GPII 1990 Insegnamenti - Alla parrocchia di S. Maria della Fiducia - via Casilina (Roma)

Alla parrocchia di S. Maria della Fiducia - via Casilina (Roma)

Titolo: Rispetto delle leggi e impegno per una convivenza più umana

(Alla popolazione del quartiere:) Ringrazio il vostro parroco per queste parole di benvenuto, e saluto tutti coloro che sono qui riuniti e tutti quelli che appartengono a questa comunità dedicata alla Madonna della Fiducia. Questo titolo è quasi trasferito dal Seminario Romano, dove si preparano i futuri sacerdoti della diocesi di Roma e anche di altre diocesi e di altri Paesi. Vi saluto nel nome della Madonna della Fiducia. Vi saluto nel nome della fiducia, perché la fiducia viene dalla speranza, che contraddistingue ciascuno dei cristiani. Noi siamo "figli della fiducia", che ci ha creati attraverso la missione evangelizzatrice, la missione redentrice del Figlio di Dio, Gesù Cristo. Siamo anche chiamati a riprendere questa missione e questa fiducia per portarla dovunque: in questo ambiente, come ha detto il vostro parroco, in questa parrocchia, ma anche in tutto il mondo. Questo ci ricorda la domenica di oggi che si celebra in tutta la Chiesa come Giornata missionaria.

Salutandovi tutti esprimo la gioia di sentirmi in mezzo a voi. Fate parte di questa Chiesa di Roma di cui il Papa, vescovo di Roma, è il successore di Pietro.

Ringrazio il card. vicario che mi aiuta ogni giorno, ringrazio mons. Mani, vescovo di questo settore, che mi aiuta specialmente in questa zona di Roma. Tutti insieme ci riuniremo intorno alla santissima Eucaristia, celebrandola, partecipandola, e attraverso questa Eucaristia, riconfermando, ritrovando, approfondendo la vostra fiducia. Nel nome della Madonna della Fiducia saluto tutti e vi benedico.

(Ai ragazzi dell'Oratorio:) Grazie alla Provvidenza di Dio e grazie anche all'invito del vostro parroco, sono arrivato qui e sono entrato in questa chiesa. E cosa vedo? Vedo bambini, ragazzi e ragazze. E la mia impressione è che tutti sono fiduciosi, sono gioiosi, esprimono questa gioia anche un po' con il chiasso, soprattutto con i canti, con tutti questi disegni. Perché sono gioiosi? Sono gioiosi perché sono fiduciosi. E mi domando: perché sono fiduciosi? Certamente sono fiduciosi perché ci troviamo nella parrocchia della Madonna della Fiducia e i bambini sono fiduciosi, devono essere fiduciosi, devono avere fiducia nelle altre persone, soprattutto nei loro genitori, fiducia anche nei loro fratelli e sorelle, nei loro coetanei e imparano ad avere la più grande fiducia in Gesù Cristo attraverso sua Madre. Allora, carissimi bambini, io vi auguro di mantenere questa fiducia, di crescere in questa fiducia. Questo è un segno buono, un segno del vostro cuore che è puro e della vostra fanciullezza che è serena. A Gesù Cristo vi avvicinano i vostri cari, i vostri educatori, soprattutto i vostri catechisti e le vostre catechiste. Io ringrazio tutte queste persone per il loro impegno catechistico, apostolico, come anche ringrazio di cuore i vostri sacerdoti che hanno sollecitudine pastorale per la comunità di questa parrocchia della Madonna della Fiducia. E vi auguro di amare Gesù, di amare la sua Madre, di amare la sua Chiesa.

Vi auguro di prepararvi bene ai sacramenti, soprattutto alla santissima Eucaristia, poi, con gli anni, alla Cresima e poi ancora agli altri sacramenti come il matrimonio e anche al sacerdozio: la vocazione sacerdotale e la vocazione religiosa. Tutto questo in nome della fiducia. Maria sia per voi la prima educatrice alla fiducia, vi guidi attraverso tutta la vostra vita.

(Ai bambini della scuola materna:) Voglio farvi una domanda. Se questi bambini sanno qualche cosa di Gesù, sanno certamente che Gesù amava i bambini, che Gesù li avvicinava, li abbracciava.

E questo hanno voluto manifestare subito. Hanno fatto un esame della "catechesi dei piccoli". Sanno che i bambini devono essere abbracciati, baciati, e vedendo il Papa hanno detto: come, tu non ci hai abbracciato, non ci hai baciato; allora veniamo a te come una volta a Gesù. Essi conoscono il Vangelo. Auguro a questi bambini di crescere come cresceva Gesù; di crescere negli anni, anche nella sapienza e soprattutto nella grazia di Dio e di diventare una gioia, una consolazione per i loro genitori, per le famiglie di questa parrocchia e di tutta la società.

(L'omelia durante la celebrazione eucaristica:) Carissimi fratelli e sorelle della parrocchia di Santa Maria della Fiducia al Casilino!


1. L'incisiva affermazione di Gesù: "Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" (Mt 22,21), risponde a un problema assai discusso ai suoi tempi e ancora oggi molto sentito. Quale atteggiamento devono avere i credenti nei confronti dell'autorità civile e delle leggi dello Stato? Quale impegno devono assumersi come cittadini per quanto concerne i doveri in campo sociale e politico? L'occasione viene offerta a Gesù da una questione allora assai dibattuta circa la liceità o meno di pagare i tributi all'imperatore di Roma. Le posizioni, infatti, erano diversificate e diverse erano anche le motivazioni addotte per sostenere la liceità o l'illiceità delle tasse imposte dai romani.

