GPII Omelie 1996-2005 309

309

VISITA PASTORALE IN KAZAKHSTAN

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


Astana - Cattedrale della Madonna del Perpetuo Soccorso

Lunedì, 24 settembre 2001

1. Il popolo "... ricostruisca il tempio del Signore Dio d'Israele" (Esd 1,3).

Con queste parole Ciro re di Persia, nel concedere la libertà al "resto di Israele", dava ai profughi l'ordine di innalzare nuovamente in Gerusalemme il luogo santo, dove il nome di Dio potesse essere adorato. Era un dovere che gli esuli accolsero con gioia, e di buona lena si incamminarono verso la terra dei loro padri.

Possiamo immaginare il tumulto dei cuori, la fretta dei preparativi, i pianti di gioia, gli inni di gratitudine che precedettero e accompagnarono i passi del ritorno degli esuli in Patria. Dopo le lacrime dell'esilio, "il resto di Israele", affrettandosi verso Gerusalemme, città di Dio, poteva nuovamente sorridere. Innalzava finalmente i suoi canti riconoscenti per le grandi meraviglie compiute dal Signore in mezzo a loro (cfr Ps 125,1-2).

2. Sentimenti analoghi vibrano oggi in noi, mentre celebriamo questa Eucaristia in onore della Beata Vergine Maria, Regina della pace. Dopo l'oppressione comunista, anche voi - in certo modo come esuli - di nuovo tornate a proclamare insieme la fede comune. A dieci anni dalla riconquistata libertà, ricordando le vicissitudini affrontate in passato, oggi rendete lode alla provvidente misericordia del Signore, che non abbandona i suoi figli nella prova. Da lungo tempo desideravo l'incontro odierno per condividere questa vostra gioia.

Saluto con fraterno affetto Mons. Jan Pawel Lenga, Vescovo di Karagandà, che quest'anno ricorda i suoi dieci anni di Episcopato. Lo ringrazio per le cortesi parole rivoltemi e mi unisco a lui nel dare lode a Dio per il bene operato a servizio della Chiesa. Avrei voluto visitare anche la sua diocesi, ma le circostanze non me l'hanno permesso. Saluto con pari affetto Mons. Tomasz Peta, Amministratore Apostolico di Astanà; Mons. Henry Theophilus Howaniec, Amministratore Apostolico di Almaty, e il Reverendo Janusz Kaleta, Amministratore Apostolico di Atyrau. Saluto i Superiori delle Missioni sui iuris e tutti i carissimi Presuli qui presenti.

Il mio cordiale pensiero si rivolge a voi, cari sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi del Kazakhstan, dell'Uzbekistan, del Tadjikistan, del Kyrgyzstan, del Turkmenistan. Tutti vi abbraccio, con vivo apprezzamento per l'impegno generoso con cui attendete ai vostri compiti. Attraverso di voi intendo raggiungere le vostre comunità e i singoli cristiani che le compongono. Carissimi Fratelli e Sorelle! Aderite sempre con fedeltà al Signore della vita e insieme ricostruite il suo tempio vivo, che è la Comunità ecclesiale diffusa in questa vasta regione eurasiatica.

3. Ricostruire il tempio del Signore: ecco la missione alla quale siete stati chiamati e alla quale vi siete consacrati. Penso, in questo momento, alle vostre comunità un tempo disperse e tribolate. Mi sono presenti allo spirito e al cuore le indicibili prove di quanti hanno patito non solo l'esilio fisico e la prigionia, ma il pubblico scherno e la violenza per non aver voluto rinunciare alla fede.

Voglio qui ricordare, tra gli altri, il Beato Oleks Zarytsky, sacerdote e martire, morto nel gulag di Dolynka; il Beato Mons. Mykyta Budka, morto nel gulag di Karadzar; Mons. Alexander Chira, per oltre vent'anni Pastore amato e generoso di Karagandà, che nell'ultima sua lettera scriveva: "Consegno il mio corpo alla terra, il mio spirito al Signore, il mio cuore lo dono a Roma. Sì, con l'ultimo respiro della mia vita voglio confessare la mia piena fedeltà al Vicario di Cristo sulla terra". Ricordo ancora il P. Tadeusz Federowicz, che conosco personalmente, e che può qualificarsi "inventore" d'una nuova pastorale della deportazione.

In questa Eucaristia li ricordiamo tutti con riconoscenza e con affetto. Sui loro patimenti, uniti alla croce di Cristo, è fiorita la nuova vita della vostra comunità cristiana.

4. Come i profughi ritornati a Gerusalemme, troverete anche voi "i fratelli che vi aiuteranno validamente" (cfr Esd 1,6). La mia presenza tra voi, oggi, vuole essere garanzia della solidarietà della Chiesa universale. La non facile impresa è affidata, con l'indispensabile aiuto di Dio, alla vostra sagacia, al vostro impegno, alla vostra sensibilità. Siete chiamati ad essere voi i carpentieri, i fabbri, i muratori, le maestranze del tempio spirituale da ricostruire.

