GPII 1990 Insegnamenti - Agli operai dello Stabilimento Lancia Auto - Chivasso (Torino)

Agli operai dello Stabilimento Lancia Auto - Chivasso (Torino)

Titolo: La solidarietà e supera le divisioni e le frontiere politiche

Cari amici!


1. Sono qui tra voi per corrispondere all'invito che mi è stato gentilmente rivolto e che ho accolto volentieri. Rivolgo il mio saluto cordiale al residente e all'amministratore delegato della FIAT, al direttore e ai dirigenti dello stabilimento, come pure al consiglio di fabbrica e a voi tutti, carissimi lavoratori e lavoratrici, ed esprimo un particolare apprezzamento per le parole che mi sono state rivolte da coloro che hanno ben interpretato sentimenti, preoccupazioni, speranze, presenti nel cuore di tutti.

La mia venuta tra voi, nel giorno del celeste patrono dei lavoratori, san Giuseppe, vuole essere una rinnovata attestazione della sollecitudine della Chiesa per l'uomo e, in particolare, per l'uomo che lavora. Una sollecitudine fatta di attenzione assidua, di condivisione profonda, di sincera amicizia, di sensibilizzazione dell'opinione pubblica alle esigenze e ai problemi emergenti, nello spirito della "carità pastorale" e del "Vangelo del lavoro".


2. Visitando i vari reparti di questa fabbrica, ho potuto ammirare l'espansione delle moderne tecnologie e i "prodigi" dell'automazione e rilevare gli effetti che ne derivano sulla stessa organizzazione del lavoro.

Lo sviluppo tecnologico, che da un ventennio contrassegna e condiziona l'attività umana, è un fenomeno certamente complesso. Meraviglioso e affascinante per l'alto livello delle sue conquiste, esso suscita al tempo stesso non lievi preoccupazioni per i mutamenti che comporta nell'assetto lavorativo e nella compagine sociale.

L'avvento dell'automazione ha accresciuto il volume del capitale delle imprese con l'introduzione di costose e sofisticate apparecchiature, generando pero non pochi e non facili problemi sul versante dell'uomo lavoratore, della sua famiglia, della società. La disoccupazione e la sottoccupazione sono alcune delle conseguenze più evidenti della nuova situazione con cui si deve oggi misurare il mondo del lavoro.

Eppure, considerata in se stessa e nelle sue enormi potenzialità, la tecnica "è indubbiamente un'alleata dell'uomo. Essa gli facilita il lavoro, lo perfeziona, lo accresce e lo moltiplica" (LE 5). Perché tale "alleanza" possa tradursi nella realtà, si impone tuttavia con sempre maggiore urgenza il passaggio dalla concezione meccanicistica del lavoro a quella personalistica. Ora, punto focale della concezione personalistica è il grande principio che la Chiesa va propugnando fin dall'insorgere di quella che si è soliti chiamare "la questione sociale", il principio cioè del primato dell'uomo sul lavoro, col conseguente principio del primato dell'uomo sulla tecnica, nella quale si esprime la sua attività lavorativa.

Il fondamento originario di tale principio è di carattere teologico. Ce lo offre con spiccato "realismo" il libro della Genesi, quando descrive Dio che affida all'uomo il compito di dominare le forze del creato. Le conquiste della scienza sono tutte frutto delle ricerche dell'uomo, il quale va scoprendo sempre nuove energie nel ricchissimo patrimonio affidatogli dal Creatore. Egli, da autentico protagonista, le trasforma e le applica ai vari settori della vita, mediante l'intelligenza, facoltà specifica della sua natura razionale, che nessuna macchina, per quanto perfezionata, potrà mai sostituire.


3. Nella nostra epoca "post-industriale" incombono sul mondo del lavoro problematiche multiformi, complesse, talvolta laceranti, fra le quali, come accennavo, la diminuzione di posti lavorativi, la competitività incalzante a raggio mondiale, la necessità di adeguare la produttività alle richieste del mercato, l'urgenza di tener dietro al progresso tecnologico in costante accelerazione.

Sono problemi gravi. Non bisogna tuttavia dimenticare che il lavoro, per la sua stessa indole, unisce. "La realtà del lavoro è la medesima: il lavoro manuale e il lavoro intellettuale; il lavoro agricolo e il lavoro dell'industria; il lavoro dei servizi nel settore terziario e il lavoro di ricerca; il lavoro dell'artigiano, del tecnico, dell'educatore, dell'artista o della madre nella sua famiglia; il lavoro dell'operaio nelle fabbriche e quello dei dirigenti e dei responsabili. Senza voler mascherare le differenze specifiche... la realtà del lavoro crea l'unione di tutti in un'attività che ha uno stesso significato e una stessa fonte".

Scaturisce da ciò, come impegno del tutto connaturale, il dovere della solidarietà, che è un'esperienza primaria, irrinunciabile, da sostenere e promuovere infaticabilmente, da difendere con convinzione. Essa si ramifica in molteplici dimensioni.

C'è innanzitutto la solidarietà all'interno delle aziende: essa mira a stabilire, fra le diverse categorie impegnate nel processo produttivo, le necessarie condizioni di giustizia e di equità, grazie alle quali tutti possano sentirsi rispettati nella loro dignità e valorizzati nelle loro rispettive capacità professionali. Occorrerà perciò fare in modo che l'impiego delle nuove e avanzate tecnologie non si volga mai a danno del lavoratore, il cui primato sulla macchina, anche la più perfetta e la più moderna, dovrà essere sempre salvaguardato.

