GPII 1989 Insegnamenti - Ai partecipanti all'incontro "Les Journées romaines" - Castel Gandolfo (Roma)


Cari fratelli nell'Episcopato, cari amici.

In occasione delle vostre "Journées romaines", sono lieto di ricevervi per condividere un momento le vostre preoccupazioni, il vostro desiderio di essere testimoni del Signore nelle vostre fraterne relazioni quotidiane con i fedeli dell'Islam.

Le vostre situazioni sono diverse. Alcuni fanno parte delle Chiese orientali di cui auspichiamo che continuino a dare a tutta la Chiesa il contributo insostituibile delle loro tradizioni particolari; da diversi secoli, questi cristiani vivono sulle stesse terre dei musulmani. Altri rappresentano delle comunità molto minoritarie in paesi quasi interamente musulmani, dove i cattolici e i membri di altre confessioni cristiane sentono la necessità di una collaborazione ecumenica intensa nelle loro relazioni con il mondo dell'Islam.

Altri ancora vengono da paesi dove, nel corso degli ultimi decenni, numerosi musulmani emigrati sono venuti a vivere e a lavorare.

I vostri incontri sono certo molto utili per mettere in comune le vostre esperienze e progredire nella riflessione, con l'aiuto del pontificio istituto di studi arabi e d'islamitica e di diversi esperti che ringrazio per il loro contributo.

Non posso riassumere qui tutti gli aspetti delle vostre preoccupazioni comuni. Vorrei solamente incoraggiarvi nella messa in atto, di giorno in giorno, degli orientamenti dati dalla dichiarazione conciliare "Nostra Aetate", alla quale occorre sempre fare riferimento. Essenzialmente, voi vi collocate in una prospettiva pastorale, quella della vita e dell'azione ordinaria delle comunità cristiane, dal punto di vista delle relazioni con i vostri compatrioti e i vostri fratelli che appartengono all'Islam. Ne evidenziero tre aspetti.

Il luogo abituale dei vostri incontri è la vita professionale, il lavoro sociale o l'attività educativa. E' qui anzitutto che i cristiani devono mostrarsi fedeli alle esigenze della fede. Spesso discreta, o silenziosa, l'adesione al Vangelo di Cristo deve tuttavia caratterizzare il rapporto con tutti i fratelli, dare profondità e forza alla ricerca della giustizia e della fraternità. In questo spirito, voi vi interrogate sulla possibilità di giungere a un progetto di società comune con i musulmani. Questo presuppone l'esistenza di una reciproca fiducia, e che ci si impegni a farla crescere. Una buona intesa sulla qualità della vita della società può fondarsi solo sul rispetto dell'uomo, immagine di Dio, sul rispetto della sua dignità e dei suoi diritti, e anche sul servizio disinteressato di ciascun uomo in una solidarietà concreta.

D'altra parte, è chiaro - e i vostri incontri ne danno testimonianza - che stare accanto a credenti di un'altra tradizione religiosa costringe a una riflessione continua. E' necessario che i cristiani imparino a conoscere meglio la fede dei loro fratelli e la rispettino. Ed è ugualmente auspicabile che, conoscendo bene la religione dei loro amici, possano aiutarli ad avere una conoscenza migliore del cristianesimo. Solo così potranno essere superati molti pregiudizi. Accenno solo a questa preoccupazione; so che voi lavorate in questo senso; in particolare, voi prendete in considerazione la riflessione portata avanti fin dalle origini del cristianesimo sulla diversità delle tradizioni religiose dell'umanità, e l'approccio rinnovato al dialogo inter-religioso dopo la dichiarazione del Concilio Vaticano II.

Per rimanere nella prospettiva pastorale che vi riguarda direttamente, il terzo aspetto che volevo ricordare è la grande esigenza spirituale che presentano le vostre diverse situazioni. Sarete testimoni autentici della fede, della speranza cristiana, della carità che viene da Dio, solo attraverso una vita di preghiera, l'accoglienza dei doni dello Spirito, la vita liturgica che esprime i vincoli autentici della comunità formata dalle membra del Corpo di Cristo.

L'invito a essere perfetti come il nostro Padre celeste (cfr Mt 5,47) ci viene rivolto dal Vangelo nello stesso contesto in cui ci viene chiesto di essere dei costruttori di pace dal cuore puro, di avere uno spirito da poveri, di essere misericordiosi, di non giudicare i nostri fratelli, di sopportare anche le prove.

Il discorso della montagna di Gesù è il nostro "manifesto" comune, sappiate meditarlo in funzione di quello che vivete.

Auspico ardentemente che, ovunque incontrano i loro fratelli, i figli dell'Islam, i cristiani siano uomini tolleranti, rispettosi, fedeli al Signore morto e risorto per tutti gli uomini. Siano autentici costruttori di pace, nel nome di colui che ci ha lasciato la sua pace nel momento di dare la sua vita per la salvezza di tutti.

