GPII 1989 Insegnamenti - Al pellegrinaggio della diocesi di Eisenstadt - Castel Gandolfo (Roma)

Al pellegrinaggio della diocesi di Eisenstadt - Castel Gandolfo (Roma)

"Costruite un ponte di fede per raggiungere i popoli dell'Est"


Signor Vescovo, sorelle e fratelli in Dio! E' sempre una grande gioia per me poter incontrare il Vescovo e i fedeli della diocesi di Eisenstadt. La mia ultima visita pastorale nel vostro Paese più di un anno fa è stata per me un incontro del tutto particolare ed un dono di Dio.

Ricordo con piacere la festosa celebrazione eucaristica di Trausdorf, alla quale partecipo una moltitudine di fedeli provenienti sia dai Laender che dall'Ungheria e dalla Croazia.

So che avete dedicato particolare cura alla preparazione della mia visita pastorale. So anche che il vostro Vescovo, al quale mi lega una lunga amicizia, ed i suoi collaboratori non si sono risparmiati alcuna fatica. Il mio cordiale ringraziamento va ancora una volta a lui ed a tutte le sue collaboratrici ed ai suoi collaboratori.

Il vostro incontro odierno col successore di Pietro, per ricambiare la mia precedente visita pastorale, è ulteriore segno del particolare legame con Cristo e la sua Chiesa, secondo quanto ha detto il Vescovo Làszlo nel suo discorso di saluto.

Rivolgo un particolare benvenuto anche al rappresentante del vostro Paese presso la Santa Sede, sua eccellenza signor Georg Hohenberg, che presenzia questo incontro.

Quest'anno l'opera pastorale della vostra diocesi è stata improntata sul motto: "La fede supera qualsiasi frontiera". Le attività promosse dalla vostra diocesi a questo riguardo sono state molteplici: ritiri spirituali, corsi di aggiornamento di teologia, seminari sulla Bibbia, pellegrinaggi, prediche e numerose altre iniziative. Vi siete impegnati a sviluppare questo tema sia dal punto di vista teologico che pastorale, allo scopo di continuare ad approfondire la mia visita pastorale anche dopo la mia partenza.

Chi ha sostenuto i vostri sforzi? Chi vi siete prefissi come esempio da seguire? Il patrono della vostra diocesi e del vostro paese, san Martino, costituisce il miglior esempio a questo proposito. Egli ha mostrato a noi tutti come si può giungere alla fede e come questa fede personale possa superare qualsiasi frontiera. San Martino ci appare come un uomo che è entrato in rapporto con il Signore, che ha inteso e praticato il proprio si alla fede come un si alla vita. Solo in questo modo gli è stato possibile superare ostacoli interni ed esterni e testimoniare ad altri uomini la fede.

Sorelle e fratelli carissimi! Anche voi siete chiamati ad agire a questo modo come cristiani. Dovete adempiere ad una doppia funzione di ponte. Da un lato dovete adoperarvi affinché la fede si diffonda nell'ambito della vostra diocesi, in modo da poterla trasmettere alla nuova generazione come un bene prezioso. Per questo motivo ciascuno di voi dovrebbe chiedersi come può contribuire alla diffusione della Parola di Dio nel proprio ambiente sia di lavoro che familiare.

Apritevi alla Parola di Dio e siate apostoli della buona Novella in questo mondo! Inoltre, come ho già fatto in occasione della mia visita pastorale, vi esorto nuovamente ad oltrepassare anche in futuro le frontiere della vostra diocesi voluta da Dio nello spirito di san Martino, costruendo un ponte di fede per raggiungere i paesi dell'Est. In questo modo offrirete un prezioso contributo anche alla Chiesa.

So che, in collaborazione col vostro Vescovo, svolgete questa funzione di ponte da molti anni e ve ne ringrazio di cuore.

Continuate su questa strada e siate soprattutto sempre pronti a rinnovare la vostra fede! A questo scopo imparto di cuore a voi tutti ed ai vostri cari rimasti a casa, soprattutto agli anziani, agli ammalati ed ai bambini, la mia benedizione apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

1989-08-24

Giovedi 24 Agosto 1989




L'omelia per la festa della Madonna di Czestochowa - Ai fedeli riuniti, Castel Gandolfo (Roma)

La Signora di Jasna Gora segno di unità tra tutti i Polacchi


Carissimi fratelli e sorelle, leggero ora le parole pronunciate nel 1983 a Jasna Gora in occasione del seicentesimo anniversario della presenza dell'immagine della Madonna: "Cristo presente insieme alla sua madre in una Cana polacca pone davanti a noi, di generazione in generazione, la grande causa della libertà. La libertà viene data all'uomo da Dio come misura della sua dignità. Tuttavia, al tempo stesso, essa gli viene data come un compito: "La libertà non è un sollievo, bensi la fatica della grandezza" (L. Staff, "Ecco il tuo canto"). L'uomo, infatti, può usare la libertà bene o male. può per mezzo di essa costruire o distruggere.

Nell'evangelizzazione di Jasna Gora è contenuta la chiamata all'eredità dei figli di Dio. La chiamata a vivere la libertà. A fare buon uso della libertà. Ad edificare e non a distruggere".

Oggi, mentre ci riuniamo in questo luogo, uniti a tutti coloro che, in molti santuari di tutto il mondo, venerando la Signora di Jasna Gora nel suo santuario - perché ella è un particolare segno di unione fra tutti i Polacchi, anche quelli che sono lontani dalla Patria - in questo giorno tornano alla mente le parole che abbiamo appena letto.

Cerchiamo di esprimere nella nostra preghiera quanto ci viene richiesto dal momento presente. Ci sono molte cose, molte richieste, intenzioni, tante speranze e preoccupazioni. Preghiamo per tutta la società, per tutta la Nazione che vive sulle rive della Vistola, nella Patria, ed anche per tutti i Polacchi che vivono fuori dalla Patria. Preghiamo per le persone che, ora, assumono la responsabilità della causa comune. Tadeusz Mazowiecki mi ha chiesto espressamente di pregare per lui, nel momento in cui ha accettato l'importante carica di presidente del consiglio dei ministri.

