GPII 1989 Insegnamenti - Alle confraternite delle diocesi italiane - Città del Vaticano (Roma)

Alle confraternite delle diocesi italiane - Città del Vaticano (Roma)

Pentecoste: il mistero della divina unità della Chiesa ed insieme della sua molteplicità umana



1. "Mandi il tuo spirito... / e rinnovi la faccia della terra" (Ps 104,30).

Nella solennità di Pentecoste la Chiesa ritorna al Cenacolo, a Gerusalemme. Ritorna prima di tutto a quella sera, in cui gli apostoli vi erano riuniti, mentre "erano chiuse le porte... per timore dei Giudei" (Jn 20,19), Proprio colà venne a loro il Cristo risorto (l'hanno visto per la prima volta dopo la crocifissione), "alito su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo"" (Jn 20,22).

In tale momento, nel giorno stesso della Pasqua si è realizzato il mistero della Pentecoste.

Cristo porta lo Spirito Santo nelle ferite delle sue mani, dei piedi e del costato. Lo porta nel suo corpo che - ora glorificato - conserva i segni della Passione e del sacrificio della Croce. Il corpo del Figlio di Dio è stato concepito, un tempo, nel seno della Vergine per opera dello Spirito Santo. Ora Cristo porta loro lo stesso Spirito, perché per mezzo di lui sia concepito il nuovo corpo di Cristo che è la Chiesa.


2. Proprio questo fatto si è compiuto il giorno della Pentecoste. Tutto ciò che leggiamo nel testo degli Atti degli Apostoli parla della Chiesa che nasce prima, nel Cenacolo di Gerusalemme. E poi, per l'azione dello Spirito Santo, si diffonde tra gli abitanti della città e i pellegrini "di ogni nazione che è sotto il cielo" (Ac 2,5). Tutti costoro sentono stupiti che gli apostoli, che erano Galilei, proclamano nelle loro proprie lingue "le grandi opere di Dio" (Ac 2,11).

In questo modo gli ascoltatori del messaggio della Pentecoste vengono preparati interiormente al Battesimo, insieme agli apostoli, nello Spirito Santo (cfr Ac 2,4). E questo Battesimo, che si manifesta nel segno sacramentale dell'acqua che rigenera, fa si che tutti costoro diventino Chiesa, cioè il corpo di Cristo.


3. Questo avvenimento è l'inizio. Ed è, nello stesso tempo, preannunzio della nascita della Chiesa, della nascita che dura continuamente, di generazione in generazione. E si realizza in mezzo alle diverse nazioni e popoli, tra le diverse culture, lingue e razze.

Di questa prima nascita della Chiesa, che dura costantemente, occorre ripetere ciò che san Paolo scrive ai Corinzi nella odierna seconda lettura: "noi tutti siamo battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito" (1Co 12,13). Per opera dello Spirito Santo nasce la Chiesa: il corpo di Cristo.

Nel suo corpo crocifisso e glorificato Cristo risorto ha portato agli apostoli la pienezza dello Spirito Santo. Da tale pienezza la Chiesa - dopo gli apostoli - riceve costantemente lo Spirito Santo, per diventare il corpo di Cristo.


4. Questo corpo è uno solo, benché sia composto di diverse membra. Oggi festeggiamo il mistero della divina unità della Chiesa e insieme della sua molteplicità umana.

"Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito, vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti" (1Co 12,4-6).

In questo modo - come scrive l'Apostolo - "tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo" (1Co 12,12).

"E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune" (1Co 12,7).

Tutti hanno ricevuto lo Spirito Santo nel giorno della Pentecoste gerosolimitana, e tutti lo ricevono oggi... "per l'utilità comune".

Cari fratelli e sorelle! Oggi festeggiamo il mistero della divina unità della Chiesa e della sua "molteplicità", che proviene dagli uomini, i quali la portano nell'unità del Corpo di Cristo, per opera dello Spirito-paraclito.


5. "Vi sono... diversità di carismi... vi sono diversità di ministeri" (1Co 12,4).