In tale contesto la domanda rivolta a Gesù dai farisei: "E' lecito o no pagare il tributo a Cesare?" costituiva un'insidia posta al Maestro, considerato da tutti come Colui che insegnava la via di Dio secondo verità.

Come talora accade nel Vangelo, di fronte al tranello mossogli dai suoi nemici, Gesù, con la sua risposta, s'innalza al di sopra della polemica contingente e va ben oltre le posizioni particolari e tra loro divergenti.

Da una parte, comandando di restituire a Cesare ciò che gli appartiene, dichiara che pagare la tassa non è un atto di idolatria, ma un dovere degli onesti cittadini; dall'altra, richiamando il primato di Dio nella vita dell'uomo e nella storia, egli chiede di rendergli ciò che gli spetta quale unico e vero "Signore".


2. Con tale affermazione Gesù opera una netta distinzione tra i doveri richiesti ai credenti, come cittadini e come figli di Dio. Senza porli, tuttavia, in contrasto. così, da una questione particolare, com'è quella del tributo da dare a Cesare, emergono nuovi orizzonti per la missione dei cristiani nella società.

In ragione della fede ognuno (di voi) è chiamato a trasformare la storia, a permeare di spirito evangelico tutta la realtà umana e sociale. Nessuno può o deve estraniarsi dai compiti richiesti di lavorare per assicurare una convivenza civile più giusta e fraterna. Questo compito deve essere fatto, tuttavia, in piena fedeltà al messaggio evangelico, in docile sottomissione allo Spirito, senza mai sottrarsi a ciò che è richiesto dalle leggi dello Stato che mirano allo scopo. Deve essere fatto soprattutto dando il primato a ciò che sta al primo posto: Dio, il suo progetto di salvezza, la sua legge, i valori spirituali e trascendenti.

La professione della fede in Cristo, l'appartenenza al regno di Dio e lo stile di vita che da esso scaturisce vanno vissuti non "fuori", ma "dentro" la storia come un "servizio" da rendere alla città degli uomini e perciò al bene comune e all'integrale promozione di ogni persona.

La fede, integralmente vissuta, vi spinge ad assumervi responsabilità forti e precise in quell'immenso sforzo umano teso a promuovere e a salvaguardare i diritti umani fondamentali per una pacifica e solidale convivenza tra tutti.


3. Si tratta dunque di un impegno connesso con una fede autentica e operosa, che esige formazione adeguata, convinzioni profonde, testimonianza coerente. E così assume anche le caratteristiche di un vero servizio di carità nei confronti di tutti gli uomini.

Proprio per questi motivi, nell'Esortazione apostolica "Christifideles Laici" (CL 42), sulla vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, ho detto che "per animare cristianamente l'ordine temporale... i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione politica, ossia alla molteplice e varia attività economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune".

Questa è la testimonianza richiesta a ognuno di voi nel presente momento storico, segnato dal pluralismo ideologico e pratico, per realizzare una "nuova evangelizzazione".


4. Carissimi fratelli e sorelle, il messaggio dell'odierna liturgia deve trovarvi tutti in prima linea nell'espletamento di questi compiti. E con voi tutta la comunità ecclesiale di Roma incamminata verso la celebrazione del Sinodo pastorale diocesano.

Una migliore qualità della vita personale e sociale nel vostro quartiere e nell'intera città di Roma resta legata non solo a un radicale impegno nella fede, ma anche a una più forte presa di coscienza e di responsabilità nella vita civile. Vale la pena ricordarlo proprio oggi nella Giornata missionaria mondiale.

La promozione umana integrale fa parte, infatti, della missione di evangelizzazione a cui la Chiesa è chiamata dal Signore.

Mostratevi sempre cittadini rispettosi delle giuste leggi dello Stato; impegnatevi per assicurare, con l'ispirazione e la forza del Vangelo, una convivenza più giusta e umana, attivando forme di solidarietà e di servizio verso le categorie più deboli, come pure iniziative di riconciliazione e di pace. Non rifuggite dalle responsabilità richieste per dare un volto più umano e cristiano al quartiere e una condizione di vita più vivibile, fondata sulla dignità della persona umana. Fatelo sempre con la piena fiducia in Dio, il quale non vi lascia soli, ma è con voi come rupe di salvezza e sicuro appoggio. così come lo è stato per Maria nel suo cammino di fede, di speranza e di carità.


5. Carissimi, in questa grande sfida il Papa, vescovo di Roma, è con voi e vi incoraggia. Vi incoraggiano i vostri pastori, che saluto cordialmente, a cominciare dal card. vicario, qui presente. Saluto pure il vescovo ausiliare del Settore Est, mons. Giuseppe Mani, il parroco, don Pasquale Cipriani, i vicari parrocchiali, i sacerdoti e quanti collaborano con lui nell'animazione cristiana di questo quartiere.

Saluto egualmente le religiose della Congregazione della Madonna del Divino Amore, che prestano la loro opera nell'ambito della parrocchia da quasi 50 anni, e che hanno dato vita a una casa di cura e a una scuola materna. Un particolare e beneaugurante saluto va soprattutto alle sei religiose della stessa Congregazione che nel prossimo gennaio inizieranno una missione in Brasile, nella diocesi di Palmares. Ad esse consegnero fra poco il crocifisso che le accompagnerà nella loro missione.

