GPII 1989 Insegnamenti - Le credenziali del nuovo ambasciatore argentino - Città del Vaticano (Roma)

Le credenziali del nuovo ambasciatore argentino - Città del Vaticano (Roma)

L'Argentina deve riscoprire le sue tradizioni cristiane rifiutando egoismi ed antagonismi ereditati dal passato


Signor ambasciatore.

Mi è gradito darle il mio cordiale benvenuto in questo giorno nel quale presenta le lettere credenziali che la accreditano come ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Argentina presso la Santa Sede. E' questa una felice circostanza, che mi offre l'opportunità di verificare ancora una volta i sentimenti di vicinanza che i figli del suo nobile Paese manifestano al successore di Pietro e, nello stesso tempo, mi permette di rinnovare il sincero affetto che sento nei confronti di tutti gli Argentini.

La ringrazio vivamente per le sue nobili parole e, in particolare, per il deferente saluto che il signor Presidente, Carlos Saul Menem, ha voluto farmi pervenire per suo tramite. La prego di trasmettere anche il mio, insieme ai migliori auguri di pace e bene.

Lei, signor ambasciatore, ha fatto riferimento agli stretti legami che sono esistiti ed esistono tuttora, fra la Santa Sede e la Repubblica Argentina, alle mie due visite pastorali nel suo Paese e all'opera di mediazione che, con i miei collaboratori - in primo luogo l'indimenticabile Cardinal Antonio Samoré - rese possibile, grazie a un dialogo aperto e costruttivo, la soluzione della questione australe fra due nazioni sorelle, l'Argentina e il Cile. Per la felice conclusione di quel trattato di pace e amicizia, rendo ferventi grazie al Principe della Pace (cfr Is 9,5) e alla sua santissima Madre, regina della pace, così filialmente venerata in entrambi i versanti delle Ande.

Nelle sue deferenti parole lei ha menzionato anche il contributo di questa Sede Apostolica a favore di una migliore intesa fra i popoli, per raggiungere la loro integrazione in una comunità internazionale in cui regni la giustizia e l'equità, e nella quale i diritti umani di tutti i cittadini siano rispettati. E' questo un obiettivo che riaffermiamo con volontà di continuità, affinché la famiglia umana partecipi sempre di più di quei principi che possono rendere più feconde, solidali e fraterne le relazioni fra le nazioni ed elevare la dignità della persona, sempre aperta ai valori trascendenti.

Infatti, si potrà raggiungere un ordine temporale migliore solo se allo sviluppo materiale si accompagnerà un miglioramento degli spiriti (cfr GS 4). E' per questo che, osservando il panorama del continente latinoamericano e, in particolare, l'Argentina, faccio ferventi voti affinché questa Nazione, fedele ai propri valori e con la collaborazione di tutte le componenti della società, riesca a superare le difficoltà del momento attuale.

E' vero che per raggiungere determinate mete di progresso e sviluppo è necessario un atteggiamento solidale, sia interno sia internazionale, come è stato sottolineato nell'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis"; infatti l'interdipendenza che caratterizza oggi e condiziona la vita degli individui e dei popoli deve essere un presupposto morale che porti alla "determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune" (SRS 38), evitando sempre la tentazione del predominio sui più deboli. Pensando al piano economico è necessario far nascere a questo proposito iniziative a livello regionale e internazionale che - seguendo criteri di giustizia, equità e solidarietà - si incamminino verso la graduale soluzione del problema del debito con l'estero, che rende così difficili le legittime aspirazioni allo sviluppo di molti Paesi, anche in America Latina.

Per consolidare gli sforzi volti a superare un'epoca di non piccole difficoltà di carattere economico e sociale, e raggiungere così un maggior progresso, l'Argentina, oltre alle abbondanti ricchezze della sua terra e della sua gente, conta su grandi valori: i principi cristiani che sono divenuti un elemento connaturale ai suoi costumi, ispiratori delle sue virtù e formatori delle sue stesse istituzioni. Questo è un fondato motivo di speranza e, allo stesso tempo, deve servire da stimolo per intraprendere, con decisione e ampiezza di scopi, un rinnovato impegno a favore del bene comune, lasciando da parte l'egoismo e superando gli antagonismi e le ferite del passato, che rendono difficile la coesione sociale e il raggiungimento di un futuro migliore per tutti gli Argentini.

Desidero assicurarle, signor ambasciatore, la decisa volontà della Chiesa in Argentina di collaborare, all'interno della missione che le è propria e con il dovuto rispetto del pluralismo, alla promozione di tutte quelle iniziative che servono alla causa dell'uomo, come cittadino e come figlio di Dio. La Santa Sede, da parte sua, non risparmierà sforzi nell'opera di favorire una migliore intesa fra i popoli, in special modo, fra i paesi latinoamericani - uniti da forti legami storici, culturali e religiosi - potenziando quei valori morali e spirituali che rafforzano la solidarietà effettiva ed eliminando quelle barriere che rendono così difficile la comprensione e il dialogo, a livello di comunità internazionale.

Prima di concludere questo incontro, desidero esprimerle, signor ambasciatore, la mia stima e il mio appoggio, insieme ai miei migliori auguri perché l'importante missione che oggi prende il via, sia feconda di frutti e risultati.

La prego, nuovamente, di farsi interprete dei miei sentimenti e speranze davanti al suo governo e alle altre istituzioni del suo Paese, mentre invoco su di lei, i suoi familiari, collaboratori e tutti gli amatissimi figli della nobile nazione argentina, la benedizione dell'Altissimo.