Quali sono i carismi e quali i ministeri che sono diventati parte di voi, rappresentanti delle numerose confraternite delle diocesi di Roma e d'Italia che in questo giorno solenne siete venuti qui, nella Basilica di san Pietro per rinnovare i vostri buoni propositi, dopo aver partecipato al vostro convegno nazionale? I carismi e i ministeri, che oggi consideriamo con particolare attenzione, derivano innanzitutto dai sacramenti del Battesimo e della Confermazione, e si diversificano essenzialmente dal sacerdozio ministeriale derivante dal sacramento dell'Ordine.

Tutti, pero, siamo chiamati alla collaborazione: sacerdoti, religiosi e fedeli laici, per realizzare l'unità voluta da Gesù e vivere secondo lo Spirito, il cui frutto è la santificazione.

La santità, che si alimenta principalmente nell'Eucaristia, è la sorgente prima di quel rinnovamento evangelico, di cui oggi si sente grande bisogno.

Il Signore affida a voi, laici cristiani, in comunione con tutti gli altri membri del Popolo di Dio, una grande responsabilità nell'impegno urgente e grave della nuova evangelizzazione.

Si tratta non solo di portare per la prima volta il Vangelo, che è parola di vita e di salvezza, ai popoli che ancora non lo conoscono o lo conoscono poco, ma di farlo riscoprire a quei popoli che, pur educati alla scuola delle verità di fede, hanno in gran parte perduto il senso soprannaturale della vita.

A voi laici è affidato il compito di contribuire alla animazione cristiana del mondo con la vostra incisiva presenza nella società e con la significativa partecipazione alle attività proprie dell'ordine temporale, perché queste siano ispirate sempre più ai principi del Vangelo.


6. L'aggregarsi è proprio della natura sociale dell'uomo. E un diritto inalienabile. Anche in questo campo è l'unione che fa la forza. Le confraternite sono associazioni di laici tra le più antiche, in particolare quelle che portano il nome di Misericordie. L'impegno da esse svolto lungo il corso dei secoli, sotto le forme più varie, in particolare nel campo dell'assistenza al prossimo, è una realtà nota a tutti che torna a loro onore e che fa ben sperare per il futuro.

L'opera delle confraternite in Italia e in Europa, soprattutto quando non esisteva affatto l'assistenza pubblica, è stata quella del buon samaritano. Esse sono chiamate anche oggi a continuare questa forma specifica di solidarietà di fronte alla totalità dei bisogni umani. Come ho scritto nella esortazione postsinodale "Christifideles Laici", la carità, che è propria della Chiesa, deve essere "attuata non solo dai singoli, ma anche in modo solidale dai gruppi e dalle comunità... niente e nessuno la potrà sostituire, neppure le molteplici istituzioni e iniziative pubbliche, che pure si sforzano di dare una risposta ai bisogni - spesso così gravi e diffusi - di una popolazione" (CL 41). L'apporto dei fedeli alla costruzione della città terrena deve essere pero contrassegnato dallo spirito evangelico che vede nell'uomo bisognoso un fratello che soffre, anzi il volto stesso del Cristo, venuto in questa terra a condividere i drammi e le angosce degli uomini.

Cari fratelli e sorelle, le vostre confraternite sono state le avanguardie di quel meraviglioso movimento dei laici, che è uno dei segni dell'autenticità dello Spirito. In questo giorno solenne, in cui la sacra liturgia ricorda la discesa del Dono per eccellenza, che è lo stesso Spirito del Padre e di Gesù, mentre ringrazio il Signore, e invito anche voi a farlo, per il bene compiuto col suo aiuto, vi rinnovo il mio compiacimento e il mio incoraggiamento a ben continuare nella vostra benemerita opera. Vi saluto tutti, cordialmente, cari rappresentanti di ogni singola confraternita e vi esorto caldamente ad aprire con generosità la mente ed il cuore per accogliere una larga effusione del Dono divino. Scenda su voi una nuova Pentecoste perché ciascun membro delle vostre confraternite e dei vostri sodalizi si rinnovi interiormente e riprenda un nuovo cammino di testimonianza evangelica.