Saluto tutte le Associazioni e i Movimenti giovanili che danno testimonianza della loro fede: il gruppo dei catechisti, il Comitato permanente della festa patronale, i donatori di sangue, la Caritas, la comunità di Sant'Egidio, le comunità neocatecumenali e il Movimento dei Focolari.

Da parte mia vi accompagno con la preghiera, affinché il Vangelo si diffonda sempre più, non soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo. Amen.

(L'incontro con i sacerdoti della XVIII Prefettura:) Bisogna dire che il prefetto ha fatto un'analisi molto accurata e ha offerto un quadro direi non troppo luminoso. Ma mi è venuto in mente un ricordo di quando ero ancora giovane sacerdote, all'inizio del mio itinerario. Ero viceparroco in una parrocchia della campagna, molto estesa, con molti villaggi.

Spesso, tra noi sacerdoti, si diceva che i migliori sono i sacerdoti della periferia. Forse questo può essere una consolazione per voi che lavorate nella periferia di Roma. Forse questa constatazione, anche se di un tempo e di un Paese diverso, si potrebbe riferire anche alla vostra parrocchia.

(Al consiglio pastorale:) Quando si sente la parola "consiglio" si può pensare a diverse istituzioni umane; ma soprattutto si può pensare e si deve pensare a un'istituzione divina che è dono dello Spirito Santo. Uno dei doni, uno dei sette doni classici, possiamo dire biblici, dello Spirito Santo è il dono del consiglio.

C'è anche la Madonna del Buon Consiglio, che è certamente legata a questo mistero dello Spirito Santo e al suo dono. Allora, ringraziamo per questo dono che è offerto a ciascuno di noi con la grazia santificante, con la cresima, con tutti i sacramenti, con la preghiera. Ma ringraziamo anche per questo dono umano che è il consiglio pastorale.

Io vedo un legame strettissimo, sostanziale tra il dono dello Spirito Santo che è il "consiglio" e questo consiglio parrocchiale, che deve appoggiarsi, deve ispirarsi a questo dono divino, per poi "consigliare" bene il parroco, i suoi stessi componenti, tutti i vostri parrocchiani, i vostri concittadini di questo quartiere. Questa è la mia risposta alla bella introduzione del vostro rappresentante e anche il mio augurio. Allo stesso tempo faccio voti di bene a ciascuno di voi e alle vostre famiglie.

(Alle comunità neocatecumenali:) Vorrei sottolineare due cose. La prima è questa: voi amate tanto cantare canzoni alla Madonna, a Maria che, secondo le parole di Elisabetta, ha creduto alla parola del Signore. E questa, possiamo dire, è una parola, un testo emblematico per il vostro movimento, per il vostro cammino, perché non si dice movimento... Certo, quando si cammina ci si muove anche... Allora, partendo da questa parola che è veramente ispiratrice, che ha ispirato anche tutta l'enciclica "Redemptoris Mater", vi auguro di camminare sempre nella fede e di far camminare nella fede gli altri a cui siete inviati, vicini e lontani. Poi, vi offro una seconda osservazione. Io so che i neocatecumenali amano i bambini. Anche il Papa ama i bambini, e così ci incontriamo sempre.

(Agli ospiti della Casa di Cura:) Carissimi, tutto ciò che si trova qui, tutti noi veniamo dall'amore di Dio che è riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo. Questo amore di Dio è una realtà nascosta, è una realtà, la realtà che trasforma la vita umana, la vita di ciascuno di noi. Noi partecipiamo di questo amore. Auguro a tutte voi e a tutti voi qui presenti, malati, anziani, affaticati dalla vita, di avere questa partecipazione sempre più piena all'amore di Dio. E lo auguro, nello stesso tempo, a tutti quelli che vi assistono, ai medici, agli infermieri, alle infermiere, alle suore che portano il nome dell'Amore di Dio. Vi ringrazio per la vostra accoglienza e mi raccomando alle vostre preghiere perché anche io possa partecipare dell'amore divino per quanto mi è dato dallo Spirito Santo.

Data: 1990-10-21

Domenica 21 Ottobre 1990

Udienza a pellegrini polacchi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nel XII anniversario dall'inizio del pontificato

Saluto cordialmente tutti i presenti in questa giornata storica, penso che essa sia storica non solo per me ma per tutti noi. Desidero ora citare alcune frasi dell'omelia che ho pronunciato dodici anni fa in Piazza San Pietro in occasione dell'inaugurazione di questo pontificato: "Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la Sua potestà! Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l'uomo e l'umanità intera! Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo.

Non abbiate paura! Cristo sa "cosa è dentro l'uomo". Solo Lui lo sa.

Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. E' invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi - vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia - permettete a Cristo di parlare all'uomo. Solo Lui ha parole di vita, si! di vita eterna.

Proprio oggi la Chiesa intera celebra la sua "Giornata Missionaria Mondiale", prega, cioè, medita, agisce perché le parole di vita del Cristo giungano a tutti gli uomini e siano da essi accolte come messaggio di speranza, di salvezza, di liberazione totale. (...) Il nuovo Successore di Pietro nella Sede di Roma eleva oggi una fervente, umile, fiduciosa preghiera: "O Cristo! Fa' che io possa diventare ed essere servitore della Tua unica potestà! Servitore della Tua dolce potestà! Servitore della Tua potestà che non conosce il tramonto! Fa' che io possa essere un servo! Anzi, servo dei Tuoi servi"".

Ho letto queste parole di dodici anni fa perché esse stanno assumendo - direi - una nuova attualità nell' anno in corso. Allora, se ben ricordo, era possibile vedere la trasmissione televisiva dell'inaugurazione del pontificato anche in Polonia, e come mi avevano informato, essa aveva riunito intorno ai televisori un gran numero di miei connazionali.

