GPII Omelie 1996-2005 61002

Domenica, 6 ottobre 2002: CANONIZZAZIONE DI JOSEMARÍA ESCRIVÁ DE BALAGUER

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1. "Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio" (
Rm 8,14). Queste parole dell'apostolo Paolo, poc'anzi risuonate nella nostra assemblea, ci aiutano a meglio comprendere il significativo messaggio dell'odierna canonizzazione di Josemaría Escrivá de Balaguer. Egli si è lasciato docilmente guidare dallo Spirito, convinto che solo così si può compiere appieno la volontà di Dio.

Tale fondamentale verità cristiana era tema ricorrente della sua predicazione. Non cessava, infatti, di invitare i suoi figli spirituali a invocare lo Spirito Santo per far sì che la vita interiore, la vita cioè di relazione con Dio, e la vita familiare, professionale e sociale, fatta tutta di piccole realtà terrene, non fossero separate, ma costituissero una sola esistenza "santa e piena di Dio". "Troviamo Dio invisibile - egli scriveva - nelle cose più visibili e materiali" (Colloqui con Mons. Escrivá, n. 114).

Attuale e urgente è anche oggi questo suo insegnamento. Il credente, in virtù del Battesimo che lo incorpora a Cristo, è chiamato a stringere con il Signore un'ininterrotta e vitale relazione. E' chiamato ad essere santo e a collaborare alla salvezza dell'umanità.

[2. "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse" (Gn 2,15). Il Libro della Genesi, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura, ci ricorda che il Creatore ha affidato la terra all'uomo, affinché la "coltivasse" e la "custodisse". I credenti, operando nelle diverse realtà di questo mondo, contribuiscono a realizzare questo progetto divino universale. Il lavoro e qualsiasi altra attività, portata a termine con l'aiuto della Grazia, diventano mezzi di santificazione quotidiana.

"La vita quotidiana di un cristiano che ha fede - era solito affermare Josemaría Escrivá - quando lavora o riposa, quando prega o quando dorme, in ogni momento, è una vita in cui Dio è sempre presente" (Meditazioni, 3 marzo 1954). Questa visione soprannaturale dell'esistenza apre un orizzonte straordinariamente ricco di prospettive salvifiche, poiché, anche nel contesto solo apparentemente monotono del normale accadere terreno, Dio è vicino a noi e noi possiamo cooperare al suo piano di salvezza. Si comprende quindi più facilmente quanto afferma il Concilio Vaticano II, ossia che "il messaggio cristiano, lungi da distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo, ... li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente" (Gaudium et spes GS 34).

3. Elevare il mondo a Dio e trasformarlo dal di dentro: ecco l'ideale che il Santo Fondatore vi indica, cari Fratelli e Sorelle, che oggi vi rallegrate per la sua elevazione alla gloria degli altari. Egli continua a ricordarvi la necessità di non lasciarvi intimorire dinanzi a una cultura materialistica, che minaccia di dissolvere l'identità più autentica dei discepoli di Cristo. Gli piaceva ripetere con vigore che la fede cristiana si oppone al conformismo e all'inerzia interiore.

Seguendo le sue orme, diffondete nella società, senza distinzione di razza, classe, cultura o età, la consapevolezza che siamo tutti chiamati alla santità. Sforzatevi di essere santi voi in primo luogo, coltivando uno stile evangelico di umiltà e servizio, di abbandono alla Provvidenza e di ascolto costante della voce dello Spirito. In tal modo, sarete "sale della terra" (cfr Mt 5,13) e risplenderà "la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Ibidem, 5, 16).

4. Certamente, non mancano incomprensioni e difficoltà per chi cerca di servire con fedeltà la causa del Vangelo. Il Signore purifica e modella con la forza misteriosa della sua Croce quanti chiama a seguirlo; tuttavia nella Croce - ripeteva il nuovo Santo - troviamo luce, pace e gioia: Lux in Cruce, requies in Cruce, gaudium in Cruce!

Da quando il sette agosto millenovecentotrentuno, durante la celebrazione della Santa Messa, risuonarono nella sua anima le parole di Gesù: "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (Jn 12,32), Josemaría Escrivá comprese più chiaramente che la missione dei battezzati consiste nell'elevare la Croce di Cristo su ogni realtà umana, e sentì nascere interiormente l'appassionante chiamata a evangelizzare tutti gli ambiti. Accolse allora senza vacillare l'invito fatto da Gesù all'apostolo Pietro e che poco fa è risuonato in questa Piazza: "Duc in altum!". Lo trasmise a tutta la sua Famiglia spirituale, affinché offrisse alla Chiesa un contributo valido di comunione e di servizio apostolico. Questo invito si estende oggi a tutti noi. "Prendi il largo" ci dice il divino Maestro "e calate le reti per la pesca" (Lc 5,4).]

