesso come agnello, mite vittima di espiazione, sull'altare della croce.

E' questo il modello di Pastore, che Pietro e gli altri Apostoli hanno imparato a conoscere e ad imitare stando con Gesù e condividendo il suo ministero messianico (cfr Mc 3,14-15). Se ne sente l'eco nella seconda Lettura, in cui Pietro si definisce "testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi" (1P 5,1). Il pastore Pietro è tutto plasmato dal Pastore Gesù e dal dinamismo della sua Pasqua. Il "ministero petrino" è radicato in questa singolare conformazione a Cristo Pastore di Pietro e dei suoi Successori, una conformazione che ha il suo fondamento in un peculiare carisma d'amore: "Mi ami tu più di costoro? ... Pasci i miei agnelli" (Jn 21,15).

4. In una occasione come quella che stiamo vivendo, il Successore di Pietro non può dimenticare ciò che accadde prima della passione di Cristo, nell'orto degli ulivi, dopo l'ultima Cena. Nessuno degli Apostoli sembrava rendersi conto di quello che stava per avvenire e che Gesù ben conosceva: Egli sapeva di recarsi lì per vegliare e pregare, e così prepararsi alla "sua ora", l'ora della morte in croce.

Egli aveva detto agli Apostoli: "Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse" (Mc 14,27). E Pietro di rimando: "Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò" (Mc 14,29). Mai mi scandalizzerò, mai ti lascerò... E Gesù a lui: "In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte" (Mc 14,30). "Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò" (Mc 14,31), aveva replicato con fermezza Pietro, e con lui gli altri Apostoli. E Gesù: "Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,31-32).

Ecco la promessa di Cristo, nostra consolante certezza: il ministero petrino non si fonda sulle capacità e sulle forze umane, ma sulla preghiera di Cristo, che implora il Padre perché la fede di Simone "non venga meno" (Lc 22,32). "Una volta ravveduto", Pietro potrà compiere il suo servizio in mezzo ai fratelli. Il ravvedimento dell'Apostolo - possiamo quasi dire la sua seconda conversione - costituisce così il passaggio decisivo nel suo itinerario di sequela del Signore.

5. Carissimi Fratelli e Sorelle che prendete parte a questa celebrazione giubilare della Curia Romana, le parole di Cristo a Pietro non devono mai cadere dalla nostra memoria. Il nostro varcare la Porta Santa, per attingere la grazia del Grande Giubileo, dev'essere animato da un profondo spirito di conversione. In questo ci è di aiuto proprio la vicenda di Pietro, la sua esperienza della debolezza umana, che lo portò, poco dopo il dialogo con Gesù appena ricordato, a dimenticare le promesse fatte con tanta insistenza e a rinnegare il suo Signore. Nonostante il suo peccato ed i suoi limiti, Cristo lo scelse e lo chiamò ad un compito altissimo: quello di essere il fondamento dell'unità visibile della Chiesa e di confermare i fratelli nella fede.

Decisivo nella vicenda fu quel che avvenne nella notte tra il giovedì e il venerdì della Passione. Cristo, condotto fuori dalla casa del sommo sacerdote, fissò Pietro negli occhi. L'Apostolo, che lo aveva appena rinnegato tre volte, folgorato da quello sguardo, comprese tutto. Gli tornarono alla mente le parole del Maestro e si sentì trafiggere il cuore. "E uscito, pianse amaramente" (Lc 22,62).

Il pianto di Pietro ci scuota nell'intimo, sì da spingerci ad un'autentica purificazione interiore. "Signore, allontanati da me che sono un peccatore", egli aveva esclamato un giorno, dopo la pesca miracolosa (Lc 5,8). Facciamo nostra, carissimi Fratelli e Sorelle, questa invocazione di Pietro, mentre celebriamo il nostro santo Giubileo. Cristo rinnoverà anche per noi - lo speriamo con umile fiducia - i suoi prodigi: ci concederà in misura sovrabbondante la sua grazia risanatrice e compirà nuove pesche miracolose, cariche di promesse per la missione della Chiesa nel terzo millennio.

