GPII 1989 Insegnamenti - Il discorso al pellegrinaggio di Reggio Calabria - Città del Vaticano (Roma)

Il discorso al pellegrinaggio di Reggio Calabria - Città del Vaticano (Roma)

Promuovere la maturazione della coscienza pubblica di fronte ai problemi urgenti che attendono soluzioni adeguate


Venerati fratelli nell'Episcopato, signori delle amministrazioni locali, carissimi fratelli e sorelle!


1. Sono veramente lieto di incontrarmi per la terza volta nel giro di cinque anni con una distinta rappresentanza della Chiesa che è in Reggio Calabria. Il vostro pellegrinaggio di oggi richiama alla mia mente lo spettacolo di fede offertomi nel corso delle mie visite nella vostra bella terra.

Ringrazio l'Arcivescovo monsignor Aurelio Sorrentino per le parole che a nome di tutti mi ha rivolto, manifestando fervidi sentimenti di comunione e generosi propositi per il futuro. Lo ringrazio anche per l'omaggio di tre volumi degli atti sulla preparazione e celebrazione del Congresso Eucaristico Nazionale, quando Reggio si trovo al centro della solenne manifestazione religiosa che fu provvidenziale occasione per una ripresa di fede nell'arcidiocesi e in tutte le altre Chiese che sono in Italia.

Sono altresi grato alle autorità civili della regione, della provincia e del comune per questa loro presenza, nella quale mi piace ravvisare l'attestazione della volontà di operare sempre più incisivamente a servizio delle popolazioni amministrative.

Ringrazio infine di cuore voi, sacerdoti, religiosi e laici, venuti per confermare, a nome di tutte le componenti delle vostre rispettive comunità la piena consonanza di intenti con colui che dal Maestro e Redentore dell'umanità ha ricevuto il divino mandato di confermare i fratelli nella fede.


2. Carissimi, voi avete avuto la grande fortuna di ricevere l'annuncio del messaggio evangelico fin dall'alba della storia della Chiesa. Riferisce il libro degli Atti che san Paolo, l'apostolo prescelto per annunciare il Vangelo di Dio, come egli stesso dice (cfr Rm 11,1), nel suo viaggio dalla terra di Gesù verso Roma fece tappa nella vostra città di Reggio (cfr Ac 28,13). Proprio per questo, nove anni or sono, ritenni opportuno proclamarlo patrono principale della vostra arcidiocesi. Probabilmente Reggio ebbe altre visite dai primi discepoli di Gesù.

In ogni caso, la vostra è stata una delle prime comunità cristiane d'Europa.

Il vostro passato, carissimi, vi onora e vi impegna. Io vi esorto a mantenere sempre viva la consapevolezza delle vostre tradizioni cristiane e a sforzarvi di rendervene sempre più degni. Lo stesso san Paolo, nel ricordare ai fedeli di Roma l'avvenuta riconciliazione con Dio mediante il sacrificio redentore di Cristo, aggiungeva testualmente: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo?... Io sono infatti persuaso che nè morte, nè vita, nè angeli nè principati, nè presente nè avvenire, nè potenze, nè altezze nè profondità, nè alcuna altra creatura potrà separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore" (Rm 8,35).

Queste parole di san Paolo assumono per voi, cittadini di Reggio, che ricordate con fierezza il suo approdo sul litorale della vostra terra, una particolare carica di significato e devono tradursi in un preciso impegno di coerenza. La fede è il dono più grande, e chi ha avuto la fortuna di riceverla ha il dovere di viverla, di custodirla gelosamente, di difenderla contro le insidie, subdole o aperte, del tempo in cui la provvidenza lo ha posto a vivere. Egli, peraltro, sa di poter contare, nell'adempimento di questi suoi doveri, sul sostegno dell'amore di Cristo, da cui nessuna forza mondana, per quanto temibile, potrà mai separarlo. In un'epoca, come la presente, nella quale i mezzi di cui dispongono i predicatori del Vangelo appaiono così deboli, se confrontati con gli strumenti di cui possono avvalersi le forze del male, il cristiano deve riaffermare la sua fiducia incrollabile nell'onnipotenza dell'amore di Dio, che nella debolezza vittoriosa del Crocifisso ha avuto la sua Rivelazione definitiva.


3. Il vostro arcivescovo, carissimi fratelli e sorelle ha voluto fare riferimento all'enciclica "Sollicitudo Rei Socialis", e a quanto in essa è detto dell'Eucaristia come sorgente di carità che ci unisce non solo con Dio, ma anche tra noi. E' un rilievo importante. Il cristiano deve attingere alla mensa eucaristica incitamento e stimolo per un generoso impegno anche nell'ambito sociale.

Come sapete, l'enciclica, sviluppando l'insegnamento dei precedenti documenti pontifici sulla questione sociale e, in particolare, le indicazioni date dal Papa Paolo VI, ricorda che un autentico sviluppo non si può realizzare senza la collaborazione di tutti, nel quadro della più ampia solidarietà dei popoli, legati fra loro dai vincoli di una sempre più stretta interdipendenza. I cristiani devono essere all'avanguardia in questo cammino di solidarietà sulla strada di un progresso aperto alla dimensione trascendente dell'uomo.

Cari fratelli e sorelle di Reggio, ciò che ho scritto nell'enciclica avendo dinanzi le dimensioni mondiali dei problemi, ha pure una sua validità per la vita sociale su scala regionale. Io so che la vostra è una terra di antica civiltà e di nobili tradizioni che, per il variare delle vicende umane, oggi si trova ad affrontare i drammi della emarginazione, del sottosviluppo, della disoccupazione cronica, della violenza organizzata, con tutto il peso di sofferenze che ciò comporta. Conosco pero anche gli sforzi, che, nel corso degli ultimi quarant'anni si sono fatti nel meridione d'Italia per colmare il divario con altre regioni più prospere.