Cari amici, i vostri lavori vi siano di aiuto per il vostro ministero e i vostri compiti ecclesiali! Prego il Signore di benedirvi insieme ai vostri fratelli delle Chiese locali cui ritornerete.

1989-09-07

Giovedi 7 Settembre 1989




Lettera apostolica a tutti i Vescovi della Chiesa cattolica sul Libano - Castel Gandolfo (Roma)

"Ancora una volta"



1. Ancora una volta, con la stessa fiducia ma con maggiore tristezza, desidero sollecitare la vostra fraterna solidarietà per i nostri fratelli del Libano, che continuano ad essere vittime di una impietosa violenza, da nessuna causa giustificata.

Di fronte ai ripetuti drammi, che ciascuno degli abitanti di questa terra conosce, noi prendiamo coscienza dell'estremo pericolo che minaccia l'esistenza stessa del Paese: il Libano non può essere abbandonato nella sua solitudine.


2. A partire dall'anno 1975, il Papa Paolo VI, il Papa Giovanni Paolo I ed io stesso sin dall'inizio del mio pontificato non abbiamo risparmiato sforzo alcuno per rendere avvertita l'opinione pubblica sul valore unico del Libano e del suo patrimonio umano e spirituale, per dare sollievo e coraggio ai suoi abitanti sottoposti a violenze di ogni tipo, per favorire una soluzione negoziata delle divergenze, che oppongono tra di loro le parti in conflitto, e per implorare dal Signore la grazia di una pace pazientemente edificata e duratura.


3. In questi ultimi mesi, profondamente scosso dal degrado della situazione e dalla recrudescenza dei combattimenti omicidi, ho voluto sottolineare con molteplici appelli il dovere che noi tutti abbiamo di non dimenticare il Libano e di non assuefarci alle tribolazioni crudeli, che esso sopporta da sin troppo tempo. Non ho esitato nel continuare a bussare a tutte le porte affinché sia posto termine a ciò che è ben doveroso chiamare il massacro di un popolo. E' cosa buona che tutta la Chiesa conosca gli sforzi intrapresi per il salvataggio di uni popolo in pericolo.

Lo scorso 15 maggio ho anche indirizzato un messaggio a numerosi capi di Stato ed ai responsabili di organizzazioni internazionali. Ritenni, infatti, necessario ricordare certe esigenze etiche, alle quali la comunità internazionale è tenuta nei confronti di un Paese che è - a pieno diritto - sua parte, ed è membro fondatore dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e della Lega degli Stati Arabi. A questa linea di condotta si sono aggiunti molteplici contatti bilaterali tra la Santa Sede ed i governi dei paesi che si proclamano amici del Libano o che tradizionalmente intrattengono stretti rapporti con esso. Alcuni di questi scambi di vedute proseguono tuttora.


4. Non è certamente compito del Papa proporre soluzioni tecniche, ma, preoccupato come sono del bene spirituale e materiale di ogni uomo senza distinzione alcuna, sento l'impellente dovere di ribadire certi obblighi che gravano sui responsabili delle nazioni. L'ignorarli può condurre solamente a far vacillare l'ordine delle relazioni internazionali e, una volta ancora, a consegnare l'uomo al solo potere dell'uomo. Non si possono impunemente disprezzare i diritti, i doveri e le regole, che gli attori della vita internazionale hanno elaborato e che hanno sottoscritto, senza che i rapporti tra i popoli ne soffrano, senza che la pace ne sia minacciata, senza che l'uomo finisca con il diventare ostaggio delle ambizioni e degli interessi dei più forti. Ecco perché ho voluto ribadire - e lo ripeto ancora oggi a tutta la Chiesa - che il diritto delle genti e le istituzioni, che ne sono la garanzia, costituiscono punti di riferimento insostituibili quando occorre difendere l'uguale dignità dei popoli e delle persone.


5. Ma ho soprattutto parlato, come Pastore della Chiesa universale, in favore dei cristiani e, naturalmente, dei cattolici in particolare, i quali, a fianco dei fratelli musulmani, vivono e testimoniano in Libano la loro fede.

Non possiamo dimenticare, cari fratelli nell'Episcopato, i legami che ci uniscono a quei fratelli i quali, nella storia lontana e recente, hanno dovuto affermare il loro essere cristiani al prezzo, sovente, di sacrifici eroici. Per loro, oggi assediati dalla violenza delle armi e della parola. la Chiesa tutta intera ha il dovere di "mobilitarsi".

In primo luogo per parlare. Di fronte a un'informazione spesso parziale o superficiale, dobbiamo far conoscere le ricche e secolari tradizioni di collaborazione tra cristiani e musulmani in questo Paese. Si tratta di uno dei fattori caratteristici della società libanese che, fino a poco tempo fa, costituiva un esempio. Una migliore conoscenza reciproca e l'esercizio di un mutuo dialogo per il servizio dell'uomo sono condizioni indispensabili della libertà, della pace e del rispetto per la dignità della persona. Questo pluralismo accettato e vissuto è un valore fondamentale che ha presieduto alla lunga storia del Libano. Per tale motivo, se questo Paese venisse a mancare, la causa stessa della libertà subirebbe uno scacco drammatico.