Vergine Santa, che hai accompagnato con la preghiera i primi passi della Chiesa nascente, veglia sul nostro cammino giubilare. Ottienici di sperimentare, come Pietro, il costante sostegno di Cristo. Aiutaci a vivere la nostra missione al servizio del Vangelo nella fedeltà e nella gioia, in attesa del ritorno glorioso del Signore, Cristo Gesù, lo stesso ieri, oggi e sempre.

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


NELLA CELEBRAZIONE IN RICORDO DI


ABRAMO, "PADRE DI TUTTI I CREDENTI"


23 febbraio 2000



1. "Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese... In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abràm: Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d'Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate" (Gn 15,7 Gn 15,18)

Prima che Mosè udisse sul monte Sinai le note parole di Jahvé: "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù" (Ex 20,2), il Patriarca Abramo aveva già sentito queste altre parole: "Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei". Dobbiamo, pertanto, dirigerci col pensiero verso tale luogo importante nella storia del Popolo di Dio, per cercarvi i primordi dell'alleanza di Dio con l'uomo.Ecco perché, in quest'anno del Grande Giubileo, mentre risaliamo col cuore agli inizi dell'alleanza di Dio con l'umanità, il nostro sguardo si volge verso Abramo, verso il luogo dove egli avvertì la chiamata di Dio e ad essa rispose con l'obbedienza della fede. Insieme con noi, anche gli ebrei e i musulmani guardano alla figura di Abramo come ad un modello di incondizionata sottomissione al volere di Dio (cfr Nostra aetate NAE 3).

L'autore della Lettera agli Ebrei scrive: "Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava" (11, 8). Ecco: Abramo, nominato dall'Apostolo "nostro Padre nella fede" (cfr Rm 4,11-16), credette a Dio, si fidò di Lui che lo chiamava. Credette alla promessa. Dio disse ad Abramo: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione... in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gn 12,1-3). Stiamo forse parlando del tracciato di una delle molteplici migrazioni tipiche di un'epoca in cui la pastorizia era una fondamentale forma di vita economica? E' probabile. Sicuramente, però, non si trattò solo di questo. Nella vicenda di Abramo, da cui prese inizio la storia della salvezza, possiamo già percepire un altro significato della chiamata e della promessa. La terra, verso la quale si avvia l'uomo guidato dalla voce di Dio, non appartiene esclusivamente alla geografia di questo mondo. Abramo, il credente che accoglie l'invito di Dio, è colui che si muove nella direzione di una terra promessa che non è di quaggiù.

2. Leggiamo nella Lettera agli Ebrei: "Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una tua discendenza che porterà il tuo nome" (11,17-18). Ecco l'apogeo della fede di Abramo. Abramo viene messo alla prova da quel Dio nel quale aveva riposto la sua fiducia, da quel Dio dal quale aveva ricevuto la promessa concernente il lontano futuro: "In Isacco avrai una tua discendenza che porterà il tuo nome" (He 11,18). E' chiamato, però, ad offrire in sacrificio a Dio proprio quell'Isacco, il suo unico figlio, a cui era legata ogni sua speranza, conforme del resto alla divina promessa. Come potrà compiersi la promessa che Dio gli ha fatto di una numerosa discendenza, se Isacco, l'unico figlio, dovrà essere offerto in sacrificio?

Mediante la fede, Abramo esce vittorioso da questa prova, una prova drammatica che metteva in questione direttamente la sua fede. "Egli pensava infatti - scrive l'Autore della Lettera agli Ebrei - che Dio è capace di far risorgere dai morti" (11, 19). In quell'istante umanamente tragico, in cui era ormai pronto ad infliggere il colpo mortale a suo figlio, Abramo non cessò di credere. Anzi, la sua fede nella promessa di Dio raggiunse il culmine. Pensava: "Dio è capace di far risorgere dai morti". Così pensava questo padre provato, umanamente parlando, oltre ogni misura. E la sua fede, il suo totale abbandono in Dio, non lo deluse. Sta scritto: "per questo lo riebbe" (He 11,19). Riebbe Isacco, poiché credette a Dio fino in fondo e incondizionatamente.

