GPII 1989 Insegnamenti - Ai partecipanti all'incontro organizzato da "Nova Spes" - Città del Vaticano (Roma)

Ai partecipanti all'incontro organizzato da "Nova Spes" - Città del Vaticano (Roma)

Lo sfruttamento irrazionale dell'ambiente è una minaccia per l'intero genere umano


Eminenza, signore e signori.


1. Sono lieto di ricevervi, illustri partecipanti all'ultimo simposio organizzato dalla fondazione internazionale "Nova Spes". Un saluto particolare al Cardinale Koenig, presidente e fondatore di "Nova Spes". A voi tutti, che rappresentate le scienze sociali e naturali, la filosofia e la teologia, esprimo la mia gratitudine per l'importante lavoro interdisciplinare intrapreso su un tema che sta sempre più a cuore a tutti quanti desiderano il bene del genere umano.

Le vostre discussioni in questi ultimi giorni hanno approfondito i molti aspetti del tema del simposio: "L'uomo, l'ambiente e lo sviluppo: per un approccio globale". Per considerare il problema dell'ambiente, è indispensabile una prospettiva etica e globale, poiché non è solo la scena in cui si svolge il grande dramma della storia umana, ma in un certo senso è anche un attore di questo dramma. C'è un'attiva interazione tra l'uomo e l'ambiente, all'interno del quale egli cresce nella conoscenza di sè, del proprio posto nella creazione di Dio, e giunge ad apprezzare il valore, il potenziale e i limiti di ogni vita e fatica umana.


2. Proprio in una simile prospettiva globale ed etica ho affrontato la questione ecologica nel mio nessaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1990, dal

"Pace con Dio creatore, Pace con tutto il Creato". Questo messaggio sottolinea il carattere fondamentalmente morale della crisi ecologica e la sua stretta correlazione con la ricerca di una autentica e duratura pace nel mondo. Nel richiamare l'attenzione sui principi etici che sono essenziali per risolvere in modo adeguato e duraturo questa crisi, ho rimarcato in particolare il valore del rispetto della vita e dell'integrità dell'ordine creato ("Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro a. D. 1990", 7, die 8 dec. 1989: vide "supra", p.

1463).

Dal momento che la crisi ecologica è fondamentalmente un problema morale, è necessario che tutti i popoli affrontino in modo solidale questo problema comune. Uno sfruttamento incontrollato dell'ambiente naturale non solo minaccia la sopravvivenza della razza umana; mette in pericolo anche l'ordine naturale in cui il genere umano è destinato a ricevere ed usare il dono divino della vita con dignità e libertà. Oggi, uomini e donne responsabili sono sempre più consapevoli di dover prestare "attenzione a ciò che la terra e l'atmosfera ci rivelano: nell'universo esiste un ordine che deve essere rispettato; la persona umana, dotata della possibilità di libera scelta, ha una grave responsabilità per la conservazione di questo ordine, anche in vista del benessere delle generazioni future" ("Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro a. D. 1990", 15, die 8 dec. 1989: vide "supra", p. 1472).

Una preoccupazione per l'ambiente, guidata da principi etici oggettivi e caratterizzata da una vera solidarietà umana, si radica ultimamente nella natura stessa dell'uomo come essere libero e razionale costantemente in rapporto con ciò che lo circonda. Come è abbondantemente dimostrato dalla crisi ecologica, lo sviluppo individuale e sociale dell'uomo non può essere considerato separatamente dall'ambiente naturale. Dentro questa ampia prospettiva l'uomo ha una grave responsabilità di amministrare con saggezza l'ambiente. Questa responsabilità poi aumenta nella misura in cui egli diventa sempre più capace di modificare sostanzialmente il suo ambiente naturale.


3. Una esauriente descrizione del rapporto tra ambiente e sviluppo deve prendere in considerazione la persona in tutte le sue dimensioni insieme con il rispetto dovuto alla natura, pur consapevoli della centralità dell'uomo all'interno dell'ambiente. Un autentico sviluppo dell'uomo non può ignorare la solidarietà che lega l'uomo e l'ambiente, nè può escludere una preoccupazione universale per le necessità di tutti i popoli della terra. Qualsiasi tentativo di esaminare il rapporto tra ambiente e sviluppo che ignori queste profonde realtà condurrà inevitabilmente a ulteriori e forse più destabilizzanti squilibri.

Considerare il problema ecologico in una prospettiva globale che tiene conto della persona in tutte le sue dimensioni e delle esigenze di uno sviluppo autenticamente umano può giustamente essere considerato una delle grandi sfide del nostro tempo. Se le generazioni di oggi affronteranno con saggezza questa sfida, possiamo confidare che questo contribuirà non poco a risolvere altre pressanti questioni internazionali. Ciò che si richiede, finalmente, da noi tutti è una maggior consapevolezza dell'unità della famiglia umana, nella quale l'uomo è saldamente radicato nella sua cultura particolare, e tuttavia è capace di superare i limiti imposti dalla geografia, l'ideologia, la razza e la religione. E in relazione alle nazioni del mondo, la necessità della solidarietà di fronte alle minacce al nostro comune ambiente presenta "opportune occasioni per consolidare relazioni tra gli Stati" ("Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro a. D.

