GPII Omelie 1996-2005 268

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CAPPELLA PAPALE PER LE ESEQUIE

DEL CARDINALE PIETRO PALAZZINI



OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANI PAOLO II


Venerdì, 13 ottobre 2000




1. "Gesù salì sulla montagna e ... prendendo la parola, li ammaestrava dicendo: Beati... " (Mt 5,1-2).

Come un giorno su quel monte della Galilea, anche oggi il Signore Gesù non cessa di ammaestrare i discepoli col fondamentale discorso delle "Beatitudini". Su questo testo evangelico si fermò certamente molte volte a riflettere il caro e venerato Cardinale Pietro Palazzini, che in questo momento accompagniamo nel suo passaggio da questo mondo alla Casa del Padre. Le Beatitudini costituiscono, infatti, il paradigma della santità cristiana, ed egli, specialmente negli ultimi anni del suo servizio come Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, poté ammirare i prodigi della santità in tante figure di Servi e Serve di Dio, di Beati e di Santi. Ora è chiamato a contemplare nella pienezza della luce il volto glorioso di Dio, il tre volte Santo.

Con la loro forte carica escatologica, le parole di Gesù sostengono la nostra speranza nel Regno dei cieli, promesso a quanti si sforzano di seguire la via del Maestro e di conformarsi a Lui. I vincoli di affetto e di fraternità sacerdotale, che ci legano al compianto Cardinale Palazzini, al quale rendiamo l'estremo saluto, ci spingono a pregare affinché in lui sia perfetta tale conformazione con Cristo. Preghiamo perché egli possa godere pienamente le beatitudini dei poveri in spirito, degli afflitti, dei miti, degli affamati e assetati di giustizia, dei misericordiosi, dei puri di cuore, degli operatori di pace e dei perseguitati a causa della giustizia.

2. "L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente" (Ps 41,3), abbiamo cantato nel Salmo responsoriale. L'uomo è la creatura che desidera Dio; egli è fatto per Dio. Quello "spirito incorruttibile", che - come ha ricordato la prima Lettura - "è in tutte le cose" (Sg 12,1), alimenta nell'uomo l'anelito a conoscere il Creatore ed a vivere in comunione con lui.

Questa dinamica spirituale si manifesta in modo del tutto speciale nell'esistenza del credente: egli attende e prepara con fiducia l'incontro con il suo Signore. Nella seconda Lettura, l'apostolo Paolo si dice convinto che Cristo sarà glorificato nel suo corpo, sia in vita che in morte (cfr Ph 1,20). Proprio per questo egli afferma con profonda emozione: "Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno" (Ph 1,21).

Sappiamo bene, tuttavia, come questa intima convinzione non distogliesse l'Apostolo dal suo ininterrotto ministero; al contrario, pur desiderando di essere per sempre unito a Cristo, egli si diceva disposto a continuare nel servizio ai suoi fedeli, per il progresso e la gioia della loro fede (cfr Ph 1,23-25).

3. E' in questa prospettiva che si colloca il nostro ricordo del compianto Cardinale Pietro Palazzini. Egli ha speso la sua vita in un assiduo servizio a Dio e alla Chiesa, specialmente mediante lo studio, l'insegnamento e la difesa della verità evangelica. In effetti, egli ha profuso le sue migliori energie soprattutto dedicandosi all'approfondimento della Teologia morale e del Diritto canonico.

Dopo aver frequentato i corsi di teologia nella Pontificia Università Lateranense, ordinato sacerdote vi conseguì il dottorato in teologia ed in utroque iure. Fu Vice-Rettore del seminario romano maggiore; nominato, poi, professore di teologia morale nella Facoltà teologica della Lateranense, proseguì nell'approfondimento dei i risvolti etici, morali e giuridici delle moderne problematiche umane e sociali.

Nel 1962 Papa Giovanni XXIII lo nominò Arcivescovo e lo chiamò a far parte della Commissione preparatoria del Concilio Vaticano II. Nell'ambito dell'assise ecumenica fu membro della Commissione conciliare per la disciplina del clero e del popolo cristiano. Proseguì il suo zelante servizio nella Congregazione detta "del Concilio", diventata nel corso degli anni "Congregazione per il Clero"; successivamente fu chiamato a guidare, come Prefetto, la Congregazione delle Cause dei Santi.

Pubblicò numerose ed apprezzate opere di teologia morale e di diritto, collaborò ad altre, in tutte recando un importante contributo di dottrina e di saggezza pastorale.

4. Appare oggi quanto mai significativo l'ultimo approdo del suo servizio ecclesiale quale responsabile del Dicastero delle Cause dei Santi. Dopo aver conosciuto e studiato tanti profili di Santi e Beati, il nostro venerato Fratello è chiamato, ormai, ad entrare nella loro dimora, attraverso la porta per la quale entrano i giusti (cfr Ps 117,20), quella porta che è Cristo Signore, il Santo di Dio.