L'Autore della Lettera sembra esprimere qui qualcosa di più: tutta l'esperienza di Abramo gli appare un'analogia dell'evento salvifico della morte e della risurrezione di Cristo.Quest'uomo, posto all'origine della nostra fede, fa parte dell'eterno disegno divino. Secondo una tradizione, il luogo dove Abramo fu sul punto di sacrificare il proprio figlio, è lo stesso sul quale un altro padre, l'eterno Padre, avrebbe accettato l'offerta del suo Figlio unigenito, Gesù Cristo. Il sacrificio di Abramo appare così come annuncio profetico del sacrificio di Cristo. "Dio infatti - scrive san Giovanni - ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (3, 16). Il Patriarca Abramo, nostro padre nella fede, senza saperlo introduce in un certo qual senso tutti i credenti nel disegno eterno di Dio, nel quale si realizza la redenzione del mondo.

3. Un giorno Cristo affermò: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono" (Jn 8,58), e queste parole destarono lo stupore degli ascoltatori che obiettarono: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?" (Jn 8,57). Chi reagiva così, ragionava in modo meramente umano, e per questo non accettò quanto Cristo diceva. "Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?" (Jn 8,53). Ad essi Gesù replicò: "Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò" (Jn 8,56). La vocazione di Abramo appare completamente orientata verso il giorno di cui parla Cristo. Qui non reggono i calcoli umani; occorre applicare la misura di Dio.Solo allora possiamo comprendere il giusto significato dell'obbedienza di Abramo, che "ebbe fede sperando contro ogni speranza" (Rm 4,18). Sperò di diventare padre di numerose nazioni, ed oggi sicuramente gioisce con noi perché la promessa di Dio si compie lungo i secoli, di generazione in generazione.

L'aver creduto, sperando contro ogni speranza, "gli fu accreditato come giustizia" (Rm 4,22), non soltanto in considerazione di lui, ma anche di noi tutti, suoi discendenti nella fede. Noi "crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore" (Rm 4,24), messo a morte per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione (cfr Rm 4,25). Questo, Abramo non lo sapeva; mediante l'obbedienza della fede, egli tuttavia si dirigeva verso il compimento di tutte le promesse divine, animato dalla speranza che esse si sarebbero realizzate. Ed esiste forse promessa più grande di quella compiutasi nel mistero pasquale di Cristo? Davvero, nella fede di Abramo Dio onnipotente ha stretto un'alleanza eterna con il genere umano, e definitivo compimento di essa è Gesù Cristo. Il Figlio unigenito del Padre, della sua stessa sostanza, si è fatto Uomo per introdurci, mediante l'umiliazione della Croce e la gloria della risurrezione, nella terra di salvezza che Dio, ricco di misericordia, ha promesso all'umanità sin dall'inizio.

4. Modello insuperabile del popolo redento, in cammino verso il compimento di questa universale promessa, è Maria, "colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45).

Figlia di Abramo secondo la fede oltre che secondo la carne, Maria ne condivise in prima persona l'esperienza. Anche Lei, come Abramo, accettò l'immolazione del Figlio, ma mentre ad Abramo il sacrificio effettivo di Isacco non fu richiesto, Cristo bevve il calice della sofferenza sino all'ultima goccia. E Maria partecipò personalmente alla prova del Figlio, credendo e sperando ritta accanto alla croce (cfr Jn 19,25).

Era l'epilogo di una lunga attesa. Formata nella meditazione delle pagine profetiche, Maria presagiva ciò che l'attendeva e nell'esaltare la misericordia di Dio, fedele al suo popolo di generazione in generazione, esprimeva la propria adesione al suo disegno di salvezza; esprimeva in particolare il suo "" all'evento centrale di quel disegno, il sacrificio di quel Bimbo che portava in grembo. Come Abramo, accettava il sacrificio del Figlio.