7. Mandi il tuo Spirito e rinnovi la faccia della terra.

La Chiesa torna oggi nel Cenacolo di Gerusalemme, per rinnovare il mistero della sua nascita per opera dello Spirito Santo. Il mistero di quel giorno - e insieme il mistero che dura costantemente. Infatti la Chiesa nasce incessantemente dalle ferite di Cristo che ci porta lo Spirito Santo: lo Spirito che dà la vita.

E nascendo continuamente, la Chiesa grida insieme col salmista: "Benedici il Signore, anima mia, / Signore, mio Dio, quanto sei grande!... / Quanto sono grandi, Signore, / le tue opere!... / la terra è piena delle tue creature" (Ps 104,1-24). La Chiesa di Gesù Cristo è la Chiesa del mistero divino della creazione.

Benché questa creazione - a causa del peccato - sia sottomessa alla "caducità" - il salmista dice: "vengono meno... / e ritornano nella loro polvere" (cfr Ps 104,29) - tuttavia la potenza di Dio continua a permanere in tutto il creato.

"Mandi il tuo Spirito, sono creati, / e rinnovi la faccia della terra" (Ps 104,30).

Il Figlio di Dio, accettando il corpo dalla Vergine per opera dello Spirito Santo, è entrato nell'intero mondo visibile delle creature. Questo mondo è stato dato dal Creatore all'uomo. E' stato dato, mediante l'umanità, a Cristo. Per opera dello Spirito Santo il Verbo si è fatto carne. Ha accolto il "corpo dell'intera creazione".

E per questo la nostra preghiera è indirizzata oggi in Cristo a tutte le creature.

Cristo è il Signore di tutta la creazione.

Mediante lui noi gridiamo al Padre: Venga il tuo Spirito! Rinnovi la faccia della terra! Gridiamo così noi - abitanti di questa terra - noi che possediamo le primizie dello Spirito, noi che gemiamo con tutto il nostro essere, aspettando l'adozione a figli, la Redenzione del nostro corpo. Poiché "nella speranza noi siamo stati salvati" (cfr Rm 8,23-24).

Amen.

1989-05-14

Domenica 14 Maggio 1989




Recita del "Regina Coeli": dalla Risurrezione all'effusione dello Spirito Santo - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Il dono della fortezza dà vigore alla virtù di chi non scende a compromessi nell'adempimento del proprio dovere



1. "Veni, Sancte Spiritus!".

E' questa, carissimi fratelli e sorelle, l'invocazione che oggi, solennità di Pentecoste, sale insistente e fiduciosa da tutta la Chiesa: Vieni, Spirito Santo, vieni e "dona ai tuoi fedeli, che solo in te confidano, i tuoi santi doni" ("Sequentia in sollemnitate Pentecostes").

Tra questi doni dello Spirito ce n'è uno sul quale desidero soffermarmi stamane: il dono della fortezza. Nel nostro tempo molti esaltano la forza fisica, giungendo ad approvare anche le manifestazioni estreme della violenza. In realtà, l'uomo fa ogni giorno l'esperienza della propria debolezza, specialmente nel campo spirituale e morale, cedendo agli impulsi delle interne passioni e alle pressioni che su di lui esercita l'ambiente circostante.


2. Proprio per resistere a queste molteplici spinte è necessaria la virtù della fortezza, che è una delle quattro virtù cardinali sulle quali poggia tutto l'edificio della vita morale: la fortezza è la virtù di chi non scende a compromessi nell'adempimento del proprio dovere.

Questa virtù trova poco spazio in una società in cui è diffusa la pratica sia del cedimento e dell'accomodamento sia della sopraffazione e della durezza nei rapporti economici, sociali e politici. La pavidità e l'aggressività sono due forme di carenza di fortezza che spesso si riscontrano nel comportamento umano, col conseguente ripetersi del rattristante spettacolo di chi è debole e vile con i potenti, spavaldo e prepotente con gli indifesi.


3. Forse mai come oggi la virtù morale della fortezza ha bisogno di essere sostenuta dall'omonimo dono dello Spirito Santo. Il dono della fortezza è un impulso soprannaturale, che dà vigore all'anima non solo in momenti drammatici come quello del martirio, ma anche nelle abituali condizioni di difficoltà: nella lotta per rimanere coerenti con i propri principi; nella sopportazione di offese e di attacchi ingiusti; nella perseveranza coraggiosa, pur fra incomprensioni ed ostilità, sulla strada della verità e dell'onestà.