"Aperite mihi portas iustitiae, et ingressus in eas confitebor Domino" (Ps 117,20). Quante volte, nell'Ufficio divino, il nostro Fratello ha ripetuto, pregando, questo versetto! Ora, ultimato il pellegrinaggio terreno, egli si appresta ad entrare nella Casa del Signore: "In domo Domini", come recita il suo motto episcopale. Là sarà associato alla liturgia del Cielo.

In domo Domini! In questa dimora di pace e di gioia lo introducano i Santi, le cui cause ha curato; lo accolga la Beata Vergine Maria, di cui si dichiarò sempre figlio devoto.

A noi, che rimaniamo pellegrini su questa terra, sia di conforto il dolce vincolo della comunione dei santi e la certa speranza di poter un giorno prendere parte per sempre alla solenne ed eterna liturgia dell'Amore divino. Così sia!



GIUBILEO DELLE FAMIGLIE Domenica, 15 ottobre 2000

15100
1. "Ci benedica il Signore, fonte della vita". L'invocazione che abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale, carissimi Fratelli e Sorelle, ben sintetizza la preghiera quotidiana di ogni famiglia cristiana, ed oggi, in questa celebrazione eucaristica giubilare, efficacemente esprime il senso del nostro incontro.
Voi siete qui convenuti non solo come singoli, ma come famiglie. Siete giunti a Roma da ogni parte del mondo, portando con voi la profonda convinzione che la famiglia è un grande dono di Dio, un dono originario, segnato dalla sua benedizione.
Così è, infatti. Fin dall'alba della creazione sulla famiglia si posò lo sguardo benedicente di Dio. Dio creò l'uomo e la donna a sua immagine, e diede loro un compito specifico per lo sviluppo della famiglia umana: " ... li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra" (
Gn 1,28).
Il vostro Giubileo, carissime famiglie, è canto di lode per questa benedizione originaria. Essa si è posata su di voi, coniugi cristiani, quando, celebrando il vostro matrimonio, vi siete giurati amore perenne davanti a Dio. La riceveranno oggi le otto coppie di varie parti del mondo, venute a celebrare il loro matrimonio nella cornice solenne di questo rito giubilare.
Sì, vi benedica il Signore, fonte della vita! Apritevi al flusso sempre nuovo di questa benedizione. Essa porta in sé una forza creatrice, rigenerante, capace di eliminare ogni stanchezza e di assicurare perenne freschezza al vostro dono.

2. Questa benedizione originaria è legata a un preciso disegno di Dio, che la sua parola ci ha or ora ricordato: "Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" (Gn 2,18). E' così che, nel libro della Genesi, l'autore sacro delinea l'esigenza fondamentale su cui poggia l'unione sponsale di un uomo e di una donna, e con essa la vita della famiglia che ne scaturisce. Si tratta di un'esigenza di comunione. L'essere umano non è fatto per la solitudine, porta in sé una vocazione relazionale, radicata nella sua stessa natura spirituale. In forza di tale vocazione, egli cresce nella misura in cui entra in relazione con gli altri, ritrovandosi pienamente "nel dono sincero di sé" (Gaudium et spes GS 24).
All'essere umano non bastano rapporti puramente funzionali. Ha bisogno di rapporti interpersonali ricchi di interiorità, di gratuità, di oblatività. Tra questi, fondamentale è quello che si realizza nella famiglia: nei rapporti tra i coniugi, come tra questi ed i figli. Tutta la grande rete delle relazioni umane scaturisce e continuamente si rigenera a partire da quel rapporto con cui un uomo e una donna si riconoscono fatti l'uno per l'altra, e decidono di fondere le proprie esistenze in un unico progetto di vita: "Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne" (Gn 2,24).

3. Una sola carne! Come non cogliere la forza di questa espressione? Il termine biblico "carne" non evoca soltanto la fisicità dell'uomo, ma la sua identità globale di spirito e di corpo. Ciò che i coniugi realizzano non è soltanto un incontro corporeo, ma una vera unità delle loro persone. Un'unità così profonda, da renderli in qualche modo nella storia un riflesso del "Noi" delle Tre Persone divine (cfr Lettera alle famiglie LF 8).
Si comprende, allora, la grande posta in gioco che emerge dal dibattito di Gesù con i farisei nel Vangelo di Marco, poc'anzi proclamato. Per gli interlocutori di Gesù, si trattava di un problema di interpretazione della legge mosaica, la quale consentiva il ripudio, provocando dibattiti sulle ragioni che potevano legittimarlo. Gesù supera totalmente questa visione legalista, andando al cuore del disegno di Dio. Nella norma mosaica egli vede una concessione alla "sclerocardia", alla "durezza del cuore". Ma proprio a questa durezza Gesù non si rassegna. E come potrebbe, Lui che è venuto appunto per scioglierla ed offrire all'uomo, con la redenzione, la forza di vincere le resistenze dovute al peccato? Egli non teme di riadditare il disegno originario: "All'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina" (Mc 10,6).

