GPII Omelie 1996-2005 250

250

PELLEGRINAGGIO GIUBILARE

DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

AL MONTE SINAI

GIOVANNI PAOLO II

CELEBRAZIONE DELLA PAROLA AL MONTE SINAI


Monastero di Santa Caterina, 26 febbraio 2000

Carissimi Fratelli e Sorelle,


1. In quest'anno del Grande Giubileo la nostra fede ci spinge a divenire pellegrini sulle orme di Dio. Contempliamo la via che ha percorso nel tempo, rivelando al mondo il mistero magnifico del suo amore fedele per tutta l'umanità. Oggi, con grande gioia e profonda emozione, il Vescovo di Roma è pellegrino sul Monte Sinai, attratto da questa montagna santa che si erge come monumento maestoso a ciò che Dio ha qui rivelato. Qui ha rivelato il suo nome! Qui ha dato la sua Legge, i Dieci Comandamenti dell'Alleanza!

Quanti sono giunti in questo luogo prima di noi! Qui il Popolo di Dio si è accampato (cfr Ex 19,2); qui il profeta Elia ha trovato rifugio in una caverna (cfr 1R 19,9); qui il corpo della martire Caterina ha trovato il riposo eterno; qui schiere di pellegrini nel corso dei secoli hanno scalato quella che San Gregorio di Nissa definì la «montagna del desiderio» (Vita di Mosè, II, 232); qui generazioni di monaci hanno vegliato e pregato. Noi seguiamo umilmente le loro orme, sul «suolo santo» dove il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe ha ordinato a Mosè di liberare il suo popolo (cfr Ex 3,5-8).

2. Dio si rivela in modi misteriosi, come il fuoco che non consuma, secondo una logica che sfida tutto ciò che conosciamo e che ci aspettiamo. E’ il Dio che al contempo vicino e lontano; è nel mondo, ma non di esso. E’ il Dio che viene ad incontrarci, ma che non sarà posseduto. Egli è «IO SONO COLUI CHE SONO», il nome che non è alcun nome! IO SONO COLUI CHE SONO: l'abisso divino nel quale essenza ed esistenza sono una cosa sola! E’ il Dio che è l’Essere in sè stesso! Di fronte a tale mistero, come possiamo non «toglierci i sandali» come Egli ordina, e non adorarlo su questo suolo santo?

Qui, sul Monte Sinai, la verità di «chi è Dio» è divenuta fondamento e garanzia dell'Alleanza. Mosè entra nell'«oscurità luminosa» (Vita di Mosè, II, 164), e in questo luogo gli viene data la legge scritta «dal dito di Dio» (Ex 31,18). Che cos'è questa legge? È la legge della vita e della libertà!

Presso il Mar Rosso il popolo aveva sperimentato una grande liberazione. Aveva visto la forza e la fedeltà di Dio, aveva scoperto che Egli è il Dio che in realtà rende libero il suo popolo, come aveva promesso. Tuttavia, ora sulla sommità del Sinai, questo stesso Dio suggella il suo amore stringendo l'Alleanza alla quale non rinuncerà mai. Se il popolo osserverà la Sua legge, conoscerà la libertà per sempre. L'Esodo e l'Alleanza non sono semplicemente eventi del passato, essi sono il destino eterno di tutto il Popolo di Dio!

3. L'incontro fra Dio e Mosè su questo Monte racchiude al cuore della nostra religione il mistero dell'obbedienza che rende liberi, che trova il suo compimento nell'obbedienza perfetta di Cristo nell'Incarnazione e sulla Croce (cfr Ph 2,8 He 5,8-9). Anche noi saremo veramente liberi se impareremo a obbedire come ha fatto Gesù (cfr He 5,8).

I Dieci Comandamenti non sono l'imposizione arbitraria di un Signore tirannico. Essi sono stati scritti nella pietra, ma innanzitutto furono iscritti nel cuore dell'uomo come Legge morale universale, valida in ogni tempo e in ogni luogo. Oggi come sempre, le Dieci Parole della legge forniscono l'unica base autentica per la vita degli individui, delle società e delle nazioni; oggi come sempre, esse sono l'unico futuro della famiglia umana. Salvano l'uomo dalla forza distruttiva dell'egoismo, dell'odio e della menzogna. Evidenziano tutte le false divinità che lo riducono in schiavitù: l'amore di sé sino all’esclusione di Dio, l'avidità di potere e di piacere che sovverte l'ordine della giustizia e degrada la nostra dignità umana e quella del nostro prossimo. Se ci allontaneremo da questi falsi idoli e seguiremo il Dio che rende libero il suo popolo e resta sempre con lui, allora emergeremo come Mosè, dopo quaranta giorni sulla montagna, «risplendenti di gloria» (san Gregorio di Nissa, Vita di Mosè, II, 230), accesi della luce di Dio!

Osservare i Comandamenti significa essere fedeli a Dio, ma significa anche essere fedeli a noi stessi, alla nostra autentica natura e alle nostre più profonde aspirazioni. Il vento che ancora oggi soffia dal Sinai ci ricorda che Dio desidera essere onorato nelle sue creature e nella loro crescita: Gloria Dei, homo vivens. In questo senso, quel vento reca un invito insistente al dialogo fra i seguaci delle grandi religioni monoteistiche nel loro servizio alla famiglia umana. Suggerisce che in Dio possiamo trovare il punto del nostro incontro: in Dio, l’Onnipotente e Misericordioso, Creatore dell'universo e Signore della Storia, che alla fine della nostra esistenza terrena ci giudicherà con giustizia perfetta.