1990", 10, die 8 dec. 1989: vide "supra", p. 1469).


4. Le decisioni prese oggi sull'ambiente devono anche tener conto della responsabilità morale che abbiamo verso le future generazioni. Per questo motivo, ho parlato della necessità di una nuova "educazione alla responsabilità ecologica" ("Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro a. D. 1990", 13, die 8 dec. 1989: vide "supra", p. 1471). Questo imperativo morale ha le sue radici nella nostra comune umanità e nelle esigenze etiche universali che ne derivano. "Anche gli uomini e le donne che non hanno particolari convinzioni religiose, per il senso delle proprie responsabilità nei confronti del bene comune, riconoscono il loro dovere di contribuire al risanamento dell'ambiente" ("Nuntius ob diem ad pacem fovendam dicatum pro a. D. 1990", 15, die 8 dec. 1989: vide "supra", p. 1472).

I cristiani, per parte loro, troveranno ispirazione per questo compito nella loro fede in Dio creatore del mondo e in Gesù Cristo che ha riconciliato con sè tutte le cose "quelle che stanno sulla terra e quelle nei cieli" (cfr Col 1,20).

La nostra generazione è stata benedetta dall'eredità, per il lavoro delle precedenti generazioni, di una grande quantità di beni materiali e spirituali che sono alla base della nostra società e del suo progresso.

La solidarietà universale ora esige che noi consideriamo come nostro grave dovere la salvaguardia di questa eredità per tutti i nostri fratelli e sorelle e l'assicurare che tutti e ciascun membro della famiglia umana possano goderne i benefici.


5. Cari amici: nel manifestare la mia gratitudine a "Nova Spes" per il suo impegno nella riflessione su questi problemi, esprimo anche la speranza che il vostro lavoro sia un fruttuoso incentivo per voi stessi e i vostri colleghi a portare avanti l'importante lavoro di promozione di questi valori e programmi che possono garantire e sviluppare migliori condizioni di vita per tutti i popoli, affrontando la crisi ecologica in uno spirito di autentica solidarietà, fraterna carità e fermo rispetto per tutti i popoli e tutte le nazioni. Sono lieto di rinnovare a voi, uomini e donne di cultura e di scienza, l'assicurazione, espressa dal Concilio Vaticano II, che nella Chiesa voi avete un'amica della vostra vocazione di ricercatori, un'alleata nei vostri sforzi, un'estimatrice dei vostri successi, e, se necessario, una consolatrice nel vostro scoraggiamento e nelle vostre sconfitte (cfr. "Nuntii quibusdam hominum ordinibus dati": "Aux hommes de la pensée et de la science", die 8 dec. 1965: AAS 58 [1966] 8-18).

Nell'affidare il vostro lavoro a Dio, creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili e invisibili, vi assicuro delle mie preghiere. Su voi tutti invoco di cuore le benedizioni divine di gioia e di pace.

1989-12-14

Giovedi 14 Dicembre 1989




L'omelia della Messa per gli universitari di Roma - Città del Vaticano (Roma)

"Portiamo all'altare la sofferenza, le ansie, le aspirazioni alla pace e alla vera indipendenza del popolo libanese"



1. "Compi la tua opera di annunciatore del Vangelo" (2Tm 4,5).

E' Paolo che parla. Egli si rivolge al discepolo Timoteo per ricordargli il compito principale del suo ministero di Vescovo: annunciare il Vangelo. Quella è l'"opera sua", la ragione d'essere del posto che egli occupa nella Chiesa. Il Vescovo o è annunciatore del Vangelo o non è.

L'imperativo missionario, tuttavia, non riguarda lui solo. Ogni cristiano ne è personalmente toccato. Lo è in forza del Battesimo, che lo inserisce in Cristo, il missionario del Padre per eccellenza. In quanto battezzato, il cristiano è chiamato a portare il seme del Vangelo dovunque si trovano uomini a vivere e a lavorare, specialmente là dove si preparano, come nell'università, i quadri direttivi della società di domani.

"Compi la tua opera di annunciatore del Vangelo". Penso in questo momento alle centinaia di migliaia di giovani che mi hanno accompagnato nello scorso mese di agosto nel pellegrinaggio a Santiago de Compostela. Molti di loro erano universitari; sicuramente a Santiago c'era anche qualcuno di voi. Da tutta l'Europa i giovani si sono raccolti nel santuario dell'Apostolo per vivere una singolare esperienza di Chiesa e ritornare poi nelle rispettive città e paesi col proposito di ravvivare "l'impegno nella fede", "l'operosità nella carità" e "la costante speranza nel Signore Gesù" (cfr 1Th 1,3).