1989-11-30

Giovedi 30 Novembre 1989




L'omelia alle solenni esequie del Cardinale Ernesto Civardi - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Ha confidato in Dio e ha compreso la verità amandola e servendola nell'amore alla Chiesa


"Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio... Essi sono nella pace... La loro speranza è piena di immortalità" (Sg 3,1 Sg 3,3 Sg 3,4).


1. La Parola di Dio, che abbiamo ascoltato in questa liturgia di suffragio per il riposo eterno del Cardinale Ernesto Civardi, ci riempie l'animo di speranza e di pace, ed orienta il nostro sguardo verso verità finali della nostra vita.

Veniamo da Dio e andiamo a Dio. Siamo nelle mani del Signore. L'arco dell'esistenza umana, che per tutti si dipana pur nella specificità della vocazione di ciascuno, si colloca in questa visuale di immortalità e di amore eterno, in cui ogni vita riceve il proprio significato e il proprio compimento.

Battezzati nella Croce e Risurrezione di Gesù, anche l'enigma della morte perde il suo senso di angoscia, il suo "pungolo", e si riveste di luce: "Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui" (Rm 6,8). Non siamo destinati ad una fine priva di significato, ma alla vita che non avrà mai fine: alla vita che è Cristo, il Verbo eterno del Padre, nato per noi nella pienezza del tempo, la luce dell'universo, il redentore dell'uomo.

Per questo il cristiano vive nella certezza dell'incontro finale con colui, per il quale è vissuto, nel quale ha creduto e sperato: un incontro, si, che giunge sempre come nel cuore della notte, e nell'ora più impensata, ma che svela per sempre il volto amato e desiderato di Dio Trinità, e immette nella familiarità eterna col Figlio, che ce lo ha svelato: con Cristo Gesù, la cui vita terrena è stata tutta un dono, e che trasforma l'eternità in uno stupendo dono: "Si cingerà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli" (Lc 12,37).

Si, venerati fratelli, in questa luce si fanno profondamente intime e vere le parole del Salmo: "Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a Te, o Dio! L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verro e vedro il volto di Dio?" (Ps 41,2-3).


2. Queste parole ricche di intensa nostalgia del cielo, possono ben essere appropriate al nostro fratello, il Cardinale Ernesto Civardi, che il Signore ha chiamato a sè al termine di una lunga vita, tutta a lui dedicata, e dopo l'estrema purificazione dell'infermità. Membro di una famiglia assai numerosa e profondamente religiosa, fratello del Vescovo monsignor Luigi, si può dire davvero che il Cardinale Civardi, fin dai primi anni, abbia "anelato" unicamente e intensamente a Dio, a lui consacrando l'intera esistenza, senza risparmio di tempo e di fatica.

Nel celebrare per lui il sacrificio eucaristico, noi lo ricordiamo con affetto e con stima, e sentiamo anche il bisogno di ringraziarlo per quanto egli ha compiuto per la Santa Sede e per la Chiesa intera. Lunga e benemerita è stata infatti l'opera svolta dall'illustre defunto, specialmente nell'ambito della curia romana, in vari dicasteri e durante la celebrazione del Concilio Vaticano II.

Con grande spirito apostolico monsignor Civardi compi sempre il suo dovere, mantenendo in tutte le mansioni occupate la sua mitezza d'animo, la sua gentilezza, la sua bontà.

Il Cardinale Civardi fu, come si dice comunemente, "uomo di Curia" e amo intensamente la Chiesa applicandosi con ardore al suo servizio. Al tempo stesso si dedico sollecitamente al ministero pastorale diretto nella parrocchia romana "Regina Pacis" a Monteverde Vecchio, dove assunse anche l'incarico di assistente della locale sezione "ACLI". Fu pure apprezzato confessore e direttore spirituale presso diverse comunità di religiose.

Nel Concistoro del 30 giugno 1979 ebbi la gioia di elevarlo alla dignità cardinalizia e nel porgergli l'anello dissi anche a lui le parole rituali: "Ricevi l'anello dalla mano di Pietro e sappi che con l'amore del Principe degli Apostoli si rafforza il tuo amore per la Chiesa". Quanto profondamente, in questi dieci anni di cardinalato, egli visse tale vincolo di affetto e di obbedienza al successore di Pietro! Nell'omelia della Messa, concelebrata con quei nuovi Cardinali, esprimevo l'auspicio di rinnovata effusione di amore sulla terra "mediante la quale la Chiesa deve di nuovo diventare Sposa "sine ruga et macula" per lo Sposo" ("", II, 2 [1979] 3). Fu questo il costante assillo del nostro fratello Cardinale, nel corso di una vita completamente spesa per la Chiesa; e pertanto egli ci è di esempio nel fervore spirituale e nell'amore vero e costruttivo alla Santa Sede.


3. "Il Signore regnerà per sempre su di loro. Quanti confidano in lui comprenderanno la verità... Coloro che gli sono fedeli vivranno presso di lui nell'amore" (Sg 3,8-9).

Quanto bene s'addicono queste espressioni del libro della Sapienza al Cardinale Civardi! Egli ha confidato in Dio e ha compreso la verità, l'ha amata e servita; per essa unicamente visse, studio, agi, educo, si dedico agli importanti incarichi che gli vennero via via affidati. E poiché, come sappiamo, la verità è nella Chiesa, il suo lavoro fedele e continuo nella Curia romana, anche se nascosto e ignoto, fu autentico amore alla Chiesa perché fu amore alla verità. Il Cardinale Civardi poteva con ragione applicare a sè le parole di san Paolo: "per mezzo del Battesimo siamo stati sepolti nella morte (redentrice) di Cristo, perché possiamo camminare in una vita nuova", così da essere con lui anche nella Risurrezione gloriosa! (cfr Rm 6,3-9).