4. La lettura del Vangelo che abbiamo appena ascoltato suggerisce che il Sinai trova il suo compimento in un'altra montagna, il Monte della Trasfigurazione, dove Gesù appare ai suoi Apostoli risplendente della gloria di Dio. Mosè ed Elia stanno con Lui per testimoniare che la pienezza della rivelazione di Dio si trova nel Cristo glorificato.

Sul Monte della Trasfigurazione, Dio parla da una nube, come ha fatto sul Sinai. Tuttavia, ora Egli dice: «Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!» (Mc 9,7). Ci ordina di ascoltare Suo Figlio perché «nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27). In tal modo, impariamo che il vero nome di Dio è PADRE! Il nome che supera tutti gli altri nomi: ABBA! (cfr Ga 4,6). In Gesù apprendiamo che il nostro vero nome è FIGLIO, FIGLIA! Impariamo che il Dio dell'Esodo e dell'Alleanza rende libero il suo Popolo perché è costituito da figli e figlie, creati non per la schiavitù, ma per «la libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).

Perciò, quando san Paolo scrive che noi «mediante il corpo di Cristo» siamo «stati messi a morte quanto alla legge» (Rm 7,4), non intende dire che la Legge del Sinai sia passata. Vuol significare che i Dieci Comandamenti ora si fanno udire attraverso la voce del Figlio prediletto. La persona resa libera da Gesù Cristo è consapevole di essere legata non esternamente da una moltitudine di prescrizioni, ma interiormente dall'amore che si è profondamente radicato nel suo cuore. I Dieci Comandamenti sono la legge della libertà: non la libertà di seguire le nostre cieche passioni, ma la libertà di amare, di scegliere ciò che è bene in ogni situazione, anche quando farlo è un peso. Non obbediamo a una legge impersonale; ciò che è richiesto è di arrendersi amorevolmente al Padre mediante Cristo Gesù nello Spirito Santo (cfr Rm 6,14 Ga 5,18). Rivelando se stesso sul Monte e consegnando la sua Legge, Dio ha rivelato l'uomo all'uomo. Il Sinai sta al centro della verità sull'uomo e sul suo destino.

5. Nella ricerca di tale verità, i monaci di questo Monastero hanno piantato la loro tenda all'ombra del Sinai. Il Monastero della Trasfigurazione e di Santa Caterina reca tutti i segni del tempo e del tumulto umano, ma sta quale indomita testimonianza dell'amore e della sapienza divini. Per secoli monaci di tutte le tradizioni cristiane hanno vissuto e pregato insieme in questo monastero, ascoltando la Parola, nella quale dimora la pienezza della sapienza e dell'amore del Padre. Proprio in questo Monastero san Giovanni Climaco scrisse La Scala del Paradiso, un capolavoro spirituale che continua a ispirare monaci e monache, dall'Oriente e dall'Occidente, generazione dopo generazione. Tutto ciò si è svolto sotto la potente protezione della Grande Madre di Dio. Già nel terzo secolo i cristiani egiziani si rivolgevano a Lei con parole fiduciose: sotto la tua protezione troviamo rifugio, oh santa Madre di Dio! Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei Genetrix! Nel corso dei secoli, questo monastero è stato un eccezionale luogo di incontro per persone di differenti Chiese, tradizioni e culture. Prego affinché nel nuovo millennio il Monastero di Santa Caterina sia un faro luminoso che chiama le Chiese a conoscersi meglio reciprocamente e a riscoprire l'importanza agli occhi di Dio di ciò che ci unisce a Cristo.

6. Sono grato ai numerosi fedeli della Diocesi di Ismayliah, guidati dal Vescovo Makarios, che si sono uniti a me in questo pellegrinaggio sul Monte Sinai. Il Successore di Pietro vi ringrazia per la solidità della vostra fede. Dio benedica voi e le vostre famiglie!

Saluto cordialmente Sua Eccellenza Macario, Vescovo copto ortodosso di Tutto il Sinai e, grato per la sua presenza, gli chiedo di trasmettere i miei oranti auspici ai fedeli della sua Diocesi.

Desidero ringraziare in modo particolare l'Arcivescovo Damianos per le sue cortesi parole di benvenuto e per l’ospitalità che egli, insieme ai monaci, ci ha offerto oggi. Il Monastero di santa Caterina rimanga un'oasi spirituale per i membri di tutte le Chiese alla ricerca della gloria del Signore, che venne a dimorare sul Sinai (cfr Ex 24,16). La visione di questa gloria ci sospinge a esclamare ricolmi di gioia:

«Ti rendiamo grazie, Padre Santo,
per il tuo santo nome,
che hai fatto abitare nei nostri cuori» (Didache, X). Amen.


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CAPPELLA PAPALE PER LA BEATIFICAZIONE DI 44 SERVI DI DIO

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


Domenica, 5 marzo 2000

1. "Ti loderò, Dio, mio salvatore; glorificherò il tuo nome, perché ... sei stato il mio aiuto e mi hai liberato" (Si 51,1-2).

Tu, Signore, sei stato il mio aiuto! Sento risuonare nel cuore queste parole del Libro del Siracide, mentre contemplo i prodigi da Dio compiuti nell'esistenza di questi fratelli e sorelle nella fede, che hanno conseguito la palma del martirio. Oggi ho la gioia di elevarli alla gloria degli altari, presentandoli alla Chiesa e al mondo come luminosa testimonianza della potenza di Dio nella fragilità della persona umana.