4. All'inizio! Solo Lui, Gesù, conosce il Padre "dall'inizio", e conosce anche l'uomo "dall'inizio". Egli è insieme il rivelatore del Padre e il rivelatore dell'uomo all'uomo (cfr Gaudium et spes GS 22). Per questo, sulle sue orme, la Chiesa ha il compito di testimoniare nella storia questo disegno originario, manifestandone la verità e la praticabilità.
Facendo ciò, la Chiesa non si nasconde le difficoltà e i drammi, che la concreta esperienza storica registra nella vita delle famiglie. Ma essa sa anche che il volere di Dio, accolto e realizzato con tutto il cuore, non è una catena che rende schiavi, ma la condizione di una libertà vera che ha nell'amore la sua pienezza. La Chiesa sa anche - e l'esperienza quotidiana glielo conferma - che quando questo disegno originario si oscura nelle coscienze, la società ne riceve un danno incalcolabile.
Certo, le difficoltà ci sono. Ma Gesù ha provveduto a fornire gli sposi di mezzi di grazia adeguati per superarle. Per sua volontà il matrimonio ha acquistato, nei battezzati, il valore e la forza di un segno sacramentale, che ne consolida i caratteri e le prerogative. Nel matrimonio sacramentale, infatti, i coniugi - come faranno tra poco le giovani coppie di cui benedirò le nozze - si impegnano a esprimersi vicendevolmente e a testimoniare al mondo l'amore forte e indissolubile con cui Cristo ama la Chiesa. E' il "grande mistero", come lo chiama l'apostolo Paolo (cfr Ep 5,32).

5. "Vi benedica Dio, sorgente della vita!". La benedizione di Dio è all'origine non solo della comunione coniugale, ma anche della responsabile e generosa apertura alla vita. I figli sono davvero la "primavera della famiglia e della società", come recita il motto del vostro Giubileo. Nei figli il matrimonio trova la sua fioritura: in essi si realizza il coronamento di quella totale condivisione di vita ("totius vitae consortium": CIC 1055 § 1), che fa degli sposi "una sola carne"; e ciò tanto nei figli nati dal naturale rapporto tra i coniugi, quanto in quelli voluti mediante l'adozione. I figli non sono un "accessorio" nel progetto di una vita coniugale. Non sono un "optional", ma un "dono preziosissimo" (Gaudium et spes GS 50), iscritto nella struttura stessa dell'unione coniugale.
La Chiesa, com'è noto, insegna l'etica del rispetto di questa struttura fondamentale nel suo significato insieme unitivo e procreativo. In tutto ciò, essa esprime il doveroso ossequio al disegno di Dio, delineando un quadro di rapporti tra i coniugi improntati all'accettazione reciproca senza riserve. Ciò, oltre tutto, viene incontro al diritto dei figli di nascere e di crescere in un contesto di amore pienamente umano. Conformandosi alla parola di Dio, la famiglia si fa così laboratorio di umanizzazione e di vera solidarietà.

6. A questo compito sono chiamati genitori e figli, ma, come già scrivevo nel 1994, in occasione dell'Anno della Famiglia, "il "noi" dei genitori, del marito e della moglie, si sviluppa, per mezzo della generazione e dell'educazione, nel "noi" della famiglia, che s'innesta sulle generazioni precedenti e si apre ad un graduale allargamento" (Lettera alle famiglie LF 16). Quando i ruoli vengono rispettati, in modo che il rapporto tra i coniugi e quello tra genitori e figli si svolga in modo compiuto e sereno, è naturale che per la famiglia acquistino significato ed importanza anche gli altri parenti, quali i nonni, gli zii, i cugini. Spesso, in questi rapporti improntati a sincero affetto e aiuto scambievole, la famiglia svolge un ruolo davvero insostituibile, perché le persone in difficoltà, le persone non sposate, le vedove e i vedovi, gli orfani, possano trovare un luogo di calore e di accoglienza. La famiglia non può chiudersi in se stessa. Il rapporto affettuoso con i parenti è un primo ambito di quella necessaria apertura, che proietta la famiglia verso l'intera società.

7. Accogliete, dunque, con fiducia, care famiglie cristiane, la grazia giubilare, che in questa Eucarestia viene abbondantemente effusa. Accoglietela prendendo come modello la famiglia di Nazaret che, pur chiamata a una missione incomparabile, fece il vostro stesso cammino, tra gioie e dolori, tra preghiera e lavoro, tra speranze e prove angustianti, sempre radicata nell'adesione alla volontà di Dio. Siano le vostre famiglie, sempre più, vere "chiese domestiche", da cui salga ogni giorno la lode a Dio e si irradi sulla società un flusso benefico e rigenerante di amore.
"Ci benedica il Signore, fonte della vita!". Possa questo Giubileo delle famiglie costituire per tutti voi che lo state vivendo un grande momento di grazia. Sia anche per la società un invito a riflettere sul significato e il valore di questo grande dono che è la famiglia, costruita secondo il cuore di Dio.
Maria, "Regina della famiglia", vi accompagni sempre con la sua mano materna.



OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


IN OCCASIONE DELL'INIZIO DELL'ANNO ACCADEMICO


DELLE UNIVERSITÀ ECCLESIASTICHE


Venerdì, 20 ottobre 2000




1. " ... a lode della sua gloria" (Ep 1,11 Ep 1,14).

Quest'espressione di san Paolo, risonata poc'anzi, ci offre la prospettiva e il senso di questa celebrazione, con la quale inauguriamo l'Anno Accademico delle Università ecclesiastiche romane. Fin dall'inizio, tutto intendiamo offrire a Dio e orientare alla sua gloria: l'insegnamento, lo studio, la vita collegiale, il tempo del lavoro e quello dello svago; e, prima ancora, la vita personale, la preghiera, l'ascesi, l'amicizia. Tutto il nostro essere e il nostro operare vogliamo porre questa sera sull'altare del Signore, per offrirlo quale sacrificio spirituale "a lode della sua gloria".

A tutti voi, carissimi Fratelli e Sorelle, convenuti per questo tradizionale appuntamento, rivolgo il mio cordiale saluto, incominciando da Monsignor Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, che presiede questa Eucaristia. Con lui saluto i Rettori delle Università, i Membri del Corpo Accademico, i Responsabili dei Seminari e dei Collegi, nei quali voi, studenti, trovate ospitalità ed aiuto nel vostro cammino di formazione.

Uno speciale benvenuto rivolgo alle 'matricole', che intraprendono quest'anno i loro studi nelle Pontificie Università ed Istituti di Roma. Vorrei che ciascuno prendesse coscienza del dono costituito dalla possibilità di perfezionare i propri studi a Roma, e si rendesse conto, al tempo stesso, della responsabilità connessa con questo privilegio: voi, infatti, siete chiamati ad approfondire la formazione in vista di un qualificato servizio ecclesiale. Per questo Roma cristiana vi accoglie con le sue istituzioni culturali, ben consapevole della sua vocazione universale, fondata sulla testimonianza degli Apostoli e dei Martiri.

2. "Beata la nazione il cui Dio è il Signore, / il popolo che si è scelto come erede" (Ps 32,12). Come non vedere la Chiesa in questa "nazione" singolare, il cui Dio è il Signore? Essa è il Popolo "adunato dall'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo", secondo la celebre espressione di san Cipriano (De Orat. Dom. 23: PL 4,553).

Voi, carissimi, provenite da diverse nazioni della terra. I vostri volti formano in questa Basilica un 'mosaico' stupendo, nel quale le differenze sono chiamate ad armonizzarsi per delineare una compagine, che riceve la sua forma dall'unico Spirito di Cristo. "In lui anche voi - ci ha detto san Paolo - dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo" (Ep 1,13).

All'inizio di un nuovo anno di studi, è importante per ciascuno di voi riandare alle proprie radici e, attraverso di esse, risalire a Cristo, nel quale queste diversità si compongono portandoci ad essere una cosa sola. E' bello riconoscere e professare il nostro essere Chiesa, "nazione il cui Dio è il Signore", popolo che Lui si è scelto da tutte le genti, perché sia nel mondo come un "sacramento" dell'unità del genere umano. Non smarrite mai questo profondo senso del mistero della Chiesa, a cui appartenete! Essa costituisce, infatti, l'ambiente vitale dell'autentica formazione cristiana; in comunione con essa voi intendete attendere al vostro impegno di studio.

3. "Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia" (Lc 12,1). Nella pagina di Vangelo proclamata poco fa Gesù mette in guardia i discepoli dall'assumere atteggiamenti ipocriti, illudendosi di poter mascherare cose non buone sotto un'onesta apparenza. Il Signore ci ricorda che tutto è destinato a venire alla luce, anche le cose nascoste e segrete. Egli, inoltre, esorta i suoi, che chiama "amici", a non aver paura di nulla e di nessuno, ma a temere solo Dio, nelle cui mani è la nostra vita. Se l'invito a temere "Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna" (Lc 12,4) incute un salutare tremore, subito dopo è però di conforto la descrizione di Dio che si prende cura di ogni creatura e a maggior ragione degli uomini, preziosissimi ai suoi occhi.
Il tema dell'assoluta trasparenza di tutto e di tutti davanti a Dio unifica le due parti dell'odierna pericope evangelica. Si tratta di un elemento essenziale di quella relazione filiale con Dio che Cristo ha predicato, portando a compimento la rivelazione dell'Antica Alleanza.

Come per Gesù, anche per voi, cari docenti e cari studenti delle Università ecclesiastiche, questo rappresenta, a ben vedere, il compito prioritario: conoscere e far conoscere l'autentica immagine di Dio. "Che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Jn 17,3): in ciò consiste per gli uomini la vita eterna, e a questo scopo il Figlio di Dio è venuto nel mondo, perché essi "abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10).