In secondo luogo per pregare. Noi credenti non abbiamo nessun'altra "arma" che la supplica che eleviamo, dal profondo della nostra afflizione, a colui che ci "ha chiamato dalle tenebre alla sua mirabile luce" (1P 2,9). In questi momenti tragici in cui una parte della famiglia umana e cristiana è minacciata ed è vittima di violenze ingiustificabili, non possiamo che presentare a Dio, Padre di tutti gli uomini, il grido di paura e di disperazione di questi fratelli, che hanno troppo frequentemente la percezione di essere stati abbandonati nel momento stesso in cui il loro Paese è minacciato di annientamento.


6. E' per questa ragione che desidero, cari fratelli, invitare voi e, per il vostro tramite, tutti i figli della Chiesa cattolica ad una giornata universale di preghiera per la pace nel Libano. In Italia, essa avrà luogo il 4 ottobre prossimo, festa liturgica di san Francesco d'Assisi, santo disarmato e pacificatore, che continua ad invitare tutti gli uomini a farsi "strumenti di pace", perché "là dove c'è odio, noi portiamo l'amore". Ogni Chiesa locale avrà cura di scegliere il giorno più indicato per questa preghiera comune, tenendo in considerazione che il 22 novembre viene celebrata la festa nazionale del Libano.

In tal modo sarà tutta la Chiesa - e quanti vorranno associarsi alla nostra iniziativa -, sarà una Chiesa in preghiera, che implorerà dal Padre celeste la pace e la salvezza per il Libano. Anch'io continuo ad affidare al Signore la realizzazione della visita pastorale che ho la ferma intenzione di compiere in questo Paese, come già annunciai il 15 agosto scorso. Mandando ad effetto questa iniziativa spirituale, la Chiesa desidera manifestare al mondo che il Libano è qualcosa di più di un Paese: è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l'Oriente come per l'Occidente!


7. Voglio rendere nota l'orante solidarietà di tutti i fratelli ai figli della Chiesa cattolica, che sono chiamati a vivere la fede e a darne testimonianza in un Paese devastato da prove così crudeli. Non sollecitiamo per loro e con loro privilegio alcuno; chiediamo che continui ad essere loro assicurato il diritto non solo di credere secondo la voce della coscienza, ma anche di praticare il proprio credo e di essere fedeli alle proprie tradizioni culturali al pari dei fratelli musulmani, senza dover temere esclusione o discriminazione nella medesima patria.

Tutti i cattolici condividano la mia preghiera, per domandare al Signore di ispirare pensieri di pace alle diverse parti di questo conflitto! Cari fratelli nell'Episcopato, affido alla vostra sollecitudine pastorale la preparazione e l'organizzazione di questa grande giornata di preghiera per il Libano. La Chiesa così non sarà stata in silenzio: il Papa e i fedeli avranno pregato, parlato e agito perché non siano recise le radici della vita sociale e della cooperazione tra i diversi gruppi del Libano.

La scomparsa del Libano diverrebbe senza alcun dubbio uno dei più grandi rimorsi del mondo. La sua salvaguardia è uno dei compiti più urgenti e più nobili che il mondo contemporaneo deve assumersi.


8. E' a nostra Signora di Harissa che una volta ancora affido le nostre angosce e speranze. Ella sostenga gli afflitti! Dia coraggio a quanti lavorano per la pace! Interceda presso suo Figlio, perché siano trovate soluzioni giuste ed eque ai problemi degli altri popoli del Medio Oriente, anch'essi in cerca di una vita sicura, conforme alle loro aspirazioni! Nel dare appuntamento a voi, cari fratelli nell'Episcopato, come anche ai fedeli affidati alle vostre cure pastorali, per la preghiera comunitaria in favore del Libano e dei suoi figli, supplico il "Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio" (2Co 1,3-4).

Con la mia benedizione apostolica.

Dal Vaticano, il 7 settembre 1989.

1989-09-07

Giovedi 7 Settembre 1989




Appello a tutti musulmani in favore del Libano - Castel Gandolfo (Roma)



1. Il dramma che il popolo del Libano vive mi spinge a rivolgermi a voi. Faccio ciò con fiducia e non a nome di un particolare gruppo o famiglia di pensiero, ma nel nome stesso di Dio che noi adoriamo e che ci sforziamo di servire.


2. I miei ripetuti appelli ai figli della Chiesa cattolica, ai responsabili delle nazioni come agli uomini di buona volontà vi sono noti. Tutti avevano lo scopo di contribuire a salvare, dopo più di quattordici anni di lotte omicide, il Libano, un paese che i suoi abitanti vogliono libero, indipendente e fedele al suo ricco patrimonio culturale e spirituale.


3. Il mondo intero ha sotto gli occhi una terra devastata, dove la vita umana sembra non valere più. Le vittime sono libanesi, musulmani e cristiani, ed è in terra libanese che - giorno dopo giorno - si accumulano rovine. Come potremmo noi credenti, figli di Dio misericordioso, nostro creatore, nostra guida, ma anche nostro giudice, restare indifferenti dinanzi a tutto un popolo che muore sotto i nostri occhi?


