GPII 1989 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'Angelus - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)

Il Cuore di Cristo sorgente della vita di amore dei santi


Carissimi fratelli e sorelle!


1. la Chiesa gioisce oggi per la glorificazione di due suoi figli: Agnese di Boemia e Alberto Chmielowski. Essi vanno ad aggiungersi a quella "moltitudine immensa" che la liturgia ci ha invitato a contemplare nella recente solennità di Tutti i Santi. Davanti ad un simile esaltante spettacolo sale spontaneamente alle labbra l'invocazione litanica: "Cuore di Gesù, gioia di tutti i santi, abbi pietà di noi!".

Dalla speranza al compimento, dal desiderio alla realizzazione, dalla terra al cielo: tale sembra essere, carissimi fratelli e sorelle, il ritmo secondo cui si succedono le tre ultime invocazioni delle litanie del Sacro Cuore. Dopo le invocazioni "salvezza di quanti sperano in te", e "speranza di quanti muoiono in te", le litanie si concludono rivolgendosi al cuore di Gesù come "gioia di tutti i santi". E' già visione di paradiso; è notazione veloce sulla vita del cielo; è parola breve che dischiude spazi infiniti di beatitudine eterna.


2. Su questa terra il discepolo di Gesù vive nell'attesa di raggiungere il suo maestro, nel desiderio di contemplare il suo volto, nell'aspirazione struggente di vivere sempre con lui. Nel cielo invece, compiuta l'attesa, il discepolo è già entrato nella gioia del suo Signore (cfr Mt 25,21 Mt 25,23); contempla il volto del maestro, non più trasfigurato per un solo istante (cfr Mt 17,2 Mc 9,2 Lc 9,28), ma splendente in eterno del fulgore dell'eterna luce (cfr He 1,2); vive con Gesù e della stessa vita di Gesù.

La vita del cielo non è altro che la fruizione perfetta, indefettibile, intensa dell'amore di Dio - Padre, Figlio, Spirito -; non altro che la rivelazione totale dell'essere intimo di Cristo, e la comunicazione piena alla vita e all'amore, che sgorgano dal suo Cuore. Nel cielo i beati vedono appagato ogni desiderio, avverata ogni profezia, placata ogni sete di felicità, colmata ogni aspirazione.


3. perciò il Cuore di Cristo è la sorgente della vita di amore dei santi: in Cristo e per mezzo di Cristo i beati del cielo sono amati dal Padre, che li unisce a sè col vincolo dello Spirito, divino amore; in Cristo e per mezzo di Cristo essi amano il Padre e gli uomini, loro fratelli, con l'amore dello Spirito.

Il Cuore di Cristo è lo spazio vitale dei beati: il luogo dove essi rimangono nell'amore (cfr Jn 15,9), traendone gioia perenne e senza limite. La sete infinita di amore, misteriosa sete che Dio ha posto nel cuore umano, si placa nel Cuore divino di Cristo.

Li si manifesta in pienezza l'amore del Redentore verso gli uomini, bisognosi di salvezza; del Maestro verso i discepoli, assetati di verità; dell'Amico che annulla le distanze ed eleva i servi alla condizione di amici, per sempre, in tutto. L'intenso desiderio, che sulla terra si esprimeva nel sospiro: "Vieni, Signore Gesù" (Ap 22,20), ora, nel cielo, si tramuta in visione faccia a faccia, in possesso tranquillo, in fusione di vita: di Cristo nei beati, dei beati in Cristo! Elevando verso di essi lo sguardo dell'animo e contemplandoli intorno a Cristo insieme con la loro regina, la Vergine santissima, noi ripetiamo oggi, con ferma speranza, la lieta invocazione: "Cuore di Gesù, gioia di tutti i santi, abbi pietà di noi!".