5. Per portare a compimento una missione tanto impegnativa, occorre però un'incessante crescita interiore alimentata dalla preghiera. San Josemaría fu un maestro nella pratica dell'orazione, che egli considerava come straordinaria "arma" per redimere il mondo. Raccomandava sempre: "In primo luogo, orazione; poi, espiazione; in terzo luogo, molto «in terzo luogo», azione" (Cammino, n. 82). Non è un paradosso, ma una ve­rità perenne: la fecondità dell'apostolato sta innanzitutto nella preghiera e in una vita sacramentale intensa e costante. Questo è, in fondo, il segreto della santità e del vero successo dei santi.

Il Signore vi aiuti, carissimi Fratelli e Sorelle, a raccogliere quest'esigente eredità ascetica e missionaria. Vi sostenga Maria, che il Santo Fondatore invocava come Spes nostra, Sedes Sapientiae, Ancilla Domini!

La Madonna faccia di ognuno un autentico testimone del Vangelo, pronto a dare in ogni luogo un generoso contributo all'edificazione del Regno di Cristo. Ci siano di stimolo l'esempio e l'insegnamento di san Josemaría perché, al termine del pellegrinaggio terreno, possiamo anche noi partecipare all'eredità beata del Cielo. Là, insieme con gli angeli e tutti i santi, contempleremo il volto di Dio, e canteremo la sua gloria per tutta l'eternità!

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VISITA DI SUA BEATITUDINE TEOCTIST,

PATRIARCA DELLA CHIESA ORTODOSSA ROMENA


Domenica, 13 ottobre 2002




Dopo la proclamazione del Santo Vangelo in latino e in romeno, il Patriarca Teoctist viene introdotto dalla presentazione del Santo Padre Giovanni Paolo II:

Carissimi Fratelli e Sorelle,

La nostra assemblea liturgica ha oggi la grande gioia di accogliere l’amato fratello Sua Beatitudine Teoctist, Patriarca della Chiesa ortodossa romena. La sua visita ci ricolma di una grande speranza; egli è qui per elevare, come noi, al nostro unico Signore Gesù Cristo, la fervida preghiera per la piena unità di tutti i cristiani.

Benvenuto Beatitudine! Grazie per questa sua gradita presenza e per le parole che ora ci rivolgerà.

Dopo le parole di introduzione pronunciate da Giovanni Paolo II, il Patriarca Teoctist tiene la propria omelia.

Omelia del Patriarca Teoctist

Al termine di questa il Santo Padre pronuncia la seguente omelia:

1. "A Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli" (Ph 4,20).

Così si conclude il brano della Lettera ai Filippesi poc'anzi proclamato. Questo scritto dell'apostolo Paolo è pervaso di fervida gioia. La stessa gioia ricolma oggi il cuore del Vescovo di Roma per la gradita visita dell'amato Fratello, Sua Beatitudine Teoctist, Patriarca della Chiesa ortodossa romena, e per aver potuto ascoltare assieme a lui la Buona Novella.

Con fraterno affetto La saluto, Beatitudine, unitamente ai suoi collaboratori. Il mio cordiale pensiero si estende idealmente al Santo Sinodo, al clero e ai fedeli della Chiesa ortodossa di Romania, che mi hanno aperto le braccia e il cuore in occasione della mia visita a Bucarest, nella primavera del 1999.

2. Ho ascoltato con grande attenzione le sue ispirate riflessioni, vibranti di ardente anelito verso la piena comunione delle nostre Chiese. Ho avvertito in esse un'incoraggiante sintonia di sentimenti e di volontà protesi a realizzare il comando che Cristo ha affidato ai suoi discepoli durante l'Ultima Cena: "Ut omnes unum sint - perché tutti siano una cosa sola" (Jn 17,21).

Beatitudine, sono lieto di poter celebrare alla Sua presenza questa sacra Liturgia, mistero della nostra fede, e invocare insieme a Lei il Signore per l'unità e per la pace nella santa Chiesa e nel mondo. Insieme, in questo luogo, noi siamo testimoni del cammino comune intrapreso verso il riavvicinamento della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa di Romania. Rendo lode al Signore per quanto ci ha già donato in questo nostro pellegrinaggio di comunione. Invoco la sua grazia, affinché ci conceda di portare a compimento ciò che ha suscitato in mezzo a noi, a sostegno dell'impegno verso la piena comunione.