4. Il 15 maggio scorso, nel messaggio ai capi di diversi Stati ed ai responsabili di organizzazioni internazionali, ebbi l'occasione di dire: nell'ambito della vita internazionale si applica il principio della morale individuale, secondo il quale il più forte ha il dovere di venire in aiuto al più debole. E' questo un imperativo al quale i credenti, in particolare, non possono sottrarsi. Lo dicevo, il 19 agosto 1985, rivolgendomi ai giovani musulmani che mi accolsero nello stadio di Casablanca: Dio "domanda a ogni uomo di rispettare ogni essere umano e di amarlo come un unico, un compagno, un fratello. Egli invita a soccorrerlo quando è ferito, quando è abbandonato, quando ha fame e sete, in breve quando egli non sa più dove trovare la propria via sulle strade della vita" ("Allocutio Albae domi, on Marochio, ad iuvenes muslimos habita", 2, die 19 aug. 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII, 2 [1985] 499).


5. Ecco perché ho voluto oggi rivolgermi a voi, fedeli dell'Islam, figli di una religione, dove la giustizia e la pace sono eloquentemente insegnate. Fate udire la vostra voce e, più ancora, ponete in atto ogni sforzo in unione con tutti coloro, che rivendicano per il Libano il diritto di vivere, di vivere nella libertà, nella pace e nella dignità! Si tratta di un dovere di solidarietà umana che la vostra coscienza di uomini e la vostra appartenenza alla grande famiglia dei credenti impongono a ciascuno di voi.


6. Voi comprendete facilmente come io viva già, nel pensiero, il momento, in cui mi sarà data la gioia di recarmi in Libano e di trovarmi in mezzo a tutti i suoi figli. Infatti, desidero andare a venerare questa terra fecondata dal sangue di tante vittime innocenti e ripetere a tutti i Libanesi che ho fiducia in loro, nella loro capacità di vivere uniti e di ricostruire un Paese ancora più bello del Libano di ieri.


7. Ma per tale scopo è ormai un imperativo che tutti gli amici del Libano, i suoi vicini e tutti coloro che vi hanno dei fratelli nella fede si uniscano, affinché le armi più non giungano e tacciano; affinché alla logica dei combattimenti si sostituisca il dinamismo del dialogo e del negoziato; affinché sia dato a tutti i Libanesi, liberi da ogni occupante, di elaborare insieme un progetto di vita nazionale, fondato sul diritto e sul riconoscimento delle legittime particolarità dei gruppi, che compongono la società libanese.


8. Senza di ciò, l'attuale situazione di stallo continuerà e non potrà che contribuire a paralizzare il dialogo, ad approfondire le divisioni ed a provocare il crollo sociale ed economico del Libano. In una tale situazione, tutti sono vinti, nessuna soluzione è possibile, nessuna acquisizione può essere rivendicata.


9. Cari fedeli dell'Islam, la vostra preghiera e la vostra azione non possono mancare al movimento di solidarietà che reclama la salvezza del Libano. Sappiate che potete sempre contare sulla collaborazione dei cristiani. In molti paesi il dialogo islamico-cristiano ha permesso una migliore conoscenza reciproca e, talvolta, realizzazioni comuni. Ciò è stato, per numerosi anni, in Libano.

10. Consentitemi, infine, di raccogliere qui una consegna dell'apostolo Paolo: "Coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone" (Tt 4,8). Che Dio ci trovi fianco a fianco, musulmani e cristiani, al capezzale dei nostri fratelli libanesi, feriti nel cuore e nella carne! Che egli benedica gli sforzi di tutti coloro che, in mezzo a tanta violenza e disperazione, avranno saputo essere adoratori in spirito e verità! Dal Vaticano, 7 settembre 1989.

1989-09-07

Giovedi 7 Settembre 1989




Messaggio per la Quaresima 1990 - Città del Vaticano (Roma)

Profughi e rifugiati: il nostro prossimo più prossimo


Carissimi fratelli e sorelle in Cristo.


1. Come ogni anno, l'avvicinarsi della Quaresima mi offre l'occasione di rivolgermi a voi per invitarvi a profittare di questo momento favorevole, di questo "giorno della salvezza" (cfr 2Co 6,2) perché da tutti sia vissuto intensamente nella sua doppia valenza di conversione a Dio e di amore ai fratelli.

La Quaresima, infatti, ci chiama a cambiare totalmente la mente e il cuore per ascoltare la voce del Signore che invita a ritornare a lui in novità di vita, e a renderci sempre più sensibili alle sofferenze di chi ci sta accanto.

Quest'anno vorrei porre, con forza particolare, davanti alla comune riflessione il problema dei profughi e dei rifugiati. Infatti, il loro flusso enorme e crescente costituisce una dolorosa realtà nel mondo in cui viviamo, che non riguarda più soltanto alcune regioni, ma si è esteso ormai a tutti i continenti.