Quando sperimentiamo, come Gesù nel Getsemani, "la debolezza della carne" (cfr Mt 26,41 Mc 14,38), ossia della natura umana sottomessa alle infermità fisiche e psichiche, dobbiamo invocare dallo Spirito il dono della fortezza per rimanere fermi e decisi sulla via del bene. Allora potremo ripetere con san Paolo: "Mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte" (2Co 12,10).


4. Sono molti i seguaci di Cristo - pastori e fedeli, sacerdoti, religiosi e laici, impegnati in ogni campo dell'apostolato e della vita sociale - i quali, in tutti i tempi e anche nel nostro tempo, hanno conosciuto e conoscono il martirio del corpo e dell'anima, in intima unione con la "Mater dolorosa" accanto alla Croce. Tutto essi hanno superato grazie a questo dono dello Spirito! Chiediamo a Maria, che ora salutiamo come "Regina Coeli", di ottenerci il dono della fortezza in ogni vicenda della vita e nell'ora della morte.

1989-05-14

Domenica 14 Maggio 1989




Messaggio al segretario generale delle Nazioni Unite - Città del Vaticano (Roma)

La Chiesa collabora con l'ONU nel cammino verso la pace e il rispetto dei diritti umani


A sua eccellenza Javier Pérez de Cuellar segretario generale delle Nazioni Unite.

Quest'anno segna l'anniversario dell'istituzione della missione permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Con questo scritto, signor segretario generale, desidero non soltanto commemorare questa importante data, ma anche riaffermare l'importanza attribuita dalla Santa Sede e dalla Chiesa cattolica all'Organizzazione delle Nazioni Unite.

Fu nel 1964 che il mio predecessore Paolo VI decise di istituire una missione "ad hoc" presso l'ONU. Lo fece alla luce dei nuovi orientamenti che stavano nascendo all'interno della Chiesa e per rispondere all'apprezzamento manifestato dalla comunità internazionale nei confronti dell'impegno della Santa Sede a favore della pace e della solidarietà tra le nazioni. Nell'inviare un osservatore presso la sua Organizzazione, egli intendeva dimostrare l'interesse della Santa Sede verso tutte le iniziative che miravano alla promozione della crescita umana, sociale, culturale, politica e morale della comunità delle nazioni. Egli desiderava inoltre rendere più efficace il contributo della Chiesa all'interno delle deliberazioni dell'ONU in questioni di interesse mondiale.

Naturalmente la Santa Sede aveva spesso preso parte in passato alle discussioni che miravano ad una più profonda comprensione di problemi connessi con l'ordine morale, come l'aiuto ai bisognosi e i problemi della pace. Ma lo aveva fatto solo con interventi straordinari, laddove l'istituzione di un ufficio permanente consentiva ovviamente una presenza più significativa.

L'idea di Paolo VI fu presto confermata dal Concilio Vaticano II che invitava tutta la Chiesa a collaborare nell'edificazione della comunità internazionale: "La Chiesa, in virtù della sua missione divina, predica il Vangelo e largisce i tesori della grazia a tutte le genti. Contribuisce così a rafforzare la pace in ogni parte del mondo, ponendo la conoscenza della legge divina e naturale a solido fondamento della solidarietà fraterna tra gli uomini e tra le nazioni" (GS 89). Lo stesso Concilio dichiaro anche: "La Chiesa deve essere assolutamente presente nella stessa comunità dei popoli, per risvegliare e incitare gli uomini alla cooperazione vicendevole" (GS 4).

Come lei sa, signor segretario generale, la missione permanente della Santa Sede ha partecipato alla vita della comunità internazionale in questi ultimi venticinque anni. Lo ha fatto mantenendo il suo status di osservatore. Questo status le consente una attiva presenza, e insieme salvaguarda la sua possibilità di mantenere l'istanza di universalità che la sua propria natura richiede. Come risultato, essa è diventata punto di riferimento per le sfere sia spirituali che temporali, nel momento in cui ciascuna si impegna con le sue modalità specifiche per gli stessi obiettivi ("Allocutio in Palatio Nationum Unitarum ad earundem Nationum Legatos habita", die 2 oct. 1979: , II, 2 [1979] 522ss).