3. "Ecco, ho tutto preparato, è tutto pronto, venite!" (cfr Mt 22,4).

Nella pagina evangelica, proclamata poco fa in lingua latina e romena, quasi respirando, per così dire, "a due polmoni", è risuonato l'invito alle nozze regali. Siamo tutti invitati. La chiamata del Padre misericordioso e fedele costituisce il nucleo stesso della divina Rivelazione e, in particolare, del Vangelo. Siamo tutti chiamati, chiamati per nome.

"Venite!". Il Signore ci ha chiamati a far parte della sua Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica. Per mezzo dell'unico Battesimo siamo inseriti nell'unico Corpo di Cristo. Ma la nostra risposta è sempre stata un sì incondizionato? Non abbiamo, purtroppo, qualche volta respinto l'invito? Non abbiamo forse lacerato l'inconsutile tunica del Signore, allontanandoci gli uni dagli altri? Sì! Questa nostra reciproca divisione è contraria alla sua volontà.

Che non si applichi anche a noi questo duro giudizio: "Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni" (Mt 22,8). Un giorno ci sarà chiesto conto di quanto abbiamo fatto per l'unità dei cristiani.

4. Nella sua grazia verso noi peccatori, Iddio ci ha concesso in questi ultimi tempi di avvicinarci maggiormente, con la preghiera, la parola e le opere, alla pienezza dell'unità voluta da Gesù per i suoi discepoli (cfr Unitatis redintegratio UR 1). E' cresciuta in noi la consapevolezza di essere invitati insieme alle nozze regali. Cristo ci ha lasciato in eredità, alla vigilia della sua Passione, il vivo memoriale della sua morte e risurrezione, nel quale, sotto le specie del pane e del vino, ci dona il suo Corpo e il suo Sangue. Come ha ribadito il Concilio Vaticano II, l'Eucaristia è fonte e culmine di tutta la vita cristiana, il centro irradiante della Comunità ecclesiale (cfr Cost. Sacrosanctum Concilium SC 10 e Decr. Christus Dominus CD 30).

La Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse, celebrando secondo le rispettive tradizioni la vera Eucaristia, vivono, già da ora, in una comunione profonda, anche se non piena. Possa giungere quanto prima il giorno benedetto nel quale potremo veramente vivere nella sua pienezza la nostra perfetta comunione. Quest'oggi l'invito del Vangelo è rivolto particolarmente a noi. Ci guardi Iddio dal fare come coloro che "andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari" (Mt 22,5).

5. Il re, nella parabola evangelica, chiese ad uno dei commensali: "Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale?" (Mt 22,12). Queste parole ci interpellano. Ci ricordano che dobbiamo prepararci alle nozze regali, rivestendoci del Signore Gesù Cristo (cfr Rm 13,14 Ga 3,27).

La partecipazione all'Eucaristia presuppone la conversione ad una vita nuova. Anche la partecipazione comune, la piena comunione, presuppone la conversione. Non c'è ecumenismo vero senza interiore conversione e rinnovamento della mente (cfr Unitatis redintegratio UR 6-7), senza superamento dei pregiudizi, dei sospetti; senza che si eliminino parole, giudizi, atti che non rispecchiano con equità e verità la condizione dei fratelli separati; senza la volontà di giungere a stimare l'altro, ad instaurare una reciproca amicizia, ad alimentare un amore fraterno.

Per raggiungere la piena comunione, dobbiamo superare con coraggio le nostre pigrizie e ristrettezze di cuore (cfr Novo millennio ineunte, NM 48). Dobbiamo coltivare la spiritualità della comunione, che è capacità "di sentire il fratello di fede come uno che mi appartiene, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia" (ivi, NM 43). Dobbiamo incessantemente alimentare la passione per l'Unità.

Sua Beatitudine ha opportunamente sottolineato che in Europa e nel mondo, largamente secolarizzati, emerge una preoccupante crisi spirituale. Tanto più urgente diventa quindi la comune testimonianza dei cristiani.