Carissimi giovani universitari, noi siamo qui raccolti stasera per rivivere un momento forte di comunione, come è stato quello di Compostela. Secondo una consuetudine ormai lunga, in questa sera di Avvento che prepara il santo Natale, mi rivolgo a voi e ai docenti che vi precedono sulla strada, che conduce alle mete prescelte, quasi guide che - secondo le parole di Platone - vi tirano un poco per mano, per lasciarvi poi correre sui vostri piedi (cfr. "Epistula VII", 340c). Mi rivolgo a voi tutti per dirvi, mentre siete ancora agli inizi dell'anno scolastico: "Compi la tua opera di annunciatore del Vangelo".


2. Il mondo dell'università e della scuola presenta oggi nuove domande ed offre nuovi spazi agli annunciatori del Vangelo.

Gli eventi che stiamo vivendo confermano quanto siano insoddisfacenti certi modi di pensare e di concepire la cultura umana e il suo rapporto con la religione e la fede. Sorgono nuove domande che vanno oltre l'orizzonte della cultura puramente tecnicistica e si spingono verso il mondo dello spirito. Oggi si pongono con insistenza crescente interrogativi sul significato ultimo dell'uomo e sugli elementi costitutivi di un vero umanesimo. Si cerca un modo di vivere che risponda pienamente alla dignità dell'uomo tanto come singolo quanto come soggetto sociale.

"Tu vigila attentamente, scrive san Paolo a Timoteo, sappi sopportare le sofferenze". Il cristiano sa essere partecipe delle sofferenze dei suoi simili, e si mette al loro fianco per camminare con loro sulla strada indicata dal Messia Gesù. Egli ci ha visitati "oriens ex alto, illuminare his qui in tenebris et in umbra mortis sedent ad dirigendos pedes nostros in viam pacis": "come un sole che sorge dall'oriente per illuminare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra di morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace" (Lc 2,78-79).

"Per dirigere i nostri passi". Carissimi, questo discorso è rivolto concretamente a noi, questa sera. Penso in questo momento con affetto al fervido mondo delle vostre università, qui a Roma. Fra le altre, consentitemi di ricordare in particolare l'istituto universitario pareggiato di magistero "Maria SS.

Assunta", che celebra quest'anno i cinquanta anni di fondazione. Nelle varie sedi universitarie si raccolgono giovani che provengono da tutti i quartieri della città, da tante regioni d'Italia, e da varie nazioni del mondo. Penso ai tanti problemi di sussistenza, di accoglienza, di orientamento, di scelta delle discipline di studio, di avviamento alla metodologia scientifica, di impatto con nuovi orizzonti e con diverse concezioni di vita. E condivido i vostri desideri di una crescita personale che vada oltre l'apprendimento di singole discipline; condivido i desideri di libertà e di riuscita, ma anche il bisogno di guida e di orientamento nelle nuove esperienze alle quali vi apre la vita universitaria.

Condivido la vostra ricerca di un rapporto vero e personale con i docenti che eviti il rischio di anonimato al quale espone una popolazione universitaria numerosa come quella di Roma. Per questo si fa pressante l'esigenza di un rinnovato impegno, di una tempestiva e sapiente testimonianza del Vangelo nell'ambiente universitario.


3. Momento favorevole per questo impegno è la celebrazione del Sinodo nella Chiesa di Roma, la Chiesa nella quale è inserita la vostra realtà universitaria. La Chiesa di Roma si trova nel mezzo del suo cammino sinodale. Nel linguaggio della tradizione cristiana, "sinodo" è una chiamata a raccolta dei cristiani per rivedere insieme il proprio impegno e camminare creativamente nella luce del Signore.

Per natura e vocazione, la Chiesa è in cammino. Sotto vari aspetti è in cammino con gli uomini, per condividerne le trepidazioni e le speranze, le gioie e le sofferenze (uti legitur in GS 1) e per comunicare a tutti il "Vangelo eterno" (Ap 14,6) che è "forza ("dynamis") di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rm 1,16).

Ora, in questo creativo cammino sinodale, la Chiesa di Roma vuole incontrare l'università, dove docenti illustri per dottrina introducono i giovani nelle vie del sapere e della ricerca, e dove tutte le maggiori espressioni della cultura umana si incontrano come in un crocevia. La Chiesa mancherebbe gravemente alla sua missione, se non incontrasse l'università. Tanto l'una quanto l'altra, infatti, hanno in comune il grande fine di formare un uomo maturo, anche se la Chiesa va oltre, giacché per essa "uomo perfetto" è solo colui che è giunto alla piena conoscenza di Cristo (cfr Ep 4,13 Col 1,28).