4. Davanti alla salma del nostro fratello, celebrando per lui il sacrificio eucaristico, comprendiamo nel suo vero significato il monito del divin Maestro: "Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese... Tenetevi pronti, perché il Figlio dell'Uomo verrà nell'ora che non pensate" (Lc 12,35-40).

Tutte le vicende della storia, e i singoli eventi della nostra vita quotidiana, devono tenere sempre desto in noi il senso dell'attesa, e sempre accesa la lampada della fede, ben convinti che il messaggio di Cristo è essenzialmente e primariamente escatologico: Dio ci ha creato per amarci e attende il nostro amore, per donare ai suoi servi buoni "la corona di giustizia che il Signore giusto Giudice consegna a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione" (cfr 2Tm 4,8).

In questa attesa vigilante è vissuto il Cardinale Ernesto Civardi; preghiamo perché egli possa godere presto la gioia dell'Altissimo. E, sorretti dal suo esempio, vogliamo vivere anche noi in attesa della beata speranza, e ripetere ancora una volta con lui e in suo nome le parole del Salmo: "L'anima mia ha sete di Dio... Quando verro e vedro il tuo volto?".

1989-11-30

Giovedi 30 Novembre 1989




Al Presidente del Soviet Supremo dell'URSS Michail Gorbaciov -Città del Vaticano (Roma)

Un incontro ricco di promesse segno di tempi lentamente maturati


Signor Presidente.


1. Mi è particolarmente gradito di rivolgere il più cordiale saluto a lei, alla sua gentile signora, al signor ministro degli esteri e a tutti i componenti del suo seguito.

La visita che ella ha voluto rendere al successore di Pietro costituisce un evento importante nella storia dei rapporti dell'Unione Sovietica con la Sede Apostolica e come tale è considerata con profondo interesse dai cattolici del mondo intero, come da tutti gli uomini di buona volontà. Come è noto, la casa del Papa è da sempre la casa comune per tutti i rappresentanti dei popoli della terra.

Signor Presidente, sia dunque cordialmente benvenuto. Nella sua persona desidero salutare, inoltre, tutte le popolazioni delle Repubbliche dell'Unione Sovietica, alle quali vanno la mia stima ed il mio affetto.


2. L'anno scorso abbiamo celebrato il millennio del Battesimo della Rus', che marco così profondamente la storia dei popoli che vi ricevettero il messaggio di Cristo. In tal modo, la ricchezza della Rivelazione sulla dignità e sul valore della persona umana, derivante dal suo rapporto con Dio, creatore e Padre comune, si fuse mirabilmente con il patrimonio originale di quelle popolazioni, patrimonio che nel corso dei secoli si è arricchito di tanti altri valori religiosi e culturali.

Per citarne una eloquente espressione, mi è gradito riferirmi alle icone che sono esposte nella mostra da me inaugurata alcuni giorni fa. L'icona, infatti, è una mirabile sintesi di arte e di fede, che eleva l'animo verso l'Assoluto, in una fusione unica di colori e di messaggi.


3. Mi piace di guardare alla sua visita, signor Presidente, sullo sfondo della celebrazione del millennio e, al tempo stesso, come ad un seme carico di promesse per il futuro. Essa, infatti, ci permette di guardare all'avvenire delle comunità dei credenti in Unione Sovietica con maggiore fiducia.

Sono a tutti note le vicende dei decenni passati e le dolorose prove a cui furono sottoposti tanti cittadini, a motivo della loro fede.

In particolare, è noto come numerose comunità cattoliche oggi attendano con ansia di potersi ricostituire e di poter godere della guida dei loro Pastori.

L'evoluzione recente e le nuove prospettive aperte ci portano a sperare in un cambiamento della situazione, grazie alla decisione del suo governo, più volte ribadita, di procedere ad un rinnovamento della legislazione interna, al fine di adeguarla pienamente ai solenni impegni internazionali, sottoscritti anche dall'Unione Sovietica.

In questo momento faccio mia l'attesa di milioni di suoi concittadini, - e con essi di milioni di cittadini del mondo - che, cioè, la legge sulla libertà di coscienza, che presto sarà discussa dal Soviet Supremo, contribuisca a garantire a tutti i credenti il pieno esercizio del diritto alla libertà religiosa, che è - come molte volte ho ricordato - fondamento delle altre libertà.

Il mio pensiero va particolarmente a quei cristiani che vivono nell'Unione Sovietica, in piena comunione con la Sede Apostolica. Per tutti loro - siano essi di rito latino, di rito bizantino o di rito armeno - faccio voti che possano praticare liberamente la loro vita religiosa.

In un clima di ritrovata libertà, i cattolici potranno così collaborare adeguatamente con i fratelli della Chiesa ortodossa, a noi così vicini. Con essi abbiamo, infatti, un patrimonio comune e con essi vogliamo lavorare, in un rinnovato impegno ecumenico, per annunziare il Vangelo di Cristo alle nuove generazioni e per collaborare insieme nel vasto campo della promozione umana, in attesa di ricostruire quell'unità che fu voluta da Cristo per la sua Chiesa.


4. Con lei, signor Presidente, abbiamo avuto modo di parlare anche della situazione internazionale e di alcuni problemi specifici più urgenti. Abbiamo pure trattato dello sviluppo dei nostri contatti sia per la soluzione dei problemi della Chiesa cattolica in URSS sia per promuovere un impegno comune in favore della pace e della collaborazione nel mondo.


5. Questa collaborazione è possibile giacché essa ha come oggetto e soggetto l'uomo. Infatti, "l'uomo è la via della Chiesa", come ebbi modo di ricordare fin dall'inizio del mio pontificato (RH 14).