Oggi queste parole rimangono attuali. Ora, dopo gli eventi del 1989, quasi ancora alle soglie della nuova vita in Polonia, una vita indipendente e democratica, quelle parole sono di nuovo attuali come quella preghiera diretta a tutti gli uomini ed in particolare a tutti i miei connazionali. Raccomandiamo alla Madre Santissima la nostra Patria e tutte quelle cose per le quali il Papa ha pregato dodici anni fa, per tutti gli uomini ed in particolare per la Polonia.

(Traduzione dal polacco)

Data: 1990-10-22

Lunedi 22 Ottobre 1990

Alle partecipanti al IV Congresso generale delle sorelle Mariane di Schönstatt - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Impedire che vengano costruiti nuovi muri spirituali

Care sorelle Mariane di Schönstatt.

Avete voluto concludere il vostro IV Congresso generale con un pellegrinaggio a Roma, per visitare la tomba del principe degli apostoli e per testimoniare nuovamente la vostra fedeltà al successore di san Pietro. Vi rivolgo di cuore il mio benvenuto. Mi rende particolarmente lieto il fatto che tra voi, nella vostra grande comunità, per la prima volta vi siano anche sorelle della Polonia, della Cecoslovacchia e della parte Est della Germania unita.

Con la vostra fede, esposte alla limitazione della libertà e in parte alla persecuzione, avete dovuto in certo qual modo fare esperienza giorno per giorno del regime di guerra. Di conseguenza il vostro coraggio nel periodo della supremazia dell'ateismo di Stato potrà portare frutti al lavoro missionario dell'intera comunità.

Voi rappresentate tutte le province e così rappresentate anche un'eloquente testimonianza del vostro servizio internazionale al regno di Dio.

perciò dovete anche essere consapevoli che una evangelizzazione della comunità nella quale vivete e lavorate, può avvenire solo attraverso le persone. Il mondo può solo così continuare ad essere cristiano, se siamo pronti a plasmare dall'interno società e cultura. Voi potete mostrare all'uomo che al di là dei valori materiali c'è altro che rende veramente felice la vita. I muri in Europa sono si crollati, ma dobbiamo evitare che nuovi muri spirituali in Europa e nel mondo vengano costruiti. Ma ciò richiede la vostra disponibilità alla corresponsabilità nella Chiesa, anche secondo le idee della missione mariana del vostro fondatore Padre Josef Kenntenich.

Ieri avete inaugurato festosamente il primo luogo santo di Schönstatt sul territorio romano; esso ha preso il nome di "Co Ecclesiae". Con ciò volete testimoniare, che la Madre di Dio è il cuore della Chiesa e opera come cuore della Chiesa. La Madre della Chiesa vuole mettere in risalto il potere dell'amore, vuole operare come educatrice e formare in questo modo l'uomo nuovo e la nuova comunità.

Con una salda fedeltà alla Chiesa il vostro fondatore aveva testimoniato la sua ubbidienza. L'espressione "Dilexit Ecclesiae", che contrassegno la sua vita, il suo amore e la sua ubbidienza, fu voluta da lui anche come epigrafe sulla sua pietra tombale. Questa espressione è valsa come testamento per i membri dell'Istituto. Voi, oggi, avete fatto vostro il "dilexit Ecclesiae" del fondatore e volete come lui impegnarvi per la Chiesa. Fate questo nel vincolo e nel comportamento mariano, che lo distinse e che egli impresse all'Istituto Venticinque anni fa il fondatore testimonio davanti al successore di san Pietro la sua fedeltà. Egli promise con la sua fondazione di cooperare a far fruttificare gli Istituti secolari per la Chiesa. L'Istituto delle sorelle Mariane di Schönstatt è il più vecchio e il più grande dei sei Istituti secolari, e contemporaneamente quello portante ed è considerato come anima dell'opera di Schönstatt. Con la sua differente forma di vita dovete essere anello di congiunzione fra gli ordini religiosi e i laici nel mondo. Con la vostra promessa di fedeltà vi rinnovate nel servizio a Maria e vi impegnate di nuovo al "dilexit Ecclesiae" del fondatore.

Per la realizzazione, quotidiana ma sempre nuova, dei vostri obiettivi e con l'assicurazione che preghero per il vostro compito, volto a compiere la missione post-conciliare della Chiesa, imparto di cuore su di voi e su tutti i membri dell'opera di Schönstatt la mia benedizione apostolica.

Data: 1990-10-23

Martedi 23 Ottobre 1990

All'inaugurazione della Mostra Ignaziana nella Biblioteca Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Essere "uomini di Chiesa" come i discepoli intorno a Pietro

Signori cardinali, venerati fratelli, signore e signori.


1. Ringrazio anzitutto il preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Peter-Hans Kolvenbach, per i nobili sentimenti espressi in occasione della mia presenza all'inaugurazione della Mostra Ignaziana in questa Biblioteca Apostolica Vaticana. Ringrazio anche il padre prefetto per l'accoglienza.

Tale mostra su sant'Ignazio a Roma si apre all'inizio dell'"Anno ignaziano", indetto per celebrare il 500° anniversario della nascita di sant'Ignazio di Loyola e il 450° anniversario della fondazione della Compagnia di Gesù. L'Anno in parola è stato inaugurato lo scorso 27 settembre, in ricordo di quel 27 settembre 1540, quando il mio predecessore Paolo III approvo la Compagnia di Gesù.