Noi oggi uniamo la nostra voce alla sua, e con Lei, la Vergine Figlia di Sion, proclamiamo che Iddio si è ricordato della sua misericordia, "come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo ed alla sua discendenza, per sempre" (Lc 1,55).

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PELLEGRINAGGIO GIUBILARE

DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

AL MONTE SINAI

SANTA MESSA NEL PALAZZO DELLO SPORT DEL CAIRO

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


Venerdì 25 febbraio

1. "Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio" (Mt 2,15).

Il Vangelo di oggi ci ricorda la fuga della Santa Famiglia in Egitto, dove venne a cercare rifugio. "Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo"" (Mt 2,13). In tal modo, Cristo "che si è fatto uomo per rendere l'uomo capace di ricevere la divinità" (Sant'Atanasio di Alessandria, Orationes contra Arianos, 2, 59), ha voluto rifare il percorso che fu quello della chiamata divina, il cammino che il suo popolo aveva intrapreso, affinché tutti i suoi membri diventassero figli nel Figlio. "Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio" (Mt 2,14-15). La Provvidenza conduceva Gesù lungo le vie che un tempo gli Israeliti avevano percorso per andare verso la terra promessa, sotto il segno dell'agnello pasquale, celebrando la Pasqua. Anche Gesù, l'Agnello di Dio, fu chiamato dall'Egitto dal Padre, per compiere a Gerusalemme la Pasqua dell'alleanza nuova e irrevocabile, la Pasqua definitiva, la Pasqua che dona al mondo la salvezza.

2. "Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio". Così parla il Signore, che ha fatto uscire il suo popolo dalla condizione di schiavitù (cfr Ex 20,2) per concludere con esso sul monte Sinai un'alleanza. La festa della Pasqua rimane per sempre il ricordo di questa liberazione. Commemora questo evento, che resta presente nella memoria del popolo di Dio. Quando gli Israeliti partirono per il loro lungo viaggio, sotto la guida di Mosè, non pensavano che il loro pellegrinaggio attraverso il deserto fino alla terra promessa sarebbe durato quarant'anni. Lo stesso Mosè, che aveva condotto il suo popolo fuori dall'Egitto e l'aveva guidato per tutto quel tempo, non entrò nella terra promessa. Prima di morire, la contemplò dall'alto del monte Nebo e poi affidò il popolo al suo successore Giosuè.

3. Mentre i cristiani celebrano il bimillenario della nascita di Gesù, noi dobbiamo fare questo pellegrinaggio nei luoghi in cui ebbe inizio e si sviluppò la storia della salvezza, storia d'amore irrevocabile fra Dio e gli uomini, presenza del Signore della storia nel tempo e nella vita degli uomini. Siamo venuti in Egitto, sulla via lungo la quale Dio guidò il suo popolo, con a capo Mosè, per condurlo fino alla terra promessa. Ci mettiamo in cammino, illuminati dalle parole del libro dell'Esodo: abbandonando la nostra condizione di schiavitù, andiamo verso il Monte Sinai, dove Dio ha suggellato la sua alleanza con la casa di Giacobbe, per mezzo di Mosè, nelle mani del quale ha deposto le tavole del Decalogo. Quanto è bella questa alleanza! Essa ci dimostra che Dio non cessa di rivolgersi all'uomo per comunicargli la vita in abbondanza. Ci pone in presenza di Dio ed è l'espressione del suo amore profondo per il suo popolo. Essa invita l'uomo a volgersi a Dio, a lasciarsi coinvolgere dal suo amore e a realizzare le aspirazioni alla felicità che porta in sé. Se accoglieremo nello spirito le tavole dei dieci comandamenti, vivremo pienamente della legge che Dio ha posto nei nostri cuori e parteciperemo alla salvezza che l'Alleanza conclusa sul Monte Sinai fra Dio e il suo popolo ha svelato, e che il Figlio di Dio ci offre mediante la redenzione.