[Prima di concludere l'incontro mariano di preghiera il Santo Padre ha rivolto questo saluto ai pellegrini cecoslovacchi:] Cari pellegrini della Cecoslovacchia! Durante la canonizzazione della beata Agnese ho avuto la possibilità di essere con voi e attraverso voi con la Chiesa nella vostra Patria. Ora, recitando l'"Angelus", ho pensato ai santuari mariani disseminati in Boemia, Moravia e Slovacchia. Uniamoci pertanto ai vostri connazionali che ricorrono alla Madre di Dio in Starà Boleslav, in Svatà Hora, in Svaty Hostynek, in Velehrad, in Levoca e in Sastin, e preghiamola insieme che vi accompagni con il suo aiuto specialmente in quest'anno dedicato all'approfondimento della vostra fede. Dio benedica tutti voi, qui; e in patria! [Ai pellegrini polacchi:] "Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi" (2Co 8,9).

così dice di Cristo il suo apostolo, san Paolo. così dice oggi a noi san Francesco d'Assisi e il suo figlio spirituale, nostro confratello, elevato alla gloria degli altari Adam Chmielowski - fratel Alberto.

perciò, come san Francesco, è stato lui caro a Cristo e a sua Madre. E noi vediamo in lui il segno per i nostri tempi, per la Polonia e per il mondo. Il segno di solidarietà con l'uomo. Quanta molteplice miseria c'è oggi tra noi. Ed egli dice semplicemente: "Bisogna essere buono come il pane". "Signore, buono come il pane!". "Che la nostra terra diventi altare e il pane Eucaristia per gli assetati di Te".

Che la terra polacca sia altare. Che ai suoi abitanti non manchi il pane. Che il pane su questa terra diventi Eucaristia. Che l'Eucaristia unisca gli uomini nell'amore.

Tali sono i miei auguri e saluti che rivolgo a tutti i miei connazionali e ai rappresentanti della "Polonia mondiale" - presenti a Roma presso la tomba di san Pietro in occasione della canonizzazione di sant'Alberto e della figlia della fraterna nazione ceca, - sant'Agnese. Portate alle vostre case e agli ambienti nel Paese e nel mondo la mia benedizione.

[Il Papa ha poi pronunciato queste parole:] Si celebra oggi in Italia, promossa dalla confederazione nazionale dei coltivatori diretti, la Giornata annuale del Ringraziamento. Nella Basilica di santa Maria degli Angeli, in Assisi, si sono radunati molti lavoratori della terra provenienti da tutta l'Umbria e da altre regioni, per un incontro di preghiera, nella luce della testimonianza di san Francesco e per riflettere sul tema: "pace con Dio e con il Creato".

Come è ben noto, si pone con urgenza il problema del destino del nostro pianeta, nel contesto dello sviluppo tecnico dell'èra industriale e nell'esperienza di un impiego non sempre ragionevole delle risorse. Anche il mondo contadino si sente coinvolto, in prima persona, nel progetto per la salvezza ed il futuro del suolo, così come è stato interessato nelle forme più aggiornate e tecniche di utilizzo.

L'umanità è sempre più consapevole che occorre considerare le attività primarie e i loro programmi dal momento che il pianeta terra è un bene che appartiene agli uomini di oggi e di domani, di cui, perciò bisogna usufruire col fermo proposito di incidere positivamente su di esso, in vista del bene comune, con prospettive di sviluppo e non di distruzione.

Desidero perciò ricordare che Dio, creatore e provvidente, ha consegnato il mondo all'uomo, perché con il suo lavoro lo coltivi e lo renda sempre più dimora di pace, oltre che atto a produrre frutti in abbondanza, per il servizio della vita.

La mia benedizione a tutti i lavoratori della terra.

1989-11-12

Domenica 12 Novembre 1989




A pellegrini provenienti dalla Polonia - Città del Vaticano (Roma)

Alberto Adamo Chmielowski, patrono della difficile svolta polacca



1. Dopo la cerimonia della canonizzazione sono lieto di incontrare il gruppo dei pellegrini della Polonia ed anche dell'emigrazione, per riflettere, ancora una volta, sul significato dell'odierno avvenimento. Vi saluto e do il cordiale benvenuto a tutti voi presenti in questa casa comune di tutti i pellegrini.

Saluto in modo particolare il signor Cardinale Primate e il signor Cardinale metropolita di Cracovia, i miei confratelli nell'Episcopato, i sacerdoti, le famiglie religiose maschili e femminili, ma specialmente i figli e le figlie spirituali del santo fratel Alberto. Saluto anche i membri della delegazione venuta in rappresentanza del governo.