6. Carissimi Fratelli e Sorelle! Affido al Signore queste riflessioni, che assumono oggi un singolare rilievo. Questa Liturgia vede infatti insieme il Successore di Pietro, Vescovo di Roma, e il Patriarca ortodosso di Romania. Entrambi siamo testimoni della crescente volontà di unità e di comunione delle nostre Chiese. Entrambi, pur conoscendo le perduranti difficoltà, confidiamo che il nostro esempio trovi eco profonda in ogni luogo dove cattolici ed ortodossi vivono fianco a fianco. Da questa nostra testimonianza possa trarre alimento il desiderio di riconoscere nell'altro il fratello e di riconciliarci con lui. Ecco la prima condizione indispensabile per accostarci, insieme, all'unica Mensa del Signore.

Invochiamo per questo lo Spirito d'unità e d'amore e l'intercessione di Maria Santissima, Madre della Chiesa.

7. Vorrei infine inviare un affettuoso saluto al popolo romeno e a tutte le sue componenti. Mai potrò dimenticare la storica visita che la divina Provvidenza mi ha concesso di effettuare tre anni or sono a Bucarest. L'accoglienza, il clima e gli intensi sentimenti, il fervore e l'entusiasmo spirituale, le attese della gente, specialmente dei giovani, e le parole di speranza: tutto mi resta impresso nell'animo. Rendo grazie a Dio perché mi concede ora, in un certo modo, di ricambiare le premure allora riservatemi.

Beatitudine, întorcându-Va în Patrie, asigurati ca România, pamânt roditor de bine, pe care traditia o numeste cu frumosul titlu de "Gradina Maicii Domnului", este în inima Episcopului Romei. Asigurati ca Papa se roaga în fiecare zi pentru iubitul popor román. Dumnezeu sa binecuvânteze mereu România!

Traduzione italiana del saluto in lingua romena:

[Beatitudine, tornando in Patria, assicuri che la Romania, che la tradizione qualifica col bel titolo di "Giardino della Madre di Dio", è nel cuore del Vescovo di Roma, il quale prega ogni giorno per l'amato popolo romeno. Iddio benedica sempre la Romania!]
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CAPPELLA PAPALE PER LA BEATIFICAZIONE DI 6 SERVI DI DIO



Domenica, 20 ottobre 2002




1. "Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19).

Gesù risorto si congeda così dagli Apostoli, prima di fare ritorno al Padre: "Andate!". L'ultima sua parola è un invito alla missione, che è al tempo stesso una promessa, un testamento e un impegno.Cristo affida ai discepoli il suo messaggio di salvezza e chiede loro di diffonderlo e testimoniarlo sino agli estremi confini della terra.

E' questo il significato dell'odierna Giornata Missionaria Mondiale. Per una provvidenziale coincidenza, proprio in questa giornata vengono proclamati alcuni nuovi Beati, che hanno compiuto in modo singolare il mandato di annunciare e testimoniare il Vangelo. Essi sono Daudi Okelo e Jildo Irwa, Andrea Giacinto Longhin, Marcantonio Durando, Marie de la Passion, Liduina Meneguzzi.

La loro beatificazione nel contesto della Giornata Missionaria Mondiale ci ricorda che il primo servizio da rendere alla missione è la ricerca sincera e costante della santità. Non possiamo testimoniare con coerenza il Vangelo, se prima non lo viviamo fedelmente.

2. My thoughts turn first of all to the two young catechists from Uganda, Daudi Okelo and Jildo Irwa. These two courageous witnesses were no more than boys when, with simplicity and faith, they shed their blood for Christ and his Church. With youthful enthusiasm for their mission of teaching the faith to their fellow countrymen, they set out in 1918 for northern Uganda. It was there, as evangelization was just beginning in that region, that they chose to embrace death rather than abandon the area and forsake their duties as catechists. Truly, in their lives and witness we can see that they were "beloved by God and chosen by him" (cf. 1 Thes 1:4).

Daudi and Jildo are today raised to the glory of the altar. They are given to the entire Christian community as examples of holiness and virtue, and as models and intercessors for catechists throughout the world, especially in those places where catechists still suffer for the faith, sometimes facing social marginalization and even personal danger. May the life and witness of these two dedicated servants of the Gospel inspire many men and women - in Uganda, in Africa and elsewhere - to answer with generosity the call to be a catechist, bringing knowledge of Christ to others and strengthening the faith of those communities that have recently received the Gospel of salvation.