All'inizio di un nuovo anno di studi teologici o comunque ecclesiastici, questa pagina del Vangelo di Luca ci aiuta a rendere esplicito il riferimento fondamentale alla missione di Cristo e al senso della sua Incarnazione: da lì riceve luce e forza anche la missione di ciascuno di voi, nella diversità dei carismi e dei ministeri.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle! Vorrei quest'oggi ripetere le parole del Concilio Ecumenico Vaticano II nella Dichiarazione Gravissimum educationis: "Molto si attende la Chiesa dall'attività delle Facoltà di scienze sacre" (n. 11). E' vero, essa molto conta sull'opera che in ognuna delle Università Pontificie quotidianamente si compie. In particolare, come Vescovo di Roma, desidero esprimere il mio apprezzamento e la mia gratitudine per il lavoro dei Superiori, dei Docenti, dei Responsabili delle Istituzioni ecclesiastiche di Roma. La vostra intraprendenza, carissimi, unita all'alto livello scientifico ed alla sicura fedeltà al Magistero, manifesta il vostro amore a Cristo e alla Chiesa e, direi, l'autentico spirito missionario con cui servite la Verità.

Alla vigilia della Giornata Missionaria Mondiale, mi piace sottolineare che il lavoro di quanti insegnano e studiano nelle Facoltà ecclesiastiche non è separato né tanto meno in contrasto con quello di chi opera, per così dire, "in prima linea". Siamo tutti al servizio della Verità, che è il Vangelo di Cristo Signore. Il Vangelo chiede, per sua natura, di essere annunciato, ma l'annuncio presuppone una solida e approfondita conoscenza del messaggio, perché l'evangelizzazione sia efficace servizio a Dio, alla Verità e all'uomo.

Carissimi, la Madre del Redentore, Sede della Sapienza, vegli su di voi e sugli impegni di quest'anno accademico che inizia. Maria è immagine e modello della Chiesa che accoglie la divina Parola, la custodisce con amore, la mette in pratica e la porta nel mondo. La sua materna assistenza sia per ciascuno di voi fonte di rinnovata motivazione e di continuo sostegno nella fatica, perché ogni vostra attività trovi sempre in Dio la sua origine e il suo compimento, "a lode della sua gloria".

Amen!



GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE




Domenica 22 Ottobre 2000

1. "Il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti" (Mc 10,45).

Queste parole del Signore, carissimi Fratelli e Sorelle, risuonano oggi, Giornata Missionaria Mondiale, come lieta notizia per tutta l’umanità e come programma di vita per la Chiesa e per ciascun cristiano. Lo ha ricordato all'inizio della Celebrazione il Cardinal Jozef Tomko, Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, informando della presenza stamane in questa Piazza dei Delegati di 124 Nazioni, che hanno partecipato al Congresso Missionario Mondiale, e degli studiosi di varie Confessioni convenuti per il Congresso Missiologico Internazionale. Ringrazio il Cardinale Tomko per l'indirizzo augurale rivoltomi e per tutto il lavoro che, insieme con i Membri della Congregazione da lui presieduta, svolge a servizio dell'annuncio del Vangelo nel mondo.

"Il figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti". Queste parole costituiscono l'auto-presentazione del Maestro divino. Gesù definisce se stesso come colui che è venuto per servire e che proprio nel servizio e nel dono totale di sé fino alla croce rivela l’amore del Padre. Il suo volto di «servo» non diminuisce la sua grandezza divina, ma la illumina di una luce nuova.

Gesù è il "grande e sommo sacerdote" (He 4,14), è il Verbo che "era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste", (Jn 1,2). Gesù è il Signore, che "pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo" (Ph 1,6-7); Gesù è il Salvatore, al quale "possiamo accostarci con piena fiducia". Gesù è la Via, la Verità e la Vita (Jn 14,6), il pastore che ha dato la vita per le pecore (Jn 10,11), il capo che conduce alla vita (Ac 3,15).

2. L'impegno missionario scaturisce come fuoco d’amore dalla contemplazione di Gesù e dal fascino che egli emana. Il cristiano che ha contemplato Gesù Cristo non può che sentirsi rapito dal suo fulgore (cfr Vita consecrata VC 14) e testimoniare la sua fede in Cristo unico Salvatore dell’uomo. Quale grande grazia è questa fede che abbiamo ricevuto come dono dall’alto, senza alcun nostro merito (cfr Redemptoris missio RMi 11)!

Questa grazia diventa a sua volta fonte di responsabilità. E' grazia che ci rende annunciatori e apostoli: ecco perché dicevo nell'Enciclica Redemptoris missio che "la missione è problema di fede, è l’indice esatto della nostra fede in Cristo e del suo amore per noi" (n.11). E ancora: "Se il missionario non è un contemplativo, non può annunciare Cristo in modo credibile" (n.91).