Cari sacerdoti, lo spirito di comunione e di reale collaborazione, che saprete attuare tra di voi e con i fedeli laici, costituisce il segreto per la riuscita di questa esaltante e ardua missione. Vi orienti nel ministero quotidiano il comandamento nuovo consegnatoci da Cristo alla vigilia della sua Passione: "Amatevi gli uni gli altri" (Jn 13,34). Questo è il tema che opportunamente avete scelto per la mia visita pastorale. Esso vi impegna a vivere concretamente il mistero della comunione nell'annuncio della Parola di vita, nell'animazione del culto liturgico, nella cura delle giovani generazioni, nella preparazione dei catechisti, nella promozione delle associazioni cattoliche, nell'attenzione verso quanti sono in difficoltà materiali o spirituali. È così che voi, in unione con i vostri Ordinari ed insieme ai religiosi ed alle religiose, potrete ricostruire il tempio del Signore!

5. In questi dieci anni di ritrovata libertà molto è stato fatto grazie all'infaticabile zelo evangelizzatore che vi contraddistingue. Alle strutture esteriori, però, deve corrispondere un solido fondamento interiore.Importante è, perciò, curare la formazione teologica, ascetica e pastorale di coloro che il Signore chiama al suo servizio.

Sono lieto del nuovo seminario aperto a Karagandà per accogliere i seminaristi delle Repubbliche dell'Asia Centrale. Insieme al Centro Diocesano, l'avete voluto dedicare ad uno zelante sacerdote, il P. Wladyslaw Bukowinski, che durante i duri anni del comunismo ha continuato ad esercitare in quella città il suo ministero. "Siamo stati ordinati non per risparmiarci – scriveva nelle sue memorie – ma, se è necessario, per dare la nostra vita per le pecorelle di Cristo". Io stesso ho avuto la fortuna di conoscerlo e di apprezzarne la fede profonda, la sapiente parola, l'incrollabile fiducia nella potenza di Dio. A lui e a tutti coloro che hanno consumato la vita fra stenti e persecuzioni intendo oggi rendere omaggio a nome di tutta la Chiesa.

Questi fedeli operai del Vangelo siano di esempio e di incoraggiamento anche per voi, carissimi consacrati e consacrate, chiamati ad essere segno di gratuità e di amore nel servizio al Regno di Dio. "La vita della Chiesa – osservavo nell'Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata – e la stessa società hanno bisogno di persone capaci di dedicarsi totalmente a Dio e agli altri per amore di Dio" (VC 105). A voi è chiesto di offrire quel supplemento d'anima di cui tanto ha bisogno il mondo.

6. Prima che annunciatori, occorre essere testimoni credibili del Vangelo.Ora che il clima politico e sociale si è affrancato dal peso dell'oppressione totalitaria – ed è auspicabile che mai più il potere cerchi di limitare la libertà dei credenti – resta forte la necessità che ogni discepolo di Cristo sia luce del mondo e sale della terra (cfr Mt 4,13-14). Anzi, tale bisogno è ancor più urgente a causa della devastazione spirituale lasciata in eredità dall'ateismo militante, come pure a causa dei pericoli insiti nell'edonismo e nel consumismo di oggi.

Alla forza della testimonianza, cari Fratelli e Sorelle, unite la dolcezza del dialogo. Il Kazakhstan è Terra abitata da gente d'origine diversa, appartenente a varie religioni, erede di illustri culture e di una ricca storia. Il saggio Abai Kunanbai, voce autorevole della cultura kazaka, con larghezza di cuore affermava: "Proprio perché adoriamo pienamente Dio ed abbiamo fede in lui, non abbiamo il diritto di dire che dobbiamo obbligare gli altri a credere e ad adorarlo" (Detti, cap. 45).

La Chiesa non vuole imporre la propria fede agli altri. È chiaro, tuttavia, che questo non esime i discepoli del Signore dal comunicare agli altri il grande dono del quale essi sono partecipi: la vita in Cristo. "Non dobbiamo avere paura che possa costituire offesa all'altrui identità ciò che è invece annuncio gioioso di un dono che è per tutti e che va a tutti proposto con il più grande rispetto della libertà di ciascuno: il dono della rivelazione del Dio-Amore" (Novo millennio ineunte, NM 56). L'amore di Dio, più lo si testimonia, più aumenta nel cuore.

7. Carissimi Fratelli e Sorelle, quando la vostra fatica apostolica si irrora di lacrime, quando il cammino si fa ripido ed aspro, pensate al bene che il Signore sta compiendo attraverso le vostre mani, la vostra parola, il vostro cuore. Egli vi ha posti qui come dono per il prossimo. Sappiate essere all'altezza di questa missione.

E Tu, Maria Regina della pace, sostieni questi tuoi figli. A Te oggi essi si affidano con rinnovata confidenza. Madonna del Perpetuo Soccorso, che da questa Cattedrale abbracci l'intera Comunità ecclesiale, aiuta i credenti ad impegnarsi generosamente nella testimonianza della loro fede, perché il Vangelo del tuo Figlio risuoni in ogni angolo di queste amate e sconfinate terre. Amen!


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VIAGGIO APOSTOLICO IN ARMENIA

CELEBRAZIONE ECUMENICA


Cattedrale di S. Gregorio l'Illuminatore

Yerevan, 26 settembre 2001

"Ecco quanto è buono e quanto è soave

che i fratelli vivano insieme!" (Ps 133,1)

Sia lodato Gesù Cristo!