"Formare l'uomo": è un compito grande che ogni generazione si pone, e la Chiesa ha in ciò un suo specifico contributo da portare, perché "esperta in umanità", secondo l'espressione di Paolo VI, e perché il suo Signore e Maestro è il "Redentore dell'uomo".

"Su questa via, sulla quale Cristo si unisce ad ogni uomo, la Chiesa non può essere fermata da nessuno", come ho scritto nella mia prima lettera enciclica "Redemptor Hominis" (RH 13).


4. Depositaria della verità del Vangelo, la Chiesa indica all'uomo i fini ultimi, i quali si coniugano necessariamente con quelli più immediati e storici, personali e sociali, che si coltivano nell'università. D'altra parte, gli orizzonti scientifici ed umanistici, ai quali prepara l'università, richiedono di essere coordinati in una visione unitaria, che accolga tutto l'uomo e gli indichi il senso del suo cercare e lavorare sopra la terra. Vale qui il luminoso assioma di Sant'Ireneo: "Gloria Dei vivens homo: l'uomo vivente è la gloria di Dio, e la vita dell'uomo è la visione di Dio". ("Adv. haer.", IV, 20, 7). Dio vuole la gloria dell'uomo e l'uomo trova la sua gloria in Dio. Nulla gli è pari, nulla gli basta sopra la terra. Chiesa e università sono impegnate a promuovere questa vita specifica dell'uomo, che lo porta alla visione di Dio.

Per questo alle origini dell'università si trova la presenza della Chiesa, la quale ha sempre guardato con stima e simpatia quel laboratorio del sapere, della ricerca e del servizio alla società che è l'università.

Sono passati i tempi dell'inutile e spesso artificioso contrasto tra la scienza e la fede. Oggi gli uomini di scienza si interrogano con sgomento sui possibili abusi della scienza e temono per la sorte dell'uomo e del cosmo. Giunta sull'orlo dell'abisso, l'umanità avverte con acutezza il ruolo della coscienza nella stessa ricerca scientifica e nell'utilizzo dei suoi risultati. Vecchie problematiche appaiono ormai superate. Scienza e cultura sentono di doversi mettere insieme a servizio dell'uomo; in questo servizio incontrano la Chiesa che è depositaria della Parola di Cristo e della sua legge. Un nuovo grande confronto si delinea, quello del sapere e della scienza con la morale e con i fini ultimi e veri dell'uomo.


5. Nel suo cammino sinodale la Chiesa di Roma incontra l'università e vuole stabilire punti di contatto per confrontare discorsi, misurare metodologie e raccogliere risultati. Nessuno può presumere di parlare in maniera compiuta del "sistema uomo": per questo la Chiesa guarda con stima ed attenzione a ciò che avviene nell'università ed offre con semplicità e franchezza le parole di cui è depositaria. Occorrerà quindi, nel cammino sinodale, offrire opportunità e forse anche creare strutture nuove, che favoriscano la comunicazione con il mondo universitario e facciano crescere la comunione tra le varie componenti dell'università, tra docenti e studenti. Occore per questo una più sentita e consapevole comunione tra le forze e i movimenti ecclesiali, che assumono in proprio la missione della Chiesa di immettere il Vangelo nella vasta e complessa realtà universitaria. Comunione e missione sono i grandi obiettivi del Sinodo. So che sono già stati fatti dei passi in questa direzione per accrescere la comunione nella Chiesa di Roma al servizio della sua missione anche nell'università. Il cammino sinodale ci conforta e addita nuove mete da raggiungere nella qualificazione cristiana della cultura.

Il mio augurio, che estendo a tutti i componenti della famiglia universitaria, è che l'evento del Natale corrobori nei vostri cuori l'impegno di costruire nel campo universitario l'uomo nuovo e la nuova società, gettando le fondamenta non "sulla sabbia", ma "sopra la roccia" (cfr Mt 7,24-27) che è Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo.

Con questo augurio proprio dei periodo natalizio, voglio ricordare qui, in un certo senso, tutti gli studenti del nostro Paese, dell'Europa, del mondo, ma soprattutto un gruppo di vostri coetanei particolarmente provati: sono gli studenti del Libano. Questo appuntamento dell'Avvento 1989 invita tutti loro: sentiamo la loro presenza, la loro sofferenza, le loro ansie. Cerchiamo di portare tutto questo all'altare. In tal modo facciamo nostre questa ansia, questa sofferenza, queste giuste aspirazioni alla pace, alla vera indipendenza del loro Paese. E, se alla fine desidero ripetere le parole iniziali, "compi la tua opera di annunciatore del Vangelo", nello stesso tempo voglio trasmettere le stesse parole ai vostri colleghi e coetanei del Libano; e se desidero augurarvi che ci accompagni con la sua protezione materna la Madre del Redentore, voglio ripetere di gran cuore le stesse parole agli studenti libanesi: vi accompagni con la sua protezione materna la Madre del Redentore, la Madre del Libano.