2. La mostra, che oggi viene inaugurata, è un segno visibile del legame profondo che unisce Ignazio e la Compagnia di Gesù al Papa e a Roma. Nei documenti di fondazione della Compagnia si dice che Ignazio e i suoi primi compagni, provenienti da diverse nazioni e da diversi regni, non sapevano in quale paese andare, se tra i fedeli o tra gli infedeli. Per non sbagliare nella scelta della via del Signore, fecero la promessa o voto di lasciare al Santo Padre il compito di destinarli egli stesso, conformemente alla loro intenzione di percorrere il mondo, per la più grande gloria di Dio.

Vivendo esistenzialmente questa formula i primi compagni sapevano e sentivano di essere "uomini di Chiesa", personalmente e comunitariamente responsabili, come i discepoli intorno a Pietro, per il servizio di una Chiesa gerarchicamente articolata.

Questo legame col Papa, da sant'Ignazio fino a oggi, è stato sempre considerato un principio che costituisce la ragione d'essere della Compagnia di Gesù. Nelle Costituzioni si legge: "Tutti i compagni sappiano che, non solamente agli inizi della loro professione ma vita natural durante, devono ogni giorno ripensare con la loro mente che questa intera Compagnia e ciascuno in particolare militano al servizio di Dio, sotto l'obbedienza piena di fede al nostro santo signore il Papa e agli altri Pontefici romani suoi successori".


3. Ma Ignazio ebbe speciali legami anche con la città di Roma. La mostra si sforza di presentare un aspetto dell'attività di Ignazio rimasto un po' in ombra, e cioè il suo influsso sulla vita urbana del tempo. Attraverso questa mostra viene messo in risalto come la Compagnia di Gesù, da lui concepita, rispondesse alle esigenze di un mondo che cambiava nei suoi orizzonti fisici e culturali, nonché nelle relazioni della Chiesa con il mondo, e come essa sentisse le urgenti necessità degli emarginati dell'epoca.

Nel '500, e anche oggi, la Compagnia di Gesù e il Papa si possono dire "vicini di casa", nel senso fisico come in quello spirituale della parola. perciò è ben giustificata la scelta della Biblioteca Apostolica Vaticana per questa interessante esposizione.

Mi auguro che la mostra, che oggi inauguriamo, serva a far meglio conoscere la figura di sant'Ignazio e l'opera da lui svolta nella città di Roma e per la città di Roma. Auspico, inoltre, che essa sia il segno di un impegno di tutti i Gesuiti sparsi nel mondo a continuare l'opera del loro fondatore a servizio della Chiesa e per la salvezza del mondo, in tutti i settori della convivenza umana, specialmente in quelli che hanno più bisogno della luce del Vangelo.

Data: 1990-10-23

Martedi 23 Ottobre 1990



Alla presentazione del testo giuridico all'VIII Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il nuovo "Codice dei Canoni delle Chiese Orientali" possa essere "vehiculum caritatis" al servizio della Chiesa

Venerati fratelli, Cardinali, Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi, Chiarissimi Rettori e Decani delle Università Pontificie e degli altri Istituti di Studi superiori ecclesiastici e delle Facoltà di Diritto Canonico dell'Urbe, Carissimi figli e figlie,


1. Con profonda gratitudine e vera gioia ringrazio Dio, datore di ogni bene e di ogni grazia celeste, per avermi concesso la particolare occasione odierna di solennizzare con questo incontro, da me tanto desiderato, la presentazione del "Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium", che, con la Costituzione apostolica "Sacri Canones" di giovedi scorso, 18 ottobre, festa di San Luca Evangelista, ho promulgato nella fiduciosa speranza che con esso le Chiese orientali cattoliche, con l'aiuto di Dio e sotto la materna protezione della Beatissima Vergine Maria, proseguano un cammino ancor più luminoso per instaurare nei cuori di tutti i fedeli, appartenenti ad esse, il Regno di Dio la cui venuta impetriamo ogni qualvolta recitiamo la preghiera del "Padre Nostro" insegnataci dal Nostro Signore Gesù Cristo. "Adveniat Regnum Tuum", Signore Gesù, e che ne sia un degno strumento il Codice comune a tutte le Chiese orientali cattoliche, per la prima volta nella storia della Chiesa promulgato dal tuo Vicario, servo dei Tuoi servi.


2. Mi è sommamente gradito di aver potuto promulgare questo Codice in occasione della celebrazione di un Sinodo dei Vescovi e di poterlo presentare nel corso di una delle sue Congregazioni Generali, dinanzi a voi venerati Fratelli, che rappresentate, veramente, anche se in modo particolare, tutte le Chiese d'Oriente e d'Occidente, le quali, godendo di pari dignità, sono affidate in egual modo al governo pastorale del Sommo Pontefice (cfr. OE 3); dinanzi a voi che siete chiamati a darmi aiuto con il vostro consiglio non solo nella "salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi" ma anche "nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica" (CIC 342).