Uomini senza patria, i rifugiati cercano accoglienza in altri Paesi del mondo, nostra casa comune; ma solo a pochi di essi è concesso di rientrare nei Paesi di origine a causa di mutate circostanze interne; per gli altri continua una situazione dolorosissima di esodo, di insicurezza e di ansiosa ricerca di una conveniente sistemazione. Tra di essi vi sono bambini, donne, vedove, famiglie spesso smembrate, giovani frustrati nelle loro aspirazioni, adulti sradicati dalla loro professione, privati di ogni loro bene materiale, della casa, della patria.

La carità, la giustizia e la solidarietà dl tutti


2. Di fronte alla vastità e alla gravità del problema tutti i figli della Chiesa devono sentirsi interpellati, come seguaci di Gesù, che volle anche subire la condizione di rifugiato, e in qualità di portatori del suo Vangelo. Inoltre, Cristo stesso, in quella sconvolgente pagina evangelica che, nel rito latino, leggiamo il lunedi della I settimana di Quaresima, si è voluto riconoscere e identificare in ciascun rifugiato: "Ero straniero, e mi avete ospitato... Ero straniero, e non mi avete ospitato " (Mt 25,35 Mt 25,43).

Queste parole di Cristo ci devono indurre ad un attento esame di coscienza circa il nostro atteggiamento verso gli esuli e i rifugiati. Li troviamo infatti, anche ogni giorno, nel territorio di tante parrocchie; sono diventati davvero il nostro prossimo più prossimo. Per questo hanno bisogno della carità, della giustizia e della solidarieta di tutti i cristiani.

Garantire i diritti sanciti nel 1951 e confermati nel 1967


3. A voi, pertanto, singoli membri e comunità della Chiesa cattolica rivolgo la mia pressante esortazione per questa Quaresima, affinché cerchiate tutte le possibilità esistenti di soccorrere i fratelli rifugiati, mettendo in atto adeguate opere di accoglienza per favorire il loro pieno inserimento nella società civile, e dimostrando apertura di mente e calore di cuore.

La sollecitudine per i rifugiati deve spingersi a riaffermare e a sottolineare i diritti umani, universalmente riconosciuti, e a chiedere che anche per essi siano effettivamente realizzati. Come ricordavo il 3 giugno 1986, in occasione della consegna del Premio Internazionale della Pace Giovanni XXIII al "Catholic Office for Emergency and Refugees" (COERR), l'enciclica "Pacem in Terris" di quel grande Pontefice aveva sottolineato già l'urgenza che i diritti dei rifugiati devono essere ad essi riconosciuti in quanto persone; e affermavo che "è nostro dovere garantire sempre gli inalienabili diritti, che sono inerenti ad ogni essere umano e non sono condizionati da fattori naturali o da situazioni socio-politiche" ("", IX,1 [1986] 1751). Si tratterà quindi di garantire ai rifugiati il diritto di formarsi una famiglia o di riunirsi ad essa; di avere un'occupazione sicura, dignitosa, equamente remunerata; di vivere in abitazioni degne di esseri umani; di usufruire di un'adeguata istruzione scolastica per l'infanzia e la gioventù, nonché dell'assistenza medico-sanitaria; in una parola, tutti quei diritti che sono stati solennemente sanciti fin dal 1951 dalla Convenzione delle Nazioni Unite sullo Statuto dei rifugiati, e confermati dal Protocollo del 1967 sullo stesso Statuto.

Animare e sostenere autentiche correnti dl carità


4. So bene come di fronte a un così grande problema si sia fatto intenso il lavoro di organismi internazionali, di organizzazioni cattoliche e di movimenti di diverso orientamento, nella ricerca di adeguati programmi sociali, ai quali numerose persone danno il loro sostegno e la loro collaborazione. Ringrazio tutti, e tutti incoraggio a sempre maggiore sensibilità, dato che, come si può facilmente riscontrare, ciò che si fa, anche se molto, non è ancora sufficiente. Infatti cresce il numero dei rifugiati, e le possibilità di accoglienza e di assistenza si rivelano spesso inadeguate.

Il nostro impegno prioritario dev'essere quello di partecipare, animare e sostenere con la nostra testimonianza d'amore, autentiche correnti di carità, che riescano a permeare in tutti i Paesi l'opera di formazione soprattutto dell'infanzia e della gioventù al rispetto reciproco, alla tolleranza, allo spirito di servizio, a tutti i livelli, sia quello personale che delle pubbliche autorità.

Ciò faciliterà molto il superamento di tanti problemi.