Traduzione italiana dell'omelia pronunciata in lingua inglese:

[2. Rivolgo i miei pensieri prima di tutto ai due giovani catechisti ugandesi, Daudi Okelo e Jildo Irwa. Questi due coraggiosi testimoni erano poco più che ragazzi quando, con fede e umiltà, versarono il proprio sangue per Cristo e per la Sua Chiesa. Con gioioso entusiasmo per la propria missione di insegnamento della fede ai loro concittadini, nel 1918 partirono per l'Uganda settentrionale. Fu lì, poiché l'evangelizzazione era appena agli inizi in quella regione, che scelsero di abbracciare la morte piuttosto che abbandonare l'area e i loro doveri di catechisti. Realmente nella loro vita e nella loro testimonianza possiamo appurare che erano "amati da Dio ed eletti da Lui" (cfr 1Th 1,4).

Oggi Daudi e Jildo vengono elevati agli onori degli altari. Vengono offerti a tutta la comunità cristiana quali esempi di santità e virtù e quali modelli e intercessori per i catechisti di tutto il mondo, in particolare in luoghi nei quali i catechisti soffrono ancora per la fede, subendo a volte l'emarginazione sociale e correndo persino rischi personali. Che la vita e la testimonianza di questi due devoti servi del Vangelo ispirino molti uomini e molte donne in Uganda, in Africa e ovunque, a rispondere con generosità alla chiamata a essere catechisti, portando la conoscenza di Cristo agli altri e rafforzando la fede di quelle comunità che hanno ricevuto di recente il Vangelo della salvezza.]

3. "Ti ho chiamato per nome" (Is 45,4). Le parole con le quali il profeta Isaia indica la missione affidata da Dio ai propri eletti esprimono bene la vocazione di Andrea Giacinto Longhin, l'umile cappuccino che per 32 anni è stato Vescovo della Diocesi di Treviso, all'inizio del secolo scorso. E' stato un Pastore semplice e povero, umile e generoso, sempre disponibile verso il prossimo, secondo la più genuina tradizione cappuccina.

Lo chiamavano il Vescovo delle cose essenziali. In un'epoca segnata da eventi drammatici e dolorosi, si è dimostrato padre per i preti e pastore zelante della gente, sempre accanto ai suoi fedeli, specialmente nei momenti di difficoltà e di pericolo. Anticipava così ciò che avrebbe sottolineato il Concilio Ecumenico Vaticano II, indicando nell'evangelizzazione "uno dei principali doveri dei Vescovi" (Christus Dominus CD 12 cfr Redemptoris missio RMi 63).

4. "Memori... del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza" (1Th 1,2-3). Le parole dell'Apostolo delineano il ritratto spirituale del Padre Marcantonio Durando, della Congregazione della Missione e degno figlio della terra piemontese. Egli visse di fede e di ardente slancio spirituale, disdegnando ogni forma di compromesso o di tiepidezza interiore.

Alla scuola di san Vincenzo de' Paoli, egli seppe riconoscere nell'umanità di Cristo l'espressione più grande, e al contempo più accessibile e disarmante, dell'amore di Dio verso ogni uomo. Ancora oggi egli ci indica il mistero della Croce come il momento culminante in cui viene rivelato il mistero insondabile dell'amore di Dio.

5. "Nous le savons frères biens-aimés de Dieu, vous avez été choisi par lui" (1Th 1,4). Marie de la Passion s’est laissée saisir par Dieu, capable de combler la soif de vérité qui l’habitait. Fondant les Soeurs Franciscaines Missionnaires de Marie, elle brûlait de communiquer les flots d’amour qui bouillonnent en elle et veulent se répandre sur le monde. Au coeur de l’engagement missionnaire, elle place l’oraison et l’Eucharistie, car pour elle adoration et mission se fondent en une même démarche. Nourrie de l’Écriture et des Pères de l’Église, mystique et active, passionnée et intrépide, elle se donne avec une disponibilité intuitive et audacieuse à la mission universelle de l’Église. Chères Soeurs, à l’école de votre fondatrice, en communion profonde avec l’Église, accueillez l’invitation à vivre, dans une fidélité renouvelée, les intuitions de votre charisme fondateur, pour que nombreux soient ceux qui découvrent Jésus, celui qui nous fait entrer dans le mystère d’amour qui est Dieu.

Traduzione italiana dell'omelia pronunciata in lingua francese:

[5. "Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui" (1Th 1,4). Marie de la Passion si è lasciata prendere da Dio, capace di appagare la sete di verità che l'abitava. Nel fondare le Sorelle Francescane Missionarie di Maria, ardeva di comunicare i flutti d'amore che gorgogliavano in lei e volevano diffondersi nel mondo. Al centro dell'impegno missionario, pose la preghiera e l'Eucaristia, poiché per lei adorazione e missione si fondano in uno stesso atto. Alimentata dalla Scrittura e dai Padri della Chiesa, mistica e attiva, appassionata e intrepida, si dedicò con una disponibilità intuitiva e audace alla missione universale della Chiesa. Care Sorelle, nella scuola della vostra fondatrice, in comunione profonda con la Chiesa, accogliete l'invito a vivere, in una fedeltà rinnovata, le intuizioni del vostro carisma fondatore, affinché numerosi siano coloro che scoprono Gesù, colui che ci ha fatto entrare nel mistero d'amore che è Dio.]