Probabilmente per la prima volta ha avuto luogo una tale canonizzazione: una figlia del popolo ceco, Agnese di Praga, e Adam Chmielowski, un figlio della nostra Nazione. Questi due personaggi, benché appartengano a diverse epoche della storia, parlano a noi su ciò che unisce queste due nazioni: non soltanto la vicinanza geografica e l'eredità slava, ma soprattutto il cammino, da cui venne a noi il cristianesimo. Non possiamo mai dimenticare, che lo abbiamo ricevuto, nei tempi di Mieszko, dai nostri vicini slavi del Sud. La conferma di questo legame è stato poi, nei tempi di Chrobry, il martirio di san Wojciech.

Oggi, attraverso il ricordo di questi legami storici, ci rallegriamo, insieme con il popolo e con la Chiesa di Boemia, della canonizzazione della santa clarissa Agnese di Praga; della canonizzazione che da molto tempo era aspettata - e che prende un significato particolare nel contesto della novena, con cui la Chiesa in Boemia si prepara al millennio della morte del martire san Wojciech.


2. Adam Chmielowski - fratel Alberto appartiene ai tempi più vicini al nostro secolo. Nacque nel 1845, fu partecipe dell'insurrezione del 1863, fini la vita nel Natale del 1916. Egli è il testimone partecipe della storica lotta dei Polacchi per la riconquista dell'indipendenza. Di lui ha scritto il grande Konstanty Michalski, che fratel Alberto sapeva che cosa significhi "bisogna dare l'anima": sapeva questo dal Vangelo di Gesù Cristo.

Lo sapeva allorché, come studente diciassettenne della scuola di agricoltura, ando all'insurrezione, dalla quale torno mutilato. E lo sapeva - negli anni della successiva ricerca di Dio sulle vie dell'attività artistica. Lo sapeva finalmente come fratel Alberto: fratello dei "gonfiati di Cracovia"), il radicale seguace di san Francesco, appassionato come lui della povertà evangelica, apostolo dei suoi tempi.

Se non pure dei nostri?


3. Ci incontriamo oggi, all'indomani dell'11 novembre, che segna l'inizio dell'indipendenza della Repubblica Polacca, dopo il lungo periodo di smembramento: il 12 novembre 1989! Fratel Alberto mai arrivo a quella data, per cui vissero, lottarono, lavorarono e soffrirono molte generazioni di figli e figlie della nostra Nazione.

Egli si trovava tra i protagonisti di quella lotta per la libertà della Patria. La conferma di ciò non è soltanto la mutilazione che subi durante l'insurrezione. Lo conferma tutta l'attività successiva e, in particolare, il lungo periodo del servizio francescano a quegli uomini, i quali si trovarono non soltanto ai margini della società, ma letteralmente "in fondo ad essa". Sicuramente, la loro triste situazione era anche una conseguenza dei peccati personali, difetti e vizi, ma nello stesso tempo era una testimonianza delle deficienze e mancanze della società, in cui vivevano. Era una sfida morale, che non volevano accettare.

Fratel Alberto ha accettato questa sfida.


4. Che cosa ci dice la sua elevazione sugli altari oggi, nel novembre 1989? Egli è il terzo santo polacco canonizzato in questo secolo. Il primo - santo Andrzej Bobola, prima della tremenda prova della seconda guerra mondiale.

Andrzej Bobola, il martire delle grandezze e delle crisi della Repubblica delle tre Nazioni, martire dell'unione delle Chiese. Il secondo - padre Massimiliano Kolbe - il martire del fortino della fame di Oswiecim, il quale ha dato la sua vita per il fratello in casacca a righe.

E adesso - fratel Alberto.

L'anno della sua canonizzazione è anche l'anno dei rilevanti cambiamenti in Polonia. Tutti sanno di questi cambiamenti e non c'è bisogno di descriverli.

Questi rilevanti cambiamenti costituiscono nello stesso tempo - tutti lo sentiamo - una grande sfida storica, e non soltanto a livello della nostra Patria.

"Il solidale" cammino della Nazione per la riconquista della sovrana soggettività nel senso politico si unisce - nell'attuale tappa - con i doveri, di cui sarebbe poco dire che sono difficili. Ma noi tutti siamo coscienti che questi doveri devono essere ripresi e sistematicamente trattati. Questi doveri sono di natura sociale-economica e, nello stesso tempo - e nella stessa radice - sono di natura etica.