4. In questa terra d'Egitto, che ho la gioia di visitare per la prima volta, il messaggio della nuova Alleanza è stato trasmesso, di generazione in generazione, attraverso la venerabile Chiesa copta, erede della predicazione e dell'azione apostolica dell'evangelista san Marco che, secondo la tradizione, subì il martirio ad Alessandria. In questo giorno eleviamo a Dio una fervente azione di grazie per la ricca storia di questa Chiesa e per l'apostolato generoso dei suoi fedeli che, attraverso i secoli, a volte fino al dono del sangue, sono stati i testimoni ardenti dell'amore del Signore.

Ringrazio con affetto Sua Beatitudine Stephanos II Ghattas, Patriarca copto cattolico di Alessandria, per le parole di accoglienza che mi ha rivolto; esse testimoniano la fede viva e la fedeltà della vostra comunità alla Chiesa di Roma. Saluto cordialmente i Patriarchi e i Vescovi che partecipano a questa liturgia eucaristica, come pure i sacerdoti, i religiosi, le religiose e tutti i fedeli venuti per accompagnarmi in questa tappa del mio pellegrinaggio giubilare. Saluto anche con deferenza le Autorità e tutte le persone che hanno voluto unirsi a questa celebrazione.

La vostra presenza qui, attorno al Successore di Pietro, è un segno dell'unità della Chiesa, di cui Cristo è il capo. Che la fraternità fra tutti i discepoli del Signore, così ben manifestata qui, sia un incoraggiamento a proseguire nei vostri sforzi per costituire comunità unite nell'amore, fermenti di concordia e di riconciliazione! Troverete così la forza e il conforto, in particolare nei momenti di difficoltà o di dubbio, per rendere a Cristo, nella terra dei vostri avi, una testimonianza sempre più ardente. Con l'Apostolo Paolo, rendo grazie a Dio, Padre di nostro Signore Gesù Cristo, pregando per voi in ogni momento, affinché cresciate nella fede, vi manteniate saldi nella speranza e diffondiate ovunque la carità di Cristo (cfr Col 1,3-5).

5. In questo anno giubilare, ricordandoci che Cristo "è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa" (Col 1,18), dobbiamo cercare con sempre maggiore ardore di procedere risolutamente lungo le vie dell'unità voluta da Lui per i suoi discepoli, in spirito di fiducia e di fraternità. In tal modo la nostra testimonianza comune renderà gloria a Dio e sarà più credibile agli occhi degli uomini. Prego il Padre celeste affinché, con tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali, che saluto qui con rispetto, si sviluppino rapporti sereni e fraterni, nella carità e buona volontà. Un simile clima di dialogo e di avvicinamento contribuirà a trovare soluzioni ai problemi che ostacolano ancora la piena comunione. Favorirà anche il rispetto della sensibilità propria di ogni comunità, come pure del suo modo specifico di esprimere la fede in Cristo e di celebrare i Sacramenti, che le Chiese devono reciprocamente riconoscere come amministrati in nome dello stesso Signore. Auspico che, celebrando in questo pellegrinaggio la Pasqua del Signore, possiamo vivere la Pentecoste, in cui tutti i discepoli riuniti con la Madre di Dio accolgono lo Spirito Santo, che ci riconcilia con il Signore ed è il principio di unità e di forza per la missione, facendo di noi un solo corpo, immagine del mondo futuro!

6. Fin dalle origini, la vita spirituale e intellettuale si è sviluppata in maniera considerevole nella Chiesa in Egitto. Possiamo ricordare qui gli illustri fondatori del monachesimo cristiano, Antonio, Pacomio e Macario, e tanti altri Patriarchi, confessori, pensatori e dottori che sono gloria della Chiesa universale. Ancora oggi i monasteri sono centri vivi di preghiera, di studio e di meditazione, nella fedeltà all'antica tradizione cenobitica e anacoretica della Chiesa copta, ricordando che è il contatto fedele e prolungato con il Signore ad essere il fermento della trasformazione delle persone e dell'intera società. Così la vita con Dio fa risplendere la luce sui nostri volti di uomini e illumina il mondo di una luce nuova, la viva fiamma dell'amore.