E se da una parte la Chiesa viene a conoscere il mistero dell'uomo alla luce del mistero di Cristo (GS 22), è pur vero che essa impara a comprenderlo anche attraverso le esperienze degli individui, come attraverso i successi e le sconfitte delle nazioni. Per questo, la Chiesa, come "esperta in umanità" (Paolo VI, "Allocutio ad Nationum Unitarum Legatos in urbe "New York" habita", die 4 oct. 1965: Insegnamenti di Paolo VI, III [1965] 507ss), si associa oggi più che mai a tutti coloro che vogliono servire la causa dell'uomo e contribuire al progresso delle nazioni.

Alla fine del secondo millennio dell'èra cristiana, la Chiesa si rivolge a tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell'umanità, perché si uniscano in un comune impegno per la sua elevazione materiale e spirituale. Tale sollecitudine per l'uomo può portare non solo al superamento delle tensioni internazionali ed alla fine del confronto fra i blocchi, ma può anche favorire il nascere di una solidarietà universale soprattutto nei riguardi dei paesi in via di sviluppo.

Infatti, "la solidarietà - come già ho avuto modo di rilevare - ci aiuta a vedere l'"altro" - persona, popolo o Nazione - non come uno strumento qualsiasi,..., ma come un nostro "simile", un "aiuto" (cfr Gn 2,18 Gn 2,20), da rendere partecipe, al pari di noi, al banchetto della vita, a cui tutti gli uomini sono egualmente invitati da Dio" (SRS 39).

Ciò vale in particolare per le nazioni più forti e più dotate. Nei loro riguardi osservavo che "superando gli imperialismi di ogni tipo e i propositi di conservare la propria egemonia,... (esse) debbono sentirsi moralmente responsabili delle altre, affinché sia instaurato un vero sistema internazionale, che si regga sul fondamento della uguaglianza di tutti i popoli e sul necessario rispetto delle loro legittime differenze" (SRS 39).


6. Certo, l'umanità oggi attende nuove forme di cooperazione e di aiuto reciproco.

La tragedia della seconda guerra mondiale ci ha insegnato, pero, che se si dimenticano i valori etici fondamentali, possono nascere conseguenze tremende per le sorti dei popoli ed anche i più grandi progetti possono fallire. Per questo, nella lettera apostolica scritta per commemorare il cinquantesimo anniversario dell'inizio della seconda guerra mondiale ho sentito il dovere di ricordare all'umanità che "non c'è pace se l'uomo ed il diritto sono disprezzati" e "se i diritti di tutti i popoli - e particolarmente di quelli più vulnerabili - non sono rispettati" ("L elapso anno ad initio secundo magno bello saec. XX", 8, die 27 aug. 1989: vide "supra", p. 387).

Inoltre, ho espresso agli uomini di governo e ai responsabili delle nazioni "la mia profonda convinzione che il rispetto di Dio ed il rispetto dell'uomo vanno di pari passo. Essi costituiscono il principio assoluto che permetterà agli Stati e ai Blocchi politici di andare oltre i loro antagonismi" ("L elapso anno ad initio secundo magno bello saec. XX", 12, die 27 aug. 1989: vide "supra", p. 389).


7. Signor Presidente, questo incontro non può non colpire vivamente, nella sua novità, l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale, come qualcosa di singolarmente significativo, segno di tempi lentamente maturati e ricco di promesse.

La Santa Sede segue con grande interesse il processo di rinnovamento da lei avviato nell'URSS, augura successo ed è pronta a favorire ogni iniziativa che serva a meglio proteggere ed armonizzare i diritti ed i doveri della persona e dei popoli per salvaguardare la pace in Europa e nel mondo.

Ella avrà già domani un incontro con il Presidente degli Stati Uniti d'America, signor George Bush. Da parte mia, auguro cordialmente e prego che i prossimi colloqui possano portare a nuove intese, ispirate ad attento ascolto delle esigenze e delle attese dei popoli.

Con questi sentimenti, signor Presidente, le rinnovo i miei voti per la sua persona e la sua missione, per la sua famiglia e per il suo Paese, invocando su tutti la benedizione di Dio onnipotente.

1989-12-01

Venerdi 1 Dicembre 1989




Recita dell'Angelus - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

"Tutti siamo responsabili delle grazie che scenderanno sulla prossima assemblea del Sinodo dei Vescovi"


Carissimi fratelli e sorelle!


1. Oggi, prima domenica di Avvento, la Chiesa si pone con rinnovato fervore in atteggiamento di attesa: rivive l'aspettativa della prima venuta del Salvatore nell'umiltà del presepio, e si protende col desiderio verso il suo ritorno definitivo nella gloria.

Non è questa un'attesa passiva ed inerte: posta tra il già del Natale e il non ancora della parusia, la Chiesa sa di doversi dedicare con ogni sforzo all'evangelizzazione del mondo. Per l'adempimento di tale compito essa ha bisogno dell'opera di tutti i suoi membri. In modo particolare, tuttavia, essa conta sull'impegno dei sacerdoti. Opportunamente, quindi, il prossimo Sinodo dei Vescovi, nella sua ottava assemblea generale ordinaria che avrà luogo nell'ottobre 1990, studierà il tema della "formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali".

L'incontro domenicale per la preghiera dell'"Angelus" ci offre e ci offrirà l'occasione di volgere il nostro sguardo verso quell'avvenimento nel quale sarà affrontato un argomento di importanza essenziale per la vita della Chiesa.


2. Il Sinodo del 1971 aveva trattato i problemi del sacerdozio ministeriale.

Riferendosi al Vangelo e seguendo la dottrina del Concilio Vaticano II, i padri sinodali ricordarono allora alcuni principi dottrinali essenziali e indicarono gli opportuni orientamenti operativi circa il ministero e lo stile di vita dei sacerdoti. Le norme enunciate conservano anche oggi il loro valore illuminante.