Preghiamo per tutti, per ciascuno, avviciniamoci l'uno all'altro. Il bene comune significa il bene di tutti, ma in questo bene di tutti è compreso il bene di ognuno. A tutto questo ci invita la Madre. Ringraziamo Dio per la presenza nella storia di questa Madre, che è la Madre di Dio e la Madre dell'uomo. Nella sua immagine possiamo incontrarci tutti, possiamo ritrovare la nostra identità più grande, confermare chi siamo, possiamo essere una cosa sola, e, nel contempo, ognuno di noi di fronte a lei è unico e irripetibile. Preghiamo per ognuno e per ognuna, preghiamo per tutti, affinché possiamo affrontare ed essere degni di questa conquista del nostro tempo che costituisce insieme una sfida, una prova di forza. Durante questa santa Messa saranno espresse molte richieste, alcune ad alta voce nella preghiera dei fedeli, altre in fondo al cuore. Molte di queste preghiere saranno pronunciate in terra polacca, soprattutto nel santuario di Jasna Gora. Uniamoci a tutte queste preghiera, e, prima di tutto, ricordiamoci che a Jasna Gora Maria continua a ripetere le parole di Cana: "Fate tutto quello che mio Figlio vi dirà". In un certo senso è l'ultima parola di Cana di Galilea ed anche l'ultima parola del santuario di Jasna Gora.

1989-08-26

Sabato 26 Agosto 1989




Al Sinodo del patriarcato cattolico armeno - Castel Gandolfo (Roma)

"Che il popolo armeno con la sua fede contribuisca alla rinascita del Libano"


Beatitudine, cari fratelli nell'Episcopato.


1. Con grande gioia vi ricevo oggi. Voi siete riuniti in Sinodo, fedeli ad una antica tradizione della Chiesa. Eusebio di Cesarea non racconta forse che, nel corso della controversia pasquale del II secolo, i Vescovi si riunirono in Sinodo per provincia ("Hist. eccl.", V, XXIII, 2-3)? Le più antiche leggi canoniche sui Sinodi li considerano come il modo autentico di trattare le questioni ecclesiastiche e assegnano loro il compito di assicurare la concordia tra i Vescovi, "affinché Dio sia glorificato attraverso Cristo nello Spirito Santo" (cfr. XXXIV can. ""Apostolorum" dictum").


2. In questo Sinodo voi dovete provvedere delle sedi vacanti. Questo da secoli è uno dei compiti principali dei sinodi (cfr. Conc. Nic. I, can. 4). Questa responsabilità è strettamente legata all'unità e alla concordia della Chiesa, perché si tratta di scegliere coloro che dovranno guidare i fedeli affidati alla loro sollecitudine pastorale nel cammino della fede "trasmessa ai credenti una volta per tutte" (Conc. Nic. I, can. 3), e nel progresso della vita cristiana.

Nella prospettiva di questo apostolato essenziale, voi pensate naturalmente ai vostri primi collaboratori, i sacerdoti, come pure ai seminaristi che si preparano a raggiungerli. Abbiate cura di sviluppare in loro il "sensus Ecclesiae", così profondamente radicato nella spiritualità armena, e, in generale, una formazione solida ed equilibrata è ancor più necessaria per i sacerdoti che, molto spesso, devono conservare e trasmettere le tradizioni del vostro popolo.

So che voi siete particolarmente preoccupati anche della formazione di laici attivi e responsabili: il vostro venerabile Patriarca l'ha opportunamente sottolineato in una lettera pastorale, poco dopo il Sinodo dei Vescovi dedicato alla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo.


3. Voi dedicate gran parte del vostro Sinodo al rinnovamento della liturgia. Anche in questo vi trovate al cuore della vostra missione e nello spirito del Concilio Vaticano II: "Il Sacro Concilio si propone di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli..., ritiene quindi di doversi interessare in modo speciale della riforma e dell'incremento della liturgia... La liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù" (SC 1 SC 10). E altrove il Concilio ribadisce: "C'è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri" (SC 41).

La partecipazione piena ed attiva di tutti alla celebrazione: ecco il fine del rinnovamento liturgico che voi realizzate con decisione e nella concordia. Seri studi l'hanno preparata. Si trattava di ritrovare in tutta la sua purezza lo spirito originale della vostra liturgia, così profondamente legato al genio del vostro popolo e alla sua cultura. Essa si è formata in questa cultura e, a sua volta, l'ha ispirata e alimentata nel corso del suo sviluppo. Come non ricordare a questo punto san Gregorio di Narek: la sua opera, di ispirazione biblica, ha segnato la vostra liturgia; ma è insieme uno degli esempi più illustri e significativi della poesia armena.

Lavorare per il rinnovamento liturgico non è fare dell'archeologia. Si tratta di rendere alla liturgia le sue forme autentiche e semplici, in armonia con la mentalità del vostro popolo. Se per far questo voi dovete sfrondare degli sviluppi non autentici, risultato di influenze diverse che provengono da tradizioni liturgiche e paraliturgiche estranee alla vostra tradizione armena, è possibile che così facendo, voi dobbiate raddrizzare certe consuetudini popolari.

Lo farete, ne sono certo, con fermezza e delicatezza, avendo anzitutto a cuore la partecipazione piena e attiva di tutti alle celebrazioni perché, con un cuor solo e una sola voce, Dio sia glorificato in armonia attraverso Cristo che la vostra santa liturgia acclama come "Agnello e Pane celeste, Sommo Sacerdote e Vittima, perché lui dona e lui a noi si è donato".


4. L'unità e la concordia, di cui il vostro Sinodo è strumento all'interno della vostra Chiesa armena e cattolica, voi la realizzate anche con tutta la famiglia cattolica partecipando alle assemblee della gerarchia dei diversi paesi del Medio Oriente o alle Conferenze Episcopali dei paesi della vostra diaspora. L'unità e la concordia sono un'esigenza primaria della testimonianza che dobbiamo dare ovunque, ma nel Medio Oriente di oggi è, più che mai, una necessità vitale per i cristiani, non solo per i cattolici. Solo in un accordo costruttivo potranno contribuire con efficacia alla riconciliazione di tutti e al ristabilimento della pace nel mutuo rispetto e nella giustizia per tutti.

Beatitudine, la sua sede è in Libano. L'atroce agonia di questa terra biblica non vi ha permesso di riunire il Sinodo a Bzommar. Nella preghiera, voi portate le sofferenze e le angosce dei vostri numerosi fedeli che avevano trovato rifugio nel paese dei cedri. Il popolo armeno possa brillare per la fede e le opere e possa portare il suo specifico contributo alla rinascita del Libano che tutti desiderano e auspicano ardentemente! Voi sapete quanto io stesso sia angosciato per veder continuare la terribile situazione attuale, quanto io desideri contribuire ad affrettare il ritorno alla pace in un Libano in cui i diversi gruppi che costituiscono la Nazione si possano ritrovare di nuovo in una fraterna collaborazione e una sana emulazione in vista del bene comune e in amicizia con i paesi vicini.

Intensifichiamo la nostra supplica all'Agnello immolato, al Signore della storia, affinché cambiando il cuore degli uomini, egli possa realizzare ciò che i nostri sforzi non sono riusciti a fare fino al presente.