Molto, tuttavia, resta ancora da fare. Questi problemi non si risolvono senza il convergente ed energico impegno di tutte le forze in campo. In particolare, non si risolvono senza una coraggiosa riscoperta dei valori, senza una coerente opera di moralizzazione ad ogni livello, senza una generosa disponibilità di tutti ad assumersi la propria parte di responsabilità.

Mobilitate, dunque, le molte forze sane di cui disponete. Rivolgo in special modo la mia esortazione alle organizzazioni cattoliche, perché si impegnino a promuovere la maturazione della coscienza pubblica di fronte ai molti ed urgenti problemi che attendono soluzioni adeguate.

Il Signore vi assista e renda fecondi gli sforzi vostri e di tutte le persone di buona volontà. Con questo auspicio vi benedico tutti di cuore.

1989-09-30

Sabato 30 Settembre 1989




Storico avvenimento ventitre anni dopo l'incontro tra Paolo VI e il dottor Ramsey - Città del Vaticano (Roma)

La visita a Sua Santità Giovanni Paolo II di S. G. Robert Runcie, Arcivescovo di Canterbury


Vostra grazia, cari fratelli e care sorelle.

Vi rivolgo stamane il mio saluto nell'amore del nostro Signore Gesù Cristo, estendendo il mio più cordiale benvenuto all'Arcivescovo Runcie e a coloro che lo accompagnano, in rappresentanza della comunione anglicana. Il nostro incontro di stamane, vostra grazia, ha l'appoggio delle speranze e delle preghiere per l'unità che salgono dai cuori dei cattolici e degli anglicani in tutto il mondo. Il nostro pensiero si volge in questa circostanza anche a coloro che ci hanno preceduto e alla loro azione fondamentale, in risposta agli impulsi dello Spirito Santo, che ci guida e ci sollecita a percorrere la via dell'unità, secondo le indicazioni della volontà di Cristo. Durante gli ultimi decenni, le relazioni tra la Chiesa cattolica e la comunione anglicana hanno assunto, a svariati livelli, una intensità nuova. Quanto è stato compiuto e per noi motivo di gioia e sollecitiamo la guida del Signore per gli anni a venire.

Durante il loro incontro, nel 1966, i nostri venerati predecessori, di felice memoria, Papa Paolo VI e l'Arcivescovo Michael Ramsey, istituirono la prima commissione internazionale anglicana-romano cattolica. Gli anni che seguirono, furono un tempo di diligente lavoro per la commissione. Ne abbiamo constatato i progressi, ma è anche vero che le caratteristiche ed i presupposti delle differenze che ancora ci separano, sono venute più chiaramente alla luce. Dobbiamo affrontarle con onestà, ma anche con mente aperta e con una sconfinata speranza.

Questa circostanza mi offre la possibilità di assicurare i membri della commissione e tutti coloro che operano per una più piena comunione tra cattolici ed anglicani, della mia continua preghiera e del mio sostegno.

Possa la forza e la sapienza dello Spirito Santo sostenere tutti noi nel compito ecumenico a cui siamo stati chiamati. Possano le sue copiose benedizioni scendere ovunque sui cattolici e sugli anglicani.

1989-09-30

Sabato 30 Settembre 1989




L'omelia alla celebrazione dei primi vespri della ventiseiesima domenica "per annum" - Ai fedeli riuniti, Roma

Le divisioni tra i cristiani richiedono al vescovo di Roma l'esercizio di un primato anche in iniziative per l'unità


"Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre" (Col 1,2).

Abbiamo ascoltato le parole dell'Apostolo alla comunità di Colossi, cioè la lettura prescritta per la vigilia della ventiseiesima domenica dell'anno. Sono le medesime parole che rivolgo a voi questa sera. Innanzitutto saluto mio fratello in Cristo, l'Arcivescovo di Canterbury al quale do di cuore il benvenuto assieme agli altri rappresentanti della comunione anglicana che lo accompagnano. Vi do il benvenuto a Roma, nella città bagnata dal sangue degli apostoli Pietro e Paolo; vi do il benvenuto in questa chiesa di san Gregorio, dalla quale mille e quattrocento anni fa, il mio predecessore Papa san Gregorio Magno, invio sant'Agostino a predicare "la parola di verità" (cfr Col 1,5) alle genti d'Inghilterra. Agostino era priore del monastero di sant'Andrea sulla collina del Celio, monastero che sorgeva esattamente dove noi siamo raccolti questa sera, unendoci a quella successione ininterrotta di preghiera e di lode innalzata a Dio da questo luogo durante i secoli. Rivolgo il mio saluto ai rappresentanti della stessa vigorosa tradizione monastica con i quali condividiamo la nostra preghiera. Come non ricordare, a questo proposito, l'importante ruolo sempre avuto dalla vita monastica - e non meno in Inghilterra - per far si che la "parola di verità" (cfr Col 1,5) fosse ricevuta, vissuta e tramandata? Inviando sant'Agostino a predicare tra il popolo anglosassone, san Gregorio metteva in atto la responsabilità pastorale e missionaria propria al ministero del Vescovo di Roma. Nei suoi scritti, scopriamo una ricca e profonda valutazione del primato universale affidato al Vescovo che occupa la Sede di Pietro. Fu lui a chiamare il Vescovo di Roma "caput fidei" e a descrivere colui che deteneva tale ministero come il "servus servorum Dei" ("Epist. XIII", 39).