3. Il carattere della rappresentatività della Chiesa universale, di cui gode questa veneranda Assemblea, mi dà la certezza che, presentando il "Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium" in una delle sue Congregazioni Generali, sia esaudito il mio ardente desiderio che esso venga bene accolto da tutta la Chiesa cattolica, sia dalle Chiese orientali per le quali avrà valore di legge dal 1° ottobre dell'anno prossimo, sia da tutto l'episcopato della Chiesa latina nel mondo intero, e venga considerato come appartenente al patrimonio disciplinare della Chiesa universale al pari del "Codex iuris canonici" che è stato promulgato nel non lontano 1983 e che ha valore di legge per la Chiesa latina. Infatti entrambi i Codici traggono la loro forza dalla stessa sollecitudine del Vicario di Cristo, tutta volta ad instaurare nella Chiesa universale quella "tranquillitas ordinis" che, come ho voluto esprimermi di proposito, in entrambe le Costituzioni apostoliche promulgative dei due Codici, "assegnando il primato all'amore, alla grazia ed al carisma, rende più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono".


4. Quando ho promulgato il Codice di Diritto Canonico per la Chiesa latina ero consapevole che non tutto era stato fatto per instaurare nella Chiesa universale un tale ordine. Mancava un riordinamento della Curia Romana e mancava, si può dire da molti secoli, un Codice contenente il diritto comune a tutte le Chiese orientali cattoliche, un Codice che non solo ne rispecchiasse il patrimonio rituale e ne garantisse la salvaguardia, ma che anche, e primariamente, ne tutelasse, assicurasse e promuovesse la vitalità, crescita e vigore nell'adempiere la missione loro affidata (cfr. OE 1). Si è messo tutto l'impegno e si è fatto ogni sforzo per colmare al più presto queste due lacune. Al riordinamento della Curia Romana si è provveduto con la Costituzione apostolica "Pastor Bonus" del 28 giugno 1988, che, come già deciso, deve essere aggiunta alle edizioni ufficiali di entrambi i Codici, essendo una legge riguardante la Chiesa universale. Per quanto riguarda il Codice comune alle Chiese orientali cattoliche si è pervenuti in porto durante questa ottava Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Solo ora invero, l'aggiornamento dell'intera disciplina della Chiesa cattolica, iniziato dal Concilio Vaticano II, è stato portato a termine e Dio ne sia ringraziato. E' pero anche vero che la promulgazione del "Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium" segna l'inizio di un cammino il quale, nella nostra fiduciosa speranza, ci auguriamo luminoso e fecondo. Formuliamo altresi l'auspicio, già espresso nel mese di giugno 1986, che nel Codice or ora promulgato le venerande Chiese d'Oriente "possano riconoscere non solo le loro tradizioni e discipline, ma anche e soprattutto il loro ruolo e la loro missione nel futuro della Chiesa universale e nell'ampliamento della dimensione del Regno di Cristo Pantocrator" (AAS 79 (1987) 195-196) e che esso possa essere davvero "vehiculum caritatis" al servizio della Chiesa.


5. A scrutare profondamente nella sostanza delle cose non mi sembra fuori luogo sottolineare che anche i Codici regolanti la disciplina ecclesiastica, seppure articolati in numerosi canoni e paragrafi, sono da considerarsi come una particolare espressione del precetto dell'amore che Gesù, Nostro Signore, ci ha lasciato nell'Ultima Cena, e che il Concilio Vaticano II, parlando del popolo messianico che ha per Capo Cristo, per condizione la libertà e dignità dei figli di Dio, per fine il Regno di Dio, afferma di essere, per lo stesso popolo, in fondo la sola Legge (cfr. LG 9). E' alla luce e sul fondamento di questa Legge che i tre summenzionati "Corpi di leggi" sono stati elaborati, sotto la costante cura di colui, che come Vescovo della Chiesa di Roma "presiede alla carità", per usare l'espressione di Sant'Ignazio di Antiochia, alla "carità" che unisce tutte le Chiese nell'Amore.


6. Mi è gradito presentare il nuovo Codice comune alle Chiese orientali cattoliche a questa veneranda Assemblea anche per il motivo che fu essa stessa, nella nostra comune sollecitudine per il bene della Chiesa universale, a formulare nella relazione finale del Sinodo straordinario del 1985, oltre all'auspicio di preparare un compendio di tutta la dottrina cattolica al quale dovranno far riferimento i catechismi o compendi di tutte le Chiese particolari e all'auspicio di approfondire lo studio della natura delle Conferenze Episcopali, anche il "desiderium celeriter perficiendi Codicem Iuris Canonici pro Ecclesiis orientalibus secundum traditionem earundem Ecclesiarum et normas Concilii Vaticani II". Accolsi volentieri questo "desiderium" del Sinodo dei Vescovi ed anche lo sottolineai "peculiari modo" nella mia Allocuzione conclusiva al predetto Sinodo, perché, infatti, mi stava nel profondo del cuore.


7. Possiamo essere grati a Dio che una delle tre "priorità" allora indicate ha avuto il suo compimento in questi giorni. E' difficile invece ringraziare tutti coloro che hanno collaborato all'elaborazione del "Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium", dato il lungo cammino, iniziato da quando Pio XI, nell'udienza del 3 agosto 1927, concessa al Cardinale Luigi Sincero, riconobbe l'urgenza della codificazione canonica orientale. Da allora sono trascorsi oltre 63 anni e l'iter del Codice è stato lungo come è descritto nella "Praefatio". Elevo comunque in questa sede un memore pensiero di gratitudine ai venerati Cardinali Pietro Gasparri, Luigi Sincero, Massimo Massimi e Pietro Agagianian che si succedettero nella direzione della codificazione orientale fino alla metà del 1972 ed al Cardinale Acacio Coussa, che prima della sua promozione al cardinalato, per lunghi anni vi presto "a secretis" la sua solerte e preziosa opera; ricordo con lo stesso memore pensiero di gratitudine il Cardinale Giuseppe Parecattil che presiedette fino al suo decesso la revisione del Codice orientale e Mons. Ignazio Clemente Mansourati che fu Vice-Presidente nella prima fase dei lavori. Ringrazio i due successivi Vice-Presidenti, molto benemeriti: Mons. Miroslav Stefano Marusyn che diede il suo contributo a tale opera nella fase intermedia dei lavori e Mons.