1. La scorsa domenica, Vostra Santità e l’intero Catholicossato di Etchmiadzin hanno avuto la gioia di consacrare questa nuova Cattedrale di san Gregorio l’Illuminatore, quale degno memoriale dei diciassette secoli di fedeltà dell’Armenia al Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo. Questo splendido Santuario testimonia la fede consegnatavi dai vostri padri, e parla a tutti noi della speranza che oggi muove il popolo armeno a guardare al futuro con rinnovata fiducia e coraggiosa determinazione.

Per me, presiedere con Vostra Santità questa Liturgia Ecumenica è sorgente di grande gioia personale. È come se fosse la continuazione della nostra Preghiera comune dell’anno scorso nella Basilica di san Pietro a Roma. Là, insieme, abbiamo venerato la reliquia di san Gregorio l’Illuminatore, ed il Signore ci dona oggi di ripetere lo stesso gesto qui a Yerevan. Abbraccio Vostra Santità con lo stesso fraterno affetto con il quale Ella mi salutò durante la visita a Roma.

Sono grato a Sua Eccellenza il Presidente della Repubblica, per la Sua presenza a questo incontro ecumenico, segno della nostra comune convinzione che la Nazione sarà rigogliosa e prospera in virtù del reciproco rispetto e della cooperazione di tutte le sue Istituzioni. Il mio pensiero si rivolge in questo momento a Sua Santità Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia, come pure ai Patriarchi Armeni di Gerusalemme e di Costantinopoli: invio loro un saluto nell’amore del Signore. Saluto cordialmente i distinti membri di tutte le istanze civili e religiose e le comunità qui rappresentate questa sera.

2. Quando, attraverso la predicazione di san Gregorio, il re Tiridate III si convertì, una nuova luce albeggiò nella lunga storia del popolo armeno. L’universalità della fede si unì in maniera inseparabile con la vostra identità nazionale. La fede cristiana si radicò in modo permanente in questa terra, raccolta attorno al monte Ararat, e la parola del Vangelo influenzò profondamente la lingua, la vita familiare, la cultura e l’arte del popolo armeno.

Pur preservando e sviluppando la propria identità, la Chiesa Armena non esitò ad impegnarsi nel dialogo con altre tradizioni cristiane, attingendo al loro patrimonio spirituale e culturale. Già sin dagli inizi, non soltanto le Sacre Scritture, ma anche le opere principali dei Padri Siriaci, Greci e Latini furono tradotte in armeno. La liturgia armena trasse la propria ispirazione dalle tradizioni liturgiche della Chiesa in Oriente e in Occidente. Grazie a questa straordinaria apertura di spirito, la Chiesa Armena, lungo la propria storia, è stata particolarmente sensibile alla causa dell’unità dei cristiani. Santi Patriarchi e Dottori, quali sant’Isacco Magno, Babghèn di Otmus, Zaccaria di Dzag, Nerses Šnorhali, Nerses di Lambron, Stefano di Salmasta, Giacomo di Julfa e altri, erano ben conosciuti per lo zelo verso l’unità della Chiesa.

Nella sua lettera all’imperatore bizantino, Nerses Šnorhali delineò principi di dialogo ecumenico che non hanno perso niente della loro rilevanza. Tra le molte sue intuizioni, egli insiste sul fatto che la ricerca dell’unità è un compito di tutta la comunità e non si può lasciare che si creino divisioni all'interno delle Chiese; insegna inoltre che è necessaria una sanazione dei ricordi per superare i risentimenti e i pregiudizi del passato, come è pure indispensabile il mutuo rispetto e un senso di uguaglianza tra gli interlocutori che rappresentano le rispettive Chiese; infine, egli dice che i cristiani devono avere una profonda convinzione interiore che l’unità è essenziale non per un vantaggio strategico o un guadagno politico, ma per l’interesse della predicazione del Vangelo come Cristo comanda. Le intuizioni di questo grande Dottore armeno sono frutto di una straordinaria saggezza pastorale, e le faccio mie mentre sono oggi tra voi.

3. "Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!" (Ps 133,1). Quando nel 1970 il Papa Paolo VI e il Catholicos Vazken I si scambiarono il bacio della pace, lanciarono una nuova era di contatti fraterni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa Armena. Il loro incontro fu seguito presto da altre importanti visite. Io stesso conservo memorie veramente liete delle visite a Roma di Sua Santità Karekin I, prima come Catholicos della Gran Casa di Cilicia, poi come Catholicos di Etchmiadzin. Sin da quando egli prese parte come osservatore al Concilio Ecumenico Vaticano II, il Catholicos Karekin I non cessò mai di operare per promuovere relazioni fraterne e cooperazione pratica fra i cristiani dell’Oriente e dell’Occidente. Avrei vivamente desiderato di rendergli visita qui in Armenia, ma la sua cattiva salute e poi la prematura morte resero ciò impossibile. Rendo grazie al Signore per averci dato questo grande uomo di Chiesa, un saggio e coraggioso campione dell’unità dei cristiani.