2. E come Vescovo di Roma mi sono recato in Inghilterra sette anni fa, per far visita ai cattolici di quella Nazione. Il mio viaggio mi ha portato da un capo all'altro del paese, e mi ha portato anche a Canterbury, nella chiesa cattedrale di sant'Agostino. Recandomi in pellegrinaggio alla tomba del martire san Tommaso Becket, pensavo di contribuire a rimarginare le ferite terribili inferte al Corpo di Cristo nel XVI secolo. Noi, vostra grazia, pregammo insieme in quel luogo per quella integrità, quella pienezza di vita in Cristo che è il dono d'unità di Dio.

Il mio pellegrinaggio a Canterbury era dettato dall'obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, il quale nella notte che precedette la sua morte prego "che tutti siano una cosa sola" (Jn 17,21). Nella nostra epoca le divisioni tra i cristiani impongono che il primato del Vescovo di Roma dovrebbe essere anche un primato nell'azione o nell'iniziativa a favore di quell'unità per la quale Cristo ha così ardentemente pregato. Considero questa nostra preghiera della sera insieme come un ulteriore momento di quel pellegrinaggio ecumenico che cattolici ed anglicani, assieme agli altri cristiani, sono chiamati ad intraprendere. La nostra mèta è riscoprire ancora una volta, insieme, quella comune eredità di fede che condividevamo prima della tragica sequela di eventi che divisero quattro secoli orsono i cristiani dell'Europa. Dobbiamo trovare le nostre radici comuni in quei mille anni durante i quali i cristiani d'Inghilterra erano uniti nella fede seminata in quella terra da sant'Agostino.

Nella dichiarazione comune che firmammo insieme a Canterbury, abbiamo stabilito di costituire la seconda commissione internazionale cattolica-anglicana (Anglican-Roman Catholic International Commission, ARCIC-II), perché essa potesse studiare le differenze dottrinali che permangono tra di noi e che ancora ci separano. In questo nostro incontro, tuttavia, non possiamo non riconoscere che degli avvenimenti sopraggiunti negli ultimi anni hanno seriamente acuito le differenze esistenti tra noi, rendendo più arduo il lavoro della commissione. La commissione ha il compito di studiare le radici e le origini di queste differenze.

Oggi, è mio desiderio sostenere i suoi membri nel loro arduo compito di studiare le radici e le origini di queste differenze. Possano essi essere animati dalla speranza e dal coraggio nel loro sforzo di raccogliere questa sfida.


3. L'integrità della fede apostolica così come essa è stata trasmessa ai credenti una volta per tutte nella Tradizione apostolica (cfr. Gd 3), deve essere integralmente preservata se vogliamo che la nostra unità sia l'unità per la quale Cristo ha pregato.

La responsabilità di discernere l'insegnamento e la pratica, che sono parte di quanto Paolo definisce il deposito che ci è stato affidato e che noi dobbiamo custodire (cfr 1Tm 6,20) incombe all'autorità magisteriale della Chiesa.

Secondo le parole del Concilio, "l'ufficio di interpretare la Parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al solo magistero vivo della Chiesa" (DV 10). La funzione specifica dei Vescovi, che deve essere esercitata in comunione con la Sede di Pietro per assicurare la unità e la continuità della fede, è vitale se noi vogliamo trasmettere la fede di Pietro, di Gregorio e di Agostino; se dobbiamo evangelizzare ancora una volta i popoli dell'Europa e predicare il Vangelo a tutti i popoli della terra.

San Gregorio era un uomo di vasta esperienza. Quale rappresentante della Chiesa di Roma presso la Chiesa di Costantinopoli, egli ben sapeva che poteva esistere varietà nel confessare e vivere la fede, nella sua espressione liturgica, come anche nella spiritualità, nella teologia, nella disciplina ecclesiastica, pur preservando in tutte le cose l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace (cfr Ep 4,3). Tale era certamente la sua speranza e la sua visione per la Chiesa d'Inghilterra. Il continente di Gregorio e di Agostino ha urgente bisogno oggi di ascoltare di nuovo la "parola di verità" (cfr Col 1,5).

L'onda della superstizione cresce, come tra i Colossesi ai tempi di san Paolo. Siamo accerchiati dalle forze di secolarizzazione che trascinano con loro l'ignoranza della Parola di Dio. I popoli del nostro continente chiedono a gran voce "la Buona Novella" e guai a noi se non la predichiamo.


4. "Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre".

Quando Paolo scrisse queste parole ai Colossesi, e quando egli rese grazie a Dio per la loro "fede in Gesù Cristo" e "la carità... verso tutti i santi", lo fece in uno spirito di speranza e di coraggio. Ma Paolo scrisse queste parole anche preoccupato che alcuni cristiani di Colossi vacillassero nella loro fede in Gesù Cristo, Signore e salvatore il quale con la sua morte e la sua Risurrezione ha trionfato su tutti gli altri principati e potestà, sulla terra e nel cielo. Questa preoccupazione ha ispirato a Paolo il grande inno a Cristo, generato prima di ogni creatura.

"Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa" (Col 1,17-18).

Cristo è il nostro capo; egli ha il primato su tutte le cose. E' il nostro Signore. Il nostro principio e il nostro ultimo fine. così come ai tempi di san Paolo, tutti i nostri sforzi per ristabilire l'unità tra i cristiani saranno vani se essi non si compiranno in tutta fedeltà alla fede in Cristo trasmessa dagli apostoli.