Nell'ultimo quarto di secolo, la Santa Sede ha seguito da vicino il difficile cammino percorso dall'ONU. Ha condiviso la gioia dei suoi molti notevoli successi, come pure il dolore e l'ansia causati dalle molte violazioni della pace ed ostacoli al progresso che ha dovuto affrontare in questo periodo.

Le Nazioni Unite si sono giustamente assunte il compito di dirigere l'attenzione mondiale sui problemi e le questioni urgenti che stanno di fronte al genere umano, in particolare quelli relativi ai conflitti regionali, l'ambiente, il traffico di droga, i diritti delle donne, i bambini, i senza tetto e gli handicappati. Con un impegno concertato, l'ONU ha spesso portato nuova luce in minacciosi orizzonti con nuova speranza e senso di sicurezza. Questo ruolo in grande espansione, è stato di recente riconosciuto nell'attribuzione del Premio Nobel per la pace alla forze di sicurezza dell'ONU.

In questa occasione, posso ripetere, signor segretario generale, quanto scrissi nella lettera del 6 aprile 1982, sulla disponibilità della Santa Sede nell'offrire piena collaborazione all'ONU in quei campi che sono in armonia con la missione specifica della Chiesa, e in particolare nelle questioni legate alla pace e alla giustizia, i diritti umani e l'aiuto ai poveri.

Dato l'indiscutibile impegno dell'ONU in questi campi, e conscio della sollecitudine della Chiesa per il bene di tutti, sono lieto di richiamare le parole dette dal Papa Paolo VI nel memorabile discorso del 4 ottobre 1965, in cui parlo dell'ONU come "il passo obbligatorio per una moderna civiltà e per una pace mondiale". Facendo eco a questa convinzione, e con rinnovati auguri per il suo impegno per il bene dei popoli e del mondo, invoco su di lei, signor segretario generale, e su tutti coloro che lavorano per la pace che è frutto della giustizia, la benedizione dell'Onnipotente.

Dal Vaticano, 15 maggio 1989.

1989-05-15

Lunedi 15 Maggio 1989




Una nuova iniziativa in favore del Libano - Al segretario generale dell'ONU e a vari capi di Stato, Città del Vaticano (Roma)

"Anche per la vita internazionale vale il principio secondo cui non è lecito recare danno al più debole"


Dinanzi agli occhi del mondo intero si sta consumando un processo che coinvolge la responsabilità dell'intera società internazionale. E' il processo che sta portando alla distruzione del Libano.

E' una vicenda che dura da anni e che è collegata all'intervento di forze armate di paesi limitrofi. E' ormai in pericolo l'esistenza stessa del Libano, che nel corso di molti anni ha costituito un esempio di coesistenza pacifica dei suoi cittadini, sia cristiani che musulmani, sul fondamento dell'eguaglianza dei diritti e del rispetto dei principi di una convivenza democratica.

Il grado di intensità del penoso processo di distruzione della nazione libanese è testimoniato dal fatto della costante ripetizione di pesanti e sanguinosi attacchi armati, che nell'ultimo periodo si sono concentrati su Beirut.

Da parecchi mesi vengono, poi, creati ostacoli per impedire la regolare elezione del Presidente della Repubblica Libanese.

Un tale stato di cose fa appello alla responsabilità delle singole istanze politiche, ai capi di Stato come agli organismi internazionali.

In realtà, ci troviamo di fronte ad una minaccia dell'intero ordine della vita internazionale. E' una minaccia di natura morale, tanto più dolorosa perché è uno Stato più debole che subisce la violenza dei più forti. Difatti, anche per la vita internazionale vale il principio secondo cui non è lecito di recare danno al più debole. Chi così opera è colpevole sia dinanzi a Dio, giudice supremo, sia dinanzi alla giustizia della storia umana. La colpa morale grava pure su tutti coloro che, in tali situazioni, non difendono i deboli, mentre avrebbero potuto e dovuto farlo.

Ritengo, pertanto, mio dovere di sottoporre alla sua attenzione questo doloroso problema con un fervido appello perché si compiano con urgenza i passi indispensabili per prevenire la distruzione che minaccia il Libano.