E necessario anche il contributo della volontà e dell'intelligenza dei rifugiati


5. E mi rivolgo anche a voi, fratelli e sorelle esiliati e rifugiati, che vivete uniti nella fede in Dio, nella mutua carità e nella speranza incrollabile. Tutto il mondo conosce le vostre vicissitudini. E la Chiesa vi e vicina con l'aiuto, che i suoi membri si sforzano di profondere, pur nella consapevolezza che esso è insufficiente. Per lenire le vostre sofferenze è necessario anche il contributo della vostra buona volontà e delle vostre intelligenze, voi siete ricchi della vostra civiltà, della vostra cultura, delle vostre tradizioni, dei vostri valori umani e spirituali, e di qui potete trarre la capacità e la forza di cominciare una nuova vita. Esercitate anche voi, nei limiti del possibile, l'assistenza e l'aiuto reciproci negli stessi luoghi, in cui siete temporaneamente ospitati.

Noi cattolici vi accompagneremo e vi sosterremo nel vostro cammino, riconoscendo in ciascuno di voi il volto del Cristo esule e profugo, ricordando quanto egli disse: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

Concreta solidarietà affettuoso sostegno


6. All'inizio di questa Quaresima invoco la ricchezza di grazia e di luce che si irradia dal mistero della Passione e Risurrezione redentrice di Cristo, affinché i singoli individui e le comunità ecclesiali e religiose dell'intera Chiesa trovino l'ispirazione e l'energia necessaria a opere di concreta solidarietà in favore dei fratelli e sorelle esuli e rifugiati; e affinché questi, confortati dall'affettuoso sostegno e interessamento degli altri, ritrovino gioia e speranza per proseguire il loro faticoso cammino.

La mia benedizione attiri copiosi i doni del Signore su quanti si renderanno sensibili a questo mio pressante appello.

Dal Vaticano, il giorno 8 settembre 1989, festa della Natività della santissima Vergine Maria.

1989-09-08

Venerdi 8 Settembre 1989




A un gruppo di Vescovi USA - Castel Gandolfo (Roma)

Messa con Vescovi degli Stati Uniti


Cari fratelli in Cristo.

Questa mattina, raccolti attorno all'altare, ci prepariamo a celebrare la festa della Natività della beata Vergine Maria. Commemorando la nascita di Maria la Chiesa ci spinge a meditare sulla sua vicinanza a noi nella nostra condizione umana. Ella pure è nata come figlia della razza umana. Ella è nostra sorella nella famiglia umana. Nello stesso tempo noi riconosciamo gioiosamente che è molto al di sopra di noi. Siamo felici di chiamarla nostra dilettissima Madre nell'ordine spirituale. La sua grandezza particolare è esito dell'unico e straordinario mistero dell'intervento di Dio "nella pienezza dei tempi", quando non ha più parlato per mezzo di profeti, ma per mezzo del Figlio (cfr He 1,1-2).

Maria si è offerta come umile ancella del Signore, e così l'eterno Verbo si è fatto carne nel suo grembo e le immense ricchezze dell'amore redentivo si sono riversate nella storia umana. Tutta la vita della Chiesa di ogni età e di ogni luogo è inseparabilmente legata a questa giovane ebrea che ha risposto all'annuncio dell'angelo con totale obbedienza alla volontà di Dio: "Avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).

Nel disegno eterno di Dio, Maria è stata chiamata a far nascere il Salvatore il cui sacrificio sulla Croce ha riscattato il mondo dalla schiavitù del peccato e della morte. Compiendo la sua vocazione ella è rimasta intimamente unita all'opera redentrice del Figlio. Come madre della Chiesa, "Mater Ecclesiae", Maria invita tutti quelli che sono rinati in Cristo ad una più profonda contemplazione del mistero della Chiesa. Ella ci ispira a riconoscere l'alta vocazione che ciascuno di noi ha ricevuto in Cristo e ci guida nel nostro cammino verso la speranza custodita per noi nei cieli.

Mentre ci rallegriamo per la sua nascita, invochiamo l'amore e la sollecitudine materna di Maria sul nostro ministero di Vescovi, un ministero che siete stati chiamati ad esercitare negli Stati Uniti d'America. Come nostra signora dell'Immacolata Concezione, Maria è patrona del vostro Paese. Possa continuare a guidare tutti i sacerdoti, i religiosi e i laici della vostra nazione verso il suo divino Figlio. E attraverso le sue preghiere, possa ciascuno di noi trovare la forza necessaria per vivere pienamente la nostra vocazione di ministri dell'unica, santa, cattolica e apostolica Chiesa di Cristo.

1989-09-08

Venerdi 8 Settembre 1989




Alla commissione mista internazionale - Castel Gandolfo (Roma)

I cattolici e i pentecostali onorano la presenza dello Spirito e dei suoi doni


Cari amici.

Sono felice di incontrarvi, membri della commissione che vi avvicinate al termine della terza fase di un dialogo fruttuoso tra pentecostali e cattolici.

Nel darvi il benvenuto oggi, esprimo la speranza che le vostre discussioni abbiano contribuito non solo alla crescita della mutua comprensione della nostra vita e delle nostre esperienze spirituali di cristiani, ma anche all'interiore conversione e cambiamento del cuore che sono così fondamentali per il movimento ecumenico (cfr UR 7-8).