5. E' mia ferma speranza che questo nostro incontro a Roma faciliti il cammino perché Roma e Canterbury possano pervenire a proclamare insieme la "parola di verità", come esse facevano al tempo di Gregorio e di Agostino. Il Vangelo è predicato molto al di là del nostro continente. Anche noi possiamo affermare, con Paolo, che il Vangelo "fruttifica e si sviluppa" in tutto il mondo. Il compito missionario infonde un'urgenza nuova alla nostra azione ecumenica: abbiamo una speciale responsabilità nei confronti dei paesi in via di sviluppo, in essi infatti sono state introdotte le divisioni che hanno avuto origine in Europa.

Nè possiamo dimenticare i tragici conflitti e le tragiche divisioni che deturpano il volto del nostro mondo. In modo particolare, in questi giorni, il nostro pensiero si volge al popolo del Medio Oriente, una regione che tanta parte ha nei pensieri e nelle preghiere del carissimo fratello al quale ho dato oggi il benvenuto qui. Se uomini e donne debbono conoscere la pace di Cristo, se essi debbono essere riconciliati in lui, il solo che può portare la pace al mondo, allora è necessario che i cristiani siano visti come una comunità riconciliata e, al tempo stesso, capace di riconciliare.

Come è grande la messe che noi dobbiamo raccogliere per Cristo! Nelle brillanti città del nostro mondo sono tanti gli uomini feriti, gli uomini perduti, gli uomini soli. Sono tanti gli uomini senza riparo, sono tanti gli affamati che chiedono il pane della vita e vorrebbero trovare il loro rifugio in Cristo Gesù.

Prego affinché durante questi giorni della visita a Roma dell'Arcivescovo di Canterbury, possiamo essere veramente guidati da Dio verso quell'unità che è il suo dono. Lo scopo a cui debbono tendere tutti i nostri tentativi e le nostre azioni deve essere l'unità di tutti in Cristo, nostro capo.

Possa la nostra ricerca d'unità essere per il mondo un segno della pace e della gioia che sono state date in Cristo.

Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo: "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro".

1989-09-30

Sabato 30 Settembre 1989




Lettera apostolica in occasione del centenario dell'Opera di san Pietro apostolo - Città del Vaticano (Roma)

"In ce temps"


Venerabili fratelli, cari figli e figli, salute e apostolica benedizione!


1. In questo tempo in cui le Chiese di recente fondazione vedono dei giovani sempre più numerosi rispondere alla chiamata del Signore ed assumersi il compito sacerdotale, è giusto che tutto il Popolo di Dio celebri nella gioia e nel rendimento di grazie il centesimo anniversario della fondazione dell'Opera di san Pietro apostolo per la promozione del clero autoctono e lo sviluppo dei seminari nelle Chiese locali dei territori di missione. Godendo della collaborazione di innumerevoli fratelli e sorelle mobilitati per questa Opera, in realtà, un gran numero di vocazioni seminate nelle giovani Chiese sono germogliate e hanno portato frutti di grazia e di salvezza. Si sono costruiti e messi in funzione seminari minori e maggiori, si sono create case di formazione alla vita religiosa per rispondere al desiderio di quanti volevano consacrare radicalmente la loro vita alla proclamazione del Vangelo.

Quante belle pagine di storia della Chiesa sono state scritte nei diversi continenti dai soci dell'Opera di san Pietro apostolo! Quanti sacerdoti, religiosi e religiose hanno avuto, grazie a questa Opera, la gioia di realizzare la loro vocazione! Nel corso delle mie visite pastorali nelle Chiese locali, è per me una grande gioia incontrare i sacerdoti e i seminaristi, i religiosi e le religiose provenienti da questa comunità.


2. Il Concilio Vaticano II ha espresso bene il sentimento della Chiesa davanti a questa realtà incoraggiante, nel documento che dà gli orientamenti essenziali a tutti coloro che partecipano all'attività missionaria: "Si rallegra vivamente la Chiesa e ringrazia per il dono inestimabile della vocazione sacerdotale che Dio ha concesso a tanti giovani in mezzo a popoli, convertiti di recente al cristianesimo. E' indubbio che la Chiesa mette più profonde radici in un gruppo umano qualsiasi, quando le varie comunità di fedeli traggono dai propri membri i ministri della salvezza, che nell'ordine dei Vescovi, dei sacerdoti e dei diaconi, servono ai loro fratelli, sicché le nuove Chiese acquistano a poco a poco la struttura di diocesi, fornita di clero proprio" (AGD 16).

Perché il Popolo di Dio possa testimoniare davanti all'umanità intera la salvezza in Gesù Cristo, morto e risuscitato per tutti, è necessario che le membra del suo Corpo, ovunque, siano unite al loro Capo attraverso il ministero dei Vescovi e dei sacerdoti. Costoro, "al servizio di Cristo Maestro, Sacerdote e Re, partecipano al suo ministero, per il quale la Chiesa qui in terra è incessantemente edificata in popolo di Dio, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito Santo" (PO 1).

Il centenario che celebriamo richiama nuovamente la nostra attenzione sul ruolo insostituibile dei sacerdoti. Grazie al loro ministero, la comunità tutta fonda la sua coesione sulla partecipazione al sacrificio redentore nell'Eucaristia, i doni misteriosi del perdono e della riconciliazione vengono elargiti nel sacramento della Penitenza, l'assemblea dei fedeli viene guidata dai dispensatori dei misteri di Dio, uniti ai Vescovi, in comunione con il successore di Pietro.