Amen.

1989-12-14

Giovedi 14 Dicembre 1989




A vescovi della Colombia in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

La presenza e la testimonianza dei laici trasformano la vita della società


Cari fratelli nell'Episcopato.


1. E' per me motivo di gioia e di ringraziamento al Signore, poter stare oggi con voi, condividendo più da vicino la vostra gioia e le vostre preoccupazioni, sempre presenti nella mia mente, nel mio cuore e nelle mie preghiere, poiché la "sollicitudo omnium Ecclesiarum" è la missione del successore di Pietro.

Sono cosciente della situazione attuale delle vostre Chiese e dell'amata nazione colombiana. Insieme a tutti e ciascuno di voi sono consapevole della gravità dei problemi che la affliggono e che incidono in maniera preoccupante sulla vita sociale e religiosa del vostro popolo. perciò, nel nostro incontro di oggi, e come conclusione della visita "ad limina", vorrei incoraggiarvi nella vostra ferma speranza, rivolgendovi delle parole che vi possano servire da appoggio per continuare con nuova forza la vostra azione pastorale, nelle circoscrizioni ecclesiastiche del nord della Colombia.


2. Il compito che vi aspetta richiede senza dubbio, insieme alla saggezza - dono dello Spirito - la pazienza, la fortezza e il coraggio; virtù che il Signore Gesù concede sempre a chi insistentemente e umilmente gliele chiede, per servire meglio Dio e tutti gli uomini. perciò, di fronte alle difficoltà e le contraddizioni del momento attuale, riponiamo la fiducia in colui che vinse con la sua morte sulla Croce. Quello che quasi tutti consideravano un fallimento (cfr Lc 24,20-21) fu invece una vittoria. Per questo il Signore aveva annunciato: "vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!" (Jn 16,33).

Nel suo indirizzo di saluto pronunciato a nome di tutti, monsignor Héctor Rueda Hernandez, Arcivescovo di Bucaramanga, ha affermato giustamente che il laicato costituisce uno dei grandi motivi di speranza per il presente e il futuro della vita della Chiesa nella vostra Nazione. Infatti la presenza attiva e la testimonianza cristiana dei fedeli laici è una grande forza per trasformare la vita degli individui e delle società, di modo che siano più conformi al disegno di Dio Padre. Nel momento attuale siete particolarmente consci di quanto sia importante, secondo il Concilio Vaticano II, la partecipazione dei fedeli laici nel rendere presente e operante la Chiesa, come sale della terra, negli ambienti in cui svolgono la loro vita professionale e sociale (cfr LG 33).

A questo riguardo, dobbiamo prendere in considerazione anche le difficoltà che i fedeli laici possono trovare nel loro ambiente familiare, sociale, professionale e culturale. Vivere la fede cristiana con le sue ineludibili esigenze può risultare arduo e persino eroico in determinate situazioni. A maggior ragione pertanto, lo sarà la decisa testimonianza di questa fede. "Voi - ci ammonisce il Signore - siete il sale della terra. Ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato?" (Mt 5,13). perciò ci si dovrà impegnare con particolare impegno perché non perda forza il sale della testimonianza cristiana. Che non si corrompa! Di conseguenza è necessario usare quegli strumenti che sanno dare efficacia all'azione apostolica dei fedeli laici e che li preservano e sostengono nel buon spirito evangelico. Da qui la necessità di insistere sulla santità di vita e la santità della famiglia.


3. Come ho ricordato recentemente nell'esortazione apostolica "Christifideles Laici", obbedendo al richiamo fatto dal Concilio Vaticano II, "è quanto mai urgente che oggi tutti i cristiani riprendano il cammino del rinnovamento evangelico, accogliendo con generosità l'invito apostolico a essere "santi in tutta la condotta"" (1P 1,15) (CL 16). Noi Pastori perciò, dobbiamo essere fermamente convinti che solo partendo dalla santità è possibile arrivare al rinnovamento; solamente nella santità il cristiano scopre la sua grande dignità e realizza l'ideale che dà senso alla sua vita. Solamente i santi sono stati capaci di trasformare l'odio in amore, l'ingiustizia in giustizia, la divisione in unità, perché la loro forza e la loro fiducia erano riposte in colui che ha vinto il mondo (cfr Jn 16,33).

La nostra speranza di trasformare secondo Cristo le realtà della terra, facendo si che in queste si rifletta la giustizia, l'amore e la pace, ci porta a sperare molto nei fedeli laici. Tuttavia, non possiamo pensare esclusivamente a quello che questi possono fare, ma anche a quello che devono essere. Da ciò deriva la necessità di mettere alla loro portata i mezzi per arrivare alla maturità della vita cristiana, come sottolinea la già menzionata esortazione apostolica: "La vita secondo lo Spirito, il cui frutto è la santificazione (cfr Rm 6,22 Ga 5,22), pretende ed esige da parte di tutti e ciascuno dei battezzati, che si segua e imiti Gesù Cristo, ricevendo le sue Beatitudini, ascoltando e meditando sulla Parola di Dio, nella partecipazione cosciente e attiva alla vita liturgica e sacramentale della Chiesa, nella preghiera individuale, familiare, comunitaria..." (CL 16).