Emilio Eid che ha avuto l'onere e l'onore di portare a felice compimento tale impresa. Ricordo con gratitudine il P. Ivan Zuzek S. J., che ha svolto nella revisione del Codice dall'inizio fino ad oggi la mansione di Segretario. Ringrazio anche tutti i Cardinali, Patriarchi, Arcivescovi, Vescovi, che hanno contribuito, con uno spirito veramente collegiale al buon esito dell'opera, tutti i Consultori, esperti e componenti degli uffici della Commissione che hanno cooperato con grande dedizione a ciò. Per quanto riguarda i Consultori, ringrazio in modo particolare quelli appartenenti al Collegio dei Professori della Facoltà di Diritto Canonico del Pontificio Istituto Orientale, che anche come tale ha dato una preziosa collaborazione, e il chiarissimo Prof. dott. Carl Gerold Furst insieme all' "Institut fur Kirchenrecht" dell'Università di Freiburg im Breisgau, da lui diretto, per il prezioso contributo dato alla "coordinatio" dell'intero Codice.


8. Nel presentare a questa Assemblea, così rappresentativa della Chiesa universale, il Codice, che regola la disciplina ecclesiastica comune a tutte le Chiese orientali cattoliche, lo considero come parte integrante dell'unico "Corpus iuris canonici", costituito dai tre summenzionati documenti promulgati nell'arco di sette anni. Dinanzi a questo "Corpus" viene spontaneo il suggerimento che nelle Facoltà di Diritto Canonico si promuova un appropriato studio comparativo di entrambi i Codici anche se esse, a seconda dei loro statuti, hanno per loro principale oggetto lo studio di uno o l'altro di essi. Infatti la scienza canonica pienamente corrispondente ai titoli di studio che queste Facoltà conferiscono, non può prescindere da un tale studio. Anche per quanto riguarda la formazione sacerdotale in genere sono da lodarsi le iniziative, come per esempio, corsi informativi o giornate di studio, che favoriscono una maggiore conoscenza di tutto ciò che costituisce la legittima "in unum conspirans varietas" del patrimonio rituale della Chiesa cattolica.


9. Quanto or ora auspicato è dettato anche dalla sollecita cura che ho, come Supremo Pastore nella Chiesa di Cristo, in modo particolare di quei fedeli delle Chiese orientali che sono residenti fuori dal territorio entro il quale i Patriarchi, gli Arcivescovi maggiori, i Metropoliti e gli altri Capi di Chiese "sui iuris" possono validamente esercitare la potestà conferita loro a norma del diritto stabilito dalla suprema autorità della Chiesa e come una partecipazione di essa. Per molti di questi fedeli si è provveduto con l'istituzione di proprie circoscrizioni ecclesiastiche, come eparchie ed esarchie, rette da Vescovi e altri Gerarchi nominati dalla Santa Sede e direttamente responsabili verso di essa; altri invece sono affidati alla cura di Ordinari latini. E' stato sempre ed ovunque pressante desiderio dei Sommi Pontefici che tutti questi fedeli, per usare le parole del Concilio Vaticano II, "mantengano dovunque il loro proprio rito, lo onorino e, secondo le proprie forze lo osservino" (Decr. OE 4).

La Santa Sede, specie tramite la assidua opera della Congregazione per le Chiese Orientali, tanto benemerita, ha fatto e farà tutto il possibile, perché questi fedeli trovino ovunque nel mondo circostanze favorevoli ad assecondare il desiderio or ora espresso, ed essa è fiduciosa che anche tutti gli Ordinari, alla cui cura pastorale essi sono affidati, saranno partecipi di questa sollecitudine nella consapevolezza che con ciò rendono un essenziale servizio alla Chiesa universale e danno testimonianza della loro preoccupazione per ciò che all'uomo è più prezioso e congeniale, e cioè di poter vivere secondo quella cultura del cuore nella quale il Creatore lo ha posto sin dal seno materno, e che un tale agire è veramente conforme a quanto esige la "salus animarum".

10. Se ogni legge, secondo il noto detto di San Tommaso D'Aquino, è "ordinatio rationis ad bonum commune et ab eo, qui curam communitatis habet, promulgata" (I-II 110,4, ad 1), questo è vero soprattutto e in maniera eminente per i canoni che regolano la disciplina ecclesiastica. Si tratta, nel vero senso del termine, di "sacri canones", come tutto l'Oriente li ha sempre chiamati nella indubbia fede che è sacro tutto ciò che stabiliscono i Sacri Pastori, rivestiti del potere, conferito loro da Cristo ed esercitato sotto la guida dello Spirito Santo, per il bene delle anime di tutti coloro, che santificati dal battesimo costituiscono la Chiesa una e santa. Seppure nei Codici vi sono molte "leges mere ecclesiasticae", come si esprime un canone in entrambi i Codici (CIC 1490; CIC 11 (?)), pertanto sostituibili con altre dal Legislatore legittimo, la ragion d'essere di esse è tutta "sacra", e anche se esse appartengono alla "ordinatio rationis" umana, sono state formulate non solo dopo molto pensare, ma anche nella incessante preghiera di tutta la Chiesa. Grande saggezza si deve supporre in ognuna delle norme del Codice. Esse, infatti, sono state studiate a lungo e da ogni punto di vista, con la cooperazione di tutta la gerarchia delle Chiese orientali e alla luce della quasi bimillenaria tradizione, sancita dai primi "sacri canones" fino ai decreti del Concilio Vaticano II.