5. Vorrei ricordare anche, cari fratelli, la grande prova del terremoto per gli Armeni nella Repubblica d'Armenia. Questo tragico avvenimento è stata l'occasione per un grande slancio di solidarietà cristiana, segno di una vera carità disinteressata. Ho chiesto al Cardinal Etchegaray, presidente di "Co Unum", di coordinare gli aiuti cattolici e vedo con piacere che questa azione di soccorso continua metodicamente, in collaborazione con altre organizzazioni cristiane e in stretto legame con il Cattolicossato di Etchmiadzina. Durante la recente riunione del Comitato centrale del consiglio ecumenico delle Chiese, il rappresentante di sua santità Vasken I ha dichiarato pubblicamente la sua gratitudine per l'aiuto ricevuto dalla Chiesa cattolica attraverso la Caritas internazionale.

Lei stesso, beatitudine, ha fatto visita a sua santità Vasken I e l'accoglienza fraterna ricevuta ha aiutato a prendere atto con più esattezza dei bisogni immensi della ricostruzione e le ha consentito di assumere delle responsabilità precise in questo immenso sforzo. Mi auguro che questa solidarietà, al di là dei risultati concreti, possa far progredire tutti gli Armeni verso la piena comunione ritrovata. Durante i secoli di prova, la Chiesa è stata insieme il cuore e l'ossatura della Nazione. La sua unità deve essere un fattore decisivo per l'avvento di giorni migliori. Conosco, beatitudine, le relazioni fraterne che avete con i cattolici di Antelias, sua santità Karekine II Sarkissian, che ho avuto la gioia di ricevere a Roma. So anche che uno dei Vescovi del vostro Sinodo è Presidente della commissione ecumenica della Conferenza Episcopale di Turchia e ha rapporti fraterni con il Patriarca Snork Kalustian, cui ho fatto visita nel mio indimenticabile viaggio a Istanbul. Questi, tra gli altri, sono segni dell'azione dello Spirito che raduna il suo popolo. Chiediamogli di concedere a tutti e ciascuno di essere attenti a "ciò che dice alle Chiese" (Ap 2,7) e docili alla sua ispirazione.


6. Attraverso voi venerabili fratelli, vedo tutto il popolo da voi rappresentato: un popolo che ha dovuto affrontare sofferenze e prove terribili. Desidero confermarvi la mia comprensione. Ma, al di là degli avvenimenti che tutti gli Armeni ben ricordano, tocca in particolare ai cristiani operare senza tregua perché i pregiudizi, l'odio e il risentimento non prevalgano sull'impegno di tanti uomini di buona volontà per una riconciliazione autentica tra i popoli e i gruppi.

La vera pace dipende dal perdono delle offese e dalla collaborazione di tutti perché mai più si ripetano delle tragedie indegne dell'uomo.

Questi sono gli auspici che formulo per voi, cari fratelli, per la Chiesa armena cattolica e per tutti i popoli in cui vivete.

Portate ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose e ai fedeli delle vostre comunità il saluto affettuoso del successore di Pietro.

Prego il Signore di accordare a tutti la grazia della sua benedizione.

1989-08-26

Sabato 26 Agosto 1989




Messaggio alla Conferenza Episcopale Polacca per il cinquantesimo anniversario dell'inizio della seconda guerra mondiale - Castel Gandolfo (Roma)

"I tu oredzie nasze"



1. "...E allora il nostro messaggio raggiunge il suo vertice - disse il Papa Paolo VI, il 4 ottobre del 1965, all'assemblea dell'Organizzazione delle Nazioni Unite - ...Voi attendete da noi questa parola che non può svestirsi di gravità e di solennità: non gli uni contro gli altri, non più, non mai... Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine di questa istituzione. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell'intera umanità" ("Allocutio ad Nationum Unitarum Legatos", die 4 oct. 1965: AAS 57 [1965] 881).


2. Il 10 settembre 1989 ricorre il cinquantesimo anniversario dello scoppio della seconda guerra mondiale. Quando, nelle prime ore del mattino di quel giorno, la Polonia fu assalita dal confine occidentale, tutto il popolo fu pronto a rispondere a quell'invasione armata, affrontando la guerra in difesa della Patria mortalmente minacciata.

Erano passati allora poco più di venti anni dal momento in cui la Polonia aveva riacquistato l'indipendenza ed aveva potuto ricominciare una vita autonoma come Stato sovrano. Ed anche in tal periodo, relativamente breve, essa aveva incontrato molte difficoltà sia interne che esterne sulla via del suo sviluppo, tuttavia questo progrediva palesemente. Decisa fu perciò la volontà di difendere la Patria, anche se le forze erano disuguali. Degno di ammirazione e di eterno ricordo è stato questo slancio senza eguali di tutta la società, e particolarmente della generazione giovane dei Polacchi, in difesa della Patria e dei suoi valori essenziali.

Questa volontà di difendere l'indipendenza dello Stato accompagno i figli e le figlie della nostra Nazione non solo nel Paese occupato, ma anche su tutti i fronti del mondo, dove i Polacchi si batterono per la libertà propria ed altrui. Infatti la guerra, iniziata il 1° settembre, si allargo ben presto ad altri paesi europei ed extraeuropei. Nuovi popoli furono vittime dell'invasione hitleriana, o si trovarono esposti ad una radicale minaccia. Nel corso di quella guerra, che apparve subito come una difesa irrinunciabile dell'Europa e della sua civiltà dinanzi alla prepotenza totalitaria, il popolo polacco adempi pienamente - si può dire, anzi, in modo sovrabbondante - i suoi impegni di alleato, pagando il più alto prezzo per la "libertà nostra e vostra".

Ne rendono testimonianza anche le perdite subite. Esse sono state immense, forse molto più grandi delle perdite di qualsiasi altro paese alleato: soprattutto le perdite di uomini e, in pari tempo, l'enorme distruzione del Paese, tanto nella sua parte occidentale che in quella orientale. Infatti è noto che, il 17 settembre 1939, la Polonia fu invasa pure dal confine orientale. I trattati di non aggressione, precedentemente firmati, furono violati e cancellati dall'accordo del 23 agosto 1939 tra il Reich tedesco e l'Unione Sovietica. Quell'accordo, che viene definito come il "quarto smembramento della Polonia", sentenzio in pari tempo la condanna a morte dei paesi baltici, confinanti a Nord con la Polonia.

La dimensione delle perdite subite ed ancor più la dimensione delle sofferenze inflitte alle persone, alle famiglie, alle comunità è veramente difficile da calcolare. Molti fatti sono noti, molti altri devono essere ancora messi in luce. La guerra si svolse non solo al fronte ma, in quanto guerra totale, colpi le intere società. Interi ambienti furono deportati. Migliaia di persone diventarono vittime delle prigioni, di torture e di esecuzioni capitali. Gli uomini morivano al di fuori delle operazioni belliche, come vittime dei bombardamenti e del terrore sistematico, il cui strumento organizzato furono i campi di concentramento, formalmente finalizzati al lavoro, ma trasformati in realtà in campi di morte. Un crimine particolare della seconda guerra mondiale rimane lo sterminio massiccio degli Ebrei, destinati alle camere a gas a motivo dell'odio razziale.