È fissando lo sguardo in Gesù, il missionario del Padre e il sommo sacerdote, l’autore e il perfezionatore della fede (cfr He 3,1, 12,2), che impariamo il senso e lo stile della missione.

3. Egli non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita per tutti. Sulle orme di Cristo, il dono di sé a tutti gli uomini costituisce un imperativo fondamentale per la Chiesa ed è insieme un'indicazione di metodo per la sua missione.

Donarsi significa innanzitutto riconoscere l’altro nel suo valore e nei suoi bisogni. "L’atteggiamento missionario inizia sempre con un sentimento di profonda stima di fronte a ciò che c’è in ogni uomo, per ciò che egli stesso, nell’intimo del suo spirito ha elaborato riguardo ai problemi più profondi e importanti; si tratta di rispetto di tutto ciò che in lui ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole" (Redemptor hominis RH 12).

Come Gesù ha rivelato la solidarietà di Dio per la persona umana assumendone totalmente la condizione, eccetto il peccato, così la Chiesa vuole essere solidale con "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono" (Gaudium et spes GS 1). Essa si avvicina alla persona umana con la discrezione e il rispetto di chi ha un servizio da compiere e crede che il primo e più grande servizio è quello di annunciare il Vangelo di Gesù, far conoscere il Salvatore, colui che ha rivelato il Padre ed insieme ha rivelato l’uomo all’uomo.

4. La Chiesa vuole annunciare Gesù, il Cristo, figlio di Maria, seguendo la via che Cristo stesso ha preso: il servizio, la povertà, l’umiltà, la croce. Essa deve, pertanto, resistere con forza alle tentazioni che l’odierno Vangelo ci lascia intravedere nel comportamento dei due fratelli, che volevano sedere "uno alla destra e uno alla sinistra" del Maestro, ma anche degli altri discepoli che si mostrarono non insensibili allo spirito della rivalità e della competizione. La parola di Cristo traccia una linea netta di divisione tra lo spirito del dominio e quello del servizio. Per un discepolo di Cristo essere il primo significa essere "servo di tutti".

E' un capovolgimento di valori che si comprende solo volgendo lo sguardo al Figlio dell’uomo "disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire" (Is 53,3). Sono le parole che lo Spirito Santo farà comprendere alla sua Chiesa in rapporto al mistero di Cristo. Solo a Pentecoste gli Apostoli riceveranno la capacità di credere nella "forza della debolezza", che si manifesta nella Croce.

E qui il mio pensiero va ai tanti missionari che, giorno dopo giorno, nel silenzio e senza l’appoggio di alcuna potenza umana, annunciano e prima ancora testimoniano il loro amore per Gesù, spesse volte fino al dono della vita, come è accaduto anche recentemente. Quale spettacolo si apre di fronte all'occhio del cuore! Quanti fratelli e sorelle spendono generosamente le loro energie sulle frontiere avanzate del Regno di Dio! Sono Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici, che ci rappresentano Cristo al vivo, lo mostrano concretamente come Signore che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la vita per amore del Padre e dei fratelli. A tutti va il mio grato apprezzamento insieme con un caloroso incoraggiamento a perseverare con fiducia. Coraggio, fratelli e sorelle! Cristo è con voi.

Ma accanto a coloro che s'affaticano in prima linea nella missione "ad gentes", deve essere l’intero popolo di Dio, ciascuno con il suo contributo, come hanno bene intuito e sottolineato i fondatori delle Pontificie Opere Missionarie: tutti possono e debbono partecipare all'evangelizzazione, anche i piccoli, anche gli ammalati, anche i poveri con il loro obolo, proprio come quello della vedova additata ad esempio da Gesù (cfr Lc 21,1-4). La missione è opera di tutto il popolo di Dio, ognuno nella vocazione alla quale è stato chiamato dalla Provvidenza.

5. Le parole di Gesù sul servizio sono anche profezia di un nuovo stile di rapporti da promuovere non solo nella comunità cristiana, ma anche nella società. Non dobbiamo mai perdere la speranza di far nascere un mondo più fraterno. La competizione senza regole, il desiderio di dominio sugli altri ad ogni costo, la discriminazione operata da alcuni che si credono superiori agli altri, la sfrenata ricerca della ricchezza, sono all’origine di ingiustizie, violenze e guerre.

Le parole di Gesù diventano allora invito ad invocare la pace. La missione è annuncio di Dio che è Padre, di Gesù che è nostro fratello maggiore, dello Spirito che è amore. La missione è collaborazione, umile ma appassionata, al disegno di Dio che vuole un’umanità salvata e riconciliata. Al vertice della storia dell’uomo secondo Dio vi è un progetto di comunione. Verso questo progetto deve portare la missione.