Così, perché il luogo del lavoro conservi sempre il suo volto "umano" ed esprima questi legami di solidarietà, è anche importante promuovere tra i lavoratori un clima di mutuo rispetto, di aiuto reciproco, di sostegno vicendevole nelle difficoltà connesse con l'adempimento della faticosa missione del lavoro, "dimensione fondamentale dell'esistenza umana, da cui dipende anche il senso di questa stessa esistenza".

Il senso di solidarietà deve, inoltre, orientare la stessa funzione delle organizzazioni sindacali, alle quali compete il ruolo delicato di mediazione fra i lavoratori e gli organi dirigenti. Le vie del dialogo e della trattativa vanno tenacemente perseguite a preferenza di altri strumenti rivendicativi. Anche se talora più faticose, esse si rivelano in definitiva più feconde, perché atte a promuovere la reciproca comprensione e ad assicurare una miglior base per la stabilità delle conquiste. In una simile prospettiva, le varie categorie dovranno certo mettere in conto qualche sacrificio. Esso sarà tuttavia compensato dal conseguimento di una miglior difesa della dignità umana, specialmente dei più deboli - giovani, emarginati, portatori di handicap - e del loro diritto di essere associati al "grande banco di lavoro".


4. La solidarietà, quindi, si allarga e spezza ogni barriera di divisione e di incomprensione. Essa supera tutte le frontiere, a cominciare da quelle che vorrebbero dividere i vari ceti lavorativi, ancorandosi ai frammenti di ideologie tramontate o in via di esaurimento, che considerano il lavoro una merce o un mero mezzo di profitto. La solidarietà diventa così una categoria morale, quale "determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti" (SRS 38).

Non basta: la solidarietà supera anche le frontiere politiche per aprirsi all'accoglienza di ogni lavoratore semplicemente per la sua qualità di membro della famiglia umana. A ciascuno, infatti, deve essere riconosciuto il diritto di cercare le occasioni d'impiego necessarie per il sostentamento e per lo sviluppo della sua persona e della sua famiglia, anche oltre i confini nazionali e continentali.

Questo non esclude certo la legittimità di una regolamentazione dei flussi migratori alla luce del bene comune di ogni singola Nazione, considerata pero nel contesto delle altre Nazioni del mondo. In effetti, i problemi del lavoro hanno da tempo assunto una rilevanza tale da trascendere i confini geografici, locali, regionali, nazionali, continentali. Anche il vostro stabilimento ha un respiro, che va molto oltre le frontiere d'Italia.

L'umanità vive ormai, si può ben dire, in un solo villaggio, non soltanto perché i mezzi di comunicazione sociale le rendono presenti gli avvenimenti nel momento stesso in cui si compiono, ma anche per l'interdipendenza sempre più marcata tra uomini e nazioni. "I beni della creazione sono destinati a tutti: ciò che l'industria umana produce con la lavorazione delle materie prime, col contributo del lavoro, deve servire egualmente al bene di tutti" (SRS 39). E tutti, dal Nord al Sud, dall'Est all'Ovest, devono poter recare con il loro lavoro un apporto al benessere comune. In tal modo anche la solidarietà del mondo del lavoro diventa via allo sviluppo e alla pace.


5. La solidarietà è una virtù cristiana, che si misura sulle dimensioni dell'amore. Essa non è sentimento passeggero, ma si radica profondamente nella fede in Dio, padre di tutti, e in Cristo, fonte della fratellanza universale.

Questa solidarietà-amore, che lo Spirito Santo alimenta nel cuore dei credenti, qualifica il senso cristiano del lavoro, irrobustendo ed elevando il suo carattere umano, nobilitando la sua fatica e inserendo pienamente il lavoro nel disegno globale della vita. così l'attività lavorativa diventa mezzo di progresso spirituale e stimolo a pensieri profondi sul senso ultimo dell'esistenza. Diventa preghiera.

Nella casa di Nazaret Gesù fu per trent'anni sottomesso a Maria e a Giuseppe, il quale assicurava il sostentamento della famiglia esercitando il mestiere di carpentiere. "Questa sottomissione... viene intesa anche come partecipazione al lavoro di Giuseppe... (così) il lavoro umano e, in particolare, il lavoro manuale trovano nel Vangelo un accento speciale. Insieme all'umanità del Figlio di Dio esso è stato accolto nel mistero dell'Incarnazione, come anche è stato in particolar modo redento" ("Redemptoris Custos", 22).


6. Carissimi fratelli e amici! L'umile e luminoso esempio del lavoro svolto nella casa di Nazaret non è stato superato dall'evoluzione scientifica e tecnologica del nostro tempo, né verrà superato da ulteriori conquiste. Esso richiama la dignità del lavoro umano.

Ne proclama il valore. E contemporaneamente mostra che si tratta di un valore relativo, non assoluto, perché finalizzato ad altri valori, che si riassumono, come abbiamo detto, nel valore-uomo: creatura di Dio, dotato di una vocazione trascendente, che egli è chiamato ad assecondare e a sviluppare anche mentre adopera le proprie risorse accanto a potenti macchinari. Allora egli avverte il timbro intensamente umano dell'avvertimento del Signore: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde o rovina se stesso?" (Lc 9,25).