Quando tutto ciò ci si presenta davanti agli occhi, le parole di Paolo VI all'assemblea delle Nazioni Unite assumono il loro pieno significato. Anzi, la realtà storica della seconda guerra mondiale è più terribile di qualsiasi termine, con cui si possa definire.


3. Ma occorre parlarne? Essendo passati cinquant'anni dallo scoppio di tale guerra, la generazione che l'ha sperimentata e sofferta vive ancora. Intanto, pero, sono cresciute almeno due generazioni, per le quali essa è soltanto un capitolo di storia. Bisogna far si che quel tragico evento non cessi di essere un'avvertimento.

Le Nazioni Unite hanno mostrato di rendersene conto, pubblicando, subito dopo la conclusione della guerra, "La carta dei diritti dell'uomo". L'eloquenza di quel documento è fondamentale. La seconda guerra mondiale ha reso tutti consapevoli della dimensione, fino allora sconosciuta, a cui può giungere il disprezzo dell'uomo e la violazione dei suoi diritti. Essa ha compiuto una mobilitazione inaudita dell'odio, che ha calpestato l'uomo e tutto ciò che è umano nel nome di un'ideologia imperialistica.

Molti si sono posti la domanda se, dopo quella terribile esperienza, fosse ancora possibile avere una certezza.

Infatti, le mostruosità di quella guerra si manifestarono in un continente, che si vantava di una particolare fioritura di cultura e di civiltà; nel continente che più a lungo è rimasto nel raggio del Vangelo e della Chiesa.

Veramente, è difficile continuare il cammino avendo dietro di noi questo terribile calvario degli uomini e delle nazioni. Rimane un solo punto di riferimento: la Croce di Cristo sul Golgota, di cui l'Apostolo delle genti dice: "Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" (Rm 5,20).

Guidata da questa fede, la Chiesa, insieme con gli uomini del nostro secolo, con i popoli dell'Europa e del mondo, cerca di trovare la via verso il futuro.


4. La ricerca di questa via riguarda tutti gli abitanti del continente europeo.

Riguarda in modo particolare la Polonia, che cinquant'anni fa, per prima, cerco di dire decisamente "no" alla prepotenza armata dello Stato hitleriano - e pago per prima per questa sua determinazione. Su tutti i fronti, ed anche nella lotta partigiana condotta in Patria, nell'insurrezione di Varsavia, i figli e le figlie della nostra Nazione, hanno dato innumerevoli prove di quanto preziosa fosse per loro la causa dell'indipendenza della Patria. Dopo la conclusione di quella terribile lotta, essi furono costretti a porsi la domanda se le decisioni prese alla fine del conflitto rispettassero l'ingente contributo dei loro sforzi e dei sacrifici subiti; se, pur trovandosi dalla parte dei vincitori, non fossero stati trattati piuttosto come vinti? Tale domanda divento sempre più insistente, spingendo con sempre maggiore forza ad intraprendere nuove lotte. Infatti non è vera sovranità quella di uno Stato nel quale la società non è sovrana: quando cioè questa non ha la possibilità di decidere del bene comune, quando le viene negato il diritto fondamentale della partecipazione al potere e alle responsabilità.

Pio XII, nel delineare i principi morali ai quali avrebbe dovuto ispirarsi il mondo dopo la conclusione della guerra, sottolineo con forza che "nel campo di un nuovo ordinamento fondato sui principi morali, non vi è posto per la lesione della libertà, dell'integrità e della sicurezza di altre Nazioni, qualunque sia la loro estensione territoriale o la loro capacità di difesa".

Passando poi all'ambito economico tale Papa ricordo i diritti delle Nazioni "alla tutela del loro sviluppo economico giacché soltanto in tale guisa potranno conseguire adeguatamente il bene comune, il benessere materiale e spirituale del proprio popolo" ("Nuntius radiophonicus", die 24 dec. 1941: AAS 34 [1942], 16-17).

E' difficile resistere alla convinzione che i decenni del dopoguerra non abbiano portato con sè la crescita e il progresso tanto desiderati dalla nazione polacca, e tanto necessari alla Patria dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale, ma piuttosto abbiano provocato una grande crisi socio-economica e nuove perdite - non più sui fronti della lotta armata - ma sul fronte pacifico della lotta per il futuro migliore della Patria, per il posto che le compete tra le nazioni e gli Stati dell'Europa e del mondo.


5. Mi permetto di ritornare ancora una volta alle parole di Paolo VI. Vi ho fatto riferimento già per due volte, durante le mie visite alla Polonia (2 giugno 1979 e 17 giugno 1983). Le ripeto ancora una volta nel contesto attuale. Quel Pontefice disse: "Una Polonia prospera e serena è... nell'interesse della tranquillità e della buona collaborazione fra i popoli d'Europa".

Queste parole sono indirizzate ai Polacchi. Dipende sicuramente e in misura determinante dai Polacchi, se la Polonia sarà "prospera e serena"; se sarà il Paese di un multiforme progresso; se ricupererà il ritardo, non soltanto economico, che è frutto amaro del sistema che ha esercitato il potere; se sarà capace di ricostruire nei milioni dei suoi cittadini, particolarmente dei giovani, la fiducia nel proprio futuro. Tutto questo dipende dai Polacchi.

Ma le parole di Paolo VI sono indirizzate anche a tutta l'Europa: Oriente ed Occidente.

Nessuno può cancellare le tracce della responsabilità, che in modo così terribile hanno pesato sulla storia della nostra Nazione e delle altre nazioni d'Europa.

La comune decisione dell'agosto 1939, l'accordo firmato dal Reich tedesco e dall'Unione Sovietica, che condannava a morte la Polonia ed altri paesi, non fu un avvenimento senza precedenti. Si ripetè allora ciò che già una volta era stato decretato, alla fine del secolo XVIII, in Occidente, dai nostri vicini, e che fu programmaticamente mantenuto fino agli inizi di questo secolo. Intorno alla metà del nostro secolo si è ripetuta la stessa decisione di distruzione e di sterminio.

Le nazioni europee non se ne possono dimenticare. Particolarmente in questo continente, del quale è stato detto che è l'"Europa delle patrie", non si possono dimenticare i fondamentali diritti sia dell'uomo che della nazione! E occorre costruire un sistema di forze tale che nessuna supremazia economica o militare possa distruggere un altro paese, e conculcarne i diritti.