Alla Regina della Pace, Regina delle Missioni e Stella dell’evangelizzazione chiediamo il dono della pace. Invochiamo la sua materna protezione su tutti coloro che generosamente collaborano alla diffusione del nome e del messaggio di Gesù. Ella ci ottenga una fede tanto viva e ardente da far risuonare con forza rinnovata agli uomini del nostro tempo la proclamazione della verità di Cristo, unico Salvatore del mondo.

Alla fine desidero ricordare le parole che ho pronunciato ventidue anni fa in questa Piazza: "Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo!"





GIUBILEO DEGLI SPORTIVI




Domenica, 29 Ottobre 2000

1. "Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo!" (1Co 9,24).

A Corinto, dove Paolo aveva portato l'annuncio del Vangelo, vi era uno stadio molto importante, in cui si disputavano i "giochi istmici". Opportunamente, pertanto, l'Apostolo, per spronare i cristiani di quella città ad impegnarsi a fondo nella "corsa" della vita, fa riferimento alle gare di atletica. Nelle corse allo stadio - egli dice - tutti corrono, anche se uno solo è il vincitore: correte anche voi... Attraverso la metafora del sano agonismo sportivo, egli mette in luce il valore della vita, paragonandola ad una corsa verso una meta non solo terrena e passeggera, ma eterna. Una corsa in cui non uno soltanto, ma tutti possono essere vincitori.

Ascoltiamo oggi queste parole dell'Apostolo, raccolti in questo Stadio Olimpico di Roma, che ancora una volta si trasforma in un grande tempio a cielo aperto, come in occasione del Giubileo internazionale degli sportivi, nel 1984, Anno Santo della Redenzione. Allora, come oggi, è Cristo, unico Redentore dell'uomo, che ci accoglie e con la sua parola di salvezza illumina il nostro cammino.

A tutti voi, carissimi atleti e sportivi di ogni parte del mondo, che celebrate il vostro Giubileo, rivolgo il mio caloroso saluto! Il mio ‘grazie’ più cordiale ai Responsabili delle Istituzioni sportive internazionali e italiane, e a tutti coloro che hanno collaborato ad organizzare quest'appuntamento singolare con il mondo dello sport e con le sue varie articolazioni.

Ringrazio per le parole rivoltemi il Presidente del Comitato Olimpico Internazionale, Signor Juan Antonio Samaranch, e il Presidente del CONI, Signor Giovanni Petrucci, come pure il Signor Antonio Rossi, medaglia d'oro a Sydney ed Atlanta, che ha interpretato i sentimenti di tutti voi, carissimi atleti. Mentre vi contemplo raccolti in bell'ordine in questo stadio, mi tornano alla mente molti ricordi della mia vita, legati ad esperienze sportive. Cari amici, grazie per la vostra presenza e grazie soprattutto per l'entusiasmo con cui state vivendo questo appuntamento giubilare.

2. Con questa celebrazione il mondo dello sport si unisce, come un grandioso coro, per esprimere attraverso la preghiera, il canto, il gioco, il movimento, un inno di lode e di ringraziamento al Signore. E' l'occasione propizia per rendere grazie a Dio per il dono dello sport, in cui l'uomo esercita il corpo, l'intelligenza, la volontà, riconoscendo in queste sue capacità altrettanti doni del suo Creatore.

Grande importanza assume oggi la pratica sportiva, perché può favorire l'affermarsi nei giovani di valori importanti quali la lealtà, la perseveranza, l'amicizia, la condivisione, la solidarietà. E proprio per tale motivo, in questi ultimi anni essa è andata sempre più sviluppandosi come uno dei fenomeni tipici della modernità, quasi un "segno dei tempi" capace di interpretare nuove esigenze e nuove attese dell'umanità. Lo sport si è diffuso in ogni angolo del mondo, superando diversità di culture e di nazioni.

Per il profilo planetario assunto da questa attività, è grande la responsabilità degli sportivi nel mondo. Essi sono chiamati a fare dello sport un'occasione di incontro e di dialogo, al di là di ogni barriera di lingua, di razza, di cultura. Lo sport può, infatti, recare un valido apporto alla pacifica intesa fra i popoli e contribuire all'affermarsi nel mondo della nuova civiltà dell'amore.

3. Il Grande Giubileo dell'Anno 2000 invita tutti e ciascuno ad un serio cammino di riflessione e di conversione. Può il mondo dello sport esimersi da questo provvidenziale dinamismo spirituale? No! Anzi proprio l'importanza che lo sport oggi riveste invita quanti vi partecipano a cogliere questa opportunità per un esame di coscienza. E' importante rilevare e promuovere i tanti aspetti positivi dello sport, ma è doveroso anche cogliere le situazioni in vario modo trasgressive a cui esso può cedere.

Le potenzialità educative e spirituali dello sport devono rendere i credenti e gli uomini di buona volontà uniti e decisi nel contrastare ogni aspetto deviante che vi si potesse insinuare, riconoscendovi un fenomeno contrario allo sviluppo pieno della persona e alla sua gioia di vivere. E' necessaria ogni cura per la salvaguardia del corpo umano da ogni attentato alla sua integrità, da ogni sfruttamento, da ogni idolatria.