Tu, Dio, mi hai liberato! Così proclamano André de Soveral, Ambrósio Francisco Ferro e ventotto Compagni, Sacerdoti diocesani, laici e laiche; Nicolas Bunkerd Kitbamrung, Sacerdote diocesano; Maria Stella Adela Mardosewicz e le dieci Consorelle, Suore professe dell'Istituto della Sacra Famiglia di Nazareth; Pedro Calungsod e Andrea di Phú Yên, laici catechisti.

Sì, l'Onnipotente è stato il loro valido sostegno nel tempo della prova ed ora sperimentano la gioia dell'eterna ricompensa. Questi docili servitori del Vangelo, i cui nomi sono per sempre scritti in cielo, pur vissuti in momenti storici distanti fra di loro ed in contesti culturali molto diversi, sono accomunati da un'identica esperienza di fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Li unisce la stessa ed incondizionata fiducia nel Signore, e la medesima e profonda passione per il Vangelo.

Ti loderò, Dio, mio Salvatore! Con la loro vita offerta per la causa di Cristo, questi nuovi Beati, i primi dell'Anno giubilare, proclamano che Dio è "Padre" (cfr ibid., v. 10), Dio è "protettore" ed "aiuto" (cfr v. 2); è il nostro salvatore, che accoglie la supplica di quanti a lui si affidano con tutto il cuore (cfr v. 11).

2. São estes os sentimentos que invadem nossos corações, ao evocar a significativa lembrança da celebração dos quinhentos anos da evangelização do Brasil, que acontece este ano. Naquele imenso país, não foram poucas as dificuldades de implantação do Evangelho. A presença da Igreja foi se afirmando lentamente mediante a ação missionária de várias ordens e congregações religiosas e de sacerdotes do clero diocesano. Os mártires que hoje são beatificados saíram, no fim do século XVII (dezessete), das comunidades de Cunhaú e Uruaçu do Rio Grande do Norte. André de Soveral, Ambrósio Francisco Ferro, presbíteros e 28 (vinte e oito) companheiros leigos pertencem a esta geração de mártires que regou o solo pátrio, tornando-o fértil para a geração dos novos cristãos. Eles são as primícias do trabalho missionário, os protomártires do Brasil. Um deles, Mateus Moreira, estando ainda vivo, foi-lhe arrancado o coração das costas mas ele ainda teve forças para proclamar a sua fé na Eucaristia dizendo: “Louvado seja o Santíssimo Sacramento”.

Hoje, uma vez mais, ressoam aquelas palavras de Cristo, evocadas no Evangelho: “Não temais aqueles que matam o corpo, mas não podem matar a alma (Mc 10,28). O sangue de católicos indefesos, muitos destes anônimos, - crianças, velhos e famílias inteiras -, servirá de estímulo para fortalecer a fé das novas gerações de brasileiros, lembrando, sobretudo, o valor da família como autêntica e insubstituível formadora da fé e geradora de valores morais.

3. “I shall praise your name unceasingly and gratefully sing its praises” (Si 51,10). Father Nicolas Bunkerd Kitbamrung’s priestly life was an authentic hymn of praise to the Lord. A man of prayer, Father Nicolas was outstanding in teaching the faith, in seeking out the lapsed, and in his charity towards the poor. Constantly seeking to make Christ known to those who had never heard his name, Father Nicolas undertook the difficulties of a mission through the mountains and into Burma. The strength of his faith was made clear to all when he forgave those who falsely accused him, deprived him of his freedom and made him suffer much. In prison, Father Nicolas encouraged his fellow prisoners, taught the catechism and administered the sacraments. His witness to Christ exemplified the words of Saint Paul: “We are afflicted in every way, but not crushed; perplexed, but not driven to despair; persecuted, but not forsaken; struck down but not destroyed; always carrying in the body the death of Jesus, so that the life of Jesus may also be manifested in our bodies” (2Co 4,8-10). Through the intercession of Blessed Nicolas, may the Church in Thailand be blessed and strengthened in the work of evangelization and service.

4. Bóg stal sie prawdziwa podpora i umocnieniem takze dla Meczenniczek z Nowogródka - blogoslawionej Marii Stelli Mardosewicz i dziesieciu Towarzyszek ze Zgromadzenia Sióstr Najswietszej Rodziny z Nazaretu. Byl dla nich podpora przez cale zycie, a zwlaszcza w chwilach straszliwej próby, kiedy cala noc oczekiwaly na smierc, a pózniej w drodze na miejsce stracenia i wreszcie w chwili rozstrzelania.

Skad mialy sile, aby ofiarowac siebie w zamian za uratowanie zycia uwiezionych mieszkanców Nowogródka? Skad czerpaly odwage, aby ze spokojem przyjac tak okrutny i niesprawiedliwy wyrok smierci? Bóg przygotowywal je powoli na te chwile najwiekszej próby. Ziarno laski rzucone na glebe ich serc w chwili Chrztu swietego, a potem pielegnowane z wielka troska i odpowiedzialnoscia, zakorzenilo sie dobrze i wydalo najpiekniejszy owoc, jakim jest dar ze swego zycia. Mówi Chrystus: «Nikt nie ma wiekszej milosci od tej, gdy ktos zycie swoje oddaje za przyjaciól swoich» (J 15, 13). Tak, nie ma wiekszej milosci od tej, która gotowa jest oddac zycie za swoich braci.