6. "Arriverà mai il mondo a cambiare la mentalità particolaristica e bellicosa, che finora ha tessuto tanta parte della sua storia?" - si chiedeva Paolo VI nel suo discorso all'Organizzazione delle Nazioni Unite. E rispondeva: "E' difficile prevedere; ma è facile affermare che alla nuova storia, quella pacifica, quella veramente e pienamente umana, quella che Dio ha promesso agli uomini di buona volontà, bisogna risolutamente incamminarsi" ("Allocutio ad Nationum Unitarum Legatos", die 4 oct. 1965: AAS 57 [1965] 882).

Si può dire che l'Europa - nonostante le apparenze - non è ancora guarita dalle ferite riportate nel corso della seconda guerra mondiale. Perché questo avvenga sono necessari un enorme sforzo e una forte volontà in Oriente e in Occidente; è necessaria una vera solidarietà.

Nelle mani della Conferenza Episcopale Polacca pongo, per il giorno 1° settembre 1989, questi auguri per la nostra Patria.


7. In questo giorno le comunità credenti, in Europa e nel mondo, si riuniranno in preghiera. Quanti uomini dovranno essere abbracciati da questa preghiera, riportando alla memoria le loro sofferenze e le loro offerte, i loro sacrifici e soprattutto la loro morte! E non ci sono solo quelli che hanno subito sofferenze e morte; ci sono anche coloro che le hanno inflitte, coloro che hanno una enorme responsabilità per gli orrori di questa guerra. Una responsabilità con cui vanno tutti dinanzi al giudizio di Dio.

Quanti uomini, quanti milioni di esseri umani deve realmente abbracciare la nostra preghiera in questo giorno?! Li possiamo paragonare a quella "moltitudine immensa" (cfr Ap 7,9) vista da san Giovanni nell'Apocalisse? Questa "visione" dell'Apocalisse non è unicamente soggetta alla legge della distruzione e della morte. Poiché in essa è presente "il Sangue dell'Agnello" (cfr Ap 7,14). Il sangue che opera con la potenza della Redenzione, più grande di qualsiasi potenza della distruzione e del male nella storia dell'uomo sulla terra.

Riuniti in preghiera nel giorno che ci ricorda il cinquantesimo anniversario delle grandi distruzioni della seconda guerra mondiale, non cessiamo quindi di ripensare alle parole ispirate da Dio: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5).

Con queste parole Cristo ricorda alle generazioni sempre nuove la verità della sua Pasqua salvifica.

Questi pensieri, questa preghiera, e una viva speranza depongo nelle mani materne della Regina della Polonia di Jasna Gora, nella quale Dio ci ha dato un "meraviglioso aiuto e difesa".

Dal Vaticano, il 26 agosto 1989, solennità della beata Vergine Maria di Czestochowa.

1989-08-26

Sabato 26 Agosto 1989




Lettera apostolica in occasione del cinquantesimo dell'inizio della seconda guerra mondiale - Castel Gandolfo (Roma)

"Tu m'as mis au trefonds"



1. Ai miei fratelli nell'Episcopato, ai sacerdoti e alle famiglie religiose, ai figli e alle figlie della Chiesa, i governanti, a tutti gli uomini di buona volontà.

L'ora delle tenebre "Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell'ombra di morte" (Ps 88,7). Quante volte questo grido di sofferenza si è dovuto levare dal cuore di milioni di donne e di uomini che, dal 1° settembre 1939 alla fine dell'estate 1945, sono stati scossi da una delle tragedie tra le più devastanti e tra le più disumane della nostra storia! Mentre l'Europa era ancora sotto il trauma dei colpi di forza, che erano stati perpetrati dal Reich e che avevano condotto all'annessione dell'Austria, allo smembramento della Cecoslovacchia e alla conquista dell'Albania, il primo giorno del mese di settembre 1939, la Polonia si vedeva invasa ad Occidente dalle truppe tedesche e, il 17 dello stesso mese, ad Oriente dall'Armata Rossa. La distruzione dell'esercito polacco e il martirio di un intero popolo dovevano purtroppo essere il preludio alla sorte che sarebbe stata ben presto riservata a numerosi popoli europei e, successivamente e nella maggior parte dei cinque continenti, a molti altri.

Infatti, sin dal 1940 i Tedeschi occuparono la Norvegia, la Danimarca, l'Olanda, il Belgio e metà della Francia. Durante quel periodo, l'Unione Sovietica, già ampliatasi con una parte della Polonia, si annetteva l'Estonia, la Lettonia e la Lituania e toglieva sia la Bessarabia alla Romania che alcuni territori alla Finlandia.

Poi, come un fuoco distruttore che si propaga, la guerra e i drammi umani, che inesorabilmente l'accompagnano. cominciarono a debordare rapidamente dalle frontiere del "vecchio continente" per divenire "mondiali". Da una parte, la Germania e l'Italia portarono i combattimenti oltre i Balcani e nell'Africa mediterranea, e, dall'altra, il Reich invase improvvisamente la Russia. Infine, nel distruggere Pearl-Harbour, i Giapponesi spinsero gli Stati Uniti d'America in guerra a fianco della Gran Bretagna. Terminava l'anno 1941.

Fu necessario attendere il 1943, con il successo della controffensiva russa che libero la città di Stalingrado dalla morsa tedesca, perché si producesse una svolta nella storia della guerra. Le forze alleate da una parte e le truppe sovietiche dall'altra riuscirono, al prezzo di combattimenti accaniti che, dall'Egitto a Mosca, inflissero sofferenze indicibili a milioni di civili indifesi, a sconfiggere la Germania. Questa, l'8 maggio 1945, offerse la propria incondizionata capitolazione.

Ma la lotta continuo nel Pacifico, Per affrettarne il termine, due bombe atomiche, all'inizio del mese di agosto dello stesso anno, furono lanciate sulle città giapponesi di Hiroshima e di Nagasaki. All'indomani di questo spaventoso avvenimento, il Giappone presento a sua volta la domanda di capitolazione. Era il 10 agosto 1945.

Nessun'altra guerra ha talmente meritato il nome di "guerra mondiale".

Essa fu pure totale, infatti non è possibile dimenticare che alle operazioni militari terrestri si aggiunsero combattimenti aerei e navali in tutti i cieli e i mari del globo. Intere città furono soggette a distruzioni impietose, che immersero popolazioni terrorizzate nell'angoscia e nella miseria. Roma stessa fu minacciata e l'intervento di Papa Pio XII evito all'"Urbe" di diventare un campo di battaglia.

Ecco il buio quadro degli avvenimenti dei quali oggi facciamo memoria.

Questi fatti provocarono la morte di cinquantacinque milioni di persone, lasciarono i vincitori divisi e l'Europa da ricostruire.