11. Sia accolto quindi questo Codice nella sua globalità come in ogni suo canone da tutta la Chiesa con animo sereno e con la fiducia che la sua osservanza attirerà su tutte le Chiese orientali quelle grazie celesti che le faranno prosperare sempre di più in tutto il mondo. Questo è un appello che vale particolarmente per quelle norme contenute in esso che sono state ripetutamente al centro della mia attenzione e finalmente decise così come stanno nel Codice perché il Vicario di Cristo le ritiene necessarie per il bene della Chiesa universale e per salvaguardare il suo retto ordine e i diritti più fondamentali ed imprescindibili dell'uomo redento da Cristo.

12. Tra tali norme sono da annoverarsi quelle riguardanti il potere dei Capi delle Chiese orientali "sui iuris" circoscritto ad un determinato territorio e quelle riferentesi alla concorde volontà dei genitori per ciò che attiene al patrimonio rituale dei loro figli. Vogliate aver fede che il "Signore dei signori" ed il "Re dei re" non permetterà mai che la diligente osservanza di tali leggi venga a nuocere al bene delle Chiese orientali. Ad ogni modo, per quanto riguarda il primo problema, ripeto quanto ho comunicato all'ultima Assemblea plenaria dei Membri della Commissione che ha preparato il Codice. Ora a Codice promulgato saro lieto di considerare le proposte elaborate nei Sinodi, bene circostanziate e con chiaro riferimento alle norme del Codice, che si ritenesse opportuno specificare con uno "ius speciale" e "ad tempus", per il quale del resto si indica la via in un relativo canone del codice con la clausola riferentesi allo "ius a Romano Pontifice approbatum". Simile clausola è apposta anche al canone relativo alla concorde volontà dei coniugi nella scelta del patrimonio rituale dei loro figli, per indicare la via e porre in atto gli opportuni rimedi, qualora ciò si dimostrerà veramente necessario, per la tutela della fioritura delle Chiese orientali nelle regioni ove esse sono minoritarie. Ho pero grande fiducia che in ogni regione gli organismi competenti, come le Conferenze Episcopali e le Assemblee interrituali, sapranno garantire non solo la pacifica convivenza tra fedeli di vari riti, ma creare, pur nella diversità pluriforme, un'unica famiglia di figli di Dio che si amano a vicenda come Gesù ci ha amato. E ho fiducia anche che tutte le Chiese "sui iuris" siano convinte che la loro sopravvivenza, la difesa della propria identità, la loro crescita, e la loro stessa immagine nel mondo contemporaneo, non saranno messe in pericolo se "i cuori, le coscienze, il comportamento ed i costumi" dei loro fedeli sono conformi ai valori più profondi, umani e cristiani e alla "reciproca sottomissione dei coniugi nel timore di Cristo" (Lett. Ap. MD 24,4).

13. A conclusione di questa mia "presentazione" del Codice comune a tutte le Chiese orientali cattoliche, non posso fare a meno di rivolgere il mio pensiero rispettoso a tutte le Chiese Ortodosse. Anche ad esse vorrei "presentare" il nuovo Codice, che fin dall'inizio, è stato concepito ed elaborato su principi di vero ecumenismo e prima di tutto nella grande stima che la Chiesa cattolica ha di esse come "Chiese sorelle" già in "quasi piena communione" con la Chiesa di Roma, come si esprimeva Paolo VI, e dei loro Pastori come coloro a cui "è stata affidata una porzione del gregge di Cristo". Non vi è norma nel Codice che non favorisca il cammino dell'unità tra tutti i cristiani e vi sono chiare norme per le Chiese orientali cattoliche su come promuovere questa unità "precibus imprimis, vitae exemplo, religiosa erga antiquas traditiones Ecclesiarum orientalium fidelitate, mutua et meliore cognitione, collaboratione ac fraterna rerum animorumque aestimatione" (Can. 903). Queste norme non ammettono alcunché che possa avere anche solo il sentore di azioni od iniziative non congruenti con quanto la Chiesa cattolica proclama ad alta voce, nel nome del Redentore dell'uomo, circa i diritti fondamentali di ogni persona umana e di ogni battezzato ed i diritti di ogni Chiesa, non solo all'esistenza, ma anche al progresso, allo sviluppo e alla fioritura.

Mentre tutti i cattolici devono attenersi a queste norme, ho fiducia che si stabilisca ovunque una completa reciprocità nel rispetto di così fondamentali valori umani e cristiani e che il dialogo ecumenico possa essere fecondo tra fratelli che si amano in Cristo, fino al giorno, che speriamo prossimo, in cui potremo nella piena comunione di tutte le Chiese orientali, partecipare, sul medesimo altare, al Corpo e Sangue di Cristo, in quella unità per la quale Lui stesso ha pregato Suo Padre nell'Ultima Cena.

Possa il nuovo "Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium" essere un provvido ed efficace strumento di ordine nella vita delle Chiese orientali, affinché fioriscano per il bene delle anime e lo sviluppo del Regno di Cristo a maggior gloria di Dio.

(Traduzione dal latino)

Data: 1990-10-25

Giovedi 25 Ottobre 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Alla parrocchia di S. Maria della Fiducia - via Casilina (Roma)