Affidandovi queste riflessioni, vi auguro che possiate trovare nel lavoro una fonte di serenità e di pace per voi e per le vostre famiglie, mentre mi è caro invocare su tutti i componenti della comunità della "Lancia", e sull'avvenire della Fabbrica stessa, la protezione di san Giuseppe e di Gesù, divino lavoratore.

(Al termine dell'incontro:) Devo dirvi che questo nome, Lancia, mi è noto da tanti anni, certamente dagli anni della giovinezza, perché era una macchina conosciuta, famosa, e i giovani e i ragazzi sono sempre più o meno interessati alle macchine. Dopo tanti anni, avvicinandomi ai settanta, sono arrivato al centro di questa Lancia, sono arrivato alla "fonte" dove nasce la Lancia. Probabilmente la macchina che ricordo negli anni giovanili non è più la stessa; ma almeno il nome è lo stesso. E' molto importante per me conoscere questo "centro", non tanto per la macchina, tanto preziosa, tanto ricercata - così mi dicono... -. Qualche volta sembra che per l'uomo contemporaneo, nella mia Patria e anche presso altri popoli europei e non europei, la macchina - la Lancia o un'altra - sia più importante della casa. Non so se questo fenomeno è del tutto buono, perché la casa è la casa, ma si può interpretare nel senso che la macchina diventa anch'essa "casa", in un certo senso. E l'uomo è diventato molto più itinerante, alla ricerca di qualche cosa di diverso. Forse è anche costretto a fare questa ricerca: per esempio, la ricerca della natura, di uno spazio di riposo, di uno spazio di raccoglimento spirituale.

Sono molto contento di aver potuto conoscere, oggi, dopo tanti anni, la "casa" della Lancia: la casa non vuol dire solamente gli stabilimenti, ma soprattutto la comunità umana, la vostra comunità di lavoro. Il frutto di questo lavoro si chiama Lancia; ma quelli che lavorano siete voi. Lo dico con tanto piacere e con tanta devozione, nel giorno in cui tutta la Chiesa si piega davanti a un santo lavoratore, santissimo. Ancora una volta ringrazio per l'invito e per l'accoglienza il presidente, l'avv. Agnelli, e tutti voi. Ripeto questo augurio: pace e bene per ciascuno di voi, per le vostre famiglie, per la vostra comunità di lavoro che si chiama Lancia.

Data: 1990-03-19

Lunedi 19 Marzo 1990

Ai giovani in Piazza della Repubblica - Chivasso (Torino)

Titolo: Il nostro tempo attende da voi un generoso anticonformismo

Carissimi giovani della diocesi di Ivrea! "La gioia del Signore è la vostra forza" (Ne 8,10).


1. Ogni volta che mi è offerta l'opportunità di incontrare i giovani sperimento concretamente quanto sia affascinante, ancor oggi, accogliere il messaggio evangelico e viverlo nell'interezza delle sue esigenze. L'entusiasmo che anima la vostra testimonianza cristiana, assetata di coerenza tra fede professata e atteggiamenti vissuti, manifesta la perenne giovinezza della Chiesa, corpo vivo di Cristo, rinnovato costantemente dal suo Spirito di amore.

Si, è vero, "la gioia del Signore è la vostra forza"! Sono lieto di questo festoso appuntamento con voi, rappresentanti di tutte le giovani energie della Diocesi. Vi ringrazio e vi saluto con affetto.

Il mio soggiorno in questa vostra regione è stato breve, ma sufficiente per cogliere le attese, le preoccupazioni, i progetti e le difficoltà che fanno parte della vostra esperienza quotidiana. Ho accolto la voce delle varie componenti del popolo di Dio, qui pellegrinante. Ho incontrato tanta gente. Con l'intera comunità ho celebrato l'Eucaristia "fonte e apice di tutta la vita cristiana" (LG 1). Ho partecipato, così, intimamente al cammino della vostra diocesi. E ora, prima di rientrare a Roma, vorrei affidare a voi, giovani, speranza della Chiesa e futuro dell'umanità, il compito particolare di costruire, col dono delle vostre esistenze, il domani del cristianesimo in questa terra. A voi ripeto quanto ho scritto nel messaggio per la Giornata mondiale della gioventù di quest'anno: "Mettete al servizio della Chiesa i vostri giovani talenti senza riserve, con la generosità propria della vostra età. Prendete il vostro posto nella Chiesa, che non è solo quello di destinatari di cura pastorale, ma soprattutto di protagonisti attivi della sua missione".

Si, "la Chiesa è vostra, anzi voi stessi siete la Chiesa!". Vi ringrazio, ragazzi e ragazze di Ivrea, per quanto mi avete detto attraverso i vostri rappresentanti. Voi siete assetati di verità e alla ricerca di una seria formazione cristiana. Non vi accontentate di un attivismo povero di motivazioni, ma volete integrare armonicamente in voi la fede e la vita. In questa prospettiva avete ricordato la testimonianza commovente ed eroica del vostro giovane conterraneo Gino Pistoni, al cui esempio intendete ispirarvi senza paura d'impegnare l'esistenza sui "valori forti", al seguito di "ideali puri e nobili".


