GPII 1990 Insegnamenti - Ad un pellegrinaggio di ammalati - Città del Vaticano (Roma)

Ad un pellegrinaggio di ammalati - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Sofferenza non come fallimento ma prova di fede e atto d'amore

Cari fratelli e sorelle!


1. Con questo pellegrinaggio di fede e di preghiera, voi intendete ricordare il trentennio dalla morte del Fondatore dell'Opera Federativa Trasporto Ammalati a Lourdes (OFTAL), mons. Alessandro Rastelli, e insieme anche il trentennale di assistenza e di apostolato tra le persone che soffrono.

Ringrazio mons. Vittorio Piola, vescovo emerito di Biella, per le amabili parole che ha voluto ora rivolgermi, interpretando anche i sentimenti di tutti i presenti. Saluto i dirigenti della vostra Associazione, gli ammalati, i barellieri, le dame e i volontari. Desidero manifestarvi la viva riconoscenza della Chiesa, perché voi offrite le vostre preghiere e le vostre sofferenze, come pure la fatica e i disagi del viaggio, per chiedere la santificazione dei sacerdoti e delle persone consacrate e invocare numerose e sante vocazioni per la Chiesa. E' questo un grande ideale che, mentre nobilita e conforta la vostra vita quotidiana, attira la benevolenza di Dio verso la Chiesa e l'umanità.

Gesù stesso infatti lego strettamente alla preghiera il numero e la qualità dei sacerdoti e dei religiosi, necessari per la salvezza del mondo.

Sentendo compassione per le folle, che erano stanche e sfinite come pecore senza pastore, il divin Maestro disse: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe" (Mt 9,36-38).

A questo proposito desidero ricordare le parole dell'esortazione "Christifideles Laici" (CL 53): "Anche i malati sono mandati come operai nella vigna del Signore. Il peso, che affatica le membra del corpo e scuote la serenità dell'anima, lungi dal distoglierli dal lavorare nella vigna, li chiama a vivere la loro vocazione umana e cristiana e a partecipare alla crescita del regno di Dio in modalità nuove, anche più preziose". Vi siano di guida e di orientamento queste parole nella vostra preghiera, nell'offerta quotidiana delle vostre sofferenze.


2. L'incontro con voi, ammalati, e con voi, amici e volontari che li assistete, ci fa riflettere sul valore della sofferenza e sulla sua efficacia espiatrice e santificatrice. Gesù, il Verbo Incarnato, ha sofferto nel corpo e nell'anima e tale passione ha acquistato un valore universale per la redenzione dell'umanità.

Nel Cristo sofferente l'umanità trova il significato dei propri patimenti. L'uomo, pur compiendo ogni sforzo per combattere ed eliminare la sofferenza, deve convincersi che essa non è un fallimento, bensi una prova di fede e un atto di amore! François Coppée, un illustre letterato francese, che sulla via del dolore ritrovo il tesoro smarrito della fede, scriveva: "Saper soffrire! Saper amare! Ecco il prezioso segreto che ho scoperto nel Vangelo durante la mia infermità!" ("Saper soffrire", cap. XI). E nella dolorosa malattia che lo porto in cielo si fece mettere un Crocifisso alla parete e guardando l'immagine del Cristo sofferente trovo la forza di accettare con rassegnazione e serenità la dura prova permessa da Dio per la sua purificazione e per la nostra edificazione.


3. Maria santissima, Corredentrice del genere umano accanto al suo Figlio, vi dia sempre coraggio e fiducia! E vi accompagni anche la mia benedizione, che ora di gran cuore vi imparto!

Data: 1990-03-24

Sabato 24 Marzo 1990

Ad un gruppo di vescovi del Brasile in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La pastorale sociale è un diritto-dovere dei vescovi

Amati fratelli nell'episcopato


1. Siate i benvenuti a questo incontro fraterno, motivo per me di gioia. Nel ricevere voi, Vescovi della Chiesa nelle province ecclesiastiche dello Stato di Rio de Janeiro, costituenti il "Regional Lest-1" della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile, in visita "ad limina Apostolorum", ringrazio Dio, nostro Padre e fonte di ogni consolazione (cfr. 2Co 1,3). E un momento di intimità e di comunione nella fede e nella carità, che ci unisce come Pastori dell'unica Chiesa, santa, cattolica e apostolica.

In nome del Signore, presente in mezzo a noi, come Egli ha promesso (cfr. Mt 18,20), comincio col ringraziarvi per la visita, preparata con impegno, e perché condividete le vostre preoccupazioni e le vostre gioie, così come i progetti e le speranze che portate nel cuore. E voglio esprimere anche l'apprezzamento perché vi dedicate al "campo di Dio", come suoi "collaboratori", ognuno secondo la grazia ricevuta (cfr. 1Co 3,9-10). Vedo nel vostro impegno una concretizzazione della carità pastorale, con la quale vi consacrate al gregge di Cristo.

Ringrazio per il saluto e per le dichiarazioni di nobili sentimenti, che il Signor Cardinale, Don Eugenio de Araujo Sales, mi ha indirizzato a nome di tutti. E, nel salutarvi, il mio pensiero si rivolge, con affetto, alle Diocesi che voi rappresentate, salutando allo stesso tempo i vostri sacerdoti, i religiosi, le religiose e tutti i fedeli.


2. Durante i colloqui personali, ho potuto verificare non soltanto le intenzioni e i propositi che vi animano, ma anche la vitalità religiosa nelle vostre Chiese particolari; vitalità che cercate di consolidare nella verità, nella speranza e nella carità, consapevoli che queste sono il "principio visibile" della comunione, e le principali responsabili della promozione di una retta trasmissione della fede e del rispetto della disciplina comune a tutta la Chiesa (cfr. Const. LG 23), mettendo in pratica gli imperativi della nuova evangelizzazione.

Molteplici sono i problemi che avete presentato al Successore di Pietro e agli Organismi della Sede Apostolica, che lo aiutano nella guida della Chiesa universale e nel servizio di "confermare i fratelli". Anche voi, come la maggior parte dei Vescovi che vi hanno preceduto in questa visita, in cima alle urgenze presenti nella realtà odierna del diletto Brasile, avete indicato un insieme di circostanze, che colpiscono l'uomo concreto. Questo soffre, a causa dei rovesci della crisi economica, e a causa delle situazioni che pregiudicano la sua dignità umana e il suo diritto ad una vita che meglio corrisponda alla sua condizione di persona.


3. Nel messaggio all'Episcopato brasiliano, quattro anni fa, mi riferivo alle sfide di natura culturale, socio-politica e economica, che interpellavano e stimolavano particolarmente il vostro zelo pastorale, nel momento in cui allora viveva il vostro Paese. E le riassumevo nella grande "sfida del contrasto tra due Brasili: uno, altamente sviluppato, esuberante e lanciato verso il progresso e l'opulenza, l'altro, che si riflette in smisurate zone di povertà, di malattia, di analfabetismo e di emarginazione". E denunciavo anche i "meccanismi" che alimentavano questo contrasto. Da allora, il Brasile ha vissuto momenti di grandi speranze, ma ha conosciuto anche disillusioni. Ha palpitato con il consolidarsi della sua struttura politica democratica, ma si è visto anche accompagnato da una crisi economica tra le più gravi della sua storia, con aspetti profondamente negativi per la vita di tutto il popolo; soprattutto, perdita di fiducia per la frustrazione dei tentativi di risollevare tale situazione.

In linea di massima, rimane il quadro che tracciai allora; forse, più accentuato in alcune aree e attenuato in altre. Oggi, come allora, esso si presenta come una gigantesca sfida al vostro zelo e alla vostra sollecitudine pastorale.

In tale quadro era presente una sintetica anticipazione della problematica che recentemente è stata presentata, con una diversa prospettiva, nella seconda parte dell'Enciclica Sollicitudo rei socialis. Il "fossato" che divide la famiglia umana, divide la famiglia brasiliana. Anche essa ha bisogno dell'impegno di ogni Brasiliano nella costruzione di un futuro migliore nel quale tutti vivano e traggano benefici nella solidarietà di tutti, nel rispetto del bene comune. Questo deve porre al centro di tutto l'uomo, creato "a immagine e somiglianza di Dio".


4. Ci giungono echi - da voi confermati - che, nel panorama sociale del vostro paese, in realtà, alcune ombre persistono e addirittura aumentano. così, la violenza urbana sta assumendo proporzioni allarmanti. Non è inferiore l'aggravarsi della violenza in campagna e nelle strade. L'emarginazione inoltre segna dolorosamente vaste aree all'interno del paese. Nelle grandi città, le "favelas", i tuguri, i mendicanti e i minori abbandonati rappresentano una vergogna che colpisce terribilmente in mezzo all'opulenza di pochi. Diventa sempre più preoccupante la diffusione criminosa dei tossicomani, con la sequela di delitti e di morti che accompagnano il loro traffico clandestino. Ugualmente preoccupante si presenta l'ondata di attentati contro la proprietà e la sicurezza delle persone, provocando come reazione la rivalsa ad ogni costo e la paura generalizzata.

A ciò vanno ad aggiungersi altri affronti alla dignità delle persone ed al loro senso di giustizia; questi sono: le notizie di scandali finanziari, insieme all'insensibilità dei responsabili davanti all'immoralità diffusa dai mezzi di comunicazione sociale e dagli spettacoli pubblici.

Questi riferimenti alla realtà, così come ci vengono comunicati, non implicano il giudizio che tutto sia negativo in Brasile; né potrebbe essere altrimenti, perché la Provvidenza del Padre celeste vigila con amore su tutti gli uomini (cfr. Mt 6,25-32). Ma non dispensa dagli impegni umani, né dispensa da doveri di carattere etico, né ci dispensa dalla preoccupazione pastorale di fronte alla situazione di tanti nostri simili.


5. Questa situazione, cari Fratelli, ci colpisce tanto più in quanto contrasta con l'indole del diletto Popolo brasiliano, come si deduce dalla sua storia e dal comportamento generale delle persone nei momenti difficili, anche in questi ultimi tempi. I Brasiliani si sono mostrati contrari alle forme di radicalismo e di estremismo, inclini alla tolleranza e alla comprensione, pronti alla solidarietà umana e all'accoglienza delle persone in condizioni precarie.

Vi è in questo una ricchezza umana, di cui anche voi dovete approfittare e che dovete orientare, perché possano essere superati i momenti difficili di oggi; e perché la Chiesa continui nel compito semplice che, storicamente, ha cercato di svolgere, nella formazione della fisionomia umana, spirituale e morale della sua grande Nazione.

Sono felice di ripetervi, oggi, quello che già dicevo nel citato messaggio all'Episcopato brasiliano: "La Chiesa, guidata dai Vescovi del Brasile, dimostra di identificarsi con il popolo; e desidera continuare a rivolgersi soprattutto ai piccoli e agli abbandonati, ai quali dedica un amore che non è esclusivo o escludente, ma preferenziale". Questa profonda sensibilità e questa effettiva solidarietà con i poveri devono mostrarvi la strada della vostra azione pastorale in campo sociale; azione indispensabile perché sia garantita la pace, "la tranquillità dell'ordine", nel vostro immenso paese.


6. Rimangono validi gli orientamenti offerti durante il mio pellegrinaggio apostolico in Brasile, in particolare quando mi sono rivolto ai Vescovi dell'America Latina a Rio de Janeiro, ai costruttori della società pluralista a Salvador da Bahia, e all'Episcopato Brasiliano a Fortaleza. Ho sottolineato, allora, che la Chiesa, in quanto tale, non può intervenire nella sfera politica.

Ma è fuori dubbio la legittimità e la necessità dell'intervento della Chiesa in ambito sociale, perché la Parola di Dio sia applicata alla vita degli uomini e della società, offrendo principi di riflessione, criteri di giudizio e orientamenti di azione; facendo attenzione ovviamente che il comportamento delle persone sia in sintonia e coerenza con le esigenze di un'etica umana e cristiana.

Nell'intervenire, la finalità della Chiesa è quella di interpretare queste complesse realtà che incidono nell'esistenza umana, alla luce della fede e della genuina tradizione ecclesiale, esaminandone la maggiore o minore conformità all'insegnamento del Vangelo, rispetto all'uomo e alla sua vocazione, terrena e al tempo stesso trascendente (cfr. SRS 8 SRS 41).

Così, allo stesso modo già dichiaravo a Fortaleza: diritto e dovere della Chiesa è la pratica di una pastorale sociale; non nella linea di un progetto puramente temporale, ma per la formazione delle coscienze, nei loro specifici mezzi, perché la società diventi più giusta. La stessa cosa devono fare i Vescovi... E' loro dovere preparare e proporre nella loro Diocesi il programma di tale pastorale sociale, all'interno dell'unità della Chiesa e nel rispetto dei poteri legittimi degli uomini pubblici.


7. La dottrina sociale della Chiesa "appartiene perciò, non al campo dell'ideologia, ma della teologia morale" (ibidem SRS 41). La Chiesa sa bene che nessuna realizzazione temporale si identifica in essa come Regno di Dio; ma che tutte le realizzazioni non fanno che riflettere e, in un certo senso, anticipare la gloria del Regno che attendiamo alla fine della storia, quando il Signore ritornerà (cfr. Ibidem SRS 48). Per la Chiesa universale, la società civile è il dominio nel quale si devono esercitare le virtù cristiane, nella cui forza trasformatrice essa crede.

Il Regno di Dio è destinato a tutti gli uomini; e ognuno ha diritto a esigenze etiche. La Chiesa, nella sua lettura dei problemi sociali, si pone in una linea che trascende i limiti della storia umana nella loro pura dimensione temporale. Essa non confonde mai il Regno di Dio con la costruzione della Città degli uomini. Né assorbe in sé questa città, come pretenderebbero gli schemi delle diverse forme di cristianità politica, né da questa si lascia assorbire, alla luce di altre sistematizzazioni, che pretendono di ridurre l'azione evangelica all'impegno socio politico.

Il cristiano, accolto nella vita misteriosa del Cristo risorto per mezzo della rigenerazione battesimale come il ramo della vite, vive nel mondo; ma non è del mondo (cfr. Jn 15,19), come spiegava la nota Lettera a Diogneto. Illuminato dalla luce della fede, egli manifesta la vita nello Spirito anche nell'azione sociale, con l'esercizio delle virtù, con le quali "redime il tempo" (cfr. Ep 5,17 Col 4,5).

Sarà perciò nei fondamenti della pratica delle virtù, della corrispondente fuga dal peccato e della "liberazione soteriologica" (Dich. Libertatis Conscientia, 37) che i Pastori, "distaccati" a beneficio degli uomini nelle loro relazioni con Dio, devono andare incontro alla fonte ispiratrice e alimentatrice del loro ruolo di Pastori e della realizzazione dei loro fedeli laici in campo sociale. Nell'impegno di superare le sfide del momento presente in Brasile, sono certo che voi saprete procedere in modo che i vostri sforzi di evangelizzazione non siano resi vani dal fatto di confondere il regno di Dio con un progetto puramente temporale e politico.


8. Il Concilio Vaticano II, in momenti diversi ha chiamato noi Vescovi "maestri ed educatori nella fede". Come guide spirituali del Popolo di Dio, dobbiamo perciò impegnarci instancabilmente nel compito di orientarlo ed educarlo, sempre alla luce della autentica dottrina sociale della Chiesa. Meritano uno speciale rilievo due aspetti di questo nostro impegno, intimamente legati tra loro, come ho sottolineato in altre occasioni.

Il primo è l'educazione alla giustizia, che forma gli uomini perché orientino la loro vita, nella totalità, in sintonia con i principi evangelici della morale personale e sociale; vita che si esprima in una testimonianza cristiana profondamente vissuta. E all'educazione alla giustizia è intimamente legata l'educazione alla libertà (cfr. Libertatis Conscientia, nn. 80,94).

Il secondo aspetto è quello di una educazione al lavoro, che mostri a tutti la dignità che è in esso alla luce del Vangelo, e la sua priorità nella vita economica e sociale; e ancora, il suo valore, come diritto e dovere della persona umana, come ho spiegato nella Enciclica Laborem Excercens, l'insegnamento della quale è stato poi condensato nella Libertatis conscientia (nn. 81-88).

L'educazione al lavoro dovrà essere, allo stesso tempo educazione alla solidarietà, che si presenta come la linea maestra della proposta della Chiesa, in modo che prevalga, tra gli uomini e nelle strutture sociali, l'ideale cristiano della fraternità. Soltanto la solidarietà fraterna è capace di portare al superamento delle diseguaglianze sociali all'interno di una stessa nazione o nelle relazioni internazionali. Il sostegno e l'anima della solidarietà, per un cristiano, si ritrovano nella carità, mai disgiunta dalla giustizia.


9. Miei amati fratelli: Che lo Spirito di verità vi doni perspicacia e chiarezza nella vostra attività apostolica, in comunione con tutta la Chiesa. E così che la società brasiliana di oggi, resa continuamente attiva, potrà riflettere sulla sostanza cristiana che in passato la Chiesa stessa, tra luci ed ombre, ha saputo innestare in ciò che di più intimo e autentico vi è nell'anima del Popolo brasiliano.

Il momento che il Brasile sta vivendo non mancherà di presentare rischi nel vostro lavoro pastorale. Non vi mancheranno momenti di dubbio. Ma, come San Paolo, dobbiamo trovare sostegno, sempre, nella grande certezza: Cristo risorto! In Lui tutto è possibile. Lui ci darà la forza (cfr. Ph 4,13).

D'altra parte, sono sicuro che trarrete stimolo e entusiasmo per portare avanti la nuova evangelizzazione anche in campo sociale, nell'identità profonda del vostro popolo: un popolo che crede nella Chiesa e che da essa attende coraggio e direttive per la sua vita cristiana, per superare le difficoltà personali e sociali.

Grazie al vostro orientamento sollecito e meditato, la speranza cristiana deve dare risposta alla necessità di speranza di tutti coloro che cercano sinceramente soluzioni ai problemi umani. Bisogna testimoniare che il messaggio del mistero dell'lncarnazione conserva tutto il suo vigore, che vuole tutti gli uomini figli di Dio e solidali verso la sorte dei loro fratelli. Dalle comunità animate dalla speranza si irradierà la luce per la società brasiliana: la luce del Redentore dell'uomo e Signore della storia: "Gesù Cristo, lo stesso ieri, oggi e sempre" (He 13,8).

I cristiani che sanno riporre la loro fiducia nella "Consolatrice degli afflitti", non saranno mai abbandonati. E i fedeli brasiliani, come ben sapete, hanno fiducia in Nostra Signora dell'Apparizione.

Per sua intercessione, imploro per le vostre persone, per le vostre Diocesi e per tutto il Brasile i favori divini, con la mia Benedizione Apostolica.

(Traduzione dallo spagnolo)

Data: 1990-03-24

Sabato 24 Marzo 1990

All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il sacerdote è cooperatore di Dio

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Oggi siamo invitati a rallegrarci, come un tempo Maria al momento dell'annunciazione. A lei per prima l'angelo rivolse l'invito: "Kàire", "Rallegrati" (Lc 1,28) e Maria poté sperimentare tutta la gioia che le veniva offerta perché seppe cooperare pienamente con Dio, compiendo fino in fondo la missione che le era stata affidata.

Ringraziando Maria di essere stata perfetta cooperatrice di Dio, le chiediamo di aiutare anche noi a seguire questa via. E poiché si avvicina la data del Sinodo sulla formazione sacerdotale, noi l'imploriamo affinché, grazie anche a tale evento ecclesiale, coloro che sono chiamati al sacerdozio siano formati all'impegnativo compito di cooperatori di Dio. Il sacerdote infatti è chiamato a vivere in modo particolarmente intenso questa cooperazione.


2. San Paolo era consapevole di ciò quando scriveva: "Noi siamo i cooperatori di Dio (1Co 3,9). Egli sottolineava il dovere di fedeltà che ne derivava. Si considerava come amministratore dell'opera divina, un amministratore che doveva gestire quest'opera secondo le intenzioni di Dio con completa docilità, ma che s'impegnava anche personalmente in essa, unendo la sua azione all'azione divina.

Nella cooperazione egli utilizzava tutte le risorse e tutte le qualità di cui disponeva.

Cristo ha voluto, nella sua Chiesa, cooperatori con la responsabilità di pastori, collaboratori che impieghino tutte le loro forze nel servizio per il regno da lui fondato sulla terra. Non ha voluto fare di questi pastori dei semplici strumenti della sua sovranità; ha desiderato che essi gli offrissero un'autentica cooperazione, esercitando le loro facoltà d'intelligenza e di volontà, il loro impegno, tutte le loro capacità di lavoro, la loro creatività.

Con la grazia dell'ordinazione, il sacerdote è elevato all'altezza di questa cooperazione con Dio.


3. E' necessario, dunque, che il futuro sacerdote sia formato a tutte le più intime disposizioni richieste da tale cooperazione. Egli deve abituarsi a una docilità e a una fedeltà senza riserve alle ispirazioni divine; deve coltivare in se stesso il desiderio d'impegnare al servizio di Cristo tutto il suo essere. Più particolarmente, deve essere formato ad accettare i sacrifici e le rinunce che la cooperazione generosa ai progetti divini comporta.

L'atteggiamento di Maria nel momento dell'annunciazione ci ricorda l'importanza della cooperazione con Dio, giacché dal suo responsabile assenso dipese la venuta del Salvatore sulla terra. Anche l'avvenire della Chiesa nel mondo è legato, in gran parte, alla generosità della cooperazione sacerdotale.

Che la nostra preghiera a Maria ottenga, per la Chiesa, numerosi cooperatori di Dio! A tutti auguro una buona domenica.

Auspicato un dialogo sincero per la Lituania Nelle grotte della Basilica di san Pietro si trova la Cappella Lituana, un segno del plurisecolare legame della Chiesa e della Nazione con la Sede apostolica. Nel 1987 abbiamo ringraziato la SS.ma Trinità per i 600 anni del battesimo della Lituania, e tre anni prima abbiamo raccomandato questo Paese alla protezione di san Casimiro, patrono della Lituania, in occasione del 500° anniversario della sua morte, avvenuta nel 1484: ambedue gli anniversari (centenari) hanno radunato presso l'altare della Basilica di san Pietro i rappresentanti degli episcopati di tutta l'Europa.

Non mi è stato dato, allora, di partecipare a queste celebrazioni in terra lituana. Oggi la Lituania si trova al centro dell'interesse dell'Europa e del mondo. In nome di quel legame plurisecolare, preghiamo la divina Provvidenza affinché la questione lituana trovi una giusta e pacifica soluzione con un dialogo sincero e nel quadro dell'ordinamento internazionale. Che Dio dia luce e forza a tutti coloro dai quali dipende questa risoluzione.

Appello perché sia consentito di soccorrere la città di Asmara E' a tutti nota la drammatica situazione in cui versa da anni l'Eritrea, tormentata dalla guerra, dalla fame e dalle malattie. Già nel discorso che, il 13 gennaio scorso, rivolsi al Corpo Diplomatico accreditato presso questa Sede Apostolica, richiamavo l'attenzione della comunità internazionale sulle penose condizioni di quelle popolazioni, così vicine al cuore del Papa. Ora, di fronte all'aggravarsi della situazione, soprattutto nella città di Asmara, sento imperioso il dovere di lanciare un appello a tutti i responsabili della vita pubblica in quel territorio, affinché permettano l'invio dei soccorsi a quei nostri fratelli, già tanto provati da enormi sofferenze. Invito, poi, tutti i presenti a pregare Maria, Regina della pace, affinché presto abbiano termine le lotte fratricide che insanguinano quelle regioni e l'Eritrea possa ritrovare il cammino della riconciliazione e della concordia.

Data: 1990-03-25

Domenica 25 Marzo 1990

Alla parrocchia di San Giovanni Crisostomo - Monte Sacro (Roma)

Titolo: Ridestare le coscienze perché i cristiani vivano con coerenza

(Alla popolazione del quartiere:) Ringrazio per le belle parole che mi ha rivolto mons. parroco: sono state molte belle, molto accorate. Esse ci ispirano. Ringrazio anche il cardinale vicario: mi segue dappertutto, in tutte le parrocchie, o piuttosto mi precede.

Egli conosce tutto, conosce meglio di me ciò che riguarda le parrocchie romane: fa parte della sua missione. Ringrazio anche mons. Boccaccio, vescovo del settore, che è un uomo di spirito gioioso e ottimista, e spero che anche la vostra parrocchia partecipi di questo ottimismo del vostro vescovo di settore. Nella vostra comunità la Chiesa di Roma cerca di ringraziare e di lodare l'Eterno Pastore per questo grande vescovo e dottore della Chiesa che era san Giovanni Crisostomo, "bocca d'oro". Era patriarca Costantinopolitano e tra i grandi nella fede e nell'opera pastorale: erano grandi davanti alla Chiesa e grandi anche davanti agli imperatori di questo mondo. Grazie a Dio la Chiesa di Roma commemora la sua presenza nella Chiesa universale, perché ci vuole sempre questo respiro d'Oriente e d'Occidente che si incontrano. Poi ringrazio per il ricordo di Paolo VI che vi ha visitato più di vent'anni fa, quasi all'inizio del vostro cammino come parrocchia. E' venuto qui con il suo genio spirituale, come un vescovo di Roma, come un successore tra i tanti successori di Pietro, e sempre è presente in questa Cattedra, per dare a Roma, alla Chiesa universale, una continuità nella successione apostolica. Questo è il compito specifico di Roma, questo è il privilegio di Roma. Ma c'è anche una grande esigenza che si pone dinanzi a Roma: quella di avere questa successione apostolica, questo ministero petrino inscritto profondamente nella propria storia bimillenaria.

Con queste riflessioni vi saluto tutti, tutti i presenti qui davanti alla chiesa e tutti quelli che sono nel quartiere. Alcuni li vedo, ma saluto anche quelli che non vedo, quelli che stanno lontani: tutti sono ugualmente vicini perché la parrocchia esiste proprio per farci tutti vicini, vicini a Gesù e vicini tra di noi, per farci fratelli come ha fatto fratelli Gesù Cristo i dodici apostoli e poi, attraverso di loro, tanti altri di generazione in generazione.

Ecco, deve farci vicini, la parrocchia, deve renderci fratelli e ci deve aiutare ad andare da fratelli nel mondo, in questo mondo tanto diviso, tanto diversificato. Sempre dobbiamo cercare la fraternità, i contatti, la comprensione, perché finalmente questo mondo cammina con i suoi principi temporali, principi di questo mondo, ma insieme cammina alla luce di principi superiori che sono i principi della Provvidenza divina, di Dio Padre, del suo regno.

La parrocchia avvicina come fratelli tutti i suoi membri, tutti i fedeli, ma li avvicina nella prospettiva eterna, nella prospettiva del regno di Dio che è già in questo mondo, si trova in noi e tra noi, e sempre diventa più vicino, sempre costituisce l'oggetto della nostra preghiera, come ripetiamo nel "Pater Noster": "Adveniat regnum tuum". Sappiamo che questo regno è già fra noi, questo regno è soprattutto in Gesù Cristo e attraverso Gesù Cristo è fra noi. Ma si deve avvicinare attraverso la storia umana. Noi tutti dobbiamo contribuire a questo avvicinamento, alla realizzazione di questo regno di Dio: tutti e ciascuno di noi, dovunque. Io auguro alla vostra parrocchia, nel suo trentesimo anniversario, di contribuire a questo avvicinamento del regno di Dio nel vostro quartiere, nella vostra comunità e, attraverso questa comunità, nella Chiesa di Roma, nella Chiesa universale, in tutto il mondo. Voglio dare a tutti voi, insieme al cardinale vicario e a tutti i vescovi qui presenti, una benedizione per esprimere così quello che ci unisce davanti alla santissima Trinità.

(Ai bambini:) Sono molto contento del discorso che ha fatto il vostro collega perché mi ha dato il benvenuto, ma per la verità mi ha anche un po' rimproverato. Mi ha rimproverato dicendomi: "Per tanti anni si è dovuto aspettare la tua venuta". E questo mi porta a fare un esame di coscienza perché compiendo le visite alle parrocchie di Roma mi vedo certo non molto avanti, ma piuttosto indietro, perché ci sono tante altre parrocchie ancora da visitare. Il vostro rimprovero è giusto: dobbiamo pensare con il cardinale vicario e con i vescovi ausiliari come pentirci, come correggerci per questo ritardo nelle visite alle parrocchie di Roma. Il vostro mons. parroco ha presentato tutti i bambini presenti, i ragazzi, le ragazze e i loro genitori, i loro catechisti, le suore, le altre insegnanti di religione, che aiutano i genitori a insegnare la fede ai loro bambini. Cosa posso rispondere a tutto questo? Soprattutto una cosa: i bambini non si possono non amare. In questo Gesù ci ha dato un esempio perfetto. Non si possono non amare i bambini. E noi dobbiamo amarli, tutti. Quando li vediamo ci portano una gioia, una consolazione, una speranza. Gesù vi ama certamente, in modo speciale. Siete privilegiati da lui, anche attraverso i suoi sacramenti, anzitutto il battesimo.

Del battesimo nessuno di voi si ricorda perché eravate troppo piccoli. Ma tutti capiscono bene quanto sia grande il momento della prima Comunione, anticipato dal momento della prima Confessione. E tutti i bambini si preparano per un periodo adeguato a questo momento. Quando poi diventano più grandi, si preparano alla Cresima. così Gesù ha privilegiato la vostra età anche attraverso i suoi sacramenti, vale a dire attraverso la sua grazia, perché ogni sacramento ci dà la grazia; e come lui stesso è vissuto e cresciuto non solo negli anni ma anche e soprattutto nella grazia di Dio e degli uomini, così anche voi dovete crescere.

Che ciascuno di voi possa crescere non solo negli anni ma anche nella grazia di Dio e degli uomini. Io vorrei aggiungere a questa osservazione un augurio per voi piccoli, un augurio che vi spetta per tutta la vita: il bene dell'amore divino, dei privilegi di Gesù che voi accumulate nei vostri primi anni della vostra vita consapevole, deve accompagnarvi attraverso tutta la vita. Dovete crescere, dovete diventare adulti, dovrete diventare anche voi insegnanti, maestri, genitori, professionisti, sacerdoti, forse qualcuno può diventare anche un Papa, non si sa; ma voi dovete crescere rimanendo sempre, come diceva Gesù, "bambini", Figli di Dio. così ci ha detto: agli apostoli, a noi tutti adulti, ha detto che dobbiamo essere come bambini, interiormente, nell'ordine della grazia di Dio. Anticipando in un certo senso i vostri anni futuri, io dico a voi: mantenete sempre questa innocenza, questa semplicità, questa grazia che adesso si accumula nei vostri cuori per il futuro, per tutta la vita e non perdete mai questo grande tesoro.

Ecco, questi sono gli auguri che ho voluto riservare alla parte più giovane della vostra parrocchia. E vi ringrazio per i doni che mi offrite.

(All'omelia:) "Io sono la luce del mondo: chi segue me avrà la luce della vita" (canto al Vangelo).


1. La Quaresima che stiamo vivendo, carissimi fratelli e sorelle, non è solo tempo favorevole per "fare penitenza", per riconoscere cioè i propri peccati e lasciarsi riconciliare con Dio: è anche un vero cammino di illuminazione e di riscoperta della fede. Attraverso la parola di Dio offerta con più abbondanza in questi giorni santi, lo Spirito Santo illumina come un fuoco l'esodo pasquale dei credenti affinché, vinte le tenebre del peccato, riscoprano in Cristo Gesù, "la luce vera che illumina ogni uomo" (Jn 1,9), aderiscano più consapevolmente a lui e lo seguano con rinnovato impegno sulla via che porta alla luce che non conosce tramonto.

La luce, infatti, è al centro del messaggio biblico dell'odierna liturgia. Il cieco guarito e illuminato da Gesù è immagine di tutti i battezzati, i quali sono stati strappati dalle tenebre e sono divenuti "figli della luce" passando dalla morte alla vita. Come il giovane Davide, essi sono consacrati re, profeti e sacerdoti dallo Spirito, per edificare la Chiesa e costruire il regno di Dio nella storia degli uomini.


2. A questa meditazione religiosa ci introduce l'episodio della guarigione del cieco nato, che abbiamo appena ascoltato nel Vangelo. Nella prospettiva evangelica, e soprattutto in quella di Giovanni, testimone oculare delle opere di Cristo, i miracoli non sono soltanto "prodigi" che sfuggono alle leggi della natura. Sono anche - e prima di tutto - "segni" della salvezza messianica; un invito ad andare oltre la materialità dei gesti che Gesù compie, per scoprire in essi, con la luce della fede, il dono della liberazione e dell'alleanza che egli offre all'uomo. Sono gesti che la Chiesa fedelmente ripete nei sacramenti pasquali per attualizzare la memoria di quella liberazione e introdurre i credenti nella vita divina. così la comunità cristiana ha letto, fin dagli inizi, i miracoli di Cristo.

Questo tra l'altro spiega perché, nel cammino che prepara i catecumeni alla celebrazione dei sacramenti dell'iniziazione cristiana, la guarigione del cieco nato sia considerata una delle pagine evangeliche più importanti per svelare il significato e la portata del mistero battesimale. Tale catechesi si rivela attuale, anzi indispensabile, ancora oggi per coloro che, già "illuminati" da Cristo col battesimo, possono ricadere nelle tenebre del peccato e dell'ignoranza e hanno quindi sempre bisogno di essere inondati dalla luce del Risorto, per riscoprire la loro vocazione e missione di "figli della luce" e portare frutti di bontà, di giustizia e verità nel mondo in cui vivono.


3. Al centro della nostra contemplazione è, ancora una volta, Gesù: "Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo", egli afferma. Agli uomini immersi nel buio della paura e dello smarrimento, Gesù, con la parola e la vita, si rivela come luce che dà senso compiuto alla loro esistenza e al loro destino ultimo, lasciando tuttavia ad essi la decisione di aprirsi a questa luce o di rifiutarla. In questo senso egli compie un "giudizio", perché coloro che non vedono possano vedere e quelli che pretendono di vedere diventino ciechi. Il cieco guarito, immagine del battezzato, è tra coloro che hanno accolto la luce e sono stati salvati. Egli, risanato dal gesto di Cristo e lavatosi nelle acque della piscina di Siloe, vede ormai non solo con gli occhi del corpo ma anche con quelli dell'anima.

Tra la diffidenza e l'ostilità di coloro che lo circondano e lo interrogano increduli, egli compie un itinerario che lo conduce gradualmente a scoprire l'identità di colui che l'ha guarito, a confessare la sua fede in lui come profeta e Figlio di Dio e finalmente a prostrarsi davanti a lui per adorarlo.

Ma l'illuminazione del cieco non si arresta qui. Con la luce della fede egli scopre la sua "nuova" identità. Non è più un uomo immerso nella cecità e nel peccato; non è più un mendicante emarginato ed espulso dalla comunità di coloro che pretendono di essere giusti solo perché scrupolosi osservanti della legge.

Egli ormai è una "nuova creatura" - in grado di vedere in una nuova luce la sua vita e il mondo che lo circonda, proprio perché è entrato in comunione con Cristo ed è stato accolto nella comunità dei suoi discepoli.


4. Carissimi fratelli e sorelle, accogliete la "lezione di vita" che vi giunge da questa meravigliosa pagina del Vangelo! L'accolgano pure tutti i cristiani della Chiesa di Roma, chiamata a seguire un "cammino di illuminazione" con il Sinodo pastorale diocesano.

Assistiamo oggi ad un fenomeno sconcertante. Da una parte diventano più luminosi gli occhi della scienza; più distinti si rivelano gli obiettivi dell'agire umano nel campo della ricerca scientifica, dell'impegno economico e sociale; si aprono barriere mai violate dallo sguardo umano. Dall'altra parte, pero, l'uomo diventa sempre meno chiaro, sempre più indecifrabile a se stesso.

Sembra che la sua vita e il suo destino si chiudano su un orizzonte di tenebre, attraverso le quali nessuno spiraglio di luce riesce a filtrare.

Occorre tornare a proclamare il "lieto messaggio" della "grande luce" che si è levata "su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte". Occorre riproporre al mondo di oggi la luce di Cristo. Nasce da qui l'impegno di una "nuova evangelizzazione" rivolta anche ai cristiani, per ridestare in essi la fede sopita, affinché - come ci ha ricordato san Paolo - non partecipino più alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto le condannino apertamente e vivano nel mondo cercando ciò che è gradito al Signore.


5. Ridestare la coscienza dei cristiani, perché vivano con coerenza gli impegni del loro battesimo, è compito precipuo della catechesi, sia di quella rivolta ai fanciulli, sia soprattutto di quella destinata ai giovani e agli adulti. Queste sono infatti le generazioni più esposte ai contraccolpi del secolarismo, dell'indifferenza e dell'ignoranza religiosa che caratterizzano la società attuale. Ma sono anche le generazioni che, di fronte al crollo delle ideologie e nel deserto della confusione e dello smarrimento, spesso cercano la verità e si pongono le domande cruciali intorno ai valori della solidarietà, della giustizia e della pace.

Di fronte a tali salutari inquietudini non possono bastare iniziative episodiche e frammentarie. Occorre predisporre un "cammino di illuminazione" organico e sistematico, che formi e guidi i battezzati a ravvivare la fede e a tradurla nella testimonianza della vita. Si tratta di educare a pensare come Cristo, a giudicare la vita come lui, a sperare e ad amare come lui, per giungere a vivere in comunione con lui e con i fratelli.


6. Questa azione educativa suppone la presenza attiva di cristiani formati e responsabili, che sappiano farsi compagni dei fratelli per illuminarli, guidarli e sostenerli come maestri ed educatori nella fede. Per questo la formazione di catechisti preparati diviene oggi istanza prioritaria della pastorale. Le numerose iniziative a ciò destinate - e di cui è ricca anche la diocesi di Roma - vanno perciò sostenute e incrementate.


7. Carissimi fedeli della parrocchia di san Giovanni Crisostomo, so che l'impegno per la formazione catechistica non manca in questa vostra comunità, che celebra quest'anno il 30° anniversario della sua fondazione. E' grazie a ciò che le nuove generazioni hanno potuto ricevere dalle precedenti l'annuncio del Vangelo. Spetta ora alla comunità tutta intera - giovani e meno giovani - impegnarsi a fondo perché l'ultima decade di questo millennio segni il rafforzamento delle convinzioni religiose nei singoli cristiani e il conseguente irraggiamento dei valori evangelici sulle stesse strutture sociali.

Saluto il cardinale vicario e il vescovo incaricato del settore, mons.

Salvatore Boccaccio. Saluto il parroco, mons. Severino Marchesini, che qui svolge il suo ministero fin dal primo costituirsi della parrocchia, trent'anni fa. Con lui saluto i sacerdoti che collaborano a tempo pieno nelle attività pastorali e quelli che, pur occupati altrove, spendono una parte del loro tempo e delle loro energie in servizi di carattere parrocchiale.

Un particolare pensiero di saluto e di apprezzamento va ai fedeli laici che si assumono in varie forme la responsabilità di qualche aspetto della vita parrocchiale - evangelizzazione, catechesi, liturgia, carità - recando un contributo prezioso di competenza e di dedizione. La comunità vive dell'apporto di tutti ed è grazie all'impegno di ciascuno che si attiva quella circolazione di idee e di amore che assicura la crescita dell'intero organismo e la piena efficienza del suo sistema di difese immunitarie di fronte alle "tossine" dell'ambiente. La mia presenza tra voi, carissimi fedeli di San Giovanni Crisostomo, vuol essere, come già la visita del mio predecessore Paolo VI, incitamento a questa presa di coscienza per un rinnovato impegno di operosa testimonianza cristiana.


8. "Svegliati, o tu che dormi, dèstati dai morti e Cristo ti illuminerà" (Ep 5,14). Carissimi fratelli e sorelle della parrocchia di San Giovanni Crisostomo, accogliete l'invito che san Paolo rivolge ancora oggi ai cristiani, affinché si scuotano dal torpore e dall'indifferenza e si lascino inondare dalla luce della verità, che è Cristo, incamminandosi con lui sulla via della salvezza.

Voi particolarmente, carissimi, decidetevi per lui, non abbiate timore di riconoscerlo come Signore e Salvatore e seguitelo fedelmente come discepoli! Diventerete così "luce" per i vostri fratelli: il Signore Gesù sarà vostro pastore e vi guiderà verso lo splendore che non tramonta. Amen! (Agli anziani:) Ecco, ci troviamo insieme noi tutti che abbiamo la stessa età, più o meno, a parte questi giovanissimi bambini. Essi dicono a tutti noi che dobbiamo diventare come bambini, davanti a Dio, come figli di Dio. Io auguro a tutti gli anziani di questa parrocchia di trascorrere bene la loro età, un'età di piena maturità spirituale, di sapienza, perché questo contraddistingue l'età matura.

Nella Sacra Scrittura l'anzianità è stata sempre considerata come un'età degna di grande stima; oggi questo forse è un po' diminuito nella valutazione degli ambienti moderni e non c'è tutta questa stima per l'età anziana. Invece dovrebbe esserci, perché certamente tutti i giovani devono la loro vita soprattutto ai più anziani, ai genitori; e i genitori ai loro genitori, cioè ai loro nonni.

Quest'intuizione l'hanno a volte i più piccoli che amano i nonni. Io auguro tutto il bene possibile ai vostri coetanei, ai miei coetanei, ai coetanei del vostro parroco, di questa bella parrocchia di San Giovanni Crisostomo e auguro anche a voi di fare apostolato, perché c'è l'apostolato proprio di ogni età e la vostra età ha un suo apostolato che proviene appunto dalla maturità, dalla sapienza, dalla maturità spirituale, dall'esperienza della vita, che vi consentono di poter indicare ai giovani come andare o come non andare, purché essi ascoltino.

Ecco questo è un apostolato. Ma c'è poi l'apostolato della preghiera: voi potete certamente occuparvi un po' di più con la preghiera, con Dio che si avvicina a noi nella nostra vita attraverso i nostri anni ed è sempre davanti alla nostra porta: non si sa mai quando viene, ma si avvicina e una volta arriverà.

Bisogna sempre essere pronti a incontrarlo, a incontrarlo come lui vuole essere incontrato dai suoi figli.

(Ai gruppi parrocchiali:) Nella conversazione dei giorni scorsi, il vostro parroco mi ha ripetuto quello che ha detto poco fa: la parrocchia potrebbe dare molto di più. La parrocchia non è un ente astratto, essa è una comunità cristiana, formata da persone concrete che hanno ricevuto i sacramenti del Battesimo, della Confermazione, dunque, cristiani che portano in loro il sigillo di Cristo, la presenza di Cristo. Allora se si chiede alla parrocchia di dare un po' più di sé, o anche molto di più, lo si chiede alle persone della comunità. Io ho davanti a me in questo momento le persone delle diverse comunità, delle associazioni, dei movimenti, dei gruppi parrocchiali, e ciascuno di questi gruppi ha una sua finalità specifica. Poi tutti convergono nel Consiglio pastorale dove le forze vive della parrocchia sono rappresentate per lavorare insieme con il pastore, con il parroco, per portare avanti l'evangelizzazione. Si tratta della Chiesa, dell'avvenire, di un'evangelizzazione continua. Ogni parrocchia, ogni comunità cristiana, ogni Chiesa nel mondo può progettare il suo futuro, può, pur essendo già evangelizzata, dire di sé: "Non sono evangelizzata a sufficienza". Perché essere evangelizzati vuol dire essere anche evangelizzanti, evangelizzatori. Anzi, noi diventiamo più evangelizzati essendo evangelizzatori, prendendo maggiori responsabilità nei confronti del Vangelo, diventando apostoli. Questa è la formula perenne del cristiano, una formula riscoperta di nuovo dal Concilio Vaticano II e definita in modo preciso nei suoi documenti, in particolare in quello sulla costituzione della Chiesa, e poi anche attraverso numerosi decreti tra i quali quello sull'apostolato dei laici. Di recente abbiamo avuto l'esortazione post-sinodale "Christifideles Laici", la quale ripropone lo stesso argomento, ripropone questo legame tra l'essere evangelizzati, perché battezzati, e diventare evangelizzatori, diventare coloro che prendono parte attiva nella diffusione del Vangelo, che vedono nel Vangelo il proprio programma di vita non solamente per ciascuno di loro, ma anche per gli altri che sono più lontani, indifferenti, che non sentono il gusto divino. Io penso che sia questa la parola chiave: portare al mondo il gusto di Dio. Il problema del cristianesimo del nostro tempo, ma non solo del nostro tempo, è stato sempre questo: avere il gusto di Dio, portarlo negli ambienti, nella società, o perdere questo gusto divino. Attraverso questo gusto divino il mondo diventa cristiano, evangelizzato, diventa il regno di Dio.

Oggi sembra che in larghi settori della nostra società questo gusto divino sia poco avvertito. Questo fatto va insieme con il fenomeno della secolarizzazione: l'uomo sembra quasi soddisfatto del secolo, del mondo. Alle persone, agli ambienti sociali sembra che quello che il mondo con il suo progresso scientifico-tecnico dà all'uomo sia tutto ciò a cui egli può aspirare. Invece il Vangelo capovolge questa soddisfazione mondana, secolaristica, e sempre si apre verso Dio. Ma per aprirsi verso Dio, bisogna avere, attraverso questo gusto del temporale che è giustificato, un gusto ancora più profondo che corrisponde alla piena dimensione dell'uomo. Come diceva sant'Agostino: "Non è quieto il mio cuore fin quando non trova la sua dimora in te". Ecco, possiamo dire che la civiltà moderna, la società moderna vive con un gusto del reale molto diminuito perché è chiaro che il mondo e il suo progetto di secolarizzazione, anche se molto progredito e molto sviluppato, non può risolvere il problema dell'uomo che trascende il mondo, è superiore al mondo. Una prova di ciò, un argomento direi drammatico, tragico, è la morte. Ecco, quello che alla fine ci può offrire il mondo è la morte.

Dal punto di vista del secolarismo, di tutti questi progetti secolaristici espressi, in diverse forme, l'ultima parola è sempre la morte, la distruzione dell'uomo. Il Vangelo ci porta un'altra prospettiva: la vita, la risurrezione. "Ego sum resurrectio et vita". Allora, preghiamo molto per riscoprire sempre di più e per far scoprire agli altri questo gusto del divino, gusto del Vangelo, gusto del sacramento, gusto del soprannaturale. E' questo certamente il compito fondamentale delle comunità cristiane e di ogni cristiano.

Naturalmente nella vostra parrocchia è la stessa cosa. Il vostro patrono, san Giovanni Crisostomo, era certo un grande protagonista dei suoi tempi, un grande protagonista di questo cammino, di questo sforzo evangelico, di questa scoperta del gusto divino nel mondo. Cerchiamo anche noi di renderlo possibile a nostra volta.

La prima condizione per approfondire questo gusto di Dio è la preghiera.

Essa ci dà il gusto di Dio. Talvolta la preghiera sembra non darci questo gusto divino, sembra difficile, proviamo quasi uno scontro con la nostra natura, con la nostra sensibilità, con la nostra immaginazione, con le nostre forze umane nella preghiera. Dobbiamo vincere tutto questo: alla fine la preghiera sempre ci apre verso Dio e ci porta a questo gusto divino. Allora anche per evangelizzare gli altri ambienti, le parrocchie, si deve soprattutto insegnare la preghiera. Come i discepoli di Gesù, chiediamogli soprattutto questo: "Insegnaci a pregare". Gli apostoli avevano capito che tutto quello che lui aveva detto poteva essere assorbito dalla loro intelligenza, dalla loro volontà, dal loro cuore solo quando avrebbero imparato a pregare.

Queste riflessioni vogliono essere una risposta alle parole del vostro parroco e anche a quelle del vostro oratore e della vostra oratrice. Vi ringrazio per l'impegno apostolico che in questa parrocchia fa di ciascuno di voi e anche dei vostri gruppi un lievito evangelico.

(All'Associazione sportiva e al gruppo scout:) Sono tanto contento di incontrare in questo ambiente tanti giovani con i loro assistenti, genitori, educatori, tutti. Cristo ci ha insegnato a essere uomini pieni, di un'umanità piena. L'integrità umana comporta sempre questi due aspetti: la vita spirituale e la vita corporale. Anzi, questo vuol dire che lo spirito anima il corpo. Allora, bisogna naturalmente coltivare lo spirito attraverso il corpo, ma anche il corpo attraverso lo spirito. Per esempio, una disciplina, o un'autodisciplina, che si mostra nel comportamento corporale, si vede nel modo cioè di comportarsi, nel suo corpo, nei suoi passi, nei suoi sguardi, in tutto quello che si dice autodisciplina. Questo si manifesta nel corpo, ma ha la sua matrice nello spirito. E così alla tradizione cristiana mostrataci da Cristo appartiene un'armonia, l'integrità della nostra umanità, anima e corpo, spirito e corpo, educata, coltivata e che cresce. Il corpo cresce da se stesso, se tutto procede normalmente nella vita. Ma anche la crescita del corpo domanda qualche sollecitudine, domanda i diversi mezzi per mantenere la castità, per mantenere le forze fisiche, anzi si impara, per esempio, a praticare la ginnastica, come fanno qui, in questo centro sportivo, i ragazzi e le ragazze.

Lo stesso fanno con i loro metodi gli scouts, cominciando dai più piccoli, dai lupetti alle coccinelle. E tutto questo sempre appartiene alla conformazione dell'uomo integro. Questo uomo integro pero è anche cristiano perché Cristo ha rivelato, come insegna il Vaticano II, l'uomo all'uomo stesso. Ci ha mostrato la pienezza di essere uomo. Ci ha rivelato la nostra vocazione soprannaturale. E in questa vocazione soprannaturale, divina, trova la sua completezza anche la nostra umanità, questa visione cristiana dell'uomo e della sua vocazione.

Io auguro a voi giovani come anche agli educatori di questi giovani, genitori, insegnanti: abbiate sempre presente questa dimensione piena, cristiana della vocazione umana per inserirla poi nella pratica, nella vita, per inserirla nella formazione dei giovani, dei bambini. Vorrei concludere augurandovi buona Pasqua. E' un augurio che si ripete spesso quando si avvicina la festività pasquale; ma questo augurio dice molto di più di quanto si pensa. Buona Pasqua vuol dire: vi auguro di avere parte del Cristo crocifisso e risorto, di avere ciascuno la sua parte, di formare la propria vita in questa prospettiva pasquale, vuol dire avere parte di Cristo crocifisso, Cristo vittima che si è offerto completamente per gli altri ed è risorto. Con questo augurio voglio concludere: augurandovi buona Pasqua, auguro a ciascuno di voi una partecipazione consapevole e possibilmente più piena al mistero pasquale di Gesù Cristo. Vi auguro anche una buona prosecuzione nei vostri impegni, nei vostri esercizi che svolgete in questa palestra.

Data: 1990-03-25

Domenica 25 Marzo 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Ad un pellegrinaggio di ammalati - Città del Vaticano (Roma)