Ma le molteplici difficoltà, che la vita sacerdotale incontra in questo nostro tempo, fanno apparire meglio l'urgenza di una formazione appropriata, che risponda appieno alle esigenze del mondo contemporaneo. Era quindi opportuno che il tema del sacerdozio ministeriale fosse completato con una approfondita riflessione sulla formazione dei sacerdoti.

Sappiamo che la vocazione sacerdotale è un dono della grazia, una chiamata gratuita, che procede dall'amore divino; infatti, non si può mai considerare la vita sacerdotale come una promozione semplicemente umana, nè la missione del ministro come un semplice progetto personale. In ogni istante della sua vita il sacerdote deve considerare se stesso come destinatario di una speciale chiamata di Gesù, e totalmente impegnato nel realizzarla.

E proprio per essere pienamente accolta e produrre tutti i suoi frutti, questa chiamata richiede una formazione che permetta lo sviluppo di tutto ciò che è seminato dalla grazia. Lo sviluppo non è possibile senza una seria formazione dottrinale e spirituale, che aiuti ciascun chiamato a vivere in modo adeguato la consacrazione sacerdotale.


3. Questa formazione costituisce la preoccupazione dei Vescovi e di tutti coloro che cooperano alla maturazione delle vocazioni e al loro buon esito. Ma anche tutti i fedeli sono interessati a questa formazione; tutti sono invitati a condividere la preoccupazione delle autorità pastorali e a pregare per la formazione dei sacerdoti. Tutti siamo responsabili delle grazie che scenderanno sulla prossima assemblea del Sinodo dei Vescovi.

Chiediamo a Maria che ciascuno di noi possa ascoltare l'annuncio di questo Sinodo con le disposizioni interiori, con cui ella ascolto il primo annuncio della buona Novella.

[Al termine il Santo Padre ha pronunziato le seguenti parole:] Rivolgo un saluto particolare al gruppo dei partecipanti al convegno romano su "Medicina e Diritti Umani", promosso dalla federazione mondiale dei medici per il rispetto della vita umana, in collaborazione con altre associazioni sensibili ai valori della vita.

Vi esprimo il mio vivo apprezzamento per la vostra iniziativa, volta a far progredire nella società i valori morali fondati sulla promozione della vita umana in tutto l'arco della sua esistenza. E' un lavoro davvero meritorio, il vostro, cui vanno il plauso, l'incoraggiamento e il sostegno di tutti coloro che sono preoccupati del futuro morale e civile dell'umanità.

Il Signore vi ricompensi e vi assista nella vostra nobile opera a servizio della vita, che è dono di Dio.

1989-12-03

Domenica 3 Dicembre 1989




Le visite pastorali del Vescovo di Roma

Parrocchia di san Tommaso apostolo a Castel Fusano


[Alla popolazione del quartiere] Quando io ero sacerdote, viceparroco, più giovane del vostro parroco attuale, nella parrocchia in cui mi trovavo ho imparato che la parte migliore della parrocchia sono sempre i confini, quanti vivono più lontani dal centro, dalla chiesa parrocchiale. Lo stesso si potrebbe dire per Roma. E precisamente per la vostra comunità, perché voi siete qui abbastanza lontani dal centro, da san Pietro: si deve camminare con la macchina una buona mezz'oretta per arrivare qui.

Ma spero che anche questa parte della diocesi di Roma sia così buona così come lo sono le periferie della parrocchia in cui ho incominciato il mio servizio, il mio ministero pastorale.

Vi auguro una buona visita del Papa. Ce lo auguriamo insieme. Lo auguro a voi, fedeli di questa parrocchia, al vostro parroco e ai vostri sacerdoti e ve lo augurate voi stessi. Cosa vuol dire "buona visita"? "Buona visita" vuol dire incontrarsi, sentirsi vicini, sentirsi amici. Ma questa visita nella Chiesa, questo incontrarsi, vuol dire sempre incontrarsi in Cristo.

Questo è il mio augurio per voi tutti all'inizio di questa visita pastorale nella vostra parrocchia. Vi auguro, e lo auguro anche a me, di incontrarci in Cristo. Quel Cristo di cui la Chiesa oggi comincia di nuovo ad aspettare la venuta storica, avvenuta duemila anni fa. Da sempre nella liturgia della Chiesa questa venuta è aspettata. E aspettata la fine del mondo nella prospettiva escatologica. Ma è aspettata anche in altre diverse prospettive, soprattutto nella prospettiva della nostra coscienza, della nostra vita personale.

Ciascuno di noi, se si incontra con Cristo, incontra la salvezza, incontra quel bene ultimo per cui noi siamo stati creati da Dio e per cui Cristo è venuto al mondo.

Voglio augurare questo incontro, non solamente nel periodo dell'Avvento, ma specialmente in questo periodo, a ciascuno di voi.

[Ai bambini] Voglio salutare tutti i presenti qui, in questo settore dietro la cappella, soprattutto i bambini, ma i bambini sono attorniati dai loro genitori, dai loro maestri e insegnanti, dalle suore. Voglio ringraziarvi per questo messaggio che avete adesso trasmesso al Papa. Tutto quanto aveve cantato e anche presentato con i gesti è un messaggio molto importante per la vostra parrocchia, ma non solamente per questa sola parrocchia. Lo è per tutta Roma, per tutta l'Italia, per il mondo intero.

Io vi ringrazio per questo messaggio. Cosa potrei dirvi ancora di più? Ecco, ho visto che la vostra chiesa, piuttosto la vostra cappella, è piccola, non si possono trovare molte persone dentro questa cappella-chiesa, chiesa parrocchiale.