Santità, sono lieto di poter restituire la visita da Lei fattami a Roma, insieme con una delegazione di Vescovi e di fedeli armeni. Interpretai allora il Suo generoso invito a visitare l’Armenia e la Santa Etchmiadzin come un grande segno di amicizia e di carità ecclesiale. Per lunghi secoli i contatti tra la Chiesa Armena Apostolica e la Chiesa di Roma furono intensi e calorosi, e il desiderio della piena unità non scomparì mai del tutto. La mia visita oggi testimonia il nostro condiviso anelito di giungere alla piena unità che il Signore ha voluto per i suoi discepoli. Siamo vicini al Monte Ararat, dove, secondo la tradizione, l’Arca di Noè trovò l’approdo. Come la colomba ritornò con il ramo d’ulivo della pace e dell’amore (cfr Gn 8,11), così prego perché la mia visita sia come una consacrazione della ricca e fruttuosa collaborazione già esistente tra noi.

Vi è una reale ed intima unità fra la Chiesa Cattolica e la Chiesa d’Armenia, dato che ambedue hanno preservato la successione apostolica e hanno validi Sacramenti, in modo particolare il Battesimo e l’Eucaristia. La consapevolezza di ciò ci deve ispirare ad operare ancor più intensamente per rafforzare il nostro dialogo ecumenico. In questo dialogo di fede e di amore, nessuna questione, per quanto difficile, dovrebbe essere trascurata. Conscio dell’importanza del ministero del Vescovo di Roma nella ricerca dell’unità dei cristiani, ho chiesto – nella mia Lettera enciclica Ut unum sint – che i Vescovi e i teologi delle nostre Chiese riflettano sulle "forme nelle quali questo ministero può realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri" (UUS 95). L’esempio dei primi secoli della vita della Chiesa ci può guidare in questo discernimento. La mia preghiera ardente è che possa nuovamente realizzarsi quello "scambio di doni" di cui la Chiesa del primo millennio diede meraviglioso esempio. Possa la memoria del tempo in cui la Chiesa respirava con "ambedue i polmoni" spronare i cristiani dell’Oriente e dell’Occidente a camminare insieme nell’unità della fede e nel rispetto delle legittime diversità, accettandosi e sostenendosi gli uni gli altri quali membra dell’unico Corpo di Cristo (cfr Novo millennio ineunte, NM 48).

4. Con un cuore solo contempliamo Cristo nostra pace, che ha unito ciò che un tempo era diviso (cfr Ep 2,14). In verità, il tempo ci sollecita e il nostro è un dovere sacro e urgente. Dobbiamo proclamare la Buona Novella della salvezza agli uomini e alle donne della nostra epoca. Dopo aver sperimentato il vuoto spirituale del comunismo e del materialismo, essi cercano il sentiero della vita e della felicità: sono assetati di Vangelo.Abbiamo una grande responsabilità nei loro confronti, ed essi si attendono da noi una testimonianza convincente di unità nella fede e nel reciproco amore. Poiché operiamo per la piena comunione, facciamo insieme quanto non dobbiamo fare separatamente. Lavoriamo insieme, nel pieno rispetto delle nostre distinte identità e tradizioni. Mai più cristiani contro cristiani, mai più Chiesa contro Chiesa! Camminiamo piuttosto insieme, mano nella mano, affinché il mondo del ventunesimo secolo e del nuovo millennio possa credere.

5. Gli Armeni hanno sempre avuto grande venerazione per la Croce di Cristo. Lungo i secoli, la Croce è stata la loro inesauribile sorgente di speranza in tempi di prova e di sofferenza. Una caratteristica toccante di questa terra sono le molte croci in forma di katchkar, che testimoniano la vostra salda fedeltà alla fede cristiana. In questo tempo dell’anno, la Chiesa armena celebra una delle sue grandi feste: l’Esaltazione della Santa Croce.

Innalzato da terra sul legno della Croce, Cristo Gesù, nostra salvezza, vita e risurrezione, ci attira tutti a sé (cfr Jn 12,32).

O Croce di Cristo, nostra vera speranza! Ogni qualvolta il peccato e la debolezza umana sono causa di divisione, donaci la forza di perdonare e di riconciliarci gli uni con gli altri. O Croce di Cristo, sii il nostro sostegno mentre operiamo per restaurare la piena comunione fra quanti guardano al Signore crocifisso, quale nostro Salvatore e nostro Dio. Amen.

Vi ringrazio della vostra attenzione e invoco la benedizione di Dio sui nostri passi verso la piena unità.


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VIAGGIO APOSTOLICO IN ARMENIA

SANTA MESSA IN RITO LATINO


Grande Altare esterno

Etchmiadzin, 27 settembre 2001




Carissimi Fratelli e Sorelle!
Vi saluto e vi benedico tutti!

"Il Signore è mia luce e mia salvezza" (Ps 26,1)

1. Queste parole del Salmista risuonarono nel cuore degli Armeni quando, diciassette secoli fa, la fede cristiana, proclamata per la prima volta in questa terra dagli apostoli Bartolomeo e Taddeo, divenne la religione della Nazione. Da quel tempo in poi i cristiani armeni sono vissuti e morti nella grazia e nella verità (cfr Jn 1,17) del Signore nostro Gesù Cristo. La luce e la salvezza del Vangelo vi hanno ispirato e sostenuto in ogni fase del vostro pellegrinaggio lungo i secoli. Noi oggi onoriamo e commemoriamo la fedeltà dell’Armenia a Gesù Cristo in questa Eucaristia, che Sua Santità il Catholicos Karekin II, con fraterno amore, mi ha invitato a celebrare sul sacro suolo dove il Figlio di Dio è apparso al vostro padre nella fede, san Gregorio l’Illuminatore.