Si tratta, (come già tempo fa è stato detto) di ricostruire la dimensione del bene comune nella vita della società. Secondo la dottrina sociale della Chiesa il bene comune - proprio il bene comune - è quello che assicura il bene di ogni membro della comunità. Lo assicura, infatti, in modo sovrano cioè corrispondente alla dignità della persona: partecipando alla costruzione del bene comune, ognuno è nello stesso tempo il dispensiere del bene proprio. Questa categoria "del proprio" (cioè della proprietà) appartiene ai diritti della persona umana. La società è sovrana, quando rispetta quei diritti in ogni ambito.

Riguardo all'ambito economico, vale la pena di richiamare la solidarietà come atteggiamento morale, come virtù. "Questa, dunque - come ho detto nella lettera enciclica "Sollicitudo Rei Socialis" - non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti" (SRS 38).

Nello stesso spirito si è espressa la Conferenza dell'Episcopato polacco nel suo comunicato del 7 ottobre dell'anno in corso: "Il bene comune richiede i sacrifici e le rinunce nelle difficoltà sociali, economiche e politiche. Dopo il periodo di pluriennali deficienze, incapacità e debolezza, non si può aspettare un immediato miglioramento della situazione. Oltre al tempo necessario, alle leggi sagge e all'amministrazione prudente, c'è anche bisogno di una dedizione sacrificata e un lavoro duro di tutti i cittadini" ("Relatio", n. 3, die 7 oct. 1989).


5. La canonizzazione del nostro fratel Alberto viene nel momento della difficile svolta. Se questi, seguendo Cristo, aiutava gli uomini ad alzarsi, a riconquistare la dignità umana e la soggettività, a diventare i collaboratori del bene comune della società, non è dato a noi come segno e come patrono di questa difficile svolta? Si parla spesso dell'aiuto da fuori. Certamente, questo pure appartiene alla solidarietà tra gli uomini, ma la Polonia dopo l'anno 1945 non poteva trarre profitto dai piani, i quali sono serviti per la ricostruzione delle nazioni dell'Europa Occidentale distrutte dalla guerra.

Pero - finalmente - dobbiamo da soli alzarci dalla crisi, cercando forze ed energie in noi stessi, in ognuno ed in tutti.

Fratel Alberto era anche elemosiniere. Portava l'aiuto dai possidenti ai non-possidenti. Ma soprattutto insegnava a questi ultimi come ricostruire la loro vita con l'aiuto di Dio e con le proprie forze. Eppure era elemosiniere. Mostrava che il bene comune non è soltanto un frutto della giustizia, ma dell'amore disinteressato. Si sente che in Polonia c'è gente, che per il bene della società dà qualcosa del suo. Questo testimonia che essi hanno capito pienamente tanto il carisma del santo fratel Alberto, come il valore del bene comune. Vorrei esprimere a loro il mio apprezzamento e cordiale ringraziamento.

Spero che la "Polonia" di tutto il mondo, sempre unita da un forte legame con il Paese dei padri, dimostrerà grande comprensione per l'attuale situazione e darà un solidale aiuto ai connazionali in Polonia.


6. Mi rivolgo oggi, in modo particolare, ai figli ed alle figlie spirituali del nostro santo: albertini e albertine, il segno della continua presenza di questo "Fratello grigio" in mezzo alla nostra vita.

Mi rallegro insieme con loro di questo 12 novembre del 1989 (settantadue anni da quando egli li ha lasciati qui, sulla terra).

E me ne rallegro con tutta la Chiesa in Polonia, con tutte le diocesi, specialmente con quella di Cracovia.

Mi rallegro con tutta la Nazione. Auguro che questo santo, il quale era per tutti "buono come il pane", aiuti tutti i Polacchi a riconquistare la bontà reciproca.

Che sia come pietra miliare nella costruzione di questa civiltà, chiamata da Paolo VI "civiltà dell'amore" - sulla nostra terra materna e dappertutto.

Dio, infatti, dona i santi sempre a tutta la Chiesa!