Allo stesso tempo, mi è gradito invocare su di lei e sulla sua nobile missione le più abbondanti benedizioni dell'Altissimo.

Dal Vaticano, 15 maggio 1989.

1989-05-15

Lunedi 15 Maggio 1989




Lettera al Cardinale Landazuri Ricketts - Città del Vaticano (Roma)

Per un lungo e fecondo ministero


Al nostro venerabile fratello Cardinale Juan Landazuri Arcivescovo di Lima.

Come tempo fa durante il nostro breve soggiorno a Lima abbiamo avuto l'occasione di salutarti affettuosamente di persona, venerabile nostro fratello, così ora vogliamo porgerti le nostre congratulazioni, in occasione del cinquantesimo anniversario della tua ordinazione sacerdotale e della celebrazione del tuo lungo e fruttuoso sacerdozio.

Entrato nell'ordine francescano e compiuto il corso di studi, arrivato al sacerdozio hai speso gli anni più floridi nell'educazione dei giovani, finché il nostro predecessore Pio XII, di felicissima memoria, ti ha chiamato a guidare la Chiesa di Lima.

Da allora ti sei dedicato solo a questa comunità di fedeli, di cui sei sempre stato un pastore sollecito.

Voglio anche ricordare, venerabile nostro fratello, il Sinodo diocesano, da te indetto nel 1959 e il seminario da te fondato e la casa di riposo per sacerdoti che si sono ritirati per l'età dalle loro occupazioni pastorali.

Ci piace perciò rendere onore alla tua opera apostolica esercitata in varie istituzioni ecclesiali, sia - per fare degli esempi - nella sollecitudine per i poveri, sia nel mettere in atto gli intenti del Concilio Vaticano II, sia nell'istruzione del popolo nella dottrina cristiana. Pensiamo che non sia necessario passare in rassegna una per una le opere compiute per la Chiesa di Lima.

I fedeli della tua diocesi, che per la celebrazione del tuo anniversario si raduneranno numerosi e pieni di gioia, potranno passare in rassegna tutte le tue buone opere con un discorso ricco e lungo.

Ma noi, consapevoli di tutte queste cose, vogliamo che la nostra voce si unisca a quel concerto di chi si congratula con te, ché anzi, come se fossimo presenti e uniti a te da un vincolo più stretto, dal momento che sei ornato della porpora e occupi un altissimo grado di dignità, vogliamo celebrare questo faustissimo evento ed elogiare con appropriate lodi la tua opera sacerdotale.

Infine rivolgiamo una fervida preghiera a Dio e gli chiediamo insistentemente, per il tuo lungo e fecondo ministero, di elargire una abbondante remunerazione e la salute fisica e spirituale per i prossimi anni, auspice la nostra benedizione apostolica che a te, venerabile nostro fratello, ai Vescovi ausiliari, agli amatissimi fedeli di Lima impartiamo di tutto cuore.

1989-05-16

Martedi 16 Maggio 1989






Alla trentunesima assemblea generale dei Vescovi italiani - Città del Vaticano (Roma)

Rinsaldare il tessuto cristiano della comunità ecclesiale: condizione primaria dell'evangelizzazione


1. "Pace ai fratelli, e carità e fede da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo" (Ep 6,23).

Venerati e carissimi confratelli Vescovi delle Chiese in Italia, sono profondamente lieto di incontrarvi qui riuniti, in occasione dei lavori della vostra trentunesima assemblea generale. Questo nostro appuntamento annuale, segno della comunione affettiva ed effettiva, sollecita ed operosa che ci lega in Cristo, pastore supremo (1P 5,4) e modello perfetto del nostro servizio apostolico, costituisce per noi tutti un momento di gioia e di conforto spirituale, un motivo di fiducia, uno stimolo ad operare con totale dedizione per la causa del Vangelo.

Saluto il vostro Presidente, Cardinale Ugo Poletti, e il segretario generale, monsignor Camillo Ruini; mi rivolgo con affetto fraterno a ciascuno di voi per esprimervi il mio apprezzamento per la sollecitudine con la quale attendete alle comunità affidate alla vostra cura pastorale.