Quanto il Vescovo di Roma ha atteso questo giorno! Con intensa gioia, saluto Sua Santità il Catholicos, i suoi confratelli Arcivescovi e Vescovi, come pure tutti i fedeli della Chiesa Apostolica Armena. Saluto calorosamente l’Arcivescovo Nerses Der Nersessian con l’Arcivescovo Coadiutore Vartan Kechichian e, attraverso di loro, il mio pensiero si rivolge a Sua Beatitudine il Patriarca Nerses Bedros XIX e ai Vescovi e fedeli Armeni Cattolici sparsi per il mondo. Abbraccio i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, e voi tutti, figli e figlie della Chiesa Cattolica Armena. Do il mio benvenuto al Vescovo Giuseppe Pasotto, Amministratore Apostolico del Caucaso dei Latini, e a quanti sono giunti dalla Georgia e da altre parti del Caucaso.

2. Per molti anni la voce del sacerdote non risuonò più nelle vostre chiese, e tuttavia la voce della fede del popolo era ancora udita, colma di devozione e di affetto filiale al Successore dell’apostolo Pietro.

Quando uomini dal cuore malvagio spararono alla Croce del campanile di Panik, essi cercavano di offendere quel Dio in cui non credevano. Ma la loro violenza era diretta anzitutto contro il popolo, che aveva raccolto le pietre per costruire una casa al Signore; contro di voi, che in quelle chiese avevate ricevuto il dono della fede nelle acque del Battesimo e il dono dello Spirito Santo nella Cresima; contro di voi, che in esse vi riunivate per condividere il banchetto celeste alla mensa dell’Eucaristia; contro di voi, i cui matrimoni, in quei luoghi di preghiera, erano stati benedetti così che le vostre famiglie fossero sante, e che lì avevate dato l’estremo saluto ai vostri cari nella sicura speranza di essere riuniti con loro un giorno in Paradiso.

Aprirono il fuoco contro la Croce; e tuttavia, voi continuaste a cantare le lodi del Signore, custodendo e venerando la veste sacerdotale del vostro ultimo prete, quale traccia della sua presenza in mezzo a voi. Cantavate i vostri inni nella sicura consapevolezza che dal Cielo la sua voce era unita alla vostra nella lode a Cristo, l’eterno Sommo Sacerdote. Adornavate i vostri luoghi di culto al meglio che potevate; e oltre alle immagini di Gesù e di sua Madre Maria, vi era spesso l’immagine del Papa di Roma insieme a quella del Catholicos della Chiesa Apostolica Armena. Avevate compreso che ovunque i cristiani soffrivano, anche se divisi tra di loro, esisteva già una profonda unità.

3. Questa è la ragione per cui la vostra storia recente non è stata segnata dalla triste opposizione tra le Chiese, che ha travagliato i cristiani in altre terre non lungi da qui. Ricordo ancora quando, una volta scomparso l’inverno dell’ateismo ideologico, il defunto Catholicos Vazken I invitò la Santa Sede di Roma a mandare un sacerdote per i cattolici di Armenia. Scelsi allora per voi Padre Komitas, uno dei figli spirituali dell’Abate Mechitar. Quest’anno la comunità mechitarista celebra i trecento anni di fondazione. Rendiamo grazie al Signore per la gloriosa testimonianza che i monaci hanno dato; e manifestiamo loro la nostra gratitudine per quanto stanno facendo per rinnovare la cultura armena!

Benché non fosse più giovane, Padre Komitas accettò immediatamente e con entusiasmo di unirsi a voi nel compito difficile della ricostruzione. Venne a vivere a Panik, dove restaurò la Croce che le armi da fuoco avevano tentato di distruggere. Con spirito fraterno nei confronti del clero e dei fedeli della Chiesa Apostolica Armena, riaprì e abbellì la chiesa per i cattolici, che l’avevano difesa così a lungo. Ora egli riposa al lato di essa, vicino anche nella morte al suo popolo, mentre attende la risurrezione dei giusti.

4. In seguito, con la fraterna comprensione del Catholicos Vazken, che nel Parlamento nazionale difese i diritti dei cattolici in Armenia, sono stato in grado di inviarvi come Pastore un altro mechitarista, Padre Nerses, che consacrai Vescovo nella Basilica di san Pietro. Egli è figlio di un confessore della fede che pagò la sua fedeltà a Cristo nelle prigioni comuniste. All’Arcivescovo Nerses voglio dire una parola speciale di gratitudine. Quando ne fu richiesto, egli lasciò prontamente la sua amata comunità mechitarista nell’isola di san Lazzaro a Venezia per venire a rendere il suo servizio tra di voi come padre amorevole e maestro rispettato. Ora è aiutato dall’Arcivescovo Vartan, un altro figlio spirituale dell’Abate Mechitar. Auguro anche a lui un lungo e fruttuoso ministero pastorale.

Insieme con il suo Vicario precedente, divenuto in seguito Vescovo dei cattolici armeni in Iran, ed ora con l’Arcivescovo Coadiutore, i sacerdoti e le religiose che spendono così generosamente le loro energie per amore del Vangelo, l’Arcivescovo Nerses vi ha insegnato e vi ha fatto vedere che la Chiesa Cattolica in questa terra non è una rivale. I nostri rapporti sono improntati a spirito fraterno. Come negli anni del silenzio avevate posto l’immagine del Papa accanto a quella del Catholicos, così oggi in questa liturgia pregheremo non solo per la gerarchia cattolica, ma anche per Sua Santità Karekin II, Catholicos di Tutti gli Armeni.