1989-11-12

Domenica 12 Novembre 1989




Agli oltre tredicimila fedeli provenienti dalla Cecoslovacchia - Città del Vaticano (Roma)

Una nuova fioritura della vita religiosa cecoslovacca


[Ai fedeli di lingua ceca:] Signor Cardinale, fratelli nell'Episcopato, signor ministro e distinti membri della delegazione governativa, sacerdoti, religiosi e religiose, cari seminaristi e pellegrini! "Haec dies quam fecit Dominus, exsultemus et laetemur in ea!". Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo! II nostro incontro non può essere aperto con parole più opportune che con questo canto pasquale della Chiesa. Rallegriamoci ed esultiamo! Rallegriamoci ed esultiamo, perché per la Chiesa che è in Boemia è arrivato il desiderato giorno in cui è stata elevata agli onori degli altari la sua santa protettrice, Agnese Premislida. Rallegriamoci ed esultiamo anche perché per venerarla è arrivato dalla vostra Patria un pellegrinaggio senza confronti nella vostra storia, guidato dal vostro amato e venerato Cardinale Frantisek Tomasek, Primate di Boemia. E' certamente frutto dell'intercessione di questa santa, che sapeva unire ciò che era diviso, se oggi si incontrano in concorde comunione Cechi e Slovacchi, residenti in Patria e viventi all'estero, nonché pellegrini di lingua tedesca originari della Boemia e Moravia. Anche la presenza dei vostri Pastori, di presuli incaricati della cura pastorale dei connazionali all'estero, simboleggia questa unità ecclesiale. Certo, il numero dei vostri vescovi non è ancora completo, ma il fatto che negli ultimi mesi è stato possibile provvedere ad alcune diocesi vacanti da parecchi anni, è un auspicio per l'avvenire e conferma la nostra speranza che sarà, finalmente, possibile istituire anche nel nostro Paese le rispettive Conferenze Episcopali.

Santa Agnese, pero, non unisce soltanto i connazionali del nostro tempo.

Con la sua canonizzazione si è adempiuto l'anelito di una lunga serie di generazioni che aspiravano a questa glorificazione senza poterla vedere. Tra i presuli desidero fare il nome del compianto Cardinale Beran, il quale alla ricerca biografica di santa Agnese dedico alcuni anni della sua vita. Ma penso anche a tanti altri, i quali hanno conservato nella loro coscienza l'immagine di questa sorella spirituale di santa Chiara e tenera madre di tutti gli afflitti. Lei è rimasta cara ad ogni boemo, senza distinzione confessionale. Mi è pertanto caro salutare tra voi la delegazione ufficiale del governo cecoslovacco venuta ad onorare, con la sua presenza questa insigne figlia del re di Boemia. Si, santa Agnese è cara a tutti i Boemi, come dimostra anche il fatto che la sua persona è raffigurata nel gruppo scultoreo di san Venceslao sull'omonima piazza praghese, che da un secolo è il palcoscenico della vostra storia nazionale.

Che la sua canonizzazione avvenga soltanto in questo secolo non è certo casuale. Santa Agnese ha evidentemente dei doni destinati dalla divina Provvidenza proprio per la vostra generazione. Uno di questi è, senza dubbio, il decennio della rinascita spirituale della vostra Nazione, indetto con lungimiranza pastorale dal vostro Cardinale Tomasek. Esso culminerà con il giubileo di sant'Adalberto, ma è stato aperto nel nome della beata Agnese. Possano tutte le preghiere delle generazioni precedenti saldarsi nella ardente supplica per il buon esito di questa iniziativa. Che questo sforzo, durante il quale siete accompagnati e quasi condotti per mano dai vostri santi patroni, possa raggiungere i frutti prefissi per ogni singolo anno. I temi "La fede nel mondo moderno", "La vita familiare". "Lavoro e responsabilità sociale", "Evangelizzazione e preghiera" - per citarne almeno alcuni - non sono altro che gradini verso una vita più conforme al Vangelo, che la vostra santa viveva con semplicità di cuore secondo l'esempio di san Francesco e di santa Chiara.

Santa Agnese fu donna di preghiera, ma allo stesso tempo anche donna protesa alle opere di carità verso il prossimo. Ne danno testimonianza le case da lei costruite a Praga: una per il servizio ai poveri malati; l'altra per la vita consacrata. Sono pertanto lieto di salutare i religiosi qui presenti tra i quali il gran maestro dai crocigeri della stella rossa, eredi della fraternità ospedaliera fondata dalla santa, nonché le suore di vari ordini e congregazioni le quali in diverso modo imitano l'esempio di Agnese. Possa il recente permesso dato a congregazioni religiose femminili di accettare novizie essere auspicio di una rifioritura della vita religiosa nelle vostre terre, ripresa di attività disinteressata a favore del prossimo bisognoso.