Ma c'è un'altra cosa, o piuttosto un'altra casa che mi sembra molto spaziosa, molto grande, e sono i cuori. Ecco ho trovato una piccola chiesa, questa costruzione materiale, e ho trovato i cuori aperti e molto vasti, molto abbondanti delle diverse esperienze, dei sentimenti, dei diversi desideri del bene. Allora vi auguro, nella vostra vita in futuro, come anche ai vostri genitori, vi auguro anche una casa sufficiente, una casa dove si abita. Ma vi auguro soprattutto, nella vita, un cuore largo, un cuore aperto, un cuore ricco. Perché si può vivere nella casa ricca e avere un cuore povero, impoverito. E questo è contrario a quello che ci ha detto e lasciato Gesù, con il suo messaggio.

La sua casa di Nazaret era molto povera e poi ha vissuto quasi senza casa. Ma il suo cuore come era aperto, come era ricco, come era vasto! Ancora oggi sentiamo questa larghezza del suo cuore. Lo sentono le generazioni, lo sentono i popoli, tanta gente vive della ricchezza di questo cuore di Gesù. Auguro a tutti voi parrocchiani, e specialmente a voi piccoli, questo dono, il dono di un cuore ricco.

[L'omelia durante la celebrazione eucaristica]


1. "Andiamo con gioia incontro al Signore".

Queste parole del Salmo responsoriale, che abbiamo ripetuto insieme, possono considerarsi a buon diritto il programma della Chiesa all'inizio dell'anno liturgico; all'inizio in particolare dell'Avvento, che dell'anno liturgico costituisce la prima, importante tappa.

Entriamo consapevolmente in un tempo "propizio" di salvezza: la comunità cristiana, infatti, mentre si prepara a fare memoria della prima venuta di Cristo "nell'umiltà della nostra natura umana" ("Praef. temp. Advent."), è chiamata a volgersi, con fiduciosa speranza e con attesa operosa, verso l'ultima definitiva venuta del Signore "nello splendore della sua gloria" ("Praef. temp. Advent.").

Tutto ciò in docile apertura di fede alla Parola di Dio, che illumina il nostro cammino e con una attiva partecipazione agli eventi sacramentali, che ci inseriscono nel mistero di Cristo, "finché egli venga" (cfr 1Co 4,5).

Nel momento in cui la Chiesa intraprende l'itinerario salvifico dell'anno liturgico la Parola di Dio, appena ascoltata, ci pone subito davanti il traguardo verso il quale lo Spirito la orienta: la nuova Gerusalemme, simbolo della piena e definitiva comunione alla quale Dio invita e ammette tutti coloro che dicono il "si" della fede a Cristo, "maestro di verità e fonte di riconciliazione" ("Oratio collecta"), e se ne fanno annunciatori e testimoni in mezzo ai fratelli, perché il Dio della pace sia tutto in tutti, quando "il Figlio dell'uomo verrà" ("Evangelium").


2. Comprendiamo allora le parole del profeta: "Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore" (Is 2,5).

Tale invito risuona oggi con accenti di particolare attualità e urgenza per la vostra e per l'intera comunità ecclesiale di Roma, che, col Sinodo pastorale diocesano, vuole aprirsi alla luce e alla forza dello Spirito per mettersi in un cammino di rinnovamento spirituale e pastorale, nel solco degli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Che cosa, in concreto, siamo chiamati a fare? Occorre, anzitutto, che tutti - presbiteri, diaconi, religiosi e laici, come singoli e come comunità - si convincano che il Sinodo è un appuntamento straordinario di grazia da non perdere e un dono dello Spirito da accogliere con consapevolezza e con impegno. Occorre mettersi tutti in un cammino di conversione, vincendo la tentazione dell'inerzia, della diffidenza e della passività.

Molti, infatti, che pure si professano cristiani, vivono in una sorta di torpore e nella mediocrità. Spesso la loro vita morale è in contrasto con la fede, che pure dicono di avere; non pochi limitano la loro appartenenza a Cristo e alla Chiesa ad una pratica religiosa saltuaria, fatta solo di appuntamenti religiosi di circostanza; rifuggono da precise responsabilità, accontentandosi di delegare ad altri la missione evangelizzatrice propria di ciascun membro attivo della comunità ecclesiale.


3. A tutti costoro voglio ripetere l'appello che san Paolo rivolgeva ai primi fedeli della Chiesa di Roma, e che la liturgia ci ha oggi riproposto: "Fratelli, è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno vicino. Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce" (Rm 13,11-12).

Di fronte alla situazione di indifferenza e di imprevidenza descritta dal Vangelo e che ha riscontro nella mentalità e nel costume odierno, la Chiesa di Roma, incamminata verso la conclusione del secondo millennio dell'èra cristiana, non può e non deve rimanere inerte e passiva: è spinta dalla volontà stessa di Dio, riconosciuta ed accolta in unione col proprio Vescovo, a prendere una decisione di fondo per rinnovarsi nella vocazione e nella missione affidatale dalla Provvidenza.

Il Vaticano II ha riproposto con nuova luce la verità su Dio e sull'uomo. Accogliere questa luce, lasciarsene permeare più intimamente, annunciarla a tutti è dovere per ogni cristiano, affinché la salvezza in Cristo Gesù, che è offerta a tutti, sia più vicina a ciascuno. E' un cammino da fare "insieme". Nessuno può disinteressarsene o tirarsi indietro, se vogliamo che il Sinodo sia davvero un "evento di popolo". Il mondo, e in particolare gli uomini che vivono in questa città, non potranno vedere e ricevere la luce di Cristo se i suoi discepoli sono opachi, tiepidi e passivi.