Dziekujemy Wam, blogoslawione Meczenniczki z Nowogródka za to swiadectwo milosci, za przyklad chrzescijanskiego bohaterstwa i zawierzenia mocy Ducha Swietego. «Wybral Was Chrystus i przeznaczyl na to, abyscie przyniosly owoc Waszego zycia i by owoc Wasz trwal» (por. J 15, 16). Jestescie najcenniejszym dziedzictwem Zgromadzenia Sióstr Najswietszej Rodziny z Nazaretu. Jestescie dziedzictwem calego Kosciola Chrystusowego po wszystkie czasy.

4. Dio è stato vero “aiuto e protettore” anche per le martiri di Nowogródek - per la beata Maria Stella Mardosewicz e le dieci Consorelle, Suore professe della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth. Fu per loro un aiuto durante tutta la vita e poi nel momento della terribile prova, quando per un'intera notte aspettarono la morte; lo fu soprattutto lungo il cammino verso il luogo di esecuzione e, in fine, al momento della fucilazione.

Da dove ebbero esse la forza per donare se stesse in cambio della salvezza dei condannati alla prigione di Nowogródek? Da dove trassero l'audacia per accettare con coraggio la condanna a morte così crudele e ingiusta? Dio le aveva preparate lentamente a questo momento di una più grande prova. Il seme della grazia gettato nei loro cuori nel momento del Santo Battesimo e poi coltivato con grande cura e responsabilità, mise bene le radici e diede il frutto più bello che è il dono della vita. Cristo dice: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Jn 15,13). Sì, non c'è un amore più grande di questo: essere pronto a dare la vita per i fratelli.

Vi ringraziamo, o beate martiri di Nowogródek, per la testimonianza dell'amore, per l'esempio di eroismo cristiano e per l'affidamento alla forza dello Spirito Santo. “Vi ha scelto Cristo e vi ha costituiti perché portiate frutto nella vostra vita e perché il vostro frutto rimanga” (cfr Jn 15,16). Siete la più grande eredità della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth. Siete l'eredità di tutta la Chiesta di Cristo per sempre!

5. “If anyone declares himself for me in the presence of men, I will declare myself for him in the presence of my Father in heaven” (Mt 10,32). From his childhood, Pedro Calungsod declared himself unwaveringly for Christ and responded generously to his call. Young people today can draw encouragement and strength from the example of Pedro, whose love of Jesus inspired him to devote his teenage years to teaching the faith as a lay catechist. Leaving family and friends behind, Pedro willingly accepted the challenge put to him by Father Diego de San Vitores to join him on the Mission to the Chamorros. In a spirit of faith, marked by strong Eucharistic and Marian devotion, Pedro undertook the demanding work asked of him and bravely faced the many obstacles and difficulties he met. In the face of imminent danger, Pedro would not forsake Father Diego, but as a “good soldier of Christ” preferred to die at the missionary’s side. Today Blessed Pedro Calungsod intercedes for the young, in particular those of his native Philippines, and he challenges them. Young friends, do not hesitate to follow the example of Pedro, who “pleased God and was loved by him” (Wis 4:10) and who, having come to perfection in so short a time, lived a full life (cf. ibid., v. 13).

6. "Celui qui se prononcera pour moi devant les hommes, moi aussi je me prononcerai pour lui devant mon Père qui est aux cieux" (Mt 10,32). Cette parole du Seigneur, André, de Phu Yên, au Viêt-Nam, l'a faite sienne avec une intensité héroïque. Depuis le jour où il reçut le Baptême, à l'âge de seize ans, il s'attacha à développer une profonde vie spirituelle. Au milieu des difficultés auxquelles étaient soumis ceux qui adhéraient à la foi chrétienne, il a vécu en témoin fidèle du Christ ressuscité et, sans relâche, il a annoncé l'Évangile à ses frères au sein de l'association des catéchistes «Maison Dieu». Par amour pour le Seigneur, il a consacré toutes ses forces au service de l'Église, assistant les prêtres dans leur mission. Il persévéra jusqu'au don du sang, pour demeurer fidèle à l'amour de Celui à qui il s'était donné totalement. Les paroles qu'il répétait en s'avançant résolument sur le chemin du martyre sont l'expression de ce qui anima toute son existence : "Rendons amour pour amour à notre Dieu, rendons vie pour vie".

Le bienheureux André, proto-martyr du Viêt-Nam, est aujourd'hui donné en modèle à l'Église de son pays. Puissent tous les disciples du Christ trouver en lui force et soutien dans l'épreuve, et avoir le souci d'affermir leur intimité avec le Seigneur, leur connaissance du mystère chrétien, leur fidélité à l'Église et leur sens de la mission !

7. "Non abbiate dunque timore" (Mt 10,31). Questo è l'invito di Cristo. Questa è anche l'esortazione dei nuovi Beati, rimasti saldi nel loro amore a Dio e ai fratelli pur in mezzo alle prove. L'invito ci giunge come incoraggiamento nell'Anno giubilare, tempo di conversione e di profondo rinnovamento spirituale. Non ci spaventino le prove e le difficoltà; non ci rallentino gli ostacoli nel compiere scelte coraggiose e coerenti con il Vangelo!