Accogliendo oggi questo slancio spirituale e apostolico che è stato trasmesso loro dai Padri nella fede, possano i giovani essere attenti alla chiamata del Signore che li invita a camminare alla sua sequela, e rispondere con generosità, accettando di impegnarsi nel sacerdozio e nella vita consacrata attiva o contemplativa! Mediante la testimonianza della loro vita di uomini e donne totalmente dediti a Dio e ai propri fratelli, fondata su un'esperienza spirituale intensa, possano le persone consacrate manifestare l'amore senza limiti del Signore per il mondo!

7. È questo amore gratuito e senza esclusione che la Chiesa cattolica intende tradurre con l'impegno presso il popolo egiziano negli ambiti dell'educazione, della sanità e delle opere caritative. La presenza attiva della Chiesa nella formazione intellettuale e morale della gioventù costituisce un'antica tradizione del Patriarcato copto cattolico e del Vicariato latino. Mediante l'educazione dei giovani ai valori umani, spirituali e morali fondamentali, nel rispetto della coscienza di ognuno, le istituzioni educative cattoliche desiderano apportare il loro contributo alla promozione della persona, in particolare della donna e della famiglia; esse intendono anche favorire relazioni amichevoli con i musulmani affinché i membri di ogni comunità si sforzino sinceramente di capirsi a vicenda e di promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace, il rispetto e la libertà.

È un dovere per tutti i cittadini partecipare attivamente, in spirito di solidarietà, all'edificazione sociale, al consolidamento della pace fra le comunità e alla gestione onesta del bene comune. Per realizzare questa opera comune che deve avvicinare i membri di una stessa nazione, è giusto che tutti, cristiani e musulmani, nel rispetto delle diverse opinioni religiose, mettano le loro competenze al servizio della collettività, a tutti i livelli della vita sociale.

8. Unendoci al cammino di fede di Mosè, nel corso del pellegrinaggio giubilare che compiamo in questi giorni, siamo invitati ad avanzare verso la montagna del Signore, ad abbandonare le nostre schiavitù per procedere lungo il cammino di Dio. "E Dio, vedendo così le nostre buone decisioni e constatando che gli attribuiamo ciò che compiamo ... ci darà in cambio ciò che gli è proprio, i doni spirituali, divini e celesti" (San Macario, Omelie spirituali, 26, 20). Per ognuno di noi, l'Oreb, il "monte della fede", è chiamato a diventare "il luogo dell'incontro e del patto reciproco, in un certo senso "il monte dell'amore"" (Lettera sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza, n. 6). È lì che il popolo si è impegnato a vivere aderendo pienamente alla volontà divina, e che Dio l'ha assicurato della sua benevolenza eterna. Questo mistero d'amore si realizza pienamente nella Pasqua della nuova Alleanza, nel dono che il Padre fa di suo Figlio per la salvezza dell'umanità intera.

Riceviamo oggi in modo rinnovato la legge divina, come un tesoro prezioso! Diventiamo come Mosè uomini e donne che, al tempo stesso, intercedono presso il Signore e trasmettono agli uomini la legge che è una chiamata alla vera vita, libera dagli idoli e rende ogni esistenza infinitamente bella e infinitamente preziosa! Da parte loro, i giovani attendono con impazienza che facciamo scoprire loro il volto di Dio, che mostriamo loro il cammino da seguire, la via dell'incontro personale con Dio e gli atti umani degni della nostra filiazione divina, un cammino certo impegnativo, ma un cammino di liberazione, l'unico a poter colmare il nostro desiderio di felicità. Quando siamo con Dio sul monte della preghiera, lasciamoci pervadere dalla sua luce, affinché il nostro volto risplenda della gloria di Dio e inviti gli uomini a vivere di questa felicità divina, che è la vita in pienezza!

"Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio". Possa ogni uomo udire la chiamata del Dio dell'Alleanza e scoprire la gioia di essere figlio!



GPII Omelie 1996-2005 248