2. Permettetemi allora, prima di separarci, che io vi affidi alcune brevi riflessioni, in vista della quinta Giornata della Gioventù, che sarà celebrata in tutte le diocesi, la prossima domenica delle Palme. Riprendendo l'appello del Messaggio che vi ho indirizzato, ripeto a tutti voi: "Giovani, siate tralci vivi nella Chiesa!". Guardandovi, il pensiero mi torna all'indimenticabile esperienza dello scorso mese di agosto, alla quale anche alcuni di voi hanno preso parte. E' stato un evento ecclesiale di eccezionale portata, che ha visto migliaia di giovani di tutti i continenti testimoniare coralmente la fede viva della Chiesa, proclamare al mondo la speranza evangelica e condividere la gioia della fedeltà al Signore Gesù.

Ma perché tale grandiosa manifestazione di fede non resti solo un ricordo, sia pure esaltante, occorre far circolare lo spirito che l'ha preparata e che profondamente l'ha animata; occorre che il messaggio di salvezza là proclamato, possa giungere dappertutto, sin nei luoghi più remoti dell'universo.

Spetta a voi, giovani credenti, compiere questa missione, dovunque vi troviate, con coerenza e generosità.

Giovani della diocesi d'Ivrea, siate tralci vivi nella Chiesa di Cristo! Il nostro tempo attende da voi un coraggioso anticonformismo: vivete abbandonati nelle mani di Dio e crescete nella sete della Verità e dell'Amore, senza rifiutare il sacrificio e il dono di voi stessi agli altri! Siate entusiasti della vostra Fede e "la gioia del Signore sia la vostra forza"! Giovani, Cristo vi aiuterà!


3. E' vero, talora l'esistenza non è facile, costellata com'è d'interrogativi e di inquietudini. Di fronte ad avvenimenti che scuotono la coscienza e interpellano la fede, si avverte la difficoltà di offrire una risposta. Quando, ad esempio, i mass-media portano all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale il dramma della fame e della siccità in ampie regioni della terra, la morte di bambini innocenti per denutrizione e malattie, la cronaca di guerre interminabili che falciano innumerevoli vite umane, i dati dell'inquinamento ecologico che altera l'equilibrio ambientale, l'oppressione ingiusta dei deboli e l'apparente trionfo del male, ci si domanda dove si sia nascosto il volto amoroso di Dio. Ci si chiede perché tanti, senza loro colpa, siano vittime di calamità naturali o dell'egoismo dell'uomo.

Anche dentro di voi possono affacciarsi momenti bui e indecifrabili. Voi vi interrogate sul significato dell'esistenza, sul futuro dell'umanità e sul vostro personale avvenire. Riflettete sul mistero di Dio e sul mistero dell'uomo, senza riuscire a trovare attorno a voi risposte soddisfacenti. La tentazione dell'abbandono e dello scoraggiamento non è lontana. Il rischio è che vi adagiate nel conformismo di massa, cedendo al fascino dei paradisi artificiali della droga o al richiamo seducente di ideologie alienanti e spesso violente.

Ascoltate, giovani, nel silenzio del vostro cuore l'interrogativo che si fa preghiera implorante: "O Dio, chi sei tu per me? E io chi sono per te?". E non abbiate paura: aprite il cuore alla fiducia. "Non abbiate paura - vi ho scritto nel Messaggio per la Giornata della Gioventù - perché servire Cristo e la sua Chiesa in modo totale è una vocazione stupenda e un dono magnifico. Cristo vi aiuterà".


4. Vi aiuterà non solo a dare una risposta ai tanti perché, che si agitano dentro di voi, ma farà di voi stessi i suoi amici e i suoi apostoli. Se infatti è vero che il mondo di Dio e quello dell'uomo possono apparire tanto distanti, non dimenticate che in Gesù Cristo si è verificato l'incontro tra il Padre e l'umanità riconciliata. In lui, diventato nostro fratello, è possibile riscoprire la grandezza della nostra vocazione di uomini e la missione di costruttori di fraternità. Siamo chiamati ad amare la vita: Iddio è il Signore della vita e vuole che il credente gli renda gloria con la sua esistenza trasformata dalla sua gioia.

Giovani, chiamati ad amare la vita, condividete la passione che Iddio nutre per ogni uomo! Non temete la sofferenza e la croce, poiché il mistero pasquale non è estraneo al progetto di felicità che il Padre realizza nelle nostre esigenze! Siate anzi disposti a soffrire con lui e a collaborare alla salvezza del mondo attraverso anche le vostre sofferenze. Soprattutto fidatevi di lui. Non dimenticate mai che donare la vita e perderla per Gesù Cristo è scoprire l'Amore! Siate testimoni dell'Amore, vivete l'Amore! E Gesù vi aiuterà.


5. A scuola, nel lavoro, in famiglia, in parrocchia, ovunque siate, a voi, carissimi giovani, è affidata la missione di trasmettere la fede ai vostri coetanei, di testimoniare con coerenza tutte le esigenze del Vangelo e di condividere con chi è nel bisogno i talenti che il Signore vi ha donato.