Cari pellegrini, il vostro pellegrinaggio non deve finire oggi. Deve continuare e condurvi, sulle orme di santa Agnese, a Cristo Signore, in cui solo troverete la risposta a tutti i vostri problemi. Vi accompagni su questa strada la mia benedizione apostolica, per l'intercessione della Madre di Dio, "Palladio della Terra Boema".

Ai fedeli di lingua slovacca Con particolare affetto saluto i numerosi pellegrini slovacchi, venuti a Roma per la solenne canonizzazione di santa Agnese, con a capo il primo Arcivescovo di Trnava. Siate benvenuti! Il messaggio spirituale della nuova santa parla anche a voi in maniera molto viva. Nell'"anno del rinnovamento della fede" proclamato dal vostro Metropolita tale messaggio diventa un appello, in cui la vita di santa Agnese brilla come un esempio e esorta all'imitazione. L'opera spirituale di questa santa infatti è sorta dalla fede che ha determinato i suoi rapporti con Dio, con gli uomini e con gli avvenimenti storici.

Il vostro "anno del rinnovamento della fede" è collegato anche con il ricordo anniversario della morte dei beati martiri di Cassovia, i quali hanno dato la suprema testimonianza della fede morendo per essa. L'anno del rinnovamento è anche una preparazione alla chiusura del secondo millennio cristiano. Quante occasioni per riflettere, per rinnovarsi nella fede! La fede ha guidato i vostri antenati dagli inizi della loro storia religiosa e culturale e li ha aiutati a superare tutti gli ostacoli e le insidie.

La fede è anche per le generazioni attuali una luce che mostra l'uscita dal tunnel dell'indifferenza e dell'incredulità. La fede è la forza che dona il coraggio e aiuta a perseverare. E' il dono più grande di Dio che noi dobbiamo accettare con gratitudine e potenziare con generosità.

Cari pellegrini slovacchi! Riportate dalla città eterna, in questa circostanza, un nuovo olio, un rafforzamento per la vostra fede! Il primo successore di Pietro di origine slava vi ricorda ciò che dice san Pietro: perseverate sempre "forti nella fede"! (1P 5,9).

Con la mia benedizione che imparto di cuore a tutti gli Slovacchi in Patria e all'estero.

Ai pellegrini di lingua tedesca E' per me una grande gioia poter salutare i cattolici tedeschi provenienti dalla Boemia e dalla Moravia partecipanti a questa udienza.

La figlia del re boemo, Agnese, che noi vediamo come santa, è un vero dono di Dio per la Chiesa. Insieme ad altre sette dame dell'alta aristocrazia di Praga si voto alla povertà. Agnese si oppose alla ragion di Stato e, con ammirevole decisione, preferi agire secondo coscienza per quanto riguardava la sua vita religiosa e personale. La sua decisione, basata sugli ideali di santa Chiara, fu sostenuta e convalidata dal Papa. La vita della nuova santa deve essere di esempio per noi tutti, in quanto ognuno deve seguire la propria vocazione, anche se le condizioni esterne la possono ostacolare.

Santa Agnese ha deciso la propria vita secondo coscienza ed ha seguito fedelmente la strada scelta. Proprio questo aspetto la rende una donna esemplare anche ai nostri tempi: ci serve da orientamento e guida.

Su invito del padre di santa Agnese molti Tedeschi, che col loro lavoro avevano contribuito allo sviluppo del Paese, si recarono in Boemia. La convivenza dei due gruppi etnici inizio proprio a quei tempi. Santa Agnese sia un esempio per noi tutti, per la sua vita impostata sul rispetto reciproco, senza odio e disaccordo! La sua canonizzazione, che vi ha riuniti qui, serva da impulso per un futuro caratterizzato da armonia, collaborazione e comprensione reciproca. A tal fine imparto di cuore a voi e a tutti i vostri cari la mia particolare benedizione apostolica.