6. "Date al Signore, o famiglie dei popoli, date al Signore gloria e potenza" (Ps 95,7). Le parole del Salmo responsoriale ben esprimono l'anelito missionario, che ha pervaso suor Liduina Meneguzzi, delle Suore di san Francesco di Sales. Nel breve, ma intenso, corso della sua esistenza, suor Liduina si prodigò a favore dei fratelli più poveri e sofferenti, in particolare nell'ospedale della missione di Dire Dawa, in Etiopia.

Con fervente zelo apostolico, cercava di far conoscere a tutti l'unico nostro Salvatore, Gesù. Alla scuola di Colui che è «mite e umile di cuore» (cfr Mt 11,29), ella imparò a diffondere la carità, che sgorga da un cuore puro, superando ogni mediocrità ed inerzia interiore.

7. "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Questa è la promessa che Cristo fece ai suoi discepoli, apprestandosi a lasciare il mondo per fare ritorno al Padre.

Sono con voi tutti i giorni! Sono con te, dice Gesù, Chiesa pellegrina nel mondo. Sono con voi, giovani comunità ecclesiali nelle terre di missione. Non temete di entrare in dialogo con tutti. Portate a ciascuno il messaggio della salvezza! Abbiate coraggio!

Maria, Stella dell'evangelizzazione, e i nuovi Beati proteggano e accompagnino i vostri passi sulle vie del mondo. Amen!
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SANTA MESSA PER L’INIZIO DELL’ANNO ACCADEMICO

DELLE UNIVERSITÀ ECCLESIASTICHE


Venerdì, 25 ottobre 2002




1. "Questa è la generazione che cerca il tuo volto, Signore" (cfr Ps 23,6).

Le parole che abbiamo cantato come ritornello al Salmo responsoriale assumono un particolare significato oggi, in questa Basilica. Essa, infatti, vede riuniti Rettori, Professori e studenti delle Università ecclesiastiche romane, per la tradizionale celebrazione d'inizio del nuovo Anno accademico.

A tutti rivolgo il mio cordiale saluto. Un pensiero di particolare gratitudine va al Cardinale Zenon Grocholewski, che presiede la Celebrazione eucaristica, ed ai suoi collaboratori per il lavoro che quotidianamente svolgono nella Congregazione per l'Educazione Cattolica.

2. Volgendo lo sguardo su di voi, carissimi Fratelli e Sorelle, penso con riconoscenza: ecco, Signore, "questa è la generazione che cerca il tuo volto". Che cos'è, infatti, lo studio della teologia, se non un peculiare modo di cercare il volto di Dio? E così pure l'impegno nelle altre scienze, che vengono insegnate nei vostri Atenei, che cos'altro è se non l'approccio alla realtà dell'uomo, della Chiesa, della storia, in cui Dio rivela se stesso ed il suo imperscrutabile mistero di salvezza?

"Del Signore è la terra e quanto contiene, l'universo e i suoi abitanti" (Ps 23,1): da qualunque prospettiva si accosti alla realtà, il credente sa di muoversi, per così dire, "su una terra santa" (cfr Ex 3,5), perché nulla vi è di positivo, al di dentro o al di fuori dell'uomo, che non rifletta in qualche modo la divina sapienza. "O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!" (Ps 8,2 Ps 8,10).

3. La pericope evangelica poc'anzi proclamata ci parla di due livelli di "sapienza": un primo livello consiste nella capacità di "giudicare l'aspetto della terra e del cielo" (Lc 12,56), cioè di cogliere nessi di causa-effetto nei fenomeni naturali. Ad un altro livello, più profondo, si colloca invece la capacità di giudicare il "tempo" in cui si sviluppa la storia della salvezza, il tempo in cui Dio opera e attende la collaborazione dell'uomo.

Nella "pienezza del tempo", ricorda san Paolo (Ga 4,4), Dio mandò il suo Figlio unigenito. L'evangelista Giovanni tuttavia osserva che egli "venne tra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto" (Jn 1,11). La presenza del Verbo incarnato carica il tempo di una singolare qualità: lo rende ‘decisivo’, nel senso che in esso si decide il destino eterno di ogni singolo uomo e dell'intera umanità. Al massimo dono di Dio corrisponde la massima responsabilità dell'uomo.