Nella diversità delle culture e l'unità fondamentale di tutta la Chiesa, il ministero sacerdotale può essere esercitato nel modo più adeguato al genio proprio di ciascun popolo. E' ancora lunga la strada perché tutte le diocesi abbiano a disposizione un numero sufficiente di sacerdoti autoctoni e la presenza di missionari stranieri è ancora indispensabile. Ma so che questi ultimi favoriscono attivamente la formazione di un presbiterio di origine locale, il cui sviluppo è la migliore ricompensa ai loro sforzi apostolici.

Un altro segno incoraggiante che desidero sottolineare è la grande disponibilità di molte giovani Chiese non solo ad assumersi la responsabilità della propria vita pastorale attraverso i sacerdoti chiamati tra i loro figli, ma a partecipare a loro volta alla missione di evangelizzazione "ad extra", non esitando ad inviare lontano alcuni sacerdoti e religiosi o religiose autoctoni delle prime generazioni.

E' opportuno ricordare la parte svolta dall'Opera di san Pietro apostolo in questo sviluppo. A partire dal secolo scorso, infatti essa ha lavorato efficacemente perché tutte le Chiese potessero godere del ministero dei loro figli chiamati dal Signore. Dando ai pionieri del clero locale il suo sostegno spirituale e materiale, ha svolto un ruolo di prim'ordine, per la partecipazione generosa di innumerevoli fedeli.


3. Come non ricordare in questo contesto la figura delle due fondatrici dell'Opera; Jeanne Bigard e la madre Stèphanie, donne di gran cuore alle quali lo Spirito Santo mostro con chiarezza fa necessità di un clero autoctono per l'"implantatio" della Chiesa? Esse hanno accolto l'invito del Signore a consacrare le loro forze, la loro energia, la loro vita tutta alla promozione del Vangelo attraverso la formazione di sacerdoti e di consacrati e consacrate. Esse sono riuscite a forgiare con tenacia ed entusiasmo uno strumento adeguato alla realizzazione di questo nobile scopo.

Jeanne Bigard, in particolare, che si era offerta in olocausto alla volontà di Dio, conobbe nel corso degli anni il mistero della Croce che aveva presentito: "Soffriro molto - scriveva nel 1903 - ma se questo è il prezzo perché il piccolo granello di senapa possa germogliare e crescere, sarei colpevole ad oppormi". Il suo generoso sacrificio è stato certamente fecondo. L'Opera di san Pietro apostolo le deve molto, poiché ha potuto svolgere il suo ruolo e favorire realmente la crescita di molte vocazioni nelle giovani Chiese.

Desidero ricordare l'attaccamento delle signore Bigard alla Sede Apostolica. Il nome stesso scelto per l'Opera manifesta la loro fedeltà alla Chiesa di Cristo. A partire da Leone XIII, i miei predecessori non hanno mancato di incoraggiarle, e hanno accordato di cuore le loro benedizioni alle fondatrici e a tutti i soci, poiché trovavano in questa iniziativa un aiuto prezioso al compito pastorale dell'evangelizzazione.


4. Il Papa Pio XI, cui è stato dato il nome di "Papa delle Missioni", volle riaffermare il fondamento spirituale della fondazione attribuendole una speciale patrona: proclamo protettrice perenne dell'Opera di san Pietro apostolo santa Teresa del Bambin Gesù e del santo Volto, il 23 luglio 1925, l'anno stesso della sua canonizzazione e due anni prima di istituirla come patrona principale delle missioni di tutto il mondo insieme con san Francesco Saverio.

L'intuizione era profondamente giusta: attraverso la sua testimonianza e la sua intercessione, Teresa può ispirare e sostenere questa Opera di grande importanza per lo sviluppo delle Chiese di recente fondazione.

La giovane carmelitana di Lisieux, quando medita sul senso della sua vocazione, scrive: "Malgrado la mia piccolezza, vorrei illuminare le anime..., ho la vocazione di apostolo... Vorrei essere missionaria... fino alla consumazione dei secoli" ("Manuscrits autobiographiques", B, folio 3). La santa, per la quale "l'amore racchiudeva in sè tutte le vocazioni" ("Manuscrits autobiographiques", B, folio 3) chiede continuamente la grazia di amare di Dio per farlo amare. A un fratello spirituale, futuro missionario, ella confida con semplicità la sua preghiera e il suo desiderio più profondo: "Prego per tutte le anime che le saranno affidate... In paradiso desiderero le stesse cose che bramo quaggiù: amare Gesù e farlo amare" ("Correspondance générale", lettre à l'Abbé Bellière, n. 220, p. 952).

Teresa non ha potuto andare lontano per realizzare il suo sogno missionario, ma, nella solitudine del Carmelo, ella "ama per i suoi fratelli che combattono" ("Manuscrits autobiographiques", B, folio 4); ella supplica il Signore: "Che tutti coloro i quali non sono illuminati dal lume della fede lo vedano finalmente risplendere" ("Manuscrits autobiographiques", C, folio 6). Per questo, ella vuole che il suo sacrificio sia totale, ella "accetta di mangiare... il pane del dolore" ("Manuscrits autobiographiques", C, folio 6).

Il giorno in cui la Chiesa celebra la festa di santa Teresa del Bambin Gesù, in questo anno del centenario dell'Opera di san Pietro apostolo, esorto tutti i soci a meditare sulla spiritualità missionaria della loro santa patrona e a farla conoscere a molti fratelli e sorelle la cui generosità è necessaria per continuare nell'impegno intrapreso.

Risponderanno così all'orientamento essenziale proposto dal Concilio Vaticano II nell'introduzione del decreto sull'attività missionaria della Chiesa: "Questo santo Sinodo... desidera esporre i principi dell'attività missionaria e raccogliere le forze di tutti i fedeli, perché il popolo di Dio, attraverso la via della croce, che è angusta, possa dovunque diffondere il regno di Cristo, padrone e osservatore dei secoli (cfr Si 36,19) e preparare la strada alla sua venuta" (AGD 1).