1989-11-13

Lunedi 13 Novembre 1989




Ai Vescovi diocesani della Repubblica Federale di Germania - Città del Vaticano (Roma)

Cristo stesso impegna il Papa e i Vescovi all'unità e all'unanimità nella trasmissione della fede


Cari confratelli nell'Episcopato.


1. L'incontro con i Vescovi qui a Roma o nelle Chiese locali rappresenta uno dei compiti più belli e importanti del mio servizio apostolico alla Chiesa universale.

Per questo vi do il benvenuto con particolare gioia a questo colloquio di due giorni, che avete richiesto al di fuori della regolare cadenza delle vostre visite "ad limina".

Saluto cordialmente voi, i supremi Pastori delle diocesi della Germania Federale, il rappresentante del Vescovo di Berlino come pure i miei collaboratori della Curia romana, che con la loro competenza ed esperienza daranno vita ed approfondiranno il nostro comune scambio di idee.

Il nostro incontro avviene nel mese in cui cade la nona ricorrenza del mio primo viaggio pastorale nel vostro Paese e in alcune delle vostre diocesi. A questo ed anche alla mia seconda visita nel 1987 mi legano ricordi incancellabili dell'intensa vita religiosa delle vostre Chiese locali, degli incontri con i rappresentanti della cultura e della scienza, e in particolare della teologia, campi nei quali il vostro Paese e la vostra Chiesa hanno offerto e continuano ancor oggi ad offrire un grande contributo. Conoscevo già da diversi anni molti di voi personalmente. Nel corso di diversi incontri individuali e collegiali - dalla mia elezione a Vescovo di Roma - abbiamo imparato a conoscerci l'un l'altro nella fiducia e nella stima ed il nostro legame nella comune missione di Gesù Cristo quali Pastori del Popolo di Dio si è approfondito e consolidato.


2. Questa missione comune nel nome di Cristo è quella che ci chiama a riunirci oggi e domani. Le nostre riflessioni e i nostri colloqui fanno parte innanzitutto di quel compito che il Concilio Vaticano II ha descritto come un servizio che, fra i molteplici uffici del Vescovo, ha un "posto preminente": l'annuncio della buona Novella di Gesù Cristo, la "trasmissione della fede alla prossima generazione", come l'avete formulato voi stessi nel tema generale.

Il Concilio Vaticano II infatti descrive i Vescovi come "araldi della fede, che portano a Cristo nuovi discepoli: sono i dottori autentici, cioè rivestiti dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, che illustrano questa fede alla luce dello Spirito Santo" (LG 25).

Questa è la descrizione concreta del compito comune che noi Vescovi abbiamo ricevuto attraverso gli apostoli da Cristo stesso: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15); o, come dice Matteo: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19).

Affinché questo compito nella Chiesa e nella sua storia non venga mai interrotto o falsato, Cristo ha chiesto per il capo del Collegio Episcopale - per Pietro e i suoi successori - che la "sua fede non venga mai meno" e allo stesso tempo gli ha dato l'incarico di confermare i suoi fratelli (cfr Lc 22,3s). Questo compito di Gesù Cristo impegna allo stesso modo il Papa e i Vescovi. Da ciò deve derivare la loro unità e unanimità nell'annuncio del Vangelo e nella trasmissione della fede. La preghiera di Cristo "affinché il mondo creda" non si riferisce soltanto alla unità fra i cristiani, ma anche alla unità della stessa Chiesa (cfr Jn 17,21). Il Papa e i Vescovi sono al servizio di quella responsabilità e missione che hanno ricevuto da Cristo, in spirito di reciproca fiducia e collaborazione fraterna. La loro unità nell'annuncio e nell'insegnamento è allo stesso tempo la dimostrazione della loro credibilità.


3. Questo incontro in Vaticano, secondo il vostro desiderio, deve servire ad approfondire la vostra unità con il successore di san Pietro, a chiarire questioni e difficoltà che attendono di essere risolte, e a prendere coscienza ancora più profondamente della vostra missione in mezzo al Popolo di Dio. La riflessione sul servizio e la trasmissione della fede, a cui invitano i principali temi concordati, mostrerà non soltanto la ricchezza di mezzi, iniziative e collaboratori di cui fortunatamente dispongono le vostre Chiese locali nella propria azione pastorale, ma metterà senz'altro in luce anche la necessità di subordinare le molteplici attività e servizi della Chiesa del vostro Paese, in modo ancora più decisivo, a quest'unico importante obiettivo: quello di trasmettere integralmente la fede e di approfondirla continuamente in tutti i campi della vita ecclesiale e religiosa.