Ricordarsi


2. Cinquant'anni dopo, abbiamo il dovere di ricordarci davanti a Dio di quei fatti drammatici, per onorare i morti e per compiangere tutti quelli che questo dilagare di crudeltà, ha feriti nel cuore e nel corpo, completamente perdonando le offese.

Nella mia sollecitudine per tutta la Chiesa e nella mia attenzione al bene dell'intera umanità, non potevo lasciar trascorrere questo anniversario senza invitare i fratelli nell'Episcopato, i sacerdoti, i fedeli come pure tutti gli uomini di buona volontà a riflettere sul processo che ha condotto tale conflitto sino agli abissi della disumanità e della desolazione.

Sento, infatti il dovere di ricavare una lezione da quel passato perché non si possa mai più rinnovare il fascio di cause capaci di innescare nuovamente un'analoga conflagrazione.

E' ormai noto per esperienza che la divisione arbitraria di nazioni, lo spostamento forzato di popolazioni, il riarmo senza limiti, l'uso incontrollato di armi sofisticate, la violazione dei diritti fondamentali delle persone e dei popoli, la non osservanza delle regole di comportamento internazionale come l'imposizione di ideologie totalitarie non possono che condurre alla rovina dell'umanità.

Azione della Santa Sede


3. Dall'inizio del suo pontificato, il 2 marzo 1939, Papa Pio XII non manco di lanciare un appello per la pace, che tutti erano concordi nel considerare seriamente minacciata. Alcuni giorni prima dello scoppio delle ostilità, il 24 agosto 1939, egli pronuncio delle parole premonitrici, l'eco delle quali riecheggia ancora: "Un'ora grave suona nuovamente per la grande famiglia umana (...). Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace.

Tutto può esserlo con la guerra" ("Nuntius radiophonicus", die 24 aug. 1939: "AAS 31 [1939] 333-334).

Purtroppo l'avvertimento di quel grande Pontefice non fu affatto ascoltato e il disastro arrivo. Non avendo potuto contribuire ad evitare la guerra, la Santa Sede si sforzo - nei limiti dei suoi mezzi - di circoscriverne l'estensione. Il Papa ed i suoi collaboratori vi lavorarono incessantemente, sia a livello diplomatico che nell'ambito umanitario, senza lasciarsi trascinare a schierarsi da una parte o dall'altra, in un conflitto che opponeva popoli di ideologie e religioni differenti. In questo lavoro la loro preoccupazione fu anche quella di non aggravare la situazione e di non compromettere la sicurezza delle popolazioni sottomesse a prove non comuni. Ascoltiamo ancora Papa Pio XII, quando a proposito di ciò che accadeva in Polonia, dichiaro: "Noi dovremmo dire parole di fuoco contro simili cose, e la sola ragione che ce ne dissuade è di sapere che, se parlassimo, renderemmo ancora più dura la condizione di quegli sfortunati" ("Actes et Documenta du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale", 1970, vol. 1P 455).

Alcuni mesi dopo la conferenza di Yalta (4-11 febbraio 1945) e all'indomani della fine della guerra in Europa, lo stesso Papa, indirizzandosi - il 2 giugno 1945 - al sacro Collegio, non manco di rivolgere la propria attenzione al futuro del mondo e di perorare la vittoria del diritto: "Le Nazioni, segnatamente quelle medie e piccole, reclamano che sia loro dato di prendere in mano i propri destini. Esse possono essere condotte a contrarre, con il loro pieno gradimento, nell'interesse del progresso comune, vincoli che modifichino i loro diritti sovrani. Ma dopo aver sostenuto la loro parte, la loro larga parte, di sacrifici per distruggere il sistema della violenza brutale, esse sono nel diritto di non accettare che venga loro imposto un nuovo sistema politico o culturale che la grande maggioranza delle loro popolazioni recisamente respinge (...). Nel fondo della loro coscienza i popoli sentono che i loro reggitori si screditerebbero se, al folle delirio di un'egemonia della forza, non facessero seguire la vittoria del diritto" (AAS 37 [1945] 166).

L'uomo disprezzato


4. Questa "vittoria del diritto" resta la miglior garanzia del rispetto delle persone. Ora, quando ci si volge a quei sei, terribili anni, non si può che essere giustamente inorriditi per il disprezzo di cui l'uomo e stato oggetto.

Alle rovine materiali, all'annientamento delle risorse agricole e industriali dei paesi devastati da combattimenti e distruzioni, che sono giunte sino all'olocausto nucleare di due città giapponesi, si sono aggiunti massacri e miseria.

Penso, in particolare, alla sorte crudele che fu inflitta alle popolazioni delle grandi pianure dell'Est. Io stesso ne sono stato lo scosso testimone a fianco dell'Arcivescovo di Cracovia monsignor Adam Stefan Sapieha. Le disumane richieste dell'occupante del momento hanno colpito in modo brutale gli oppositori e le persone sospette, mentre le donne, i bambini ed i vecchi erano sottomessi a costanti umiliazioni.

Non si può neppure dimenticare il dramma causato dallo spostamento forzato di popolazioni, che furono gettate sulle strade d'Europa, esposte ai pericoli, in cerca di un rifugio e di mezzi per vivere.

Una speciale menzione deve essere, altresi, fatta per i prigionieri di guerra che, nell'isolamento, nella spoliazione e nell'umiliazione, hanno anch'essi pagato, dopo l'asprezza dei combattimenti, un altro pesante tributo.

E' doveroso infine ricordare che la creazione di governi imposti dall'occupante negl Stati dell'Europa centrale e orientale è stata accompagnata da misure repressive ed anche da una moltitudine di esecuzioni capitali, per sottomettere le popolazioni refrattarie.

Le persecuzioni contro gli Ebrei


5. Ma, fra tutte quelle misure antiumane, ve ne è una che resta per sempre una vergogna per l'umanità: la barbarie pianificata che si è accanita contro il popolo ebraico.

Oggetto della "soluzione finale" pensata da un'ideologia aberrante, gli Ebrei sono stati sottomessi a privazioni e brutalità a malapena descrivibili.

Perseguitati inizialmente mediante misure vessatorie o discriminatorie, essi, poi, finirono a milioni nei campi di sterminio.

Gli Ebrei in Polonia, più di altri, hanno vissuto quel calvario: le immagini dell'assedio del ghetto di Varsavia, come le notizie apprese sui campi di concentramento di Auschwitz, di Majdanek o di Treblinka superano quanto si può umanamente concepire.

Va pure ricordato che questa follia omicida si è abbattuta su molti altri gruppi, che avevano il torto di essere "differenti" o ribelli alla tirannia dell'occupante.

In occasione di questo doloroso anniversario, faccio appello ancora una volta a tutti gli uomini, invitandoli a superare i pregiudizi ed a combattere tutte le forme di razzismo, accettando di riconoscere in ogni persona umana la dignità fondamentale e il bene che vi dimorano, a prendere sempre più coscienza di appartenere ad un'unica famiglia umana voluta e riunita da Dio.