Che possiamo temere se Cristo è con noi? Perché dubitare se rimaniamo dalla parte di Cristo e ci assumiamo l'impegno e la responsabilità di essere suoi discepoli? Possa la celebrazione del Giubileo rinsaldarci in questa decisa volontà di seguire il Vangelo. Ci sono di esempio e ci offrono il loro aiuto i nuovi Beati.

Maria, Regina dei Martiri, che ai piedi della Croce ha condiviso sino in fondo il sacrificio del Figlio, ci sostenga nel testimoniare con coraggio la nostra fede!





STAZIONE QUARESIMALE PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE


NELLA BASILICA DI SANTA SABINA ALL’AVENTINO




Mercoledì, 8 marzo 2000

1. "Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito" (Sal 50[51], 12-13).

Così quest'oggi, Mercoledì delle Ceneri, prega il Salmista, il re Davide: re in Israele grande e potente, ma al tempo stesso fragile e peccatore. La Chiesa, all'inizio di questi quaranta giorni in preparazione alla Pasqua, pone le sue parole sulle labbra di tutti coloro che partecipano all'austera liturgia del Mercoledì delle Ceneri.

"Crea in me, o Dio, un cuore puro... non privarmi del tuo santo spirito". Sentiremo echeggiare quest'invocazione nel nostro cuore, mentre tra poco ci accosteremo all'altare del Signore per ricevere, secondo un'antichissima tradizione, le Ceneri sul capo. Si tratta di un gesto ricco di richiami spirituali, un segno importante di conversione e di interiore rinnovamento. E' un rito liturgico semplice, se considerato in se stesso, ma quanto mai profondo per il contenuto penitenziale che esprime: con esso la Chiesa ricorda all'uomo credente e peccatore la sua fragilità di fronte al male e, soprattutto, la sua totale dipendenza dall'infinita maestà di Dio.

La liturgia prevede che il celebrante, nell'imporre le ceneri sul capo dei fedeli, pronunci le parole: "Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai" oppure "Convertitevi, e credete al Vangelo".

2. "Ricordati che ... in polvere ritornerai".

L'esistenza terrena è sin dal suo inizio inserita nella prospettiva della morte. I nostri corpi sono mortali, segnati cioè dalla ineludibile prospettiva della morte. Si vive avendo davanti a sé questo traguardo: ogni giorno che passa ci avvicina ad esso con progressione inarrestabile. E la morte ha in sé qualcosa dell'annientamento. Con la morte sembra che tutto finisca per noi. Ed ecco, proprio di fronte ad una tale sconsolante prospettiva, l'uomo consapevole del suo peccato, eleva un grido di speranza verso il cielo: O Dio, "crea in me un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito".

Anche oggi il credente, che si sente minacciato dal male e dalla morte, così invoca Dio, sapendo che gli è riservato un destino di vita eterna. Egli sa di non essere soltanto un corpo condannato alla morte a causa del peccato, ma di avere anche un'anima immortale. Si rivolge perciò a Dio Padre, che ha il potere di creare dal nulla; a Dio Figlio unigenito, che fattosi uomo per la nostra salvezza, è morto per noi ed ora, risorto, vive nella gloria; a Dio Spirito immortale, che chiama all'esistenza e ridona la vita.

"Crea in me un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo". La Chiesa intera fa sua questa preghiera del Salmista. Sono parole profetiche che penetrano nel nostro spirito, in questo giorno singolare, primo dell'itinerario quaresimale che ci condurrà a celebrare la Pasqua del Grande Giubileo dell'Anno Duemila.

3. "Convertitevi e credete al Vangelo". Quest'invito, che troviamo all'inizio della predicazione di Gesù, ci introduce nel tempo quaresimale, tempo da dedicare in modo speciale alla conversione ed al rinnovamento, alla preghiera, al digiuno e alle opere di carità. Ricordando l'esperienza del popolo eletto, ci accingiamo quasi a ripercorrere lo stesso cammino che Israele compì attraverso il deserto verso la Terra Promessa. Giungeremo anche noi alla meta; sperimenteremo, dopo queste settimane di penitenza, la gioia della Pasqua. I nostri occhi, purificati dall'orazione e dalla penitenza, potranno contemplare con maggiore chiarezza il volto del Dio vivente, verso il quale l'uomo compie il proprio pellegrinaggio lungo i sentieri dell'esistenza terrena.

"Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito" - quest'uomo, creato non per la morte ma per la vita, prega proprio così. Pur consapevole delle sue debolezze, cammina sorretto dalla certezza dei divini destini.

Voglia Dio onnipotente esaudire le invocazioni della Chiesa che, nell'odierna liturgia del Mercoledì delle Ceneri, volge con maggiore fiducia il suo animo verso l'alto. Il Signore misericordioso conceda a tutti noi di aprire il cuore al dono della sua grazia, perché possiamo partecipare con nuova maturità al mistero pasquale di Cristo, nostro unico Redentore.





252

SANTA MESSA PER LA GIORNATA DEL PERDONO

DELL’ANNO SANTO 2000

Domenica, 12 marzo 2000




1. "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto il peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Co 5,20-21).

Sono parole di San Paolo, che la Chiesa rilegge ogni anno, il Mercoledì delle Ceneri, all'inizio della Quaresima. Nel tempo quaresimale, la Chiesa desidera unirsi in modo particolare a Cristo, il quale, mosso interiormente dallo Spirito Santo, intraprese la sua missione messianica recandosi nel deserto e lì digiunò per quaranta giorni e quaranta notti (cfr Mc 1,12-13).