Avete messo a fuoco diversi aspetti del tema della koinonia, della Chiesa come comunione. Lo studio di questo tema, che è stato approfondito ulteriormente al Sinodo straordinario dei Vescovi del 1985, è di grande importanza per la Chiesa cattolica. "Comunione" è realmente un'espressione dell'autocomprensione da parte della Chiesa cattolica di se stessa e della propria vita.

Tutti i cristiani sono convinti che è loro responsabilità esaminare con amore per la verità di Cristo le differenze che ci dividono e cercare il modo in cui, nonostante queste divisioni, noi possiamo dare una comune testimonianza al mondo. Cristo stesso ha pregato per l'unità dei suoi discepoli. Egli ha fatto al Padre questa preghiera per amore del Vangelo: "perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21). E' perciò parte essenziale dell'impegno ecumenico crescere nella conoscenza della verità, abbattere le barriere dell'incomprensione e del pregiudizio, e crescere nell'amore gli uni per gli altri, così da poter annunciare più fedelmente Cristo a un mondo che ne ha tanto bisogno.

I cattolici e i pentecostali onorano la presenza dello Spirito Santo e i suoi doni spirituali. San Paolo ci esorta ad aspirare ai carismi più grandi (cfr 1Co 12,31), e ricercare la carità più di ogni altra cosa (1Co 14,1). Attraverso il dialogo cerchiamo quella carità che si compiace della verità e che tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (cfr 1Co 13,6-7).

Vi assicuro le mie ferventi preghiere perché cresca la carità tra tutti coloro che lavorano per l'ecumenismo. Il vostro dialogo possa contribuire a una nuova comprensione tra i cattolici e i pentecostali, per amore del Vangelo di nostro Signore e salvatore Gesù Cristo.


Venerdi 8 Settembre 1989




Ai partecipanti all'incontro promosso dalla congregazione per l'educazione cattolica - Castel Gandolfo (Roma)

L'Università Cattolica deve operare in sintonia con coloro che sono insigniti del "munus pastorale"



1. Sono ben lieto di incontrarmi con voi, delegati delle Università Cattoliche, eletti dal terzo congresso internazionale dello scorso aprile, e vi ringrazio sentitamente per il diligente e premuroso impegno con cui, in questi giorni, vi siete dedicati alla preparazione di un progetto di documento sullo spirito, la struttura ed i fondamenti istituzionali delle Università Cattoliche. L'argomento sta particolarmente a cuore a tutti coloro che operano negli istituti universitari cattolici ed è urgente approfondirlo per il bene della Chiesa e della sua missione nella società contemporanea.

Desidero anzitutto sottolineare che il lungo cammino, percorso assieme negli scorsi anni dagli organismi ecclesiali competenti per le Università Cattoliche, ha già portato frutti incoraggianti. Sia a livello di Chiese particolari che di Chiesa universale si e sviluppata una maggiore corresponsabilità circa il ruolo delle Università Cattoliche. Il lavoro intrapreso deve essere proseguito ed ulteriormente perfezionato col generoso contributo di tutti: del laicato come delle famiglie religiose, delle Conferenze Episcopali come delle organizzazioni tra le Università di cui la Federazione Internazionale Università Cattoliche è espressione autorevole.

La via del dialogo e della solidale comunione tra queste istanze ecclesiali e la Santa Sede è l'unica adatta per conseguire i frutti auspicati.


2. Nell'indirizzo rivolto al congresso sopra indicato rilevai come l'aggettivo "cattolico", mentre da un lato qualifica l'Università, dall'altro l'aiuta a realizzarsi secondo la sua vera natura ed a superare i pericoli di distorsioni indebite. In quell'occasione accennai anche all'esigenza di una riflessione accurata sul senso ecclesiale dell'Università Cattolica, alla luce delle due costituzioni del Concilio Vaticano II, "Lumen Gentium" e "Gaudium et Spes" e della dichiarazione "Gravissimum Educationis". E' un aspetto su cui mette conto ritornare.


3. Una accurata riflessione sul senso ecclesiale dell'università dovrà svilupparsi sulla base dei principi ecclesiologici dei citati documenti. Si tratta, come è noto, di un'ecclesiologia di comunione, che presenta la Chiesa come Popolo di Dio gerarchicamente strutturato. Esso, in virtù della sua partecipazione al mistero salvifico di Cristo, è costituito sulla terra in comunità di fede, di speranza e di carità, attraverso la quale Cristo diffonde su tutti la verità e la grazia.

Mediante il ministero dei sacri Pastori, ai quali è affidata la missione di discernere e di ordinare i carismi dei vari membri al bene di tutto il corpo, la Chiesa si pone come "segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano". In tal modo continua l'opera di Cristo nel mondo.

In questo contesto teologico deve collocarsi la missione e la responsabilità delle Università Cattoliche. Esse partecipano, ovviamente, in modo proprio e peculiare della missione della Chiesa stessa, poiché in seno ad essa vivono ed operano. Infatti nell'ambito dell'Università Cattolica compiono la loro missione apostolica, intimamente derivata dalla fede, persone rivestite di sacra potestà per il servizio dei fratelli, come pure, quali membri a pieno titolo del Popolo di Dio, laici dotati di specifici carismi o investiti di particolari responsabilità.