Molti fra voi operano già attivamente nel servizio ai fratelli, nell'impegno catechistico e missionario, nel volontariato e nel servizio civile, nell'accoglienza agli ultimi e nella cura dei sofferenti. Vi esorto a proseguire in questa gara di generosità che, mentre vi porta a dare voi stessi al prossimo, vi arricchisce dell'amore di Dio e vi rende artefici di una nuova umanità.

Rendete ragione della speranza che vi anima e non sprecate la vita, inseguendo gratificazioni egoistiche o rincorrendo facili illusioni che vi appiattiscono inesorabilmente. Lasciate che il seme dell'Amore, germinato con il Battesimo, dia frutto a gloria di Dio. Vivete nella Chiesa! In essa voi sperimentate che l'esistenza del credente è abbandono fiducioso alla Provvidenza; scoprite che affidarsi a Dio non è fuggire dalla vita di ogni giorno, ma è assumerla con maggiore passione, e lavorare assiduamente per fare del mondo la dimora accogliente di ogni essere umano. La Chiesa ha bisogno anche di servitori a tempo pieno nel ministero sacerdotale e nella vita consacrata. Se il Signore vi chiama, siate pronti a riconoscere il timbro della sua voce e ad accogliere la sua proposta.


6. Tutto questo, come ben sapete, esige che voi siate uomini e donne di ascolto e di preghiera, capaci d'interiorità e assetati dell'"acqua che zampilla per la vita eterna" (Jn 4,14).

Quando pregate, voi entrate in intima sintonia con Dio, che vi conduce a dare senso pieno alla vostra esistenza. Nel ritmo accelerato della moderna civiltà, c'è sempre minor spazio per il silenzio, eppure questo è condizione indispensabile per poter ascoltare il Signore che parla attraverso "il mormorio di un vento leggero".

Giovani, amate il silenzio! La solitudine con Cristo non è mai isolamento, ma misteriosa presenza a tutti. Sentite accanto a voi, in questo cammino di preghiera e di impegno, l'intercessione dei santi, di san Giuseppe, silenzioso artigiano prescelto per cooperare all'opera della redenzione. Guardate a Maria, sua sposa e Madre del Salvatore, modello di ogni cristiano, colei che più di tutti, dopo il Cristo, ha compreso il mistero di Dio e cammina accanto a noi come Madre della Chiesa e sorella dell'umanità.

Sentirete allora risuonare nel fondo dell'animo la risposta di Dio ai tanti "perché" e avvertirete che è proprio la vita quotidiana, pur nella sua semplicità e monotonia, il luogo nel quale egli prosegue la sua opera di salvezza.

Gesù ci chiama a seguirlo e fa di noi il suo popolo, i suoi amici, la sua Chiesa.

Di questa Chiesa voi siete parte viva e apostoli preziosi. Amatela, impegnatevi in essa, aiutatela a restare sempre giovane.

La Chiesa è vostra, anzi voi stessi siete la Chiesa! E' questa la consegna che vi lascio, mentre a conclusione di questa visita, saluto voi, cari giovani, il vostro vescovo, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i laici e tutta la diocesi di Ivrea. Rimanga sempre con voi il mio affetto e la mia speciale benedizione.

Data: 1990-03-19

Lunedi 19 Marzo 1990

A vescovi del Brasile in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La liturgia è una via privilegiata per l'evangelizzazione

Cari fratelli nell'Episcopato,


1. Nell'esercizio del vostro ministero episcopale, a servizio della Chiesa di Dio nello Stato di San Paolo siete venuti a visitare il Vescovo di Roma, successore di Pietro, per professare la vostra comunione gerarchica. Vi do il benvenuto e vi saluto con il "bacio della carità", in questa visita "ad limina Apostolorum".

Il Signore Gesù stesso ha affidato a Pietro ed ai suoi successori l'autorità suprema, immediata ed universale, per la cura delle anime; e lo ha costituito a capo degli Apostoli, con carattere di perennità nei suoi successori affinché con lui, l'Episcopato rimanesse unito e unico (cfr. Const. LG 18); e affinché servendo fraternamente, nell'esercizio dell'autorità universale, egli "confermasse i fratelli"; e si conservasse così la comunione gerarchica fra il Capo ed i membri del Collegio Episcopale, e affinché il Popolo di Dio nel Nuovo Testamento fosse orientato, con saggezza e prudenza, nel suo pellegrinaggio verso l'eterna beatitudine (cfr. LG 21).

Ringrazio il Cardinale, Dom Paulo Evaristo Arns, per le gentili parole che mi ha rivolto, in nome anche degli altri Metropoliti e del numeroso gruppo di Fratelli Vescovi che formano il "Regional Sul-l" della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile.


2. Vorrei, innanzitutto, esprimervi, in nome del Signore, la mia gratitudine, per la generosità del vostro lavoro pastorale.

So bene che l'esercizio del Ministero di un Vescovo diocesano comporta non pochi sacrifici e grande spirito di dedizione. In particolare, nel momento che sta attraversando il vostro Paese. Potete esser certi, amati Fratelli, che la mia preghiera ed il mio ricordo affettuoso vi accompagnano sempre. In essi sono compresi anche i sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi e tutti i fedeli della Provincia, ecclesiastica di San Paolo, Botucatu, Campinas, Riberao Preto e Aparecida.

Dopo gli incontri privati e sulla base delle informazioni ricevute precedentemente, posso apprezzare la vitalità religiosa delle Comunità affidate alle vostre cure; e la buona volontà che vi anima, in qualità di Vescovi, nel mantenere e testimoniare la comunione effettiva ed affettiva degli uni con gli altri, con gli altri Vescovi Brasiliani e con tutto il Collegio che serve la Chiesa dispersa per il mondo.

Ho potuto ascoltare anche le vostre giustificate preoccupazioni, connesse con il vostro servizio di Pastori riguardo alla scarsezza ed alla formazione dei sacerdoti, così come all'esercizio della "missione" dei ministri ordinati, riguardo alla ispirazione delle comunità ecclesiali di base, riguardo alla catechesi e all'ecumenismo, senza dimenticare la problematica di tipo sociale. Questa si intende in un ampio ventaglio di argomenti importanti, del quale la vostra regione paulista costituisce un "campione" molto significativo.

Tenendo conto che, in ogni gruppo di Pastori di un "Regional", considero presente l'Episcopato brasiliano, sui problemi sociali rifletteremo in un'altra occasione. E dato che c'è stata una convergenza, da parte vostra, nell'esporre problemi connessi alla vita liturgica delle comunità, vi presento alcune considerazioni.


3. Solo poco più di un anno fa, celebravamo il venticinquesimo anniversario del primo documento del Concilio Vaticano Secondo che è la Costituzione sulla Sacra Liturgia. Per segnalare l'effemeride, scrissi una Lettera Apostolica - "Vicesimus Quintus annus" - ringraziando Dio per tutto quanto beneficio di questo Documento la vita della Chiesa, e sottolineando le sue linee fondamentali. Allo stesso tempo, esortavo che si continuasse a promuovere la rinnovazione Liturgica, alla luce della Sacrosanctum Concilium e dei documenti da essa derivati, così come dei libri che attualmente sono in uso nella Chiesa, e che sono anch'essi frutto di quella Costituzione.

Ricordando ancora, con emozione, i momenti di alta intensità spirituale che ho vissuto in Brasile, durante le celebrazioni liturgiche che costituivano il punto culminante delle mie visite alle varie Chiese locali, desidero ricordarvi l'importanza e il ruolo della Liturgia nelle Vostre Comunità, e la necessità di incrementare sempre più fra i fedeli la formazione liturgica dello spirito di preghiera. Spero di contribuire così affinché le Chiese che vi sono affidate crescano nella Chiesa Cristiana.


4. Che cosa ha portato la Chiesa al rinnovamento preconizzato dalla Sacrosanctum Concilium? Le ha portato innanzitutto, una nuova concezione della Liturgia. Di questa si aveva prima un'idea che abitualmente non andava oltre gli aspetti esteriori: cerimoniale, precetti e norme per la corretta realizzazione degli atti Liturgici. Nonostante anche tali aspetti siano degni di rispetto, la Costituzione ci ha detto che la Liturgia è qualche cosa di più. In essa si tratta della stessa azione di Cristo Sacerdote: azione in cui Egli associa a Se medesimo la Chiesa.

Cioè l'azione del Capo e dei membri (SC 7). Celebrare la Messa i Sacramenti; la Liturgia delle Ore, significa rendere presente e attuale l'azione di Gesù Cristo sacerdote realizzata nel suo Mistero pasquale. "La Liturgia è, per ciò, il "luogo" privilegiato dell'incontro dei cristiani con Dio e con colui che egli ha inviato, Gesù Cristo" (cfr. Jn 17,3) (Vicesimus Quintus annus, 7).

Collocando la Liturgia nel contesto della storia della Salvezza, attualizzata nella Chiesa, il Concilio non solo le riconosce il ruolo eminente nella vita della Chiesa stessa, ma fa appello anche alla responsabilità dei cristiani; loro tutti sono chiamati a farsi parte integrante dell'azione liturgica. Da ciò deriva che, in tutta la Costituzione l'idea-forza è quella della partecipazione. Non è assistere ad un atto che altri eseguono, è celebrare qualcosa, o meglio, Qualcuno. Ed in tale celebrazione tutti sono e si devono sentire impegnati, tutti ed ognuno, a proprio modo, devono prendere in essa parte attiva e cosciente.


5. Questa nuova concezione della Liturgia ha portato alla vita della Chiesa dopo il Concilio molti frutti. Come sapete, ha fatto si che si approfondisse la riflessione teologica sul culto cristiano, ha aiutato a superare formalismi e ha diminuito la distanza fra il clero ed il popolo nelle celebrazioni, incoraggiando iniziative in favore di una partecipazione viva e personale, liberando il cristiano dal ruolo di mero "spettatore" e portandola a progredire nella sua unità con Dio e con i fratelli (cfr. SC 48). Persone che prima si accontentavano del mero compimento del precetto della Messa domenicale, si sono sentite interpellate dal nuovo stile della celebrazione, dalle parole e dai gesti; e hanno scoperto che anche esse, infine, avevano una funzione da compiere nella comunità cristiana (cfr. SC 26).

La celebrazione di alcuni Sacramenti, alla luce dei nuovi testi (si pensi al Battesimo ed al Matrimonio) ha posto spesso problemi di esigenza spirituale, e di verità e coerenza morale; è divenuta occasione perché molti cristiani prendessero coscienza delle proprie responsabilità. Il riconoscimento del fatto che la preghiera pubblica della Chiesa è la preghiera di tutti, ha fatto si che la Liturgia delle ore smettesse di essere un fatto privato dei Sacerdoti e dei Religiosi, per divenire realmente la preghiera di tutto il Popolo di Dio, della Chiesa che prega (Introduzione Generale alla Liturgia delle Ore, nn. 1 e 20).

Nell'applicazione della Sacrosanctum Concilium, vi sono state, certamente, carenze, esitazioni ed abusi. Ma non si può negare che, dove le comunità sono state preparate con la dovuta informazione e la catechesi, i risultati sono positivi. Con ragione si è affermato nell'ultima Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi che "Il rinnovamento liturgico è il frutto più visibile di tutta l'opera conciliare" (Relazione finale, 7 dicembre 1985, II,B,b,1).


6. Pensando in particolare al Brasile, mi rallegro nel riconoscere che li la riforma liturgica, in modo generale, è stata accolta favorevolmente e messa in pratica. E' degno di merito lo sforzo che gli organismi responsabili hanno svolto, per rendere la celebrazione liturgica accessibile alle varie classi sociali della popolazione. Ora bisogna che l'opera iniziata non degeneri e metta radici profonde. Quindi, mi permetto di sollecitare la vostra cura nella formazione Liturgica del clero, dei religiosi e dei seminaristi: sono o diventeranno i formatori diretti del Sentimento Liturgico del Popolo di Dio (cfr. SC 15ss; Congregazione per l'educazione Cattolica, Istruzione In ecclesiastica futurorum, 3.6.1979).

Questa formazione Liturgica, di base e continuata, deve fondarsi su una mirata ed autentica inculturazione.

E' ben nota l'enorme ricchezza delle culture locali in Brasile, così come la varietà degli Atti di culto tradizionali e le manifestazioni della religiosità popolare. Ma è anche un dato di fatto che questa ricchezza, quanto più sarà grande e variata, tanto più esigerà discernimento e un'amministrazione prudente ed attenta. Ogni e qualsiasi celebrazione liturgica, per più assimilata ed acculturata che sia, anche se si realizza nel più ignoto angolo della terra, è sempre una celebrazione della Chiesa universale.

Un'educazione Liturgica illuminata e ben orientata aiuterà i fedeli a liberarsi della confusione seminata da sette e movimenti religiosi e ad apprezzare correttamente il significato delle parole, dei gesti e degli atteggiamenti corporei, così come a conoscere sempre meglio il valido simbolismo dei segni e degli elementi materiali usati nella celebrazione.


7. Facendo questa riflessione con pastori che il Signore ha messo a capo delle Chiese locali del Brasile, sono consapevole del fatto che quali principali dispensatori dei misteri di Dio e primi promotori della pastorale Liturgica, è dal Vostro comportamento che dipende in gran parte, la giusta comprensione e la pratica illuminata della Liturgia nelle Vostre comunità.

Successori degli Apostoli non finiamo di udire dal Signore: "Andate ed evangelizzate". Il mezzo, per eccellenza, dell'evangelizzazione è senza dubbio l'attività Liturgica: "Lex orandi lex credendi". Ciò che saranno le celebrazioni Liturgiche della Chiesa in Brasile, sarà la vostra capacità e creatività di suscitare, mantenere e sviluppare la vera fede apostolica.

Oltre all'opera di promozione, è nostro compito, in qualità di Vescovi vegliare affinché nella vita Liturgica delle nostre diocesi non si introducano deviazioni, che falserebbero la vera natura della Liturgia. Nella "Vicesimus Quintus annus" osservavo che "Si constatano, a volte, omissioni o aggiunte illecite, riti inventati al di fuori delle norme stabilite, atteggiamenti o canti che non favoriscono la fede o il senso del sacro, abusi nelle pratiche dell'assoluzione collettiva...". Tali iniziative, "Lungi dall'essere legate alla riforma liturgica in se stessa, o ai libri che ne sono seguiti, la contraddicono direttamente, la sfigurano e privano il popolo cristiano delle ricchezze autentiche della Liturgia della Chiesa" (n. 13).


8. Quanto alla celebrazione del sacramento della Riconciliazione, ricordo ancora ciò che ho detto nella Esortazione Apostolica Reconciliatio et Paenitentia. Il Sacramento della misericordia e del perdono deve essere vissuto con un sentimento di grande fiducia nella salvezza divina ed un sincero desiderio di conversione, cercando in esso la riconciliazione con Dio e con i fratelli. Ma, perché ciò avvenga, è fondamentale che i cristiani abbiano il giusto sentimento del peccato personale e della sua portata sociale: la mia comunità è peccatrice, perché io sono peccatore; Cristo è l'Agnello di Dio, che muore per togliere il peccato dal mondo; ed il peccato del mondo è un peccato molto concreto, perché è il mio peccato.

In tal modo, è solo quando qualcuno si riconosce peccatore che può sentire anche la necessità del perdono e della salvezza; e allora ricorre a Dio, affinché Egli lo riconcilii con sé come Padre, con gli uomini suoi fratelli e si senta purificato, grazie al sangue versato da Gesù Cristo, con uno "spirito nuovo".

La Reconciliatio et Paenitentia ha trattato le tre forme di celebrazione di questo Sacramento, così come le caratteristiche di ognuna di esse (RP 32). La celebrazione con assoluzione generale collettiva (RP 33) richiede particolare cura, poiché non è la forma ordinaria di celebrare il Sacramento. Come li viene indicato, si tratta di una forma per risolvere situazioni di grave necessità, tenendo conto dei criteri stabiliti dalla Conferenza Episcopale.


9. E' vero che "La liturgia non esaurisce tutta l'azione della Chiesa"; ma è anche vero che "Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia"... Essa "Introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa" (SC 10). "La liturgia spinge i fedeli, nutriti dei "sacramenti pasquali", a vivere "in perfetta unione"" (Messale Romano, Post-communio della Veglia Pasquale).

Così vissuta consapevolmente, la Liturgia deve essere la fonte permanente dell'ispirazione e lo stimolo agente affinché si viva fraternamente in comunità. Soprattutto la comunione con Cristo nell'Eucaristia, deve portare i cristiani a una comunione sempre più trasformatrice e più perfetta con i fratelli: comunione nei beni, non solo in quelli spirituali, ma anche materiali. In paesi con eclatanti disuguaglianze sociali fra gli abitanti, si potrà vedere con maggior chiarezza come il vivere l'Eucaristia abbia ripercussioni anche nei rapporti interpersonali e comunitari.

Nella Liturgia, specialmente nell'Eucaristia, si celebra la realtà fondamentale della Pasqua: morte e resurrezione di Gesù Cristo, morte e resurrezione del battezzato, con Cristo. Nell'atto liturgico devono trovare spazio tutte le realtà della vita quotidiana del cristiano, poiché è con tutti gli aspetti della sua persona che anche lui deve "passare da questo mondo al Padre".

Nel partecipare alla celebrazione, il cristiano avrà presente le sue aspirazioni, le sue gioie, le sue sofferenze, i suoi progetti, così come quelli di tutti i suoi fratelli. E collocherà tutti questi propositi nella preghiera che la sua comunità, con tutta la Chiesa, rivolge al Padre, per Cristo Salvatore, nell'unità dello Spirito Paraclito.

Allo stesso tempo, la legittima e necessaria preoccupazione per le realtà attuali della vita concreta delle persone non può far dimenticare la vera natura delle azioni liturgiche. E' chiaro che la Messa è qualcosa di più che una festa dell'unione fraterna; è molto più che un convivio di amici o di una mensa per i poveri. Non è neppure il momento per "celebrare" la dignità umana, le rivendicazioni o le speranze puramente terrene. E' il Sacrificio che rende Cristo realmente presente nel Sacramento.

Tutti gli atti liturgici celebrano il Mistero pasquale; e l'Eucaristia è il Banchetto pasquale, al quale lo stesso Signore Gesù ci invita, per darsi a noi in alimento, come Pane che scende dal cielo, pegno di vita eterna (cfr. Jn 6,51), pegno della Sua Pasqua eterna. Risiede in questo la funzione primaria di tutta la Liturgia: "ricondurci instancabilmente sul cammino pasquale aperto da Cristo, in cui si accetta di morire per entrare nella vita" (Vicesimus Quintus annus, 6).

10. Miei amati Fratelli nell'Episcopato, la liturgia è la legittima espressione della fede della Chiesa universale, nel momento in cui si presta culto a Dio santificando e edificando i fedeli. E' un'attività che si ordina nel soprannaturale; e la fede è un primo elemento della nostra vita soprannaturale.

Questo significa che il Credo deve essere sempre alla base della Liturgia, come professione della nostra fede sentita, vissuta, cantata e pregata.

E' la fede che unisce i cristiani nella Chiesa. La prima condizione perché vi sia liturgia è che il culto sia vero e obbiettivo tenendo debitamente conto e luogo della natura di Dio e della natura dell'uomo, con i rapporti sintetizzati da Cristo stesso, quando disse: "Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto" (Mt 4,10). La liturgia può, in un certo modo, dirsi la teologia del popolo cristiano, il quale - come un tempo i discepoli di Gesù - continua a chiedere ai Suoi Pastori: insegnateci a pregare (cfr. Lc 11,1). Dobbiamo quindi essere maestri di preghiera nelle nostre Chiese particolari. Per esse siamo i primi liturgi. Con esse e per esse siamo innanzitutto "ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio" (1Co 4,1). Come vescovi, siamo i primi responsabili per far pregare il popolo fedele, i primi zelanti della purezza e della nobiltà delle celebrazioni, per una liturgia degna e fervente.

Tornate alle vostre Chiese particolari con rinnovata fiducia che il Signore, Signore risorto è con i Vescovi del Regional Sul-1, fino alla fine; con voi è la Chiesa tutta e sono l'apprezzamento e la gratitudine del Vescovo di Roma, con affetto fraterno ravvivato da questa visita "Ad limina".

Con l'intercessione della Madre della nostra fiducia - Patrona del Brasile, che ha la sua Casa materna ad Aparecida, nel territorio del vostro Regional - continuero ad implorare la protezione del Buon Pastore; e pegno di questa, per le vostre persone e le vostre Comunità diocesane, sia la mia Benedizione Apostolica.

(Traduzione dallo spagnolo)

Data: 1990-03-20

Martedi 20 Marzo 1990




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