In questo contesto, permettetemi che insista una volta di più sull'importanza della preghiera. Si tratta di una dimensione fondamentale dell'essere cristiano in generale e del fedele laico in particolare. Fare di un uomo o di una donna un cristiano, è fare di loro uomini e donne di preghiera; uomini e donne che sappiano trattare Dio come Padre e siano perciò, pienamente coscienti della realtà della sua divinità.

E insieme alla preghiera, l'unità della vita. Infatti, quando il fedele laico integra la preghiera nella sua vita quotidiana, scopre ulteriormente l'importanza di quest'altra dimensione fondamentale dell'esser cristiano: l'incarnazione della fede nella propria vita. "I fedeli laici devono essere formati - si legge nella "Christifideles Laici" - a quella unità di cui è segnato il loro stesso essere di membri della Chiesa e cittadini della società umana.

Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte la cosiddetta vita "spirituale", con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra la vita cosiddetta "secolare", ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura" (59). La radice dinamica di questa unità è la carità, che porta a mettere in relazione ogni comportamento con l'amore per Dio e tutti i fratelli.


4. Anche la famiglia riveste una particolare importanza riguardo alla santità come fondamento di tutta la struttura sociale. Infatti in questa convergono molte delle questioni sociali cruciali della vita di una nazione; fra le altre, la formazione e educazione della gioventù, la stabilità d'ordine morale, la continuità della tradizione e il progresso stesso dell'uomo in quanto tale.

Nell'ambito della nuova evangelizzazione, la famiglia deve essere una scuola di valori, fondata sulla santità stessa del matrimonio, che si proietta in tutte le dimensioni della comunità. Questa deve essere sempre l'ambiente naturale nel quale il cristiano si forma, matura nella fede, scopre la sua vocazione e si santifica (cfr GE 3 CL 62).

L'educazione cristiana della gioventù nel seno delle famiglie gioca un ruolo di prim'ordine perché possano nascere vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. Infatti, è necessaria normalmente una formazione cristiana di base che, manifestandosi nella vita di pietà e nella pratica costante delle virtù, costituisca un terreno appropriato perché la chiamata divina al sacerdozio possa essere accolta, germogli e cresca. In questo senso il Concilio Vaticano II qualifica la famiglia il primo seminario, dal quale deriva il massimo contributo per l'incremento delle vocazioni sacerdotali (cfr OT 2).

Dio ha voluto benedire le vostre comunità suscitando vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa per l'edificazione della Chiesa. Questo deve essere motivo di azione di grazia verso il Signore per tanti doni ricevuti e, allo stesso tempo uno stimolo affinché, con spirito di universalità, sappiate dividere con le Chiese più bisognose. Ho voluto sottolinearlo nel mio messaggio al terzo congresso missionario latinoamericano, celebrato a Bogotà nel 1987, con lo slogan: America Latina. è arrivato il momento di essere evangelizzatrice, dicendo che "l'America Latina è chiamata ad essere "il continente della speranza missionaria"... inviando dalla sua povertà messaggeri che annuncino a tutte le genti il "Vangelo, che è una forza di Dio per la salvezza di tutti coloro che credono" (Rm 1,16)" ("Nuntius scripto datus occasione oblata III Coetus Missionarii Americae Latinae", 5 die 6 iul. 1987: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 [1987] 37).


5. Con il mio incoraggiamento affinché continuiate a fomentare lo spirito missionario nelle vostre Chiese particolari, desidero esprimere il mio vivo ringraziamento nel Signore ai missionari e alle missionarie che, continuando l'operato di secoli di evangelizzazione, arrivano oggi al cuore del popolo per mezzo della catechesi, dei sacramenti, della pietà popolare, dell'azione educativa e assistenziale. Alcuni fra questi sono venuti da altre nazioni e hanno fatto della Colombia la loro patria, integrandosi anche nella pastorale diocesana. A questo proposito desidero esortarli a dare sempre testimonianza di comunione ecclesiale effettiva e affettiva con i Vescovi. Questa è l'unità per la quale Cristo prego intensamente il Padre prima di spirare: "che siano perfetti nell'unità e il mondo creda che tu mi hai mandato e che li ho amati come tu ami me" (Jn 17,23).