Occorre essere disposti a chiedere perdono per quanto nel mondo dello sport si è fatto o si è omesso, in contrasto con gli impegni assunti nel precedente Giubileo. Essi saranno ribaditi nel "Manifesto dello Sport", che tra poco sarà presentato. Possa questa verifica offrire a tutti - dirigenti, tecnici ed atleti - l'occasione per ritrovare un nuovo slancio creativo e propulsivo, così che lo sport risponda, senza snaturarsi, alle esigenze dei nostri tempi: uno sport che tuteli i deboli e non escluda nessuno, che liberi i giovani dalle insidie dell'apatia e dell'indifferenza, e susciti in loro un sano agonismo; uno sport che sia fattore di emancipazione dei Paesi più poveri ed aiuto a cancellare l'intolleranza e a costruire un mondo più fraterno e solidale; uno sport che contribuisca a far amare la vita, educhi al sacrificio, al rispetto ed alla responsabilità, portando alla piena valorizzazione di ogni persona umana.

4. "Chi semina nelle lacrime, mieterà con giubilo" (Ps 125,5). Il Salmo responsoriale ci ha ricordato che per riuscire nella vita bisogna perseverare nella fatica. Chi pratica lo sport questo lo sa bene: è solo a prezzo di faticosi allenamenti che si ottengono risultati significativi. Per questo lo sportivo è d'accordo col Salmista quando afferma che la fatica spesa nella semina trova ricompensa nella gioia della mietitura: "Nell'andare se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni" (Ps 125,6).

Nelle recenti Olimpiadi di Sidney abbiamo ammirato le imprese di grandi atleti, che per giungere a quei risultati si sono sacrificati per anni, ogni giorno. Questa è la logica dello sport, specialmente dello sport olimpico; ed è anche la logica della vita: senza sacrifici non si ottengono risultati importanti, e nemmeno autentiche soddisfazioni.

Ce lo ha ricordato ancora una volta l'apostolo Paolo: "Ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile" (1Co 9,25). Ogni cristiano è chiamato a diventare un valido atleta di Cristo, cioè un testimone fedele e coraggioso del suo Vangelo. Ma per riuscire in ciò è necessario che egli perseveri nella preghiera, si alleni nella virtù, segua in tutto il divino Maestro.

In effetti, è Lui il vero atleta di Dio; Cristo è l'Uomo "più forte" (cfr Mc 1,7), che per noi ha affrontato e sconfitto l'’avversario’, satana, con la potenza dello Spirito Santo, inaugurando il Regno di Dio. Egli ci insegna che per entrare nella gloria bisogna passare attraverso la passione (cfr Lc 24,26 Lc 24,46), e ci ha preceduto in questa via, perché ne seguiamo le orme.

Ci aiuti il Grande Giubileo a rafforzarci e ad irrobustirci per affrontare le sfide che ci attendono in quest'alba del terzo millennio.

5. "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!" (Mc 10,47).

Sono le parole del cieco di Gerico nella vicenda narrata nella pagina evangelica proclamata poc'anzi. Possono diventare anche parole nostre: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!".

Fissiamo, o Cristo, lo sguardo su di Te, che offri ad ogni uomo la pienezza della vita. Signore, Tu guarisci e fortifichi chi, fidandosi di Te, accoglie la tua volontà.

Oggi, nell'ambito del Grande Giubileo dell'Anno 2000, sono qui radunati idealmente gli sportivi di tutto il mondo, anzitutto per rinnovare la propria fede in Te, unico Salvatore dell'uomo.

Anche chi, come l'atleta, è nel pieno delle sue forze, riconosce che senza di Te, o Cristo, è interiormente come cieco, incapace cioè di conoscere la piena verità, di comprendere il senso profondo della vita, specialmente di fronte alle tenebre del male e della morte. Anche il più grande campione, davanti alle domande fondamentali dell'esistenza, si scopre indifeso ed ha bisogno della tua luce per vincere le sfide impegnative che un essere umano è chiamato ad affrontare.

Signore Gesù Cristo, aiuta questi atleti ad essere tuoi amici e testimoni del tuo amore. Aiutali a porre nell'ascesi personale lo stesso impegno che mettono nello sport; aiutali a realizzare un'armonica e coerente unità di corpo e di anima.

Possano essere, per quanti li ammirano, validi modelli da imitare. Aiutali ad essere sempre atleti dello spirito, per ottenere il tuo inestimabile premio: una corona che non appassisce e che dura in eterno. Amen!



SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI

CELEBRAZIONE EUCARISTICA NEL 50° ANNIVERSARIO DELLA DEFINIZIONE DOGMATICA DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

Mercoledì, 1° novembre 2000

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GPII Omelie 1996-2005 268