Desidero qui ridire con forza che l'ostilità o l'odio verso l'ebraismo sono in completa contraddizione con la visione cristiana della dignità dell'uomo.

Le prove della Chiesa cattolica


6. Il nuovo paganesimo e i sistemi, che gli erano connessi, si accanivano certamente contro gli Ebrei, ma si indirizzavano del pari contro il cristianesimo, il cui insegnamento aveva formato l'anima dell'Europa. Mediante la persecuzione del popolo, da cui "proviene Cristo secondo la carne" (Rm 9,5), il messaggio evangelico della pari dignità di tutti i figli di Dio veniva schernito.

Il mio predecessore, il Papa Pio XI mostro la consueta lucidità quando, nell'enciclica "Mit brennender Sorge", dichiaro: "Chiunque eleva la razza o il popolo, o lo Stato o una delle sue forme determinate, i depositari del potere o di altri elementi fondamentali della società umana (...) a regola suprema di tutto, anche dei valori religiosi, e li divinizza con un culto idolatrico, questi perverte ed altera l'ordine delle cose creato e voluto da Dio" ("Mit Brennender Sorge", die 14 mar. 1937; AAS 29 [1937] 149 et 171).

Questa pretesa dell'ideologia del sistema nazionalsocialista non risparmio le Chiese, e la Chiesa cattolica in particolare la quale, prima e durante il conflitto, conobbe anch'essa la passione. La sua sorte non è stata certamente migliore nelle contrade, dove si impose l'ideologia marxista del materialismo dialettico.

Tuttavia, dobbiamo rendere grazie a Dio per i numerosi testimoni, noti e ignoti, che - in quelle ore di tribolazione - hanno avuto il coraggio di professare intrepidamente la fede, che hanno saputo ergersi contro l'arbitrio ateo e che non si sono piegati sotto la forza.

Totalitarismo e religione


7. Infatti, in ultima analisi, il paganesimo nazista e il dogma marxista hanno in comune il fatto di essere delle ideologie totalitarie, con una tendenza a divenire delle religioni sostitutive.

Già ben prima del 1939, in certi settori della cultura europea appariva una volontà di cancellare Dio e la sua immagine dall'orizzonte dell'uomo. Si iniziava a indottrinare in tal senso i fanciulli, fin dalla loro più tenera età.

L'esperienza ha sfortunatamente mostrato che l'uomo consegnato al solo potere dell'uomo, mutilato nelle sue aspirazioni religiose, diventa presto un numero o un oggetto. D'altro canto, nessuna epoca dell'umanità è sfuggita al rischio del chiuso ripiegamento dell'uomo su se stesso, in un atteggiamento di orgogliosa sufficienza. Ma tale rischio si è accentuato in questo secolo nella misura in cui la forza delle armi, la scienza e la tecnica hanno potuto dare all'uomo contemporaneo l'illusione di diventare il solo padrone della natura e della storia. Questa è la pretesa che si trova alla base degli eccessi che deploriamo.

L'abisso morale, nel quale il disprezzo di Dio - e quindi dell'uomo - ha cinquant'anni or sono gettato il mondo, ci fa toccare con mano la potenza del "Principe di questo mondo" (Jn 14,30), che può sedurre le coscienze con la menzogna, con il disprezzo dell'uomo e del diritto, con il culto del potere e della potenza.

Oggi noi ricordiamo tutto ciò e meditiamo sugli estremismi, cui può condurre l'abbandono di ogni riferimento a Dio e di ogni legge morale trascendente.

Rispettare i diritti dei popoli


8. Ma quanto è vero per l'uomo è vero anche per i popoli. Commemorare gli avvenimenti del 1939 significa ricordare che l'ultimo conflitto mondiale ha avuto come causa l'annientamento sia dei diritti dei popoli che di quelli delle persone.

L'ho ricordato ieri, indirizzandomi alla Conferenza Episcopale Polacca.

Non c'è pace se i diritti di tutti i popoli - e particolarmente di quelli più vulnerabili - non sono rispettati! L'intero edificio del diritto internazionale poggia sul principio dell'uguale rispetto degli Stati, del diritto all'autodeterminazione di ciascun popolo e della libera cooperazione in vista del superiore bene comune dell'umanità.

E' essenziale che oggi situazioni analoghe a quella della Polonia del 1939, devastata e frantumata a piacimento da invasori senza scrupoli, non si riproducano più. A tal riguardo non si può impedire di pensare ai paesi, che non hanno ancora ottenuto la loro piena indipendenza, ed a quelli che sono sotto la minaccia di perderla. In tale contesto e in questi giorni è necessario evocare il caso del Libano, dove forze congiunte, che perseguono loro propri interessi, non esitano a mettere in pericolo l'esistenza stessa di una nazione.

Non dimentichiamo che l'Organizzazione delle Nazioni Unite è nata, dopo il secondo conflitto mondiale, quale strumento di dialogo e di pace, fondato sul rispetto della eguaglianza dei diritti dei popoli.

Il disarmo


9. Ma una delle condizioni essenziali di questo "vivere insieme" è il disarmo.

Le terribili prove subite dai militari e dalle popolazioni civili, al tempo dell'ultimo conflitto mondiale, non possono che incitare i responsabili delle nazioni a fare tutto il possibile perché senza tardare si arrivi all'elaborazione di processi di cooperazione, di controllo e di disarmo, che rendano la guerra impensabile. Chi oserebbe giustificare ancora l'uso delle armi più crudeli, che uccidono gli uomini e distruggono le loro realizzazioni, per risolvere le vertenze tra gli Stati? Come ho avuto occasione di dire: "La guerra è in sè irrazionale e (...) il principio etico del regolamento pacifico dei conflitti è la sola via degna dell'uomo" ("Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro a. D. 1984", 4, die 8 dec. 1983: , VI, 2 [1983] 1278).

E' per questo che noi non possiamo che accogliere con favore i negoziati in corso per il disarmo nucleare e convenzionale come per la messa al bando totale delle armi chimiche ed altre. La Santa Sede a più riprese ha dichiarato che stima necessario che le parti giungano almeno ad un livello di armamento che sia il più basso possibile compatibilmente con le loro esigenze di sicurezza e di difesa.

Questi passi promettenti avranno tuttavia possibilità di successo solamente nel caso siano sostenuti e accompagnati da una volontà di intensificare in pari modo la cooperazione negli altri ambiti, specificatamente quelli economici e culturali. L'ultima riunione della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, tenutasi recentemente a Parigi sul tema della "dimensione umana", ha registrato l'auspicio, espresso da paesi delle due parti d'Europa, di veder instaurato ovunque il regime dello Stato di diritto. Questa forma di Stato appare, infatti, come il migliore garante dei diritti della persona, ivi compreso il diritto alla libertà religiosa, il cui rispetto e un elemento insostituibile della pace sociale e internazionale.