Al termine di quel digiuno venne tentato da satana, come annota sinteticamente, nell'odierna liturgia, l'evangelista Marco (cfr 1, 13). Matteo e Luca, invece, trattano con maggiore ampiezza di questo combattimento di Cristo nel deserto e della sua definitiva vittoria sul tentatore: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto" (Mt 4,10).

Chi parla così è Colui "che non aveva conosciuto peccato" (2Co 5,21), Gesù, "il santo di Dio" (Mc 1,24).

2. "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore" (2Co 5,21). Poco fa, nella seconda Lettura, abbiamo ascoltato quest'affermazione sorprendente dell'Apostolo. Che cosa significano queste parole? Sembrano un paradosso, ed effettivamente lo sono. Come ha potuto Dio, che è la santità stessa, "trattare da peccato" il suo Figlio unigenito, inviato nel mondo? Eppure, proprio questo leggiamo nel passo della seconda Lettera di san Paolo ai Corinzi. Siamo di fronte ad un mistero: mistero a prima vista sconcertante, ma iscritto a chiare lettere nella divina Rivelazione.

Già nell'Antico Testamento, il Libro di Isaia ne parla con ispirata preveggenza nel quarto canto del Servo di Jahvé: "Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti" (Is 53,6).

Cristo, il Santo, pur essendo assolutamente senza peccato, accetta di prendere su di sé i nostri peccati. Accetta per redimerci; accetta di farsi carico dei nostri peccati, per compiere la missione ricevuta dal Padre, il quale - come scrive l'evangelista Giovanni - "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui... abbia la vita eterna" (Jn 3,16).

3. Dinanzi a Cristo che, per amore, si è addossato le nostre iniquità, siamo tutti invitati ad un profondo esame di coscienza. Uno degli elementi caratteristici del Grande Giubileo sta in ciò che ho qualificato come "purificazione della memoria" (Bolla Incarnationis mysterium, 11). Come Successore di Pietro, ho chiesto che "in questo anno di misericordia la Chiesa, forte della santità che riceve dal suo Signore, si inginocchi dinanzi a Dio ed implori il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli" (ibid.). L'odierna prima Domenica di Quaresima mi è parsa l'occasione propizia perché la Chiesa, raccolta spiritualmente attorno al Successore di Pietro, implori il perdono divino per le colpe di tutti i credenti. Perdoniamo e chiediamo perdono!

Questo appello ha suscitato nella Comunità ecclesiale un'approfondita e proficua riflessione, che ha portato alla pubblicazione, nei giorni scorsi, di un documento della Commissione Teologica Internazionale, intitolato "Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato". Ringrazio quanti hanno contribuito all'elaborazione di questo testo. Esso è molto utile per una corretta comprensione e attuazione dell'autentica richiesta di perdono, fondata sulla responsabilità oggettiva che accomuna i cristiani, in quanto membra del Corpo mistico, e che spinge i fedeli di oggi a riconoscere, insieme con le proprie, le colpe dei cristiani di ieri, alla luce di un accurato discernimento storico e teologico. Infatti "per quel legame che, nel Corpo mistico, ci unisce gli uni agli altri, tutti noi, pur non avendone responsabilità personale e senza sostituirci al giudizio di Dio che solo conosce i cuori, portiamo il peso degli errori e delle colpe di chi ci ha preceduto" (Incarnationis mysterium, 11). Riconoscere le deviazioni del passato serve a risvegliare le nostre coscienze di fronte ai compromessi del presente, aprendo a ciascuno la strada della conversione.

4. Perdoniamo e chiediamo perdono! Mentre lodiamo Dio che, nel suo amore misericordioso, ha suscitato nella Chiesa una messe meravigliosa di santità, di ardore missionario, di totale dedizione a Cristo ed al prossimo, non possiamo non riconoscere le infedeltà al Vangelo in cui sono incorsi certi nostri fratelli, specialmente durante il secondo millennio. Chiediamo perdono per le divisioni che sono intervenute tra i cristiani, per l'uso della violenza che alcuni di essi hanno fatto nel servizio alla verità, e per gli atteggiamenti di diffidenza e di ostilità assunti talora nei confronti dei seguaci di altre religioni.

Confessiamo, a maggior ragione, le nostre responsabilità di cristiani per i mali di oggi. Dinanzi all'ateismo, all'indifferenza religiosa, al secolarismo, al relativismo etico, alle violazioni del diritto alla vita, al disinteresse verso la povertà di molti Paesi, non possiamo non chiederci quali sono le nostre responsabilità.

Per la parte che ciascuno di noi, con i suoi comportamenti, ha avuto in questi mali, contribuendo a deturpare il volto della Chiesa, chiediamo umilmente perdono.

In pari tempo, mentre confessiamo le nostre colpe, perdoniamo le colpe commesse dagli altri nei nostri confronti. Nel corso della storia innumerevoli volte i cristiani hanno subito angherie, prepotenze, persecuzioni a motivo della loro fede. Come perdonarono le vittime di tali soprusi, così perdoniamo anche noi. La Chiesa di oggi e di sempre si sente impegnata a purificare la memoria di quelle tristi vicende da ogni sentimento di rancore o di rivalsa. Il Giubileo diventa così per tutti occasione propizia per una profonda conversione al Vangelo. Dall'accoglienza del perdono divino scaturisce l'impegno al perdono dei fratelli ed alla riconciliazione reciproca.