5. A cento anni dalla sua fondazione, l'Opera di san Pietro apostolo non ha certo esaurito la sua missione. Se le giovani Chiese vedono felicemente aumentare il numero delle vocazioni sacerdotali e religiose uscite dal loro interno, la supplica udita dall'apostolo Paolo: "Passa in Macedonia e aiutaci!" (Ac 16,9) non cessa di risuonare rivolto ai ministri del Vangelo, da tutte le parti del mondo, dal momento che il numero dei battezzati non cresce allo stesso ritmo della popolazione del globo.

L'invito di Cristo ci interpella tutti con forza. Il Concilio Vaticano II ha giustamente sottolineato il carattere comunitario della missione per la quale Cristo ha domandato di pregare il padrone della messe: "La comunità locale non deve limitarsi a prendersi cura dei propri fedeli, ma è tenuta anche a sentire lo zelo missionario di aprire a tutti gli uomini la strada che conduce a Cristo" (PO 6).

Tenendo conto dell'ampiezza dei compiti dei sacerdoti e dei religiosi nel mondo contemporaneo, e considerando le molteplici difficoltà incontrate nell'apostolato, le vocazioni nate da Dio devono essere coltivate, rafforzate, formate in modo particolare. E questo è anzitutto il compito dei seminari minori e maggiori. Queste istituzioni hanno bisogno della collaborazione generosa di tutti i fedeli per poter dare ai candidati al sacerdozio la formazione equilibrata che è loro necessaria. La crescita del clero autoctono potrebbe essere impedita dall'insufficienza delle risorse. Secondo la testimonianza di alcuni Vescovi dei paesi di missione, anche oggi più di una diocesi potrebbe veder annullata la propria speranza di avere un clero autoctono senza l'aiuto dell'Opera di san Pietro apostolo. Non chiudiamo il nostro cuore: ciò che riceviamo dalla sua bontà, doniamolo con gioia!


6. Mi auguro che verranno intraprese delle iniziative atte a ravvivare l'attenzione e l'interesse del Popolo di Dio sul dono della fede che si trasmette di generazione in generazione nella Chiesa per la grazia di Dio e la testimonianza dei fedeli.

Per questo, è opportuno ricordare, per rendere loro l'omaggio dovuto, le numerose donne di ogni condizione (nubili, madri di famiglia, vedove o nonne) che svolgono un ruolo insostituibile non solo nella trasmissione della fede ma anche nella continuità dell'Opera oggi, in quanto ne sono le prime collaboratrici e molto spesso è proprio grazie a loro che si mantiene il senso della missione nelle famiglie cristiane.

Dal canto loro, i giovani di tutte le regioni del mondo porteranno il contributo del loro senso di solidarietà e di comunità, loro che superano facilmente le frontiere, loro che sanno essere fratelli: che essi scoprano e facciano scoprire ai loro genitori ciò che la vitalità della Chiesa deve al sacerdozio in ciascun popolo.

Il centenario dell'Opera di san Pietro apostolo deve essere un appello rivolto a tutta la Chiesa a riconoscere la grandezza della vocazione sacerdotale e religiosa, a riconoscere anche la presente necessità di ministri di Dio pronti a dedicare generosamente la loro vita all'annuncio del Vangelo, con la fede e la disponibilità della Vergine Maria, "stella dell'evangelizzazione", perché "serva del Signore". Fin dagli inizi, l'Opera di san Pietro apostolo richiedeva ai soci di invocare ogni giorno la Vergine con il titolo di "Maria, Regina degli Apostoli". In questo nuovo avvento della Chiesa che si avvia verso il terzo millennio, come santa Teresa del Bambin Gesù, preghiamo ancora la Vergine Maria con il medesimo attributo, perché susciti nella Chiesa numerosi apostoli e discepoli del suo Figlio Gesù.

La benedizione di Dio sia la ricompensa di tutti coloro che si associano all'Opera di san Pietro apostolo e di coloro di cui essa favorisce la vocazione! Dal Vaticano, 1° ottobre 1989, festa di santa Teresa del Bambin Gesù e del Volto santo, undicesimo anno del mio pontificato.

1989-10-01

Domenica 1 Ottobre 1989




L'omelia per la beatificazione di Nicéforo e venticinque compagni martiri, di Lorenzo Salvi, di Geltrude Comensoli e di Francisca-Ana Carbonell - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Hanno seguito Cristo povero ed umile quali servi totalmente dediti ai fratelli



1. "Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2Co 8,9).

Nella liturgia della domenica odierna questa frase, presa dalla lettera di san Paolo ai Corinzi, costituisce come una introduzione al Vangelo ed alla parabola del ricco epulone e di Lazzaro. In pari tempo la Chiesa, riunita presso la confessione di san Pietro, pronuncia questa frase guardando a tutti i servi di Dio che oggi vengono proclamati beati.

A ciascuno di loro Gesù ha indicato la strada verso la santità, diventando povero per primo e facendosi modello di tutti, egli che era il Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre. Contemporaneamente a ciascuno dei nuovi beati egli ha rivelato il mistero di questa povertà, che fa diventare ricchi. In questo modo a ciascuno di loro ha indicato la via alla santità.

La Chiesa oggi gioisce per questi suoi figli e figlie, che hanno percorso la via indicata dal divino Maestro.