Educare le giovani generazioni 10. Edotti dagli errori e dalle deviazioni del passato, gli Europei d'oggi hanno ormai il dovere di trasmettere alle giovani generazioni uno stile di vita e una cultura ispirata dalla solidarietà e dalla stima per l'altro. A tal riguardo, il cristianesimo, che ha forgiato così profondamente i valori spirituali di detto continente, dovrebbe essere una fonte di costante ispirazione: la sua dottrina sulla persona creata ad immagine di Dio non può che contribuire allo sviluppo di un umanesimo rinnovato.

Nell'inevitabile dibattito sociale, dove si affrontano differenti concezioni della società, gli adulti devono darsi l'esempio del rispetto reciproco, sapendo sempre riconoscere la parte di verità che è nell'altro.

In un continente con non pochi contrasti, bisogna che le persone, le etnie ed i paesi di cultura, di credenza o di sistema sociale differenti reimparino incessantemente la mutua accettazione.

Gli educatori ed i mass-media hanno a tal riguardo un ruolo fondamentale. Purtroppo è giocoforza costatare che l'educazione al rispetto della dignità della persona creata a immagine di Dio non è certamente favorita dagli spettacoli di violenza o di depravazione che troppo frequentemente sono diffusi dai mezzi di comunicazione sociale: le giovani coscienze in via di formazione ne sono turbate e il senso morale degli adulti ne è ottenebrato.

Moralizzare la vita pubblica 11. La vita pubblica, in effetti, non può prescindere dai criteri etici. La pace si propaga in primo luogo sul terreno dei valori umani, vissuti e trasmessi dai cittadini e dai popoli. Quando si sfilaccia il tessuto morale di una nazione, tutto e da temere.

La vigile memoria del passato dovrebbe rendere i nostri contemporanei attenti agli abusi sempre possibili nell'esercizio della libertà, che la generazione di quest'epoca ha conquistato al prezzo di molti sacrifici.

L'equilibrio fragile della pace potrebbe essere compromesso qualora nelle coscienze si risveglino mali come l'odio razziale, il disprezzo per lo straniero, la segregazione del malato o del vecchio, l'emarginazione del povero, il ricorso alla violenza privata e collettiva.

Spetta ai cittadini il saper distinguere tra le proposte politiche quelle che si ispirano alla ragione ed ai valori morali, ed è compito degli Stati il vigilare a che siano bloccate le cause dell'esasperazione o dell'insofferenza di uno o dell'altro gruppo svantaggiato della società.

Appello all'Europa 12. A voi, uomini di governo e responsabili delle nazioni, ridico ancora una volta la mia profonda convinzione che il rispetto di Dio e il rispetto dell'uomo vanno di pari passo. Essi costituiscono il principio assoluto che permetterà agli Stati e ai blocchi politici di andare oltre i loro antagonismi.

Non possiamo dimenticare, in particolare, l'Europa dove è nato quel terribile conflitto e che per sei anni ha vissuto una vera "passione", che l'ha rovinata e resa esangue. Sin dal 1945, siamo testimoni e attori di lodevoli sforzi condotti felicemente a termine in vista della sua ricostruzione materiale e spirituale.

Ieri, questo continente ha esportato la guerra; oggi gli spetta di essere "artefice di pace". Confido che il messaggio di umanesimo e di liberazione, eredità della sua storia cristiana, saprà ancora fecondare i suoi popoli e continuerà ad irradiarsi nel mondo.

Si, Europa, tutti ti guardano, coscienti che tu hai sempre qualcosa da dire, dopo il naufragio di quegli anni di fuoco: che la vera civiltà non è nella forza, che essa è frutto della vittoria su noi stessi, sulle potenze dell'ingiustizia, dell'egoismo e dell'odio, che possono giungere sino a sfigurare l'uomo! Indirizzo ai cattolici 13. Terminando, desidero rivolgermi in modo tutto particolare ai pastori e ai fedeli della Chiesa cattolica.

Abbiamo or ora ricordato una delle guerre più omicide della storia, nata in un continente di tradizione cristiana.

Una tale constatazione non può che incitarci ad un esame di coscienza sulla qualità dell'evangelizzazione dell'Europa. La caduta dei valori cristiani, che ha favorito gli errori di ieri, deve renderci vigili circa la modalità con cui oggi il Vangelo è annunciato e vissuto.

Dobbiamo purtroppo osservare che in molti ambiti della sua esistenza l'uomo moderno pensa, vive e lavora come se Dio non esistesse. Esiste qui lo stesso pericolo di ieri: l'uomo consegnato al potere dell'uomo.

Mentre l'Europa si appresta ad assumere un nuovo volto, mentre sviluppi positivi hanno luogo in certi paesi della sua parte centrale ed orientale e mentre i responsabili delle nazioni collaborano sempre più alla soluzione dei grandi problemi dell'umanità, Dio chiama la sua Chiesa a portare il proprio contributo all'avvento di un mondo più fraterno.

Con le altre Chiese cristiane, malgrado la nostra imperfetta unità, noi vogliamo ridire all'umanità d'oggi che l'uomo è vero solo quando si riconosce di Dio, come creatura; che l'uomo è cosciente della sua dignità solo quando riconosce in sè e negli altri l'impronta di Dio che l'ha creato a sua immagine; che egli è grande solo nella misura in cui fa della sua vita una risposta all'amore di Dio e si mette al servizio dei fratelli.

Dio non dispera dell'uomo. Cristiani, neppure noi possiamo disperare dell'uomo, perché sappiamo che egli è sempre più grande dei suoi errori e delle sue colpe.

Ricordandoci della beatitudine un tempo pronunciata dal Signore: "Beati gli operatori di pace" (Mt 5,9), desideriamo invitare tutti gli uomini a perdonare e a mettersi gli uni a servizio degli altri, a causa di colui che, nella sua carne, ha una volta per tutte "ucciso l'odio" (Ep 2,16).

A Maria, regina della pace, affido questa umanità, raccomandando alla sua materna intercessione la storia di cui noi siamo gli attori.

Affinché il mondo non conosca più la disumanità e la barbarie, che l'hanno devastato cinquant'anni fa, annunciamo senza stancarci il "Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione" (Rm 5,11), pegno della riconciliazione di tutti gli uomini tra di loro.

Che la sua pace e la sua benedizione siano con tutti voi! Dal Vaticano, il 27 agosto dell'anno 1989, undicesimo di pontificato.

1989-08-27

Domenica 27 Agosto 1989





GPII 1989 Insegnamenti - Al pellegrinaggio della diocesi di Eisenstadt - Castel Gandolfo (Roma)