Ai sacerdoti e agli altri operatori della pastorale vorrei anche ricordare che il lavoro sinodale non è qualcosa in più, che s'aggiunge al quotidiano e faticoso impegno; un peso ulteriore di cui caricarsi nella vita e nel ministero. E' piuttosto un nuovo stile da adottare, uno stile di comunione nella missione, con i laici come protagonisti accanto ai sacerdoti, impegnati con essi nel lavoro pastorale con convinzione e responsabilità, con forza e coerenza, mettendo in comune doni e responsabilità e condividendo con tutti gli uomini gioie e dolori, fatiche e speranze, per realizzare il progetto di salvezza che Dio ha sulla storia umana.


4. In questa prospettiva, rivolgo il mio saluto a tutti voi, carissimi fedeli della parrocchia di san Tommaso apostolo in Castel Fusano, al signor Cardinale vicario e al Vescovo del settore, monsignor Clemente Riva, che sono qui con noi in questa circostanza festosa. Saluto il vostro parroco, don Plinio Poncina col suo coadiutore, come pure gli altri sacerdoti e le religiose che operano nel territorio della parrocchia e anche della prefettura, esortandoli a perseverare con generosità sempre nuova, nonostante le difficoltà che ogni giorno incontrano sul loro cammino.

Un particolare pensiero rivolgo ai laici impegnati nelle varie attività parrocchiali e soprattutto nella catechesi; l'edificazione di una comunità viva dipende in gran parte da loro. La configurazione della parrocchia, sviluppatasi un po' tumultuosamente ai margini della grande metropoli, presenta problemi caratteristici, che occorre studiare dall'interno, per trovare con la collaborazione di tutti le soluzioni adeguate. So che anche nell'ambito sociale sono nate iniziative di solidarietà, che si propongono di provvedere alla carenza di alcuni servizi essenziali, di cui la comunità soffre. E' un esempio che merita di essere lodato e incoraggiato per la prova di maturità comunitaria che ne emerge. Se al senso di responsabilità dei cittadini s'accompagnerà il fattivo sostegno delle autorità pubbliche, i problemi tuttora esistenti potranno trovare celermente una soluzione soddisfacente.

Non posso poi passare sotto silenzio l'azione che la parrocchia da qualche tempo svolge a favore di due stazioni missionarie operanti in Kenya: alcune importanti realizzazioni sono già state completate; altre sono in programma. Nell'esprimervi il mio compiacimento, desidero esortarvi a proseguire in quest'opera tanto meritoria. Ogni gesto di bontà reca la conferma della verità antica secondo cui donando ci s'arricchisce. Voi potete testimoniarlo in prima persona.


5. Carissimi fratelli e sorelle, vorrei fare con voi una ultima considerazione, che mi viene suggerita dall'inizio dell'anno liturgico.

I Vescovi italiani in diverse occasioni hanno affermato che esso "costituisce il grande itinerario di fede del popolo di Dio: l'intera comunità, soprattutto nei tempi forti, è chiamata a riscoprire, a celebrare e a vivere il dono della salvezza. Mediante la pedagogia dei riti e delle preghiere, tutti insieme siamo guidati all'esperienza del mistero pasquale di Cristo, che ha il suo centro nell'Eucaristia" (Conf. Episc. Italiae, "Eucaristia, comunione e comunità", 89; cfr. etiam Eiusdemn "Evangelizzazione e sacramenti", n. 85).

La celebrazione del Sinodo, e soprattutto il rinnovamento che esso si propone, esige la presenza di cristiani adulti, maturi nella fede, responsabili e partecipi della missione della Chiesa; richiede da loro una forte esperienza spirituale, che dia alla vita nello Spirito il primato che le compete.

Anche questo è un traguardo al quale si potrà giungere nella misura in cui saranno posti in atto, nelle nostre comunità, itinerari educativi seri e continuati, nei quali si fondano insieme l'ascolto della Parola di Dio, la celebrazione dei santi misteri, la testimonianza e il servizio di carità e di promozione dell'uomo, superando così la frammentarietà e l'occasionalità da una parte e, dall'altra la spinta a procedere su vie parallele o divaricate.

L'anno liturgico è uno di questi itinerari, anzi è quello privilegiato dalla Chiesa, non solo perché è il più adatto a tutte le età e alle diverse categorie di persone, ma soprattutto perché è il più completo, se vissuto con autenticità e valorizzato in tutte le possibilità offerte dai suoi diversi tempi e momenti e dalla ricchezza dei segni liturgico-sacramentali.

La creatività pastorale, nella fedeltà alla genuina Tradizione della Chiesa, saprà promuovere, particolarmente per i giovani e gli adulti, altri itinerari di fede inseriti nell'anno liturgico, o comunque in armonia con esso, sia in occasione della celebrazione dei sacramenti sia, più in generale, per una vita cristiana più matura e una fede più consapevole e operosa.

Affido questi impegni a quel grande testimone della fede che è stato san Tommaso apostolo, a cui è dedicata la vostra comunità, affinché tutta la Chiesa di Roma possa professare col Sinodo la sua fede nel Cristo risorto e raccoglierne frutti di salvezza per se stessa e per gli uomini che vivono nella città.

"Casa di Giacobbe, vieni..."; parrocchia di san Tommaso apostolo in Castel Fusano, "vieni, camminiamo nella luce del Signore".

Amen! [Ai giovani] Ai giovani della parrocchia voglio dare una risposta soprattutto per le parole belle e sentite che ho potuto ascoltare. La vostra rappresentante ha parlato non solamente con le labbra ma anche con il cuore. Vi ringrazio per questa solidarietà con il Papa e con la Chiesa che vi ispira, e vi auguro di continuare, come giovani di questa parrocchia, di crescere spiritualmente, di crescere umanamente e cristianamente, di essere sempre più maturi e più degni del nome cristiano, del nome di Cristo Gesù, Dio-uomo, di questa dignità che ci ha portato, la dignità dei figli di Dio. Vi auguro di maturare sempre più anche nelle scuole, nel lavoro, nelle vostre professioni, nell'amore che vi conduce verso le soluzioni della vita: matrimonio, famiglia. Tutto ciò è davanti a voi e vi auguro una strada retta, un cammino giusto verso questi traguardi, verso queste finalità.

Ringrazio i giovani per i canti. Hanno cantato durante la santa Eucaristia. Hanno cantato anche adesso, con grande vigore, con grande entusiasmo.

E così, come ha detto sant'Agostino, chi canta, prega due volte. Chi canta, "bis orat". Grazie a questo canto abbiamo veramente pregato due volte. Ancora un altro risultato di questi canti è che abbiamo sentito meno freddo. Quando si canta certamente si sente meno il clima rigido. Vi ringrazio per tutto questo.

Vorrei indirizzarmi ai vostri fratelli dello Sri Lanka che hanno qui una comunità. Mi hanno salutato, presentato i doni. Vi auguro tutto il bene qui a Roma, in questa parrocchia, nelle vostre famiglie. Vi auguro anche il bene della vostra patria lontana, veramente lontana e provata dalla guerra interna. Vi auguro la pace nella vostra patria, nello Sri Lanka. A voi e a tutti i vostri concittadini, a tutti i membri della comunità dello Sri Lanka, in patria e all'estero. Devo aggiungere che ogni giorno prego per lo Sri Lanka, come anche per altri paesi del mondo, come per la mia patria, per la Polonia. Qui sono presenti anche i figli e le figlie di questa patria.

Avete organizzato molto bene questa visita pastorale. Veramente, avendo pochi mezzi e una piccola chiesa, avete trovato modo di attirare una buona giornata. E se questa giornata avesse avuto condizioni atmosferiche un po' diverse, sarebbe stato più difficile godere così della visita del Papa e di incontrarci in pace, in tranquillità e gioia. Grazie per questo tempo buono che è certamente dono di Dio, ma io spero che anche voi abbiate collaborato a questo dono di Dio come avete collaborato anche a tutta l'organizzazione della visita fuori la cappella, ai diversi incontri.

Si vede in tutto questo l'entusiasmo. Certamente l'entusiasmo del vostro giovane parroco e del suo collaboratore, ma penso anche l'entusiasmo dei parrocchiani e specialmente dei giovani.

[Ai gruppi parrocchiali] Ringrazio per le parole così profonde, brevi, ma piene di contenuto, di contenuto di mente e di cuore. Grazie anche per questo canto che mi ricorda lo stesso canto cantato in polacco tanti anni fa. Non lo sento molte volte qui in Italia, ma si cantava molto nella mia patria. E poi vi ringrazio per i doni, vi ringrazio per il vostro contributo, non solamente in questa circostanza della visita pastorale, ma il vostro contributo continuo nella costruzione spirituale di questa vostra parrocchia. Ringrazio tutti, ringrazio il vostro parroco, i sacerdoti che lo aiutano, ringrazio le suore, ringrazio tutti i fratelli e le sorelle laici, anche loro impegnati nell'opera pastorale e apostolica di questa parrocchia. Ringrazio i giovani, ringrazio gli scout, anzi porto il segno distintivo degli scout. Me lo offrono molte volte in ogni parrocchia. Potrei già fare una piccola collezione. Vi auguro di rimanere fedeli; rimanere fedeli a questa consegna che ci ha lasciato san Tommaso apostolo. E vero che sono quasi le uniche sue parole nel Vangelo, ma veramente sono le parole più piene di contenuto. Questo Tommaso che si chiama anche "infedele" perché non voleva credere agli altri apostoli che Cristo è risorto. Dopo, quando lo ha visto, si è messo in ginocchio davanti al Signore e ha confessato: "Signore mio, Dio mio, Dio mio". Forse in nessun altro punto del Vangelo la divinità di Cristo è confessata così apertamente, così assolutamente come in queste parole di Tommaso apostolo. E poi la risposta di Gesù: "Mi hai visto Tommaso, hai creduto. Benedetti tutti quelli che credono non avendo visto".

Tutto ciò è, carissimi, bellissimo, profondissimo. Tutto ciò appartiene al tesoro della vostra comunità parrocchiale, grazie al vostro patrono.

Io vi auguro di crescere nella luce di queste parole e di questo avvenimento. Di crescere nella fede. Questa parrocchia situata così alla periferia di Roma in un ambiente molto bello, molto attraente, questa parrocchia deve crescere, deve cercare la sua strada verso questo "Signore mio, Dio mio", che è Cristo. Lui si è fatto uomo per noi uomini. Vuol dire per farci suoi seguaci, non solamente seguaci che lo seguono esteriormente, ma seguaci del suo mistero, della sua figliolanza divina. Noi siamo figli. Ecco, tutto ciò appartiene al compito della vostra parrocchia. Tutto ciò si deve lentamente, ma con grande pazienza e perseveranza, costruire, realizzare, compiere, in ciascuno di noi, interiormente e comunitariamente. Ecco, sono i voti che vi lascio, e, come ha chiesto il vostro rappresentante, terminiamo con il Padre nostro.

1989-12-03

Domenica 3 Dicembre 1989





GPII 1989 Insegnamenti - Le credenziali del nuovo ambasciatore argentino - Città del Vaticano (Roma)