2. Essa si rallegra per i martiri della comunità dei passionisti di Daimiel, in Spagna. Era una comunità dedicata esclusivamente alla formazione dei giovani di quei luoghi che, sotto la protezione del Cristo della luce, si preparavano a essere sacerdoti e annunciare un giorno il Vangelo nelle terre americane, soprattutto in Messico, Cuba e Venezuela. La comunità era composta quasi totalmente da giovani dai diciotto ai ventun anni, assistiti da una selezionata cerchia di professori e fratelli che curavano la loro formazione. Era un ambiente di grande entusiasmo missionario in un clima di ritiro, studio e preghiera. Uomini di Dio, che seguendo il consiglio di san Paolo amavano "la giustizia, la pietà, la fede, la carità, la pazienza, la mitezza" (1Tm 6,11).

Nessuno dei religiosi della comunità di Daimiel si era intromesso in questioni politiche. Ciò nonostante nel clima del momento storico che toccava loro vivere, anche costoro si videro colpiti dall'imperversare della persecuzione religiosa, dando generosamente il loro sangue, fedeli alla loro condizione di religiosi ed emuli, nel pieno secolo XX, dell'eroismo dei primi martiri della Chiesa.

Quando, la notte del 21 luglio del 1936, si presentarono al convento le milizie armate, il superiore provinciale, padre Nicéforo, riuni tutti nella chiesa, dove si confessarono e ricevettero la santa Comunione come viatico. Li il padre Nicéforo li esorto vivamente: "Amatissimi fratelli e figli: Questo è il nostro Getsemani. La natura nella sua parte debole ha paura ed è codarda. Ma Gesù Cristo è con noi. Vi daro ciò che costituisce la forza dei deboli. Gesù fu confortato da un angelo. Noi siamo confortati e sostenuti dallo stesso Gesù Cristo. Fra pochi istanti saremo con Cristo. Gente del Calvario, coraggio e andiamo a morire per Cristo! Tocca a me farvi coraggio, ma io stesso prendo forza dal vostro esempio!".

La maggior parte, giovani dai diciotto ai ventun anni, aveva vissuto sognando il sacerdozio, ma il Signore aveva disposto che la loro prima Messa fosse quella del loro olocausto. Ora noi li onoriamo e rendiamo gloria a Cristo, che li ha uniti a sè nella Croce. "Il Signore ama i giusti... / Egli sostiene l'orfano e la vedova, / ma sconvolge le vie degli empi. / Il Signore regna sempre ().


3. "Tu, uomo di Dio... tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede (1Tm 6,11-12).

In questo programma, dettato dall'apostolo Paolo al discepolo Timoteo, possiamo veder delineato l'itinerario spirituale del beato Lorenzo Salvi, uomo di Dio, non solo nella intensa preghiera, ma anche nella instancabile dedizione al ministero sacerdotale. Egli fu pienamente consapevole della missione affidata da Cristo ad ogni apostolo e si sforzo durante tutta la vita di seguire gli esempi del Figlio di Dio, che volle salvare il mondo mediante l'umiliazione della Croce.

Lorenzo combattè la "buona battaglia della fede", secondo lo spirito della sua congregazione religiosa, lavorando intensamente nella predicazione delle missioni al popolo, nei corsi di esercizi spirituali, nel mistero delle confessioni. In quanti avvicinava egli cercava di instillare l'amore del Cristo povero ed umile, mediante la devozione all'infanzia di Gesù e alla sua Passione, momenti nei quali massimamente si rivelano l'umiltà e la dolcezza del salvatore.

Convinto dell'infinita misericordia del Cuore di Cristo, egli non si stancava di esortare le anime alla fiducia, sull'esempio del bambino che in tutto s'affida alle braccia amorevoli e forti del padre.

Lorenzo conobbe il beato Domenico Barberi ed il suo progetto per il dialogo tra la Chiesa cattolica e quella anglicana: avrebbe voluto seguire in Inghilterra l'amico, ma l'obbedienza lo trattenne in patria. Anche in questo caso, come in tanti altri, egli seppe trovare in Cristo crocifisso, ideale della sua famiglia religiosa, la forza per rinunciare al proprio disegno apostolico e farsi guidare soltanto dalla preoccupazione di "conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento" (1Tm 6,14), cioè l'impegno dell'adesione senza riserve al volere di Dio.

Con questi solidi fondamenti il beato Salvi riusci ad essere maestro di vita spirituale di molte anime, che lo ascoltarono nella predicazione, nel confessionale, nella direzione di coscienza. Ad esse egli annuncio con fervore mai smorzato il mistero di Cristo. "il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno tra gli uomini ha mai visto, nè può vedere" (1Tm 6,15-16).


4. E' ancora l'esempio del Cristo povero ed umile, contemplato soprattutto nel mistero eucaristico, a guidare l'impegno di Geltrude Comensoli nel faticoso itinerario spirituale e nelle travagliate vicende della fondazione delle suore sacramentine di Bergamo. E' proprio l'umiltà del Pane eucaristico, sacramento della presenza reale di Cristo, che sostiene Geltrude e le consente di stare di fronte alla mensa dei potenti con l'intrepida costanza di Lazzaro, nella volontaria scelta dell'evangelico "ultimo posto".

Geltrude senti tale impegno di rinnegamento come una vocazione forte ed esigente: "Non alzero mai la voce - scrive nei suoi propositi - non mi giustifichero mai, nè a ragione nè a torto. Soffriro tutto in silenzio, qualsiasi cosa mi venisse fatta" ("Gli scritti", p. 26). A tale spirito di umiltà ella volle educare le consorelle, chiedendo per esse l'interiore povertà dello spirito: "Diffidenza di sè, umiltà grande, generosità nel patire, e grande carità di comportamento" ("Gli scritti", pp. 792-793).