Un metodo di lavoro significativo sotto il profilo ecclesiale


2. I lavori di questa assemblea, intensi come di consueto, hanno seguito la metodologia già inaugurata, con felici risultati e con la vostra comune soddisfazione, nello scorso ottobre, durante l'assemblea di Collevalenza. Avete cioè, esaminato nei vari gruppi di studio, i temi e documenti di maggior rilievo sottoposti alla vostra valutazione, prima di riconsiderarli insieme, riuniti in assemblea plenaria. Questo metodo di lavoro appare significativo sotto il profilo ecclesiale: esso facilita, nello scambio fraterno, l'approfondimento comune dei problemi ed offre una concreta opportunità di manifestare l'affetto collegiale che vi anima. così anche attraverso le assemblee generali voi rafforzate i vincoli della reciproca comunione, fondamento e garanzia della comunione delle vostre Chiese particolari.

Il Papa, anche se non sempre presente fisicamente, è sempre con voi spiritualmente in forza del suo ufficio: il ministero di Pietro e dei suoi successori raggiunge infatti ciascuna delle vostre Chiese particolari e si esprime in esse non "dall'esterno", quasi fosse una struttura giustapposta e superflua, bensi "dall'interno", dall'"essenza stessa di ogni Chiesa particolare" ("Angelopoli, allocutio ad episcopos Americae Septemtrionalis", 4, die 16 sept.

1987: , X, 3 [1987] 556). Questo discorso, che vale per l'intera cattolicità, assume una rilevanza tutta particolare quando si tratta dei Vescovi e delle Chiese d'Italia, essendo il ministero del successore di Pietro costitutivamente unito a quello del Vescovo di Roma. Ed è con intima gioia che vedo esplicarsi nell'esercizio quotidiano del servizio pastorale questo nostro speciale reciproco legame, da cui tanto vantaggio trae il Popolo di Dio.

La vita: diritto primo e fontale di tutti gli altri diritti


3. Sono molti, come è naturale, e a prima vista assai diversificati, i temi e gli argomenti che in queste giornate di lavoro avete dovuto affrontare. In maniera più o meno immediata si riconducono, pero, tutti ai grandi temi della nuova evangelizzazione e della comunione ecclesiale, costituendo quest'ultima la premessa indispensabile e la testimonianza particolarmente efficace della prima.

Nell'ambito dell'evangelizzazione spicca la tematica della vita umana: il documento pastorale che intendete dedicarle rappresenta il frutto più maturo di un impegno che si è articolato in molteplici iniziative, ultima delle quali il recente convegno nazionale "Al servizio della vita umana" di cui conservo vivo il ricordo. Il fine che vi siete proposti è quello di aprire la strada a una rinnovata cultura della vita e di fiducia in essa, cercando di superare molti ostacoli ideologici e comportamentali che vi si oppongono, e di favorire nuove scelte legislative e adeguati interventi istituzionali. Intendete perciò promuovere e valorizzare tutte le energie e le solidarietà disponibili a favore della vita sofferente e minacciata, facendo attenzione anche al maturare di nuove sensibilità, o almeno di nuovi interrogativi, che testimoniano una più diffusa percezione della dignità che appartiene costitutivamente alla vita umana.

Intendete soprattutto evangelizzare, nella sua pienezza di motivazione e di implicazioni, l'inviolabile diritto alla vita, consapevoli che esso è il "diritto primo e fontale, condizione per tutti gli altri diritti della persona" (CL 38). Il Signore benedica e renda fecondo questo impegno della Chiesa italiana.

Mezzogiorno d'Italia: solidarietà sociale e comunione ecclesiale


4. Altro argomento assai significativo della vostra assemblea è quello del mezzogiorno d'Italia, visto nella prospettiva della solidarietà sociale e della comunione ecclesiale. L'Italia in questi ultimi decenni ha fatto molti progressi nel cammino dello sviluppo, e talvolta del cosiddetto "supersviluppo" di stampo consumistico, ma sopravvivono pure disuguaglianze gravi ed aree nelle quali specialmente ai giovani è troppo difficile trovare valide e oneste possibilità di lavoro. Appare quindi assai opportuna la vostra parola di Pastori, rivolta non a fornire soluzioni tecniche per le singole e complesse questioni, ma a proporre, alla luce dell'insegnamento del Vangelo, gli orientamenti etici che presiedono ad ogni retta soluzione dei problemi umani e sociali (cfr SRS 41).