Ciò tuttavia non basta per definire la specifica funzione ecclesiale di un'Università Cattolica. Essa, in quanto espressione - in un certo senso - di Chiesa, partecipa della missione di questa a livello non soltanto di singole persone, ma anche di comunità. Ben a ragione, dunque, voi parlate anche di impegno istituzionale delle Università Cattoliche.


4. Da ciò deriva che, se il singolo cristiano, chiamato a condividere con l'intera Chiesa un compito apostolico, deve operare in sintonia con coloro che sono insigniti del "munus pastorale", a maggior ragione ciò vale per gli organismi di apostolato ecclesiale operanti a livello istituzionale. Al riguardo vale anche quanto lo stesso Concilio ha detto nel decreto "Apostolicam Actuositatem" (cfr AA 24) circa il rapporto tra apostolato dei laici e gerarchia.

Per questo le note essenziali di un'Università Cattolica, che il documento elaborato dal secondo congresso dei delegati, nel novembre del 1972, ha descritto, richiamano a ragione l'esigenza di un'intima comunione con i pastori della Chiesa.


5. Alla luce del Concilio Vaticano II, i Pastori della Chiesa non possono essere considerati quali agenti esterni all'Università Cattolica, ma partecipi della sua vita. Ho preso atto volentieri di quanto è stato detto a tale proposito in una raccomandazione del terzo congresso dell'aprile scorso. E' opportuno che da tale raccomandazione si traggano le conseguenze pratiche, anche se, come è ovvio, in modo differenziato secondo il tipo di università, le varie facoltà, le peculiari condizioni dei luoghi.


6. In questa prospettiva si mettono in evidenza anche due responsabilità inseparabili: quella della Chiesa verso l'Università Cattolica e quella dell'Università Cattolica verso la Chiesa.

Da una parte occorrerà sensibilizzare maggiormente il Popolo di Dio circa l'indispensabile funzione delle Università Cattoliche nel mondo della cultura e particolarmente in alcuni contesti sociali. Oggi si nota sempre più chiaramente un risveglio della sensibilità ecclesiale nei confronti del ruolo delle Università Cattoliche, con la conseguente disponibilità al sostegno morale e materiale da parte della comunità dei fedeli, i quali, mediante iniziative appropriate ed a vari livelli, intendono far si che ogni università possa perseguire adeguatamente i propri obiettivi.

Dall'altra parte, pero, non si può negare che tale risveglio ecclesiale debba trovare un suo momento importante in seno alle stesse Università Cattoliche, giacché esse sono per loro natura un luogo privilegiato di promozione del dialogo tra fede e cultura, tra fede e scienza. Nell'università, inoltre, si formano i futuri uomini del sapere, i quali, assumendo compiti impegnativi nella società e testimoniando con coerenza la loro fede di fronte al mondo, contribuiranno ad alimentare ulteriormente la partecipazione comunitaria ai problemi dell'università.

Qui si fonda il dovere di ogni Università Cattolica di prestare ascolto alle legittime attese del Popolo di Dio, che all'università si rivolge per essere rinvigorito nell'intelligenza della fede e sorretto adeguatamente nella missione della testimonianza e dell'annuncio del Vangelo.

Tale dovere appare sempre più urgente, particolarmente se si tiene presente che oggi le domande circa i valori supremi sono diventate più insistenti, mentre la mentalità pragmatistica ed edonistica della vita porta a contrasti sociali e morali che possono gravemente compromettere tanto la dignità e la libertà delle persone, quanto il bene della società.


7. Ho appreso con soddisfazione che la congregazione per l'educazione cattolica ha curato un'inchiesta sui centri cattolici presenti nel mondo. Tale inchiesta ha portato alla redazione di un "Directory of Catholic Universities and other Catholic Institutions of Higher Education", che registra ben novecentotrentasei istituzioni. Sotto questo aspetto si intravvedono nuovi compiti di servizio anche per la Santa Sede e l'esigenza di rapporti adeguati ed aggiornati con gli organismi rappresentativi delle Università Cattoliche.

Nei miei viaggi pastorali, come è noto, ho sempre desiderato incontrarmi con le Università Cattoliche di ogni nazione per trattare gli aspetti e le problematiche peculiari di ciascuna università. Nel presente incontro, così qualificato per i partecipanti e per gli argomenti affrontati, ho ritenuto opportuno attirare l'attenzione di tutti voi su alcuni punti fondamentali, augurandomi che siano occasione di fecondi sviluppi e di conforto per la missione che vi riguarda.

Nell'invocare sulle vostre persone l'abbondanza dei divini favori, auspice la beata Vergine Maria, dede della sapienza, a voi tutti imparto di cuore l'apostolica benedizione.

1989-09-09

Sabato 9 Settembre 1989





GPII 1989 Insegnamenti - Ai partecipanti all'incontro "Les Journées romaines" - Castel Gandolfo (Roma)