Sulla base della mia esperienza pluriennale di Pastore di una grande diocesi, sono consapevole delle difficoltà che incontrano un Vescovo e i suoi collaboratori nel compito di trasmettere la fede nella società secolarizzata dei nostri giorni. Di esse son ben consapevoli anche i responsabili dei competenti uffici della Santa Sede. Per questo motivo l'incontro di oggi deve essere una gradita occasione e un incoraggiamento per discutere insieme in fraterna solidarietà, con franchezza e sincerità, le questioni ed i problemi che sorgono nella trasmissione della fede nelle vostre diocesi e comunità, per prevenire eventuali pericoli o errori che potrebbero presentarsi e soprattutto per suscitare fra tutti i fedeli un nuovo zelo apostolico e missionario. L'esperienza del fallimento e dell'insuccesso non ci deve portare al pessimismo o allo scoraggiamento. Al contrario! Deve condurci ancora più vicini al Signore e gli uni agli altri, per sostenerci e rafforzarci reciprocamente nella missione comune nella Chiesa e per la salvezza degli uomini.

In questo spirito di certezza e fiducioso nella promessa assistenza di Dio, do inizio a questo incontro e imploro sulle nostre comuni riflessioni la luce e la guida dello Spirito Santo con la mia speciale benedizione apostolica.

Il nostro incontro avviene in un momento commovente di profondi cambiamenti in Europa che interessano in modo particolare il vostro popolo.

Quali Pastori a cui è affidata la cura di tutto il gregge, vorrei affidare la vostra fervida preghiera, affinché vengano esaudite le speranze degli uomini nella giustizia, nella libertà e nella pace, all'intercessione della nostra Madre celeste, dell'arcangelo Michele e di san Bonifacio.

1989-11-13

Lunedi 13 Novembre 1989




Messa con i Vescovi diocesani della Repubblica Federale di Germania - Città del Vaticano (Roma)


Cari fratelli.

Il Concilio definisce la liturgia il "culmine verso cui tende l'azione della Chiesa" e allo stesso tempo "la fonte da cui promana tutta la sua virtù" (SC 10). Anche la nostra celebrazione eucaristica odierna vuol essere culmine e fonte per i nostri colloqui comuni di questi giorni. Non esiste un altro momento o un altro luogo, in cui avvertiamo più profondamente la nostra unione con Cristo e fra di noi, quali Vescovi e sacerdoti, se non quello della nostra unione all'altare per celebrare l'Eucaristia. Confermati dal Signore stesso attraverso la sua Parola e il suo sacramento, riceviamo da lui, continuamente rinnovata, la nostra missione.

Nell'Eucaristia sappiamo con gioia che il Signore è con noi, cammina con noi, e attraverso la sua grazia fa crescere e prosperare i nostri semi e le nostre piante nella sua vigna. All'altare noi apprendiamo che non siamo noi, bensi Cristo che opera nella sua Chiesa e nelle nostre stesse azioni. Nella sua Persona noi pronunciamo le parole della transustanziazione. Nella predicazione egli si serve della nostra testimonianza di fede e della nostra voce: "Chi ascolta voi ascolta me" (Lc 10,16). Questa gioiosa consapevolezza esige che tutta la nostra missione sia al suo servizio. Allo stesso tempo dobbiamo anche riconoscere umilmente, come il servo del Vangelo di oggi, che siamo "servi inutili". E quando abbiamo fatto tutto ciò che ci è stato ordinato non abbiamo fatto altro che il nostro dovere (cfr Lc 17,10).

perciò continuiamo a fare ricorso - come in questa ora - alla fonte della grazia di Dio attorno all'altare. Preghiamo il Signore di concederci il perdono per le nostre mancanze e le nostre debolezze e la sua benedizione per un nuovo inizio nel suo nome.

1989-11-14

Martedi 14 Novembre 1989





GPII 1989 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Ai fedeli riuniti, Città del Vaticano (Roma)