5. Ma che cosa esprime per noi il termine "riconciliazione"? Per coglierne l'esatto senso e valore, bisogna prima rendersi conto della possibilità della divisione, della separazione. Sì, l'uomo è la sola creatura sulla terra che può stabilire un rapporto di comunione con il suo Creatore, ma è anche l'unica a potersene separare. Purtroppo, di fatto tante volte egli si allontana da Dio.

Fortunatamente molti, come il figlio prodigo, del quale parla il Vangelo di Luca (cfr Lc 15,13), dopo aver abbandonato la casa paterna e dissipato l'eredità ricevuta giungendo a toccare il fondo, si rendono conto di quanto hanno perduto (cfr Lc 15,13-17). Intraprendono allora la via del ritorno: "Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato..." (Lc 15,18).

Dio, ben rappresentato dal padre della parabola, accoglie ogni figlio prodigo che a Lui fa ritorno. Lo accoglie mediante Cristo, nel quale il peccatore può ridiventare "giusto" della giustizia di Dio. Lo accoglie, perché ha trattato da peccato in nostro favore l'eterno suo Figlio. Sì, solo per mezzo di Cristo noi possiamo diventare giustizia di Dio (cfr 2Co 5,21).

6. "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito". Ecco significato, in sintesi, il mistero della redenzione del mondo! Occorre rendersi conto fino in fondo del valore del grande dono che il Padre ci ha fatto in Gesù. Bisogna che davanti agli occhi della nostra anima si presenti Cristo - il Cristo del Getsemani, il Cristo flagellato, coronato di spine, carico della croce, ed infine crocifisso. Cristo ha assunto su di sé il peso dei peccati di tutti gli uomini, il peso dei nostri peccati, perché noi potessimo, in virtù del suo sacrificio salvifico, essere riconciliati con Dio.

Si presenta oggi davanti a noi come testimone Saulo di Tarso, diventato san Paolo: egli sperimentò, in modo singolare, la potenza della Croce sulla via di Damasco. Il Risorto si manifestò a lui in tutta la sua abbagliante potenza: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?... Chi sei, o Signore?... Io sono Gesù, che tu perseguiti!" (Ac 9,4-5). Paolo, che sperimentò in modo così forte la potenza della Croce di Cristo, si rivolge oggi a noi con un'ardente preghiera: "Vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio". Questa grazia ci è offerta, insiste san Paolo, da Dio stesso, il quale dice a noi oggi: "Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso" (2Co 6,1-2).

Maria, Madre del perdono, aiutaci ad accogliere la grazia del perdono che il Giubileo largamente ci offre. Fa' che la Quaresima di questo straordinario Anno Santo sia per tutti i credenti, e per ogni uomo che cerca Dio, il momento favorevole, il tempo della riconciliazione, il tempo della salvezza!



OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


DURANTE LA CELEBRAZIONE


DEL GIUBILEO DEGLI ARTIGIANI


Domenica, 19 marzo 2000

1. Dio, "che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?" (Rm 8,32).

E' l'apostolo Paolo, nella Lettera ai Romani, a porre questa domanda, da cui emerge con chiarezza il tema centrale dell'odierna liturgia: il mistero della paternità di Dio. Nel brano evangelico, poi, è lo stesso eterno Padre a presentarsi a noi quando, dalla nube luminosa che avvolge Gesù e gli Apostoli sul monte della Trasfigurazione, fa udire la sua voce ammonitrice: "Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!" (Mc 9,7). Pietro, Giacomo e Giovanni intuiscono - capiranno meglio in seguito - che Dio ha parlato loro rivelando se stesso e il mistero della sua realtà più intima.

Dopo la risurrezione essi, insieme con gli altri Apostoli, porteranno nel mondo l'annuncio sconvolgente: nel Figlio suo incarnato Dio s'è fatto vicino ad ogni uomo come Padre misericordioso. In Lui ogn'essere umano è avvolto dall'abbraccio tenero e forte di un Padre.

2. Quest'annuncio è rivolto anche a voi, carissimi Artigiani, giunti a Roma da ogni parte del mondo per celebrare il vostro Giubileo. Nella riscoperta di questa consolante realtà - Dio è Padre - vi sostiene il vostro celeste Patrono, san Giuseppe, artigiano come voi, uomo giusto e custode fedele della Santa Famiglia.

A lui voi guardate come ad esempio di laboriosità e di onestà nel lavoro quotidiano. In lui voi cercate soprattutto il modello di una fede senza riserve e di una costante ubbidienza al volere del Padre celeste.

Accanto a san Giuseppe, voi incontrate lo stesso Figlio di Dio che, sotto la sua guida, impara l'arte del falegname e la esercita fino a trent'anni, proponendo in se stesso "il Vangelo del lavoro".

Nel corso della sua esistenza terrena, Giuseppe diviene così l'umile e laborioso riflesso di quella paternità divina che agli Apostoli verrà rivelata sul monte della Trasfigurazione. La liturgia di questa seconda Domenica di Quaresima ci invita a riflettere con maggiore attenzione sul mistero. E' lo stesso Padre celeste a prenderci quasi per mano per guidarci in questa meditazione.

Cristo è il Figlio prediletto del Padre! E' soprattutto questa parola «prediletto» che, rispondendo ai nostri interrogativi, alza in qualche misura il velo sul mistero della divina paternità. Ci fa' conoscere, infatti, l'infinito amore del Padre per il Figlio e, al tempo stesso, ci svela la sua «passione» per l'uomo, per la cui salvezza Egli non esita a donare questo Figlio tanto amato. Ogni essere umano può ormai sapere di essere in Gesù, Verbo incarnato, oggetto di un amore sconfinato da parte del Padre celeste.