All'impegno per tradurre in atto questi orientamenti potranno dare un contributo prezioso le "Settimane Sociali", che molto opportunamente l'Episcopato italiano ha ripristinato secondo modalità nuove, adatte alla situazione presente.

Il mio auspicio è che esse possano costituire un luogo di solido approfondimento culturale e un chiaro punto di riferimento per l'impegno sociale dei cattolici, offrendo al Paese un laboratorio qualificato di idee e di proposte operative.

Il piano pastorale per il prossimo decennio


5. Tra i lavori della vostra assemblea ha trovato spazio anche il tema che vi terrà occupati in futuro: il piano pastorale per il prossimo decennio, che dovrà condurre al grande giubileo del terzo millennio cristiano.

Già agli inizi degli anni '70 la Conferenza Episcopale Italiana seppe individuare nell'evangelizzazione non soltanto il compito perenne e la vocazione propria della Chiesa, ma anche l'urgenza e la sfida storica del nostro tempo, nel quale nazioni come l'Italia, di antica e radicata tradizione cristiana, a causa di ideologie materialistiche e poi, sempre più, di un costume di vita edonistico, sono minacciate dall'indifferenza religiosa e dalla tendenza a vivere come se Dio non esistesse.

Questa intuizione rimane pienamente valida per il decennio che si attende, anzi appare destinata a indicare il cammino futuro della Chiesa ben oltre la fine del nostro secolo.

Col volgere degli anni e con l'approfondirsi del processo di secolarizzazione, che spesso si manifesta come una rovinosa scristianizzazione, si sono per converso anche meglio precisate le caratteristiche e le esigenze, a cui deve corrispondere la nuova evangelizzazione.

Diventa anzitutto sempre più evidente la necessità di far crescere e maturare negli stessi credenti quella "coscienza di verità", ossia quella consapevolezza di essere portatori della verità che salva, che è, fin dalle origini della Chiesa, lo stimolo decisivo all'impegno missionario (cfr. "Laureti in Piceno, allocutio ad Italiae episcopos, quosdamque presbyteros et laicos simul congregatos habita", die 11 apr. 1985: , VIII, 1 [1985] 996). La mentalità relativistica, così diffusa nel nostro tempo, tende infatti, spesso inavvertitamente, a penetrare anche nei credenti, a condizionarli nelle loro convinzioni e ancor più nei comportamenti. Pertanto, condizione primaria dell'evangelizzazione è che si rinsaldi il tessuto cristiano della stessa comunità ecclesiale. In tal senso la "Christifideles Laici" afferma che la "nuova evangelizzazione, rivolta non solo alle singole persone, ma anche ad intere fasce di popolazione nelle loro varie situazioni, ambienti e cultura, è destinata alla formazione di comunità ecclesiali mature, nelle quali cioè la fede sprigioni e realizzi tutto il suo originario significato di adesione alla persona di Cristo e al suo Vangelo, di incontro e di comunione sacramentale con Lui, di esistenza vissuta nella carità e nel servizio" (CL 34).

Una capillare catechesi dei giovani e degli adulti


6. E' evidente l'importanza che deve avere, in questa prospettiva della nuova evangelizzazione, una sistematica, approfondita e capillare catechesi dei giovani e degli adulti, nella quale i laici siano impegnati come soggetti e protagonisti, in stretta e operosa comunione con i sacerdoti, i religiosi e le religiose. Anche in questo campo sento di dovervi esprimere, carissimi fratelli nell'Episcopato, la mia gratitudine e il pieno incoraggiamento per l'opera che andate svolgendo, a continuazione del convegno nazionale dello scorso anno "Catechisti per una Chiesa missionaria", che ha mostrato quanti progressi già si siano compiuti nella preparazione di catechisti per la nuova evangelizzazione.


GPII 1989 Insegnamenti - Alle confraternite delle diocesi italiane - Città del Vaticano (Roma)