Un buon numero di famiglie religiose è nato principalmente per la educazione cristiana dei bambini e dei giovani, soprattutto dei più deboli. In questi momenti in cui è di particolare rilievo l'attenzione pastorale nei confronti della gioventù, i religiosi e le religiose devono continuare a collaborare nella fedeltà al Magistero e in perfetta comunione gerarchica, nell'opera catechetica delle Chiese locali. La catechesi è un'attività ecclesiale che nasce dalla fede ed è al servizio della fede quando proclama Gesù Cristo. Per questo, spiegare le verità della nostra fede, implica un impegno di vita con cui si vuole trasmettere una relazione personale e intima con Dio, oggetto della fede professata dalla Chiesa.

Da un'intensa opera catechetica sorgeranno, grazie all'azione dello Spirito, movimenti apostolici capaci di rispondere adeguatamente alle inquietudini e agli ideali della gioventù e dell'uomo di oggi. Con il vostro incoraggiamento e la vostra attenzione perché siano fedeli alla fede della Chiesa e docili verso gli orientamenti dei loro Pastori, queste associazioni secolari di apostolato possono rappresentare una nuova speranza per l'annuncio di Cristo, salvatore e redentore dell'uomo.


6. Desidero infine porre sotto la guida di nostra Signora di Chinquinquirà tutti e ognuno dei figli dell'amata nazione colombiana. Fra pochi giorni contempleremo il mistero della Incarnazione del Figlio di Dio, che ha voluto vivere fra noi, e ha trascorso la sua vita su questa terra, facendo parte di una famiglia: la Famiglia di Nazaret. Chiediamo alla patrona della Colombia che sia lei la regina e la signora di tutte le famiglie colombiane, rendendole tutte famiglie come quella di Nazaret: un angolo di pace, concordia e felicità; un luogo nel quale tutti e ognuno singolarmente si ponga generosamente al servizio del piano redentore di Dio.

Trasmettete a tutti i sacerdoti e i diaconi, ai religiosi e alle religiose, a tutte le famiglie e a tutti i fedeli, la grande speranza che il Papa e la Chiesa intera hanno riposto in loro. Proponete loro nuovamente l'ideale della santità di modo che orienti le loro vite; che lo sentano come qualcosa per cui vale la pena di vivere! Orientate i vostri più alti sforzi verso una pastorale familiare che favorisca una maggiore consapevolezza della dignità della persona, nella giustizia, e la pace, con la speranza di un futuro migliore per tutti.

Vi accompagni sempre la mia benedizione apostolica.

1989-12-15

Venerdi 15 Dicembre 1989




Ai giuristi cattolici italiani - Città del Vaticano (Roma)

Garantire con un corpo di leggi la stabilità del matrimonio e della famiglia


Illustri signori.


1. Sono lieto di accogliervi e di salutarvi in occasione del convegno nazionale di studio che l'unione giuristi cattolici italiani ha promosso su di un tema così importante e vitale quale è la famiglia in una società complessa. Sono certo che voi affronterete la delicata materia con il coraggio e la profondità di chi, per professione, si sente impegnato a cercare quanto negli istituti giuridici è atto a favorire il bene delle persone e, quindi, della stessa società.

Voi non mancherete, inoltre, di farvi guidare, nelle vostre analisi, dalla luce che viene dalla fede, grazie alla quale è possibile percepire in tutta la sua ricchezza il progetto divino sull'unione dell'uomo e della donna in vista della generazione di nuove vite umane.


2. Voi, illustri signori, siete davanti a un tema - la famiglia - che costituisce un bene essenziale della persona e della stessa società. Su di esso la Chiesa ha senz'altro una parola evangelica da dire che illumina, protegge e rinforza questa istituzione così necessaria per il bene degli uomini; ma la famiglia è, innanzitutto, una realtà terrena, un bene proprio della città degli uomini, un bene iscritto nella stessa creazione dell'uomo. perciò la prima parola che la Chiesa ha da dire su di essa è che Iddio l'ha fondata creando l'uomo persona, essere sociale. "Dio non creo l'uomo lasciandolo solo - dice il Concilio Vaticano II -; fin dal principio "uomo e donna li creo" (Gn 1,27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone. L'uomo, infatti, per la sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti" (GS 12).

Quando si oscura la dimensione profonda della persona umana e il suo senso trascendente, quando la persona non può ritrovare pienamente se stessa perché non sa fare dono sincero di sè (cfr MD 7; GS 24), non fa meraviglia che appaiano forme succedanee di famiglia, le quali cercano di riempire il posto naturale che c'è nel cuore umano per quella che è costituita sulla base del dono sincero e vicendevole di sè.


3. Come cultori del diritto e come cattolici voi, illustri signori, vi trovate oggi davanti a una sfida. Non potete restare in passiva contemplazione dei cambiamenti della società, limitandovi a prender atto degli adeguamenti delle leggi civili ai mutamenti del costume. Ciò significherebbe essere insensibili a quel bene delle persone che dà valore ad ogni rapporto di giustizia tra gli uomini. Occorre, invece, impegnarsi perché la società dei nostri giorni sappia darsi delle leggi che, pur tenendo conto delle diverse situazioni reali, garantiscano il bene delle persone singole e delle comunità umane, promovendo e tutelando l'istituto naturale della famiglia fondata sul matrimonio.