4. La severa osservazione rivolta da Cristo alle folle si applica molto bene alla nostra epoca, in cui l'umanità ha sviluppato un'elevatissima capacità di analizzare e leggere i fenomeni per così dire "in superficie", ma tende a evitare gli interrogativi più profondi sui significati ultimi, sul senso del vivere e del morire, sul bene e sul male nella storia.

L'accusa sferzante: "Ipocriti!" (Lc 12,56), uscita dalle labbra di Gesù, dice chiaramente che qui non si tratta soltanto di un non sapere giudicare ciò che è giusto (cfr Lc 12,57), ma anche di un non volerlo accogliere. L'ipocrisia consiste cioè in una falsa sapienza, che si compiace di tante conoscenze, ma si guarda bene dal compromettersi con questioni impegnative sul piano religioso e morale.

5. La prima Lettura odierna, tratta dalla Lettera di san Paolo agli Efesini, presenta una mirabile sintesi tra fede e vita, tra teologia e sapienza evangelica: è la prospettiva dell'unità. Essa si alimenta di alcune virtù che l'Apostolo enumera: umiltà, mansuetudine, pazienza, reciproca sopportazione nell'amore (cfr Ep 4,2). L'esortazione morale di Paolo è tutta fondata sulla contemplazione del mistero e sulla sua traduzione nel comportamento concreto dei membri della comunità.

L'antidoto contro l'ipocrisia è perciò una costante circolarità tra quel che si sa e quel che si vive, tra il messaggio di verità ricevuto in dono con la vocazione cristiana e i concreti atteggiamenti personali e comunitari. In altre parole, tra il sapere della fede e la santità della vita.

6. Queste riflessioni, ispirate dalla Parola di Dio, interpellano in particolare quanti operano nelle Università ecclesiastiche. Docenti e studenti sono chiamati ad esercitare un'attenzione costante per interpretare i segni dei tempi in relazione al Segno centrale della divina Rivelazione, Cristo Signore. In particolare, esse sono chiamate a porsi in modo sempre rinnovato al servizio dell'unità della Chiesa. Questa unità, aperta per sua natura sulla dimensione cattolica, trova qui a Roma l'ambiente ideale per essere creduta, studiata e servita.

Cari Fratelli e Sorelle, l'unità del Corpo ecclesiale si conserva e si edifica per mezzo del vincolo della pace, nella verità e nella carità (cfr Ep 4,3). E' pertanto necessario che le vostre Università siano anzitutto luoghi di autentica sapienza cristiana, in cui ciascuno si impegna in prima persona ad operare una sintesi coerente tra la fede e la vita, tra i contenuti studiati e la condotta pratica.

Vi siano maestri in questo i Santi, specialmente i Dottori della Chiesa e quelli che hanno speso la vita nello studio e nell'insegnamento. Essi sono, nel senso più alto, la "generazione che cerca il volto [di Dio]" (Ps 23,6) e, proprio per essere stati appassionati contemplatori del volto di Dio, hanno saputo anche trasmettere agli altri i luminosi riflessi di verità, di bellezza e di bontà che ne promanano.

Maria Santissima, Sede della Sapienza, vegli sempre sulle vostre comunità accademiche e su ciascuno di voi. Vi ottenga dallo Spirito Santo abbondanza di sapienza, scienza e intelletto, affinché, come dice san Paolo nella Lettera agli Efesini, possiate "comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo, che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio" (Ep 3,18-19). Amen
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CAPPELLA PAPALE IN SUFFRAGIO DEI CARDINALI E DEI VESCOVI

DEFUNTI NEL CORSO DELL'ANNO




Martedì, 5 novembre 2002




1. "Buono è il Signore con chi spera in lui / con l'anima che lo cerca" (Lm 3,25).

La solennità di Tutti i Santi e la Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti suscitano ogni anno nella Comunità ecclesiale un intenso e diffuso clima di preghiera. Un clima mesto e insieme soave, in cui la consolante certezza della comunione dei santi lenisce il dolore, mai del tutto sopito, per le persone scomparse.

Circondati da questa particolare atmosfera spirituale, ci ritroviamo intorno all'altare del Signore, uniti in preghiera per i Cardinali e i Vescovi che nel corso degli ultimi dodici mesi hanno concluso la loro giornata terrena. E mentre, per mezzo di Cristo, offriamo per loro i nostri suffragi, siamo grati per gli esempi da essi lasciati a sostegno del nostro cammino.