Nella sua cortesia, Santità, Ella ha invitato il Vescovo di Roma a celebrare l’Eucaristia con la comunità cattolica nella Santa Etchmiadzin e Lei ci onora della Sua presenza in questa gioiosa circostanza. Non è forse, questo, un segno meraviglioso della nostra fede comune? Non esprime forse l’ardente desiderio di tanti fratelli e sorelle, i quali desiderano di vederci procedere speditamente sulla via dell’unità? Il mio cuore brama di accelerare il giorno in cui celebreremo insieme il Divino Sacrificio, che fa di tutti noi una cosa sola. In questo, che è il Suo altare, Santità, chiedo al Signore di perdonare le nostre passate mancanze contro l’unità e di condurci all’amore che sorpassa ogni barriera.

5. Carissimi Fratelli e Sorelle cattolici, siete giustamente fieri di questa antica terra dei vostri padri, e voi stessi siete eredi della sua storia e cultura. Nella Chiesa Cattolica l’inno di lode si innalza a Dio da molti popoli e in molte lingue.

Ma questo amalgama di voci diverse in un’unica melodia non distrugge in alcun modo la vostra identità di Armeni. Voi parlate la dolce lingua dei vostri antenati. Cantate la vostra liturgia come vi è stata insegnata dai santi Padri della Chiesa Armena. Con i vostri fratelli della Chiesa Apostolica, date testimonianza al medesimo Signore Gesù, che non è diviso. Voi non appartenete né ad Apollo né a Cefa, né a Paolo: "Voi siete di Cristo e Cristo è di Dio" (1Co 3,23).

6. Come Armeni, con gli stessi diritti e gli stessi doveri di tutti gli altri Armeni, voi aiutate a ricostruire la Nazione. In tale compito di grande rilievo, sono certo che i nostri fratelli e sorelle della Chiesa Apostolica Armena considerano i membri della comunità cattolica quali figli della stessa Madre, la terra benedetta dell’Armenia, terra di martiri e di monaci, di dotti e di artisti. Le divisioni intervenute hanno lasciato le radici intatte. Dobbiamo gareggiare tra noi non nel creare divisioni o nell’accusarci reciprocamente, bensì nel dimostrarci mutua carità. L’unica competizione possibile tra i discepoli del Signore è quella di verificare chi è in grado di offrire l’amore più grande! Ricordiamo le parole del vostro grande Vescovo Nerses di Lambron: "Non vi è modo di essere in pace con Dio, per nessuno, se prima non è stabilita la pace con gli uomini… Se amiamo e questa è la nostra misura, l’amore sarà la nostra parte; se nostra misura sono il rancore e l’odio, ci attendono rancore e odio".

Oggi l’Armenia attende da tutti i suoi figli e figlie vivaci sforzi e rinnovati sacrifici. L’Armenia ha bisogno che tutti i suoi figli lavorino di tutto cuore per il bene comune. Solo questo assicurerà che il servizio onesto e generoso di quanti operano nella vita pubblica sia ricompensato con la fiducia e la stima del popolo; che le famiglie siano unite e fedeli; che ogni vita umana sia accolta amorevolmente sin dal momento del concepimento e premurosamente curata anche quando è colpita da malattia o da povertà. E dove potrete trovare forza per questo grande impegno comune? La troverete dove il popolo armeno ha sempre trovato l’ispirazione per perseverare nei suoi alti ideali e per difendere la propria eredità culturale e spirituale: nella luce e nella salvezza che viene a voi da Gesù Cristo.

L’Armenia ha fame e sete di Gesù Cristo, per il quale molti dei vostri antenati diedero la vita. In questi tempi difficili, le persone sono alla ricerca di pane. Ma quando lo hanno, il loro cuore vorrebbe di più, vorrebbe una ragione per vivere, una speranza che le sostenga nel quotidiano duro lavoro. Chi le spingerà a porre la propria fiducia in Gesù Cristo? Voi, cristiani d’Armenia, tutti voi insieme!

7. Tutti i cristiani armeni guardano insieme alla Croce di Gesù Cristo quale unica speranza del mondo, e vera luce e salvezza dell’Armenia. Tutti siete nati sulla Croce, dal fianco squarciato di Cristo (cfr Jn 19,34). Avete cara la Croce perché sapete che è vita e non morte, vittoria e non sconfitta. Voi lo sapete, perché avete appreso la verità che san Paolo proclama ai Filippesi: la sua incarcerazione è servita soltanto a far progredire il Vangelo (1, 12). Considerate la vostra amara esperienza, che fu pure, a suo modo, una forma di incarcerazione. Avete preso su di voi la vostra Croce (cfr Mt 16,24) ed essa non vi ha distrutto! Anzi, vi ha ricreati in modi misteriosi e meravigliosi. Questa è la ragione per cui, dopo mille e settecento anni, potete affermare con le parole di Michea: "Non gioire della mia sventura, o mia nemica! Se sono caduta mi rialzerò; se siedo nelle tenebre, il Signore sarà la mia luce" (7, 8). Cristiani d’Armenia, dopo la grande prova, ora è tempo di rialzarsi! Risorgete con Colui che in ogni epoca è stato la vostra luce e la vostra salvezza!