3. Un ulteriore contributo alla conoscenza di questo mistero ci è offerto dalla prima Lettura, tratta dal Libro della Genesi. Dio chiede ad Abramo il sacrificio del figlio: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò" (Gn 22,2). Col cuore a pezzi, Abramo si dispone ad eseguire l'ordine di Dio. Ma quando sta per calare sul figlio il coltello del sacrificio, il Signore lo ferma e per mezzo di un angelo gli dice: "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio" (Gn 22,12).

Attraverso le vicende di una paternità umana sottoposta ad una drammatica prova, viene qui rivelata un'altra paternità, quella basata sulla fede. E' proprio in virtù della straordinaria testimonianza di fede, offerta in quella circostanza, che Abramo ottiene la promessa di una numerosa discendenza: "Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce" (Gn 22,18). Grazie al suo incondizionato affidarsi alla Parola di Dio, Abramo diventa il padre di tutti i credenti.

4. Dio Padre "non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi" (Rm 8,32). Abramo con la sua disponibilità ad immolare Isacco, preannuncia il sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo. L'esecuzione effettiva del sacrificio, che ad Abramo fu risparmiata, si avrà con Gesù Cristo. E' Lui stesso ad informarne gli Apostoli: scendendo dal monte della Trasfigurazione, Egli ordina loro di non raccontare quanto hanno visto, prima che il Figlio dell'uomo sia risuscitato dai morti. L'evangelista aggiunge: "Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti" (Mc 9,10).

I discepoli hanno intuito che Gesù è il Messia e che in Lui si realizza la salvezza. Ma non riescono a comprendere perché parli di passione e di morte: non accettano che l'amore di Dio possa nascondersi dietro la Croce. Eppure, là dove gli uomini vedranno solo una morte, Dio manifesterà la sua gloria risuscitando il Figlio suo; là dove gli uomini pronunceranno parole di condanna, Dio compirà il suo mistero di salvezza e di amore verso il genere umano.

E' la lezione che ogni generazione cristiana deve tornare ad imparare. Ogni generazione: anche la nostra! Sta qui la ragione del nostro cammino di conversione in questo tempo singolare di grazia. Il Giubileo illumina tutta la vita e l'esperienza degli uomini. Anche la fatica e la pesantezza del lavoro quotidiano ricevono dalla fede nel Cristo morto e risorto una nuova luce di speranza. Si rivelano come elementi significativi del disegno di salvezza che il Padre celeste sta attuando mediante la Croce del Figlio.

5. Forti di questa consapevolezza, cari artigiani, voi potete ridare forza e concretezza a quei valori che da sempre caratterizzano la vostra attività: il profilo qualitativo, lo spirito di iniziativa, la promozione delle capacità artistiche, la libertà e la cooperazione, il rapporto corretto tra la tecnologia e l'ambiente, l'attaccamento alla famiglia, i rapporti di buon vicinato. La civiltà artigiana ha saputo costruire, in passato, grandi occasioni di incontro tra i popoli ed ha consegnato alle epoche successive sintesi mirabili di cultura e di fede.

Il mistero della vita di Nazaret, di cui san Giuseppe, patrono della Chiesa e vostro protettore, è stato il custode fedele e il saggio testimone, è l'icona di questa mirabile sintesi tra vita di fede e lavoro umano, tra crescita personale ed impegno di solidarietà.

Carissimi artigiani, siete venuti quest'oggi per celebrare il vostro Giubileo. Possa la luce del Vangelo illuminare sempre più la vostra quotidiana esperienza lavorativa. Il Giubileo vi offre l'occasione di incontrare Gesù, Giuseppe e Maria, entrando nella loro casa e nell'umile officina di Nazaret. Alla singolare scuola della Santa Famiglia si apprendono le realtà essenziali della vita e si approfondisce il significato della sequela di Gesù. Nazaret insegna a superare l'apparente tensione tra la vita attiva e quella contemplativa; invita a crescere nell'amore della verità divina che irradia dall'umanità di Cristo e ad esercitare con coraggio l'esigente servizio della tutela di Cristo presente in ogni uomo (cfr Redemptoris custos, 27).

6. Varchiamo, dunque, in ideale pellegrinaggio, la soglia della casa di Nazaret, la povera abitazione che avrò la gioia di visitare, a Dio piacendo, la prossima settimana, nel corso del mio pellegrinaggio giubilare in Terra Santa. Soffermiamoci a contemplare Maria, testimone dell'attuazione della promessa fatta dal Signore "ad Abramo ed alla sua discendenza per sempre" (Lc 1,54-55).

Sia Lei, insieme a Giuseppe, suo casto sposo, ad aiutarvi, cari artigiani, a restare in costante ascolto di Dio, unendo preghiera e lavoro. Essi vi sostengano nei vostri propositi giubilari di rinnovata fedeltà cristiana, e facciano sì che, mediante le vostre mani, si prolunghi in qualche modo l'opera creatrice e provvidente di Dio.

La Santa Famiglia, luogo dell'intesa e dell'amore, vi aiuti ad essere capaci di gesti di solidarietà, di pace e di perdono. Sarete così annunciatori dell'infinito amore di Dio Padre, ricco di misericordia e di bontà verso tutti. Amen.



GPII Omelie 1996-2005 250