2. In questo momento i Presuli defunti sono vivamente presenti al nostro spirito. Ad alcuni di loro ci legavano vincoli di profonda amicizia e so, così dicendo, di interpretare anche i sentimenti di molti tra voi. Mi è caro menzionare, in modo particolare, i venerati Cardinali che ci hanno lasciato: Paolo Bertoli, Franjo Kuharic, Louis-Marie Billé, Alexandru Todea, Johannes Joachim Degenhardt, Lucas Moreira Neves, François-Xavier Nguyên Van Thuân, John Baptist Wu Cheng-Chung. Al loro ricordo si unisce quello degli Arcivescovi e dei Vescovi, che nelle varie parti del mondo sono giunti al termine del loro cammino terreno.

Questi nostri Fratelli sono arrivati alla meta. C'è stato un giorno in cui ciascuno di loro, fresco ancora di energie, ha pronunciato il suo "eccomi!" al momento di essere ordinato Sacerdote. Prima nel cuore, poi ad alta voce hanno detto: "Eccomi!". Tutti sono stati in modo speciale uniti a Cristo, associati al suo Sacerdozio.

Nell'ora della morte, hanno pronunciato l'ultimo "eccomi", unito a quello di Gesù, che morì affidando il suo spirito nelle mani del Padre (cfr Lc 23,46). Per tutta la vita, specialmente dopo averla consacrata a Dio, essi hanno "cercato le cose di lassù" (Col 3,1). E, con la parola e l'esempio, hanno esortato i fedeli a fare altrettanto.

3. Sono stati Pastori, Pastori del gregge di Cristo. Quante volte, con il Popolo santo di Dio, hanno recitato il Salmo "De profundis"! Nelle esequie, nei cimiteri, nelle case in cui era entrata la morte: "De profundis clamavi ad te, Domine / ... quia apud te propitiatio est / ... speravit anima mea in Domino / ... quia apud Dominum misericordia / et copiosa apud eum redemptio" (Ps 129,1 Ps 129,4 Ps 129,5 Ps 129,7).

Per annunciare questo perdono di Cristo, la misericordia di Cristo, la redenzione di Cristo, ciascuno di loro ha speso la propria vita. Finché è giunta per ciascuno la sua ora, ultima ora. Ora noi siamo qui a pregare per loro, ad offrire il divino Sacrificio in suffragio delle loro anime elette: Domine, exaudi vocem meam (Ps 129,2)!

4. Sono stati Pastori. Con il servizio della predicazione, hanno instillato nei cuori dei fedeli la sconvolgente e consolante verità dell'amore di Dio: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16). Nel nome del Dio d'amore, le loro mani hanno benedetto, le loro parole confortato, la loro presenza - anche silenziosa - ha testimoniato con eloquenza che la misericordia di Dio non ha fine, che è inesauribile la sua compassione (cfr Lm 3,22).

Alcuni di loro hanno avuto la grazia di offrire tale testimonianza in modo eroico, affrontando dure prove e disumane persecuzioni. In questa Eucaristia ne rendiamo lode a Dio, implorando di poter onorare degnamente la loro memoria e il legame imperituro di fraterna amicizia, in attesa di poterli riabbracciare nella casa del Padre.

5. "Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria" (Col 3,4).

Queste parole di san Paolo, risuonate nella seconda Lettura, ci invitano a guardare alla vita eterna, verso la quale i nostri venerati Fratelli hanno compiuto l'ultimo passo. Alla luce del Mistero pasquale di Cristo, la loro morte è, in realtà, l'ingresso nella pienezza della vita. Il cristiano, infatti - come dice l'Apostolo - è già "morto" per il Battesimo e la sua esistenza è misteriosamente "nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,3).

In questa luce di fede, ci sentiamo dunque ancor più vicini ai nostri Fratelli defunti: la morte apparentemente ci ha separati, ma la potenza di Cristo e del suo Spirito ci unisce in modo ancora più profondo. Nutriti del Pane della vita, anche noi, insieme con quanti ci hanno preceduto, attendiamo con ferma speranza la nostra piena manifestazione.

Su di loro, come su di noi, vegli materna la Vergine Maria, e ci ottenga di giungere tutti ad occupare quel "posto" nella casa del Padre che Cristo, vita nostra, ci ha preparato (cfr Jn 14,2-3).

«Salve Regina!».
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GPII Omelie 1996-2005 61002