8. In questo pellegrinaggio ecumenico, desideravo ardentemente visitare i luoghi dove i fedeli cattolici vivono in gran numero. Avrei voluto pregare sulle tombe delle vittime del terribile terremoto del 1988, sapendo che molti ne soffrono ancora le tragiche conseguenze. Desideravo visitare personalmente l’ospedale Redemptoris Mater, al quale io stesso sono stato felice di contribuire quando l’Armenia era in difficoltà, e che so essere molto apprezzato per il servizio che offre, grazie all’infaticabile lavoro dei Camilliani e delle Piccole Sorelle di Gesù. Ma niente di ciò è stato, purtroppo, possibile. Sappiate che tutti voi avete un posto nel mio cuore e nelle mie preghiere.

Carissimi Fratelli e Sorelle, quando tornerete a casa da questo santo luogo, ricordate che il Vescovo di Roma è venuto per onorare la fede del popolo armeno, del quale siete parte a lui specialmente cara. Egli è venuto per celebrare la vostra fedeltà e il vostro coraggio, e per lodare Dio che vi ha concesso di vedere il giorno della libertà. Qui, presso questo splendido altare, ricordiamoci di quanti hanno combattuto per vedere questo giorno e non lo videro, ma lo contemplano ora nella gloria eterna del Regno di Dio.

La gran Madre di Dio, da voi teneramente amata, vegli sui suoi figli armeni, e tutti custodisca per sempre – i piccoli, i giovani, le famiglie, gli anziani, i malati – sotto il suo manto protettore.

Armenia semper fidelis! La benedizione di Dio sia sempre con voi! Amen.


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CAPPELLA PAPALE PER L’APERTURA DELLA

X ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI

OMELIA DEL SANTO PADRE

Domenica 30 Settembre 2001




1. "Il Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo".

Su questo tema si svolgeranno i lavori della decima Assemblea Generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che stiamo ora aprendo nel nome del Signore. Essa fa seguito alla serie di Assemblee speciali di carattere continentale, svoltesi in preparazione del Grande Giubileo dell'Anno 2000, Assemblee tutte accomunate dalla prospettiva dell'evangelizzazione, come testimoniano le Esortazioni apostoliche post-sinodali sinora pubblicate. In questa medesima prospettiva si colloca l'attuale, che si pone pure in continuità con le precedenti Assemblee ordinarie, dedicate alle diverse vocazioni nel Popolo di Dio: i laici, nel 1987; i sacerdoti, nel 1990; la vita consacrata, nel 1994. La trattazione sui Vescovi completa così il quadro di un'ecclesiologia di comunione e di missione, che sempre dobbiamo avere dinanzi agli occhi.

Con grande gioia vi accolgo, carissimi e venerati Fratelli nell'Episcopato, convenuti da ogni parte del mondo. Il vostro ritrovarvi e lavorare insieme, sotto la guida del Successore di Pietro, manifesta "che tutti i Vescovi sono partecipi, in gerarchica comunione, della sollecitudine della Chiesa universale" (Christus Dominus CD 5). Estendo il mio cordiale saluto agli altri membri dell'Assemblea ed a quanti nei prossimi giorni coopereranno al suo efficace svolgimento. In modo particolare, ringrazio il Segretario Generale del Sinodo, il Cardinale Jan Pieter Schotte, insieme con i suoi collaboratori, che hanno attivamente preparato la presente riunione sinodale.

2. Nella notte di Natale del 1999, inaugurando il Grande Giubileo, dopo aver aperto la Porta Santa, l'ho attraversata tenendo tra le mani il Libro dei Vangeli. Era un gesto altamente simbolico. In esso possiamo vedere in qualche modo racchiuso tutto il contenuto del Sinodo che oggi apriamo e che avrà come tema: "Il Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo".

Il Vescovo è "minister, servitore". La Chiesa è al servizio del Vangelo. "Ancilla Evangelii": così potrebbe definirsi, riecheggiando le parole pronunciate dalla Vergine all'annuncio dell'Angelo. "Ecce ancilla Domini", disse Maria; "Ecce ancilla Evangelii", continua a dire oggi la Chiesa.

"Propter spem mundi". La speranza del mondo sta in Cristo. In Lui le attese dell'umanità trovano reale e solido fondamento. La speranza di ogni essere umano promana dalla Croce, segno di vittoria dell'amore sull'odio, del perdono sulla vendetta, della verità sulla menzogna, della solidarietà sull'egoismo. A noi il compito di comunicare quest'annuncio salvifico agli uomini e alle donne del nostro tempo.

3. "Beati i poveri in spirito", abbiamo cantato nel ritornello del Salmo responsoriale.

La beatitudine evangelica della povertà, che nell'odierna domenica la Parola di Dio ripropone, costituisce un messaggio prezioso per l'Assemblea sinodale che stiamo iniziando. La povertà è, infatti, un tratto essenziale della persona di Gesù e del suo ministero di salvezza e rappresenta uno dei requisiti indispensabili, perché l'annuncio evangelico trovi ascolto ed accoglienza presso l'umanità di oggi.

