GPII 1990 Insegnamenti - Alla comunità polacca - Città del Vaticano (Roma)

Alla comunità polacca - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nella nostra patria, dai monti Tatra al Baltico, la grazia della riconciliazione raggiunga tutti i cuori

Cari fratelli e sorelle, miei connazionali, Amato Signor Cardinale Andrea, Illustri Signori Ambasciatori della Repubblica Polacca!


1. La ringrazio cordialmente per gli auguri presentatimi a nome di tutti coloro che sono qui riuniti. Il Vescovo Stefano Wesoly, delegato del Primate per la Pastorale degli emigrati polacchi, oggi non può essere qui presente con noi.

Il Signor Cardinale Andrea, a dire la verità, non è un emigrante pero è unito con il cuore alla sorte di tutti coloro che vivono al di fuori della Patria.

Da essi proviene questo oplatek, ossia il "Pane della vigilia di Natale", e a loro vanno i miei cordiali auguri. Essi fanno un ampio giro attraverso tutti i continenti, i singoli Paesi, dove battono cuori polacchi. Si può dire che essi invitano tutti alla tavola della vigilia, all'antica Messa dei pastori a mezzanotte e ai canti natalizi, nei quali si manifesta la nostra tradizione cristiana e nazionale, la nostra identità.

Alla fine dell'ottobre scorso ha avuto luogo a Roma un incontro particolare dei Polacchi. Hanno partecipato ad esso non soltanto i Rappresentanti delle Autorità della Repubblica Polacca e quelli delle comunità polacche all'estero ma anche - per la prima volta - i Polacchi che vivono ad Oriente della nostra attuale frontiera, nei territori dell'antica Repubblica delle tre nazioni, i quali ivi hanno continuamente la loro patria.

Ricordiamo con grande commozione questo incontro, il primo dopo tanti anni, e, tra le persone che vi hanno partecipato, la giovane Polacca dalla Lettonia, di venerata memoria Ita Kozakiewicz, che proprio in terra italiana ha trovato la morte inaspettata. Lei e tutti gli altri sono abbracciati dalla nostra preghiera. A tutti stendiamo la mano con il "Pane della vigilia di Natale".

Insieme con tutti intoniamo il canto natalizio: "Dio sta nascendo".


2. Questo canto natalizio (scritto da un eccellente poeta del diciottesimo secolo) ci introduce in modo particolare nel clima del mistero divino ed umano. Questo è insieme il "nuovo inizio" della storia dell'uomo, la Nuova Alleanza che dura ed è eterna.

Quando mettiamo il "Pane di Natale" - il pane bianco - sulle nostre tavole, diventa difficile non pensare che portiamo all'altare lo stesso Pane, perché si compia, sotto la sua specie, il Sacrificio di Cristo: il Sacrificio della nuova ed Eterna Alleanza. Il Sacrificio della riconciliazione di Dio con l'uomo. Da questa nasce la riconciliazione reciproca degli uomini: un nuovo legame fraterno intorno al Padre che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (cfr. Jn 3,16) per la nostra salvezza.

Che la sera della vigilia porti in ogni casa, in ogni famiglia e in ogni comunità umana un avvicinamento e riconciliazione. Tutta la nostra Patria, dai monti Tatra fino alle acque del Baltico, dall'Oriente all'Occidente, diventi come una grande, simbolica tavola di vigilia presso la quale la grazia della riconciliazione raggiunga tutti i cuori. Ciò che ci differenzia - qualunque cosa sia - non può essere più forte di ciò che ci unisce.

Nella tua persona, caro Signor Cardinale Andrea, pongo questi auguri nelle mani dell'Episcopato Polacco con il Primate per l'intera Chiesa nella Patria, e per tutti i miei connazionali.

Vi ringrazio per essere venuti.

(Traduzione dal polacco)

Data: 1990-12-22

Sabato 22 Dicembre 1990

All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: In Cristo i poveri sono diventati il "nuovo Israele"

Carissimi fratelli e sorelle!


1. La liturgia della quarta domenica d'Avvento, alle soglie ormai del Natale, ha numerosi riferimenti alla Beata Vergine Maria. Ella ci appare come colei che ha cooperato con Cristo, suo Figlio, al rinnovamento della condizione umana: un rinnovamento che non doveva interessare solo le coscienze, ma anche la convivenza e i rapporti sociali.

E' questo il messaggio del Magnificat, nel quale Maria annuncia come imminente, e anzi in qualche modo già presente e operante nel mondo la forza divina, ribaltatrice di posizioni spirituali, ideologiche, sociali apparentemente saldissime. E' ciò che esprimono quei verbi usati al passato: il Signore "ha guardato... ha fatto... ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi... ha innalzato gli umili..." (Lc 1,48ss).

Solo la misericordia di Dio si perpetua attraverso le generazioni, attuando un disegno di salvezza che abbraccia tutta la storia, in adempimento della promessa di redenzione fatta a Israele e all'intera umanità mediante i patriarchi e i profeti.


2. Maria sentiva che l'attuazione di quella promessa avrebbe cambiato molte cose nel mondo, quanto a categoria di giudizio, ma con ripercussioni anche sull'insieme della vita sociale.

In tale prospettiva teologica e profetica si può ben capire il Cantico di esultanza e di ringraziamento, nel quale ella passa dall'umile riconoscimento delle "cose grandi" operate in lei dal Signore, alla proclamazione del cambiamento profondo che stava avvenendo nell'umanità. Era un annuncio che si sarebbe impresso nella coscienza cristiana sia come principio spirituale e teologico, che come impegno di carità socialmente operosa.

In tale linea si poneva anche il Papa Leone XIII nell'enciclica "Rerum Novarum", quando, in rapporto alla "questione sociale", affermava: "In ciò si accordano tutti, essere di estrema necessità venir senza indugio con opportuni provvedimenti in aiuto dei proletari, che per maggior parte si trovano indegnamente ridotti ad assai misere condizioni... soli e indifesi".


3. Al tempo di Maria la terminologia corrente era diversa: si parlava piuttosto dei "poveri" ("anawim"), di coloro cioè che sapevano di essere in condizioni di necessità e di debolezza, e che proprio per questo si affidavano a Dio.

Condividendo il loro atteggiamento interiore la Vergine canta la speranza della gente umile e piccola, che Dio soccorre a scapito dei potenti e dei ricchi del mondo.

In Cristo i poveri e i piccoli di ogni epoca sono diventati il "nuovo Israele": anche quelli che al tempo di Leone XIII si chiamavano i "proletari"; anche i "nuovi poveri" del nostro secolo.

Dinanzi a tutte le povertà, che gravano sugli uomini e sulle donne del nostro tempo, noi chiediamo alla Vergine santa di interporre la sua intercessione, perché continuino ad attuarsi le parole di speranza del Magnificat: "Dio si è ricordato della sua misericordia".

Data: 1990-12-23

Domenica 23 Dicembre 1990

Al Centro di Riabilitazione fondato da don Gnocchi - Roma

Titolo: Impegno del Natale: scuotersi dall'indifferenza e superare le suggestioni che snaturano il volto cristiano della festa

"Grazia a voi e pace da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo" (Rm 1,7).


1. Con le stesse parole augurali con cui l'apostolo Paolo salutava la primitiva comunità cristiana di Roma, mi rivolgo a voi, carissimi fratelli e sorelle, appartenenti a questo Centro di riabilitazione, che è tra i più significativi e importanti della Fondazione "Pro Juventute", scaturita dