GPII 1990 Insegnamenti - Alla Messa per la comunità tedesca a Roma - Chiesa di Santa Maria dell'Anima (Roma)

Alla Messa per la comunità tedesca a Roma - Chiesa di Santa Maria dell'Anima (Roma)

Titolo: In Dio, non contro, la grandezza dell'uomo è valida ed eterna

Cari fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio, Care sorelle e fratelli, Ho accolto con grande gioia l'invito a visitare il collegio sacerdotale di Santa Maria dell'Anima e la parrocchia dei cattolici di lingua tedesca in Roma, ed incontrarmi con tutti voi nella solennità della Natività di Giovanni Battista.

Il mio cordiale saluto va ai rappresentanti delle Conferenze Episcopali Tedesca ed Austriaca, al Rettore ed ai Sacerdoti del Collegio ed ai rappresentanti dei Land, i cui cattolici trovano qui la loro patria spirituale; ai membri del consiglio d'amministrazione della Fondazione dell'Anima ed a tutti i fedeli della comunità di lingua tedesca con il loro cappellano.

La solennità odierna ci pone davanti agli occhi la figura eminente di Giovanni il Battista, chiamato da Dio a preparare la via a Cristo. Con la sua opera doveva avere inizio il tempo della salvezza, l'avvenire di Dio.

Il nostro sguardo va al quadro di Giulio Romano, sopra all'altare maggiore di questa Chiesa: esso presenta la Sacra Famiglia, con Giovanni il Battista ancora piccolo, l'Apostolo Giacomo e l'Evangelista Marco, questi ultimi già adulti.

Il Battista indica vivacemente con la sinistra il Bambino Gesù, rappresentato nella sua debolezza infantile. Alla domanda dei familiari e dei vicini di Elisabetta e di Zaccaria: "Cosa ne sarà di questo bambino?" il quadro sembra darci questa risposta: Giovanni il Battista indica con tutto il suo atteggiamento Gesù al visitatore Giacomo che gli è vicino; si inchina profondamente nella consapevolezza della sua piccolezza: Non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo a colui che viene dopo di me, ma che è prima di me. Questa parola non ha nulla a che vedere con una falsa umiltà. Il Battista è troppo retto, troppo sobrio per questo. Ha certamente riconosciuto l'impotenza umana meglio della maggior parte degli uomini.

Il predicatore della penitenza che interpella gli uomini nel loro intimo, che li scuote nelle loro certezze e li trasforma, li strappa dalla superficialità di un atteggiamento materialistico puramente terreno, appartiene ancora all'Antica Alleanza, è solo colui che indica la via verso il Regno di Dio; e questo Regno di Dio è vicino, si ode la voce di colui che chiama nel deserto.

L'umiltà del Battista è autentica. Ma Dio ha esaltato la piccolezza del Battista con la grandezza del compito affidatogli, anzi, lo aveva già esaltato nel grembo di sua madre: prima ancora di nascere, era infatti già "rinato" dallo Spirito di Cristo. La grandezza umana è niente in confronto alla piccolezza che è chiamata a partecipare della grandezza e della santità di Dio.

Per noi sacerdoti, Giovanni è un modello. Non cerca niente per sé, ma tutto per colui che ora addita. Il bambino rappresenta già in certo qual modo la parola trasmessaci nel quarto Vangelo: "Egli deve crescere e io invece diminuire" (Jn 3,30). Giovanni doveva condurre gli uomini a Gesù e rendere testimonianza.

Voi, sacerdoti carissimi del Collegio dell'Anima, abitate qui per proseguire i vostri studi a Roma o per seguire un corso di specializzazione. Dopo aver terminato i vostri studi tornerete alla vostra diocesi in patria per mettervi in una maniera speciale al servizio dei vostri Vescovi. Anche voi, rafforzati e arricchiti dal vostro soggiorno a Roma, dovrete rendere testimonianza.

Accedendo alla vostra Chiesa ci imbattiamo in numerose tracce e testimonianze di fede della storia delle differenti stirpi che formavano una volta il Sacro Romano Impero della nazione tedesca. Papa Pio IX visito il 25 novembre 1860 il collegio religioso fondato proprio allora. Troviamo anche la tomba di colui che per lungo tempo fu l'ultimo Papa non di origine italiana, l'olandese Adriano VI.

"Cosa ne sarà un giorno del nostro buon lavoro?" si saranno forse chiesti i fondatori di Santa Maria dell'Anima, Giovanni Peters e sua moglie Caterina di Dordrecht nel XIV secolo, allorché costituirono un "Ospizio per persone di nazionalità tedesca". Con la grazia di Dio e con l'aiuto e la collaborazione di molte persone generose è sorta da modesti inizi un'Opera notevole che ha offerto a innumerevoli pellegrini asilo e aiuto. Santa Maria dell'Anima è oggi il centro dei cattolici di lingua tedesca che nella città di Roma così dispersiva cerca di riunire i fedeli per dare loro un sostegno e per invitarli a rendere testimonianza a Cristo e rafforzarli in questa testimonianza.

Giovanni e la storia della sua vita sono come una diapositiva sulla quale sono indicati un nome e una verità. Resta oscura finché una fonte luminosa non viene accesa dietro ad essa. così dice il Vangelo di Giovanni: "Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce" (Jn 1,8). La luce di Dio è determinante nella sua vita e nella sua missione. Per la sua luce noi diventiamo veggenti, per riconoscere la volontà di Dio. Questa è spesso contraria ai nostri desideri e alla nostra propria volontà. Quando si tratto di dare un nome al neonato Giovanni in occasione della sua circoncisione, era determinante la tradizione: avrebbe ricevuto il nome del padre. Ma Elisabetta decise altrimenti.

Conosceva la volontà di Dio e diede al bambino il nome di "Giovanni", che significa "Dio si dimostra misericordioso".

Perché dovrebbe essere stato così solo allora? Tutti possiamo sperimentare nella vita la potenza e la bontà di Dio, quando abbiamo fiducia in lui e ci sforziamo seriamente di compiere la sua volontà. Ma questo richiede da noi umiltà e la consapevolezza che l'uomo non possiede la misura di tutte le cose. Non possiamo considerarci come metro di ogni pensiero, di ogni morale e di ogni diritto. Cediamo troppo facilmente alla convinzione che tutto possa essere fatto, il cielo come la terra, anzi l'uomo stesso, sempre secondo la nostra propria immagine e somiglianza. Ciò che manca all'uomo oggi è invece un atteggiamento di umiltà, perché in nessuna altra epoca l'uomo era sceso così in basso nella disumanità come in questa. Come può egli, per esempio, disprezzare la vita proprio quando avrebbe maggiormente bisogno di proteggerla? La umanità diventa inevitabilmente una tragedia quando l'uomo insiste nel cercare d' innalzarsi con le proprie forze al disopra di se stesso per portarsi al livello di Dio. Ne consegue necessariamente la sua caduta nel più profondo. Dio stesso deve venire a noi e redimerci. Ed è venuto in colui che era stato indicato da Giovanni: Ecco l'Agnello di Dio che prende su di sé i peccati del mondo. Cristo solo può far volare in alto l'uomo ed esaltarlo, perché è lui che lo porta all'altezza di Dio. Egli solo può dare la vera grandezza, e la dà volentieri al piccolo, a colui che rinuncia a se stesso e si mette alla sua sequela. Non contro Dio, ma in Dio, la grandezza dell'uomo può essere valida ed eterna.

Ciò che i fondatori di Santa Maria dell'Anima non potevano né immaginare né attendersi si è avverato: per grazia di Dio è nato da un granello un grande albero, che è cresciuto attraverso i secoli. Il collegio per sacerdoti ed anche la comunità possono rendere anche in futuro una coraggiosa e potente testimonianza a Cristo. Possano i numerosi sacerdoti che hanno compiuto qui i loro studi continuare a fecondare la vita spirituale ed ecclesiale della loro patria. Possano i molti pellegrini del Nord e del Centro d'Europa trovare la loro patria nella "Città Eterna". Possa la comunità di lingua tedesca in Roma, che ha qui il suo centro, continuare a fiorire e prosperare. Possa concedercelo, per intercessione della Vergine Santissima, Dio onnipotente e misericordioso.

Amen.

(Traduzione dal tedesco)

Data: 1990-06-24

Domenica 24 Giugno 1990

All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Come il Battista il sacerdote dev'essere testimone di Cristo

Carissimi fratelli e sorelle.


1. Con l'odierna festività di san Giovanni Battista la Chiesa pone dinanzi a noi la figura di un testimone eccezionale di Cristo. In realtà, il dovere della testimonianza tocca la vita di ogni cristiano, ma in particolare impegna quella del sacerdote.

Giovanni Battista fu testimone della venuta del Messia nel mondo e dell'inizio della sua opera salvifica in mezzo al popolo d'Israele. Il sacerdote è chiamato ad essere testimone del Cristo risorto e invisibilmente, ma realmente, presente nella sua Chiesa, impegnata a portare l'annuncio del Vangelo a tutte le genti. Per rendere in modo efficace una tale testimonianza il sacerdote deve credere senza titubanze che Cristo ha vinto la morte ed è diventato il centro di una nuova umanità.


2. Carissimi, a volte la religione cristiana è presentata come una religione di pura rassegnazione, di passiva accettazione, che diminuirebbe l'uomo, o anche come una religione esclusivamente centrata sulla sofferenza, che oscurerebbe l'orizzonte del pensiero e della vita umana. Al contrario, la religione del Cristo risorto è annuncio di vita: essa sviluppa con la vita nuova di Cristo tutte le energie della persona, e testimonia che la sofferenza è passaggio a una gioia superiore.

E' l'evento della risurrezione che dona alla religione cristiana il suo autentico volto. Certo, esso non sopprime la necessità, per il cristiano, di rivivere la croce di Cristo e di subire anche un provvisorio trionfo delle forze del male. La stessa vicenda di Giovanni Battista, vittima della coraggiosa proclamazione della legge di Dio davanti ai potenti della terra, è al riguardo illuminante: soppresso da Erode nell'oscura prigione di Macheronte, egli è oggi onorato in ogni parte del mondo. L'umiliazione della sua apparente sconfitta ha ceduto il passo alla gloria del trionfo. Davvero - come di lui diceva Gesù - il Battista è stato ed è tutt'ora "lucerna ardens et lucens" (Jn 5,35).


3. Anche il sacerdote deve vivere questa certezza, confermando nell'esercizio del suo mistero la fiducia nella vittoria del Salvatore sulle forze del male. Egli avrà perciò uno sguardo ottimista sul mondo, contando sull'azione segreta della grazia redentrice e superando tutte le delusioni e cattive sorprese con la forza della sua speranza.

Il sacerdote deve ogni giorno aprirsi alla gioia che il Cristo risorto ha voluto definitiva per il destino umano, e in essa superare tutte le tristezze e tutte le prove. Questa testimonianza di gioia è la sola che si accorda con la buona novella, la quale non può essere annunciata se non come messaggio di felicità.

Preghiamo ora la Vergine Maria perché i candidati al sacerdozio, sull'esempio del Precursore del suo figlio Gesù, diventino autentici testimoni di Cristo risorto e datore di vita.

(Dopo la preghiera:) Ringrazio tutti e auguro a tutti una buona domenica. Ci avviciniamo alla festa dei santi Pietro e Paolo, festa di Roma, solennità di Roma e specialmente di questa chiesa, questa basilica che da secoli segna una speciale caratteristica apostolica della città di Roma e della sua eredità. Auguro a tutti i presenti una buona settimana, a coloro che già entrano nelle vacanze, buone vacanze. Sia lodato Gesù Cristo.

Il mio pensiero va ora a coloro che soffrono e, in particolare, alle care popolazioni dell'Iran, duramente provate da un violento terremoto che ha provocato la morte di migliaia di persone con immani devastazioni e rovine. Sento, quindi, il dovere di invitare tutti i presenti a unirsi alla mia preghiera: il Signore onnipotente e misericordioso non faccia mancare la sua presenza di conforto e di consolazione alle famiglie dei defunti, e susciti, nella comunità internazionale, una vera e generosa solidarietà in favore di questi nostri fratelli. Preghiamo perché siano alleviate le loro sofferenze.

Data: 1990-06-24

Domenica 24 Giugno 1990



Ai pastori della Chiesa ucraina - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Esce dalle catacombe la comunità del popolo di Dio

Questa Chiesa insieme con il suo card. arcivescovo, l'arcivescovo maggiore di Lviv, è oggi presente in questa casa e affronta argomenti che stanno a cuore a tutti.

Misericordiae Domini...

Ringraziamo il Signore perché il millennio del Battesimo della Rus' è diventato l'inizio di una nuova situazione per questa Chiesa nella sua Terra di origine. Importanti cambiamenti di natura morale e sociale hanno portato a riconoscere il diritto alla libertà religiosa per i cattolici di rito orientale e per la loro Chiesa, che è nell'unità con la Sede di Pietro.

In questo modo esce dalle catacombe la comunità del popolo di Dio che, nell'anno 1946, fu messa fuori legge. Tale decisione fu causa di enormi sofferenze, attraverso le quali pastori e fedeli hanno partecipato alla croce di Cristo. Ricordiamo oggi con la massima venerazione tutti coloro che in questo lungo periodo di prova hanno reso testimonianza della loro fede in Cristo e nella sua Chiesa. Essi sono presenti spiritualmente in mezzo a noi. Crediamo che il loro sacrificio e la loro preghiera ci hanno ottenuto la grazia di questo momento, di questo nuovo inizio.

Nello stesso tempo, guardiamo verso il Cristo crocifisso che nel culmine della sua passione chiede al Padre: "Perdonali perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Questa implorazione redentrice cerchiamo di farla grido dei nostri cuori: il Cristo che ha riconciliato tutti gli uomini con il Padre con il sangue della sua croce, sia anche per noi riconciliazione con i fratelli del tempo in cui viviamo.


2. Questa riconciliazione è uno dei primi compiti della Chiesa oggi, alla fine del secondo millennio della nascita del Redentore. La Chiesa nel Concilio Vaticano II ha riletto con profonda commozione le parole del testamento pronunziate nel cenacolo. L'invocazione: Padre, prego "perché tutti siano una sola cosa" (Jn 17,21) è diventata per noi e per molti nostri fratelli separati, in Oriente e in Occidente, uno stimolo a cercare l'unità di tutti i cristiani persa nel corso dei secoli. Uno dei frutti del Concilio è appunto un'intensa attività ecumenica: l'opera cioè che mira alla ricostruzione dell'unità dei cristiani, da secoli separati in Oriente e in Occidente.

In Oriente, l'attuale divisione passa, per così dire attraverso il centro stesso della vostra storia. All'epoca del Battesimo della Rus' di Kiev, nell'anno 988, i cristiani erano ancora uniti. La spaccatura venne un secolo più tardi. Ma occorre qui sottolineare che la Chiesa di Kiev, durante i secoli, ha cercato costantemente la possibilità di un avvicinamento e di una riconciliazione: l'Unione di Brest nell'anno 1596 prese l'avvio da tale orientamento.

Gli obblighi ecumenici dell'ultimo Concilio pongono nuovi doveri nei confronti dei nostri fratelli ortodossi a Costantinopoli, a Mosca, ad Atene e altrove. La Sede apostolica e tutta la Chiesa si sentono solidalmente impegnate in questo dialogo ecumenico con l'intera ortodossia. Questo impegno è fondamentale anche per la Chiesa di rito ucraino.

Infatti, il Concilio Vaticano II ha riconfermato l'esistenza e la specificità di tutte le Chiese orientali unite alla Sede di Pietro. Ma, nello stesso tempo, riconfermando le loro leggi liturgiche e gerarchiche, il Concilio sottolinea il compito speciale di queste Chiese di promuovere l'unità di tutti i cristiani, in particolare degli orientali, "mediante la preghiera, l'esempio della vita, la scrupolosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali, la mutua e più profonda conoscenza, la collaborazione e la fraterna stima delle cose e degli animi" (OE 24).

A questo principio si è attenuta la Sede apostolica ogni volta in cui si è adoperata presso le autorità dell'Unione Sovietica per la restituzione del diritto all'esistenza e all'attività della vostra Chiesa nella vostra patria.


3. Tali argomenti saranno presentati in modo particolareggiato nelle esposizioni preparate per questo nostro incontro.

Prima, pero, desidero ricordare ancora che nell'anno 1980 gli apostoli degli Slavi, i santi Cirillo e Metodio sono stati proclamati patroni dell'Europa.

Essi sono, così, co-patroni del nostro continente, insieme a san Benedetto, patriarca dell'Occidente.

Gli avvenimenti degli ultimi anni e, particolarmente, degli ultimi mesi stanno consentendo alla Chiesa cattolica e ai suoi membri di riconquistare i loro diritti nei singoli paesi dell'Europa centro-orientale. Il continente, prima diviso in modo artificioso a seguito della seconda guerra mondiale, incomincia a riprendere la sua organica unità e compattezza. Sappiamo che si tratta di unità di due tradizioni differenziate, nella cultura e anche nella Chiesa. Occorre che queste tradizioni - quella orientale di cui sono portavoce gli apostoli degli Slavi e quella occidentale il cui patrono è san Benedetto - si avvicinino di nuovo.

Spazio fondamentale di tale riavvicinamento è il cristianesimo. La Chiesa cattolica si sente responsabile per il futuro dell'Europa. Ne è prova il Sinodo dei vescovi europei, annunziato a Velehrad in Moravia, del quale sono già iniziati i preparativi. Sono state invitate a collaborare anche le Chiese della Galizia, dell'Ucraina, dei territori della Transcarpazia e della Romania.

Data: 1990-06-25

Lunedi 25 Giugno 1990



Lettera "Plurimum Significans" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: XIV centenario dell'elevazione di Gregorio Magno al Pontificato

Lettera del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II a tutti i vescovi, sacerdoti e fedeli della Chiesa per il XIV Centenario dell'elevazione di san Gregorio Magno al Pontificato (590-1990) Circostanza significativa e ben degna di essere ricordata a tutti i fedeli Chiesa e, in primo luogo, ai vescovi e ai sacerdoti è l'ormai vicino XIV centenario dell'elezione di san Gregorio Magno a vescovo di Roma. Il titolo di onore, che ne ha consegnato la grandezza alla storia, il senso pastorale che egli ebbe acutissimo e che sempre prevalse - quale primario criterio di riferimento e dovere irrinunciabile - sulle occupazioni ed attribuzioni civili, alle quali pur dovette attendere, l'invio di Agostino e dei suoi monaci agli Angli per un'ardita e feconda missione evangelizzatrice: sono, questi, alcuni fra gli aspetti salienti della sua personalità singolare, i quali meritano speciale menzione in forza di un'esemplarità che si impone ancor oggi, nonostante i molti secoli trascorsi dall'età che fu sua.

La figura di Gregorio nelle sue componenti umane e sacerdotali si presenta tuttora alla nostra ammirata attenzione e si offre - malgrado il mutato, per non dire nuovo clima socio-culturale - quale testimonianza validissima di fedeltà evangelica e stimolo potente al nostro zelo e alla nostra inventiva di pastori di anime.

"Servus servorum Dei": è noto che questa qualificazione, da lui prescelta fin da quando era diacono e usata in non poche sue lettere, divenne successivamente un titolo tradizionale e quasi una definizione della persona del vescovo di Roma. Ed è certo, altresi, che per sincera umiltà egli ne fece la divisa del suo ministero e che, proprio in ragione dell'universale sua funzione nella Chiesa di Cristo, sempre si considero e dimostro il massimo e primo servitore - servitore dei servitori di Dio -, servitore di tutti sull'esempio di Cristo stesso, il quale aveva esplicitamente affermato di esser venuto "non per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita a riscatto di molti" (Mt 20,28). Altissima fu, dunque, la coscienza della sua dignità, alla quale si accosto con molta trepidazione dopo aver invano tentato di restare nascosto, al fine di evitarla; ma chiarissima, al tempo stesso, la coscienza del suo dovere di servitore, intendendo egli stesso e procurando che anche gli altri intendessero come ogni autorità, soprattutto nella Chiesa, è essenzialmente un servizio.

Una tale concezione del proprio ufficio pontificale e, proporzionalmente, di ogni ministero pastorale si riassume nella parola responsabilità: chi esercita un qualsiasi ministero ecclesiastico deve rispondere di quel che fa non solo agli uomini, non solo alle anime che gli sono affidate, ma anche e prima di tutto a Dio e al suo Figlio, nel cui nome agisce ogni volta che dispensa i tesori soprannaturali della grazia, annuncia la verità del Vangelo e svolge attività direttiva e di governo.

Di questa stessa concezione, che è vigile coscienza di personale responsabilità, troviamo conferma non soltanto nel lavoro svolto durante gli anni del suo pontificato, ma anche nei suoi scritti, specialmente in quello che fu nei secoli e resta tuttora un testo impareggiabile per i pastori d'anime, tanto raccomandato da non pochi sinodi e concili. Se non sono ignote certe affermazioni della Regola pastorale di san Gregorio, a cominciare da quella che designa "la direzione delle anime come la suprema fra le arti", come si potrebbero dimenticare le ammonitrici e severe parole che la precedono e seguono? "Perché dunque alcuni osano assumere senza preparazione il magistero pastorale?... Spesso chi non ha mai conosciuto le leggi dello spirito, non teme di presentarsi come un medico delle anime". E ancora: "Nessuno compie un male maggiore nella Chiesa, di chi vive nella disonestà, insignito di un nome e di un ordine santo" (S. Gregorio Magno, "Regula Pastoralis" I, 1,2).

A 25 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, che non già per un giudizio riduttivo né superficiale, ma per una precisa scelta operativa in risposta alle istanze dei tempi moderni, è stato definito "pastorale", e dunque diretto propriamente al servizio del Vangelo della salvezza, sarà sommamente utile e opportuno riprendere in mano questo libro veramente aureo, per trarne insegnamenti tuttora validi e pratiche indicazioni di pastorale esperienza e, direi, i segreti stessi di un'arte che è indispensabile apprendere per poterla poi esercitare.

La spedizione alla "gens Anglorum", voluta con felice intuizione pastorale da Gregorio e attuata dal monaco Agostino, mi offre lo spunto per una considerazione di carattere ecumenico, che desidero proporre non solo ai fedeli della Chiesa cattolica, ma anche ai fratelli e sorelle della Comunione Anglicana.

Con quanta commozione si leggono nell'opera storica di san Beda il Venerabile le pagine dedicate all'arrivo del servo di Dio Agostino e dei suoi monaci nella Britannia e alle continue premure che per loro e per la loro impresa dimostrava il pontefice di Roma, seguendoli con occhio amorevole e vigile! "Peregrinazione pericolosa, laboriosa e incerta", che i missionari avevano addirittura pensato di interrompere, ma che ripresero per la parola animatrice di colui che li aveva mandati e li sollecitava perché "con ogni istanza e fervore" compissero l'opera ormai iniziata. E l'impresa, "auxiliante Domino", riusci felicemente e si risolse in pacifica conquista dell'Isola al regno di Cristo. Si spiega così la commemorazione, ispirata a riconoscenza e affetto, che nello stesso scritto è dedicata alla morte del santo: "A buon diritto - vi si legge - possiamo e dobbiamo considerarlo nostro apostolo. Perché... della nostra nazione, prima soggetta agli idoli, egli fece una Chiesa di Cristo, onde è lecito applicargli il detto apostolico: Anche se per altri non è apostolo, egli lo è tuttavia per noi.

Difatti, siamo noi, nel Signore, il sigillo del suo apostolato" (S. Beda, "Historia Anglorum" I, 23; II, 1).

Questo sacro "sigillo" dura tuttora e non soltanto per le accertate ragioni e connessioni storiche, ma anche per i molteplici vincoli, sopravvissuti alle vicende della dolorosa separazione, può ancora agire efficacemente e spingere a ritrovare, secondo carità e verità le vie benedette dell'unione e dell'intesa fraterna. A Gregorio guardano con immutata ammirazione e venerazione anglicani e cattolici, i quali sull'intrapreso cammino della ricerca ecumenica possono incontrare la sua figura di pastore sollecito e riascoltare la sua parola che li rassicura, li incoraggia e conforta.

Ma ci sono tre circostanze che rendono ancor più attuale il messaggio di questo grande Pontefice. Come la sua cittadinanza romana e l'appartenenza a una delle più antiche e illustri famiglie lo resero particolarmente sensibile ai bisogni dell'Urbe, così la sua vocazione cristiana e la sua missione pontificale lo portarono ad operare instancabilmente per il bene della Chiesa universale. Tale molteplice sollecitudine costituisce una chiara indicazione in ordine a tre prossimi eventi ecclesiali, che ho già annunciato: l'indizione del Sinodo della diocesi di Roma, ormai in fase abbastanza avanzata; la celebrazione ancor più vicina del Sinodo dei vescovi, in una sessione dedicata alla formazione dei sacerdoti nel mondo d'oggi; la speciale Assemblea sinodale dei vescovi d'Europa.

Valga il ricordo del grande Pastore a sostenere l'impegno del suo successore, dei vescovi suoi collaboratori, dei parroci e di quanti altri - sacerdoti, religiosi e laici - si occupano direttamente del lavoro pastorale in Roma e nel suo distretto, a dar loro intuizione e coraggio nell'affrontare i gravi problemi di ordine religioso, morale e spirituale connessi con la crescita urbana, con la trasformazione culturale e con gli stessi problemi di ordine civile e amministrativo. Ciò che egli fece per la "sua" Roma in tempi assai difficili ci suggerisce un supplemento di zelo, ci sprona a moltiplicare le energie perché siano ben coordinate e dirette le iniziative promosse o da promuovere, perché nel quadro di Roma metropoli moderna rimanga inalterato e splendente il volto di Roma cristiana.

Quanto all'argomento, proposto alla riflessione dell'Assemblea sinodale di ottobre, io ritengo che la lezione di san Gregorio come maestro di vita pastorale si offra perennemente valida e assai utile per la formazione dei sacerdoti. Essa, infatti, comprende anche e specificamente raccomanda un'adeguata e accurata preparazione per l'esercizio dell'"arte" pastorale; prevede e raccomanda del pari la capacità di adattarsi alle varie situazioni, di conoscere a fondo le circostanze interne ed esterne, personali e ambientali, nelle quali i pastori sono chiamati a svolgere la loro opera; soprattutto sottolinea e ricorda che il governo delle anime col suo carico di occupazioni e preoccupazioni, lungi dal dissipare la vita interiore, deve piuttosto scaturire da essa. E' da questo "centro", cioè dal cuore del Pastore, illuminato dalla luce della fede e sostenuto dalla fiamma della carità, che prende forma ogni iniziativa di bene. Da esso, pertanto, dovrà essere ispirato e ad esso riferito il lavoro di formazione del futuro sacerdote, che solo così potrà riuscire, una volta inserito nel lavoro di ministero, un buon pastore del suo gregge.

Lo speciale Sinodo dei vescovi europei - come ho già avuto occasione di sottolineare - dovrà rispondere a due domande principali: l'una, concernente il passato, sui "doni propri" che le Chiese dell'Europa orientale e quelle dell'Europa occidentale sono state e sono in grado di scambiarsi reciprocamente; l'altra, proiettata verso il futuro, sul modo di favorire e di sviluppare questo reciproco "scambio di doni" per la nuova evangelizzazione del continente.

In vista di questo triplice appuntamento invoco la speciale protezione di san Gregorio Magno perché, unitamente alla schiera dei santi Pastori della Chiesa di Roma, voglia aiutare me stesso, e con me tutti coloro che condividono nelle varie Chiese sparse nel mondo la responsabilità del lavoro pastorale, a intravedere le nuove esigenze e i nuovi problemi, ad utilizzare le opportunità emergenti per rispondervi, a predisporre mezzi e metodi per avviare la Chiesa verso il terzo millennio cristiano, mantenendo intatto l'eterno messaggio della salvezza e offrendolo, quale incomparabile patrimonio di verità e di grazia, alle future generazioni.

Possa l'esempio, pur lontano nel tempo, del grande Pontefice sostenere i nostri sforzi e dar loro efficacia per l'edificazione e lo sviluppo della Chiesa di Cristo. Con la mia benedizione apostolica.

Dal Vaticano, il 29 giugno - solennità dei santi Pietro e Paolo - dell'anno 1990, dodicesimo di pontificato.

Data: 1990-06-29

Venerdi 29 Giugno 1990

Lettera apostolica ai religiosi e alle religiose dell'America Latina per il V centenario dell'evangelizzazione del Nuovo Mondo

Titolo: "Los caminos del Evangelio"

Lettera Apostolica di Sua Santità Giovanni Paolo II ai religiosi e religiose dell'America Latina in occasione del V Centenario dell'Evangelizzazione del Nuovo Mondo Cari religiosi e religiose dell'America Latina, Introduzione


1. Le vie del Vangelo in quest'ultimo decennio del secolo XX che sfocia nel terzo millennio del cristianesimo, passano per l'anno 1992, ormai così vicino, anno in cui si compie il quinto centenario dall'inizio dell'Evangelizzazione nel Nuovo Mondo.

La Chiesa dell'America Latina si sta preparando per la celebrazione di questo avvenimento con una novena di anni di preghiera, di riflessione e di iniziative apostoliche e culturali. Questa novena venne inaugurata da me nella città di Santo Domingo il 12 ottobre del 1984, dove, come Vescovo di Roma, consegnai ai rappresentanti degli Episcopati e del Popolo di Dio di ogni Paese latinoamericano la Croce del V Centenario.

La Croce, segno della nostra redenzione, vuole ricordare l'inizio dell'Evangelizzazione e il Battesimo dei vostri popoli. E' la Croce che venne piantata nelle vostre terre e che adesso vi invita a realizzare quel rinnovamento totale in Cristo, verso il quale deve camminare il Continente latinoamericano insieme a tutta la Chiesa e la famiglia umana.

Solo a partire dal Vangelo di Cristo crocifisso e risorto, si potrà raggiungere l'atteso rinnovamento dei cuori e delle strutture sociali. Per questo l'America Latina, come gli altri continenti, ha bisogno di una nuova evangelizzazione che si proietti sui suoi popoli e culture; un'evangelizzazione "nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nella sua espressione".

Con questo fine, le Chiese dell'America Latina, guidate dalle loro Conferenze Episcopali e con l'aiuto del CELAM, si preparano per la IV Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano. Questa avrà luogo, se Dio vorrà, a Santo Domingo, nel 1992. Con essa si desidera proseguire ed approfondire - secondo le ineluttabili esigenze pastorali del momento presente - gli orientamenti di Medellin (1968) e Puebla (1979), verso una rinnovata evangelizzazione del Continente, che penetri profondamente nel cuore delle persone e delle culture dei popoli.


2. In questo particolare contesto storico ed ecclesiale, indirizzo la presente lettera Apostolica a tutti ed a ciascuno dei religiosi e religiose che vivono e lavorano per la causa di Cristo e della sua Chiesa in America Latina. Voglio anche dirigermi -secondo la vocazione specifica e il carisma di ciascuno - ai membri degli istituti secolari e delle Società di Vita Apostolica, la cui presenza e azione sono molto preziose oggi in questo Continente.

Quest'opera di evangelizzazione è stata in gran parte frutto del vostro servizio missionario. Man mano che l'incontro con le persone che abitavano le nuove terre si andava realizzando, nel cuore dei religiosi si confermava l'urgenza di mettere in pratica le parole del Maestro: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19-20).

Questo è stato, in verità, l'imperativo che indusse tanti figli e figlie della Chiesa ad intraprendere il viaggio verso le terre del nuovo mondo, andando incontro a popoli e genti fino ad allora sconosciuti.

La vita delle persone consacrate, uomini e donne, è stata sempre una terra feconda dalla quale sgorga la vocazione missionaria. L'amore di Cristo li spinge (cfr. 2Co 5,14). Sentono lo stesso ardore apostolico di Paolo. "Guai a me se non predicassi il Vangelo!" (1Co 9,16). Per questo, mentre si aprono nuove prospettive di evangelizzazione, sorgono costantemente nella Chiesa, per impulso dello Spirito, le vocazioni missionarie.


3. Anche nei nostri giorni i religiosi e le religiose rappresentano una forza evangelizzatrice e apostolica primordiale nel Continente latinoamericano. "La presenza della vita consacrata rappresenta un enorme potenziale di persone e comunità, di carismi e istituzioni" senza il quale non si può comprendere l'azione capillare della Chiesa in tutte le latitudini, l'inserimento del Vangelo in tutte le circostanze umane, il fiorire delle opere di misericordia, lo sforzo per impregnare le culture, la difesa dei diritti umani e la promozione integrale delle persone, così come l'animazione e guida delle comunità cristiane, persino nei luoghi più remoti.

In questo modo, dunque, davanti all'imminente commemorazione del V Centenario della Evangelizzazione, ho sentito il desiderio di manifestarvi i miei sentimenti ed aneliti - come ho già fatto precedentemente con tutte le comunità di vita contemplativa - (Nuntius ad sanctimoniales Americae Latinae, V volvente saeculo ab Evangelio ibi nuntiato, die 12 dec. 1989: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XII, 2 (1989) 1501ss) - affinché i religiosi e le religiose rispondiate con le vostre migliori energie a Cristo e alla Chiesa in quest'ora di grazia e di grave responsabilità per il futuro.

Voglio ora riflettere con tutti voi sul "passato", sugli "obiettivi del presente e le sfide del futuro", con la certezza che la "vostra comunione con il successore di Pietro" favorirà l'accoglienza e la messa in pratica di questi orientamenti, per il rinnovamento della vostra vita consacrata e per un deciso impegno nell'azione evangelizzatrice.

In questo modo - strettamente vincolati ai vostri pastori - sarete servitori del Vangelo di Cristo e dei vostri fratelli, specialmente dei giovani e dei poveri dell'America Latina, i quali si aspettano da voi una luminosa testimonianza di vita evangelica, che è il "primo e fondamentale apostolato dei religiosi nella Chiesa".


GPII 1990 Insegnamenti - Alla Messa per la comunità tedesca a Roma - Chiesa di Santa Maria dell'Anima (Roma)