Alla luce della prima Lettura, tratta dal profeta Amos, e ancor più della celebre parabola del "ricco epulone" e del povero Lazzaro, raccontata dall'evangelista Luca, noi, venerati Fratelli, siamo stimolati ad esaminarci circa il nostro atteggiamento verso i beni terreni e circa l'uso che se ne fa. Siamo invitati a verificare a che punto nella Chiesa sia la conversione personale e comunitaria ad una effettiva povertà evangelica.Tornano alla memoria le parole del Concilio Vaticano II: "Come Cristo ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza" (Lumen gentium LG 8).

4. E' la via della povertà che ci permetterà di trasmettere ai nostri contemporanei "i frutti della salvezza". Come Vescovi siamo chiamati, pertanto, ad essere poveri al servizio del Vangelo. Essere servitori della parola rivelata, che all'occorrenza levano la loro voce in difesa degli ultimi, denunciando i soprusi di quelli che Amos chiama gli "spensierati" e i "buontemponi". Essere profeti che evidenziano con coraggio i peccati sociali legati al consumismo, all'edonismo, ad un'economia che produce un inaccettabile divario tra lusso e miseria, tra pochi "epuloni" e innumerevoli "Lazzaro" condannati alla miseria. In ogni epoca, la Chiesa si è fatta solidale con questi ultimi, ed ha avuto Pastori santi, che si sono schierati, come apostoli intrepidi della carità, dalla parte dei poveri.

Ma perché la voce dei Pastori sia credibile, è necessario che diano essi stessi prova di una condotta distaccata da interessi privati e sollecita verso i più deboli. Occorre che siano di esempio per la comunità loro affidata, insegnando e sostenendo quell'insieme di principi di solidarietà e di giustizia sociale che formano la dottrina sociale della Chiesa.

5. "Tu, uomo di Dio" (1Tm 6,11): con questo titolo san Paolo qualifica Timoteo nella seconda Lettura, poc'anzi proclamata. E' una pagina in cui l'Apostolo traccia un programma di vita perennemente valido per il Vescovo. Il Pastore deve essere "uomo di Dio"; la sua esistenza e il suo ministero stanno interamente sotto la signoria divina e traggono dal sovraeminente mistero di Dio luce e vigore.

Continua san Paolo: "Tu, uomo di Dio, ... tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza" (v. 11). Quanta saggezza in quel "tendi"! L'Ordinazione episcopale non infonde la perfezione delle virtù: il Vescovo è chiamato a proseguire il suo cammino di santificazione con maggiore intensità, per giungere alla statura di Cristo, Uomo perfetto.

Aggiunge l'Apostolo: "Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna..." (v. 12). Protesi verso il Regno di Dio, affrontiamo, cari Fratelli, la quotidiana nostra fatica per la fede, non cercando altra ricompensa se non quella che Dio ci darà alla fine. Siamo chiamati a rendere questa "bella professione di fede davanti a molti testimoni" (vv. 12). Lo splendore della fede si fa così testimonianza: riflesso della gloria di Cristo nelle parole e nei gesti di ogni suo fedele ministro.

Conclude san Paolo: "Ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo" (v. 14). "Il comandamento"! In questa parola c'è tutto Cristo: il suo Vangelo, il suo testamento d'amore, il dono del suo Spirito che compie la legge. Gli Apostoli hanno ricevuto da Lui questa eredità e l'hanno a noi affidata, perché sia conservata e trasmessa intatta sino alla fine dei tempi.

6. Carissimi Fratelli nell'Episcopato! Cristo oggi ripete a noi: "Duc in altum - Prendi il largo!" (Lc 5,4). Alla luce di questo suo invito, noi possiamo rileggere il triplice munus affidatoci nella Chiesa: munus docendi, sanctificandi et regendi (cfr Lumen gentium LG 25-27 Christus Dominus CD 12-16).

Duc in docendo! "Annunzia la parola - diremmo con l'Apostolo -, insisti in ogni occasione, opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina" (2Tm 4,2).

Duc in sanctificando! Le "reti" che siamo chiamati a gettare tra gli uomini sono anzitutto i Sacramenti, di cui siamo i principali dispensatori, regolatori, custodi e promotori (cfr Christus Dominus CD 15). Essi formano una sorta di "rete" salvifica, che libera dal male e conduce alla pienezza della vita.

Duc in regendo! Come Pastori e veri Padri, coadiuvati dai Sacerdoti e dagli altri collaboratori, abbiamo il compito di radunare la famiglia dei fedeli e fomentare in essa la carità e la comunione fraterna (cfr ivi, 16).

Per quanto si tratti d'una missione ardua e faticosa, nessuno si perda d'animo. Con Pietro e con i primi discepoli anche noi rinnoviamo fiduciosi la nostra sincera professione di fede: Signore, "sulla tua parola getterò le reti" (Lc 5,5)! Sulla tua Parola, o Cristo, vogliamo servire il tuo Vangelo per la speranza del mondo!

Ed anche sulla tua materna assistenza noi confidiamo, o Vergine Maria. Tu, che hai guidato i primi passi della comunità cristiana, sii anche per noi sostegno e incoraggiamento. Intercedi per noi, Maria, che con le parole del servo di Dio Paolo VI invochiamo "ausilio dei Vescovi e Madre dei Pastori". Amen!



GPII Omelie 1996-2005 309