Come il povero indicato dalla parabola, Geltrude soffri la privazione di tutto, quando un dissesto finanziario determino l'espropriazione dei beni materiali dell'istituto appena fondato e già fiorente. "Mio Gesù - scriveva in una sua memoria - di qui a qualche minuto... vengono a mettere tutto sotto sigillo...

Gli uomini vogliono le nostre cose. Voi sigillate il mio cuore... tenetemi sempre con voi, mio diletto Gesù" ("Gli scritti", pp. 56s).

Geltrude volle così in qualche modo, mettere tutta la sua ricchezza "nel seno di Abramo" (Lc 16,22), cioè nel cuore di Cristo, presente nella Eucaristia: "Terro il mio cuore sempre rivolto all'altare dove dimora l'amato Gesù. Stanca ed oppressa, afflitta, desolata, là sarà il mio luogo di riposo, veduta solo dal mio Gesù... La mia vita deve essere sepolta in Dio nel Divino suo Costato" ("Gli scritti", p. 60; p. 56s).

E' l'Eucaristia che conduce al Regno: presso la mensa del Pane di vita, pegno della gloria futura, si alimenta quel fuoco della carità soprannaturale, in cui è dato all'anima di pregustare fin d'ora un'anticipazione della gioia riservata ai santi nel cielo.


5. Anche nella vita della beata Francisca-Ana dei dolori di Maria vediamo riflessi gli insegnamenti che ci ha appena dato Gesù nel suo Vangelo. Di fronte al binomio ricchezza-povertà, Francisca-Ana scelse la povertà ed escluse dal progetto della sua vita cristiana e consacrata la ricchezza perché sapeva che poteva allontanarla da Dio. Dedico quel poco che le sue terre producevano al servizio della parrocchia e dei più bisognosi: "Il Signore dà il pane agli affamati... / Il Signore sostiene l'orfano e la vedova" ().

Francisca-Ana durante la sua vita obbedi alla volontà di Dio. Una volontà divina che a volte risulta difficile discernere: da giovane sceglie di essere suora e suo padre glielo impedisce. Francisca-Ana vede in questa negazione paterna la volontà di Dio: non può essere suora in un convento, lo sarà in casa sua grazie ad una vita dedicata alla preghiera, alla mortificazione e all'apostolato.

Quando a quarant'anni resta sola al mondo dopo la morte dei genitori e dei fratelli, sia per obbedienza al suo direttore spirituale, sia perché le circostanze socio-politiche della sua Nazione non glielo consentono, proroga la realizzazione del suo sogno di consacrarsi a Dio per mezzo dei voti religiosi fino quasi al termine della sua vita, quando ha già settant'anni e fonda in casa sua il convento della carità.

Una vita piena di incertezze, ma anche una vita in cui non ebbe nessun ostacolo per poter servire Dio, perché Francisca-Ana aveva dato tutto ciò che aveva, e non solo, si era lei stessa consacrata a Dio nella verginità.

così, libera da tutto ciò che la potesse legare a questo mondo, combatte la battaglia della fede (1Tm 6,12) intraprendendo decisamente il cammino della perfezione cristiana. Con la beata Francisca-Ana dei dolori di Maria, il Signore ci offre un magnifico esempio del saper anteporre il servizio di Dio al servizio delle ricchezze e del mondo, del saper tenere il cuore libero per poterlo consacrare e dedicare solamente a lui.


6. Levando i nostri occhi verso questi nuovi beati, possiamo ben dire che essi hanno conservato "senza macchia ed irreprensibile il comandamento" (1Tm 6,14).

Hanno confidato nel Cristo, nella sua Parola, ed hanno atteso la sua manifestazione ultima nella gloria della sua suprema ed unica regalità. Hanno perciò accolto il suo messaggio, seguendolo quaggiù povero ed umile, quali servi totalmente dediti ai fratelli. Con tale spirito essi hanno amato la Chiesa, hanno testimoniato per essa, l'hanno servita durante tutta la loro vita generosa, combattendo "la buona battaglia della fede" (1Tm 6,12), come uomini e donne di Dio, come apostoli del Vangelo.

La loro è stata veramente una "bella professione di fede davanti a molti testimoni" (1Tm 6,12). Molti furono, in effetti, i testimoni che ammirarono i loro esempi, che udirono la predicazione, che accolsero il messaggio della consacrazione a Cristo nella preghiera e nelle opere di carità. Molti sono, ancor oggi, e proprio in questa solenne circostanza, coloro che, considerando la vicenda dei nuovi beati, possono proclamare nella fede che Cristo è l'"unico sovrano,... il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto nè può vedere" (1Tm 6,15-16).

Gesù Cristo, che si è fatto povero perché diventasse ricco ogni uomo che ha seguito la sua chiamata - ciascuno di coloro che da oggi la Chiesa chiamerà beati -, è in pari tempo il re dei re e il Signore dei governanti, l'unico che conosce l'immortalità, che abita una luce irraggiungibile per l'uomo.

O Cristo Gesù! Ti rendiamo grazie perché tu introduci l'uomo nella santità, che è la vita di Dio stesso.

Ti rendiamo grazie per: Nicéforo ed i suoi compagni martiri, per Lorenzo, Geltrude, Francesca-Anna.

Ti rendiamo grazie, o Cristo.

A Te la gloria e la potenza eterna. Amen.

1989-10-01

Domenica 1 Ottobre 1989





GPII 1989 Insegnamenti - Il discorso al pellegrinaggio di Reggio Calabria - Città del Vaticano (Roma)