Il bene "della comunità umana è strettamente legato alla sanità dell'istituzione familiare. Quando, nella sua legislazione, il potere civile disconosce il valore specifico che la famiglia rettamente costituita porta al bene della società; quando esso si comporta come spettatore indifferente di fronte ai valori etici della vita sessuale e di quella matrimoniale, allora, lungi dal promuovere il bene e la permanenza dei valori umani, favorisce con tale comportamento la dissoluzione dei costumi" ("", IX, 1, [1986], 1140).

Non si contribuirebbe, perciò, al bene personale e sociale ipotizzando leggi, che pretendessero di riconoscere come legittime, equiparandole alla famiglia naturale fondata sul matrimonio, unioni di fatto, che non comportano alcuna assunzione di responsabilità ed alcuna garanzia ai stabilità, elementi essenziali dell'unione tra l'uomo e la donna, come fu intesa da Dio creatore e confermata da Cristo redentore. Una cosa è garantire i diritti delle persone ed un'altra indurre nell'equivoco di presentare il disordine come situazione in sè buona e retta.


4. L'ordinamento giuridico non può non riconoscere e sostenere la famiglia come luogo privilegiato per lo sviluppo personale dei suoi membri, specialmente dei più deboli. Oltrepassando impostazioni superate di questi ultimi decenni, occorre privilegiare e promuovere giuridicamente la famiglia come "il luogo nativo e lo strumento più efficace di umanizzazione e di personalizzazione della società" (FC 43). Senza dare per scontato che ogni famiglia realizzi perfettamente questo bene sociale, occorre tuttavia non partire dalla diffidenza nei suoi confronti, ma piuttosto aiutarla con quei mezzi opportuni e quei sussidi, che integrano il suo compito formativo e assistenziale a servizio dei più deboli.

Significativamente, alcune piaghe che hanno colpito specialmente i paesi occidentali, come la disoccupazione, la droga, e persino l'AIDS, hanno portato a riscoprire la famiglia come la prima e principale alleata per diminuire l'incidenza negativa di quei fattori sulla società. Essa infatti, "possiede e sprigiona ancora oggi energie formidabili capaci di strappare l'uomo dall'anonimato, di mantenerlo cosciente della sua dignità personale, di arricchirlo di profonda umanità e di inserirlo attivamente con la sua unicità e irripetibilità nel tessuto della società" (FC 43).

Si rivela, perciò, compito della massima importanza quello di trasmettere alle generazioni future i valori della dignità della persona e della stabilità del matrimonio e della famiglia mediante un corpo di leggi che li protegga e li promuova. Dare carta di cittadinanza legale a forme di convivenza diverse dalla famiglia legittima fondata sul matrimonio, oltre alla confusione sul piano dei principi, comporterebbe pedagogicamente e culturalmente un diretto contributo alla formazione di una mentalità e di un costume privi di riferimento ai valori basilari e fondanti della famiglia.


5. Come giuristi italiani, del resto, non potete dimenticare il contributo offerto da questo Paese alla riscoperta delle comuni radici culturali dell'Europa. Una di queste, e tra le più profonde, è sicuramente la concezione della famiglia come "società naturale fondata sul matrimonio", secondo la formulazione solenne della carta costituzionale italiana ("Costituzione della Repubblica Italiana", art. 29, comma 1°).

Impegnarsi perché tale concezione sia rettamente capita ed opportunamente recepita negli ordinamenti giuridici di questa e delle altre nazioni europee, significa lavorare al consolidamento di quella piattaforma di valori su cui soltanto può poggiare l'edificio di una Europa autenticamente civile. Trattandosi, peraltro, di concezione radicata nella legge di natura e quindi non specificamente cristiana, non dovrebbe essere difficile trovare sostanzialmente consenzienti su di essa anche persone di diversa ispirazione ideale.

Questo non toglie, ovviamente, che la riflessione cristiana sul tema della famiglia abbia apportato approfondimenti significativi in materia. Ad essi converrà che la vostra riflessione guardi con rinnovata attenzione, affinché non accada che dall'averli trascurati derivi un impoverimento di quelle fonti alle quali hanno attinto fruttuosamente anche popoli di altri continenti.

Nel porgervi il mio augurio cordiale di un proficuo lavoro, invoco su di voi i favori della divina assistenza, in pegno dei quali vi imparto con affetto la mia benedizione.

1989-12-16

Sabato 16 Dicembre 1989





GPII 1989 Insegnamenti - Ai partecipanti all'incontro organizzato da "Nova Spes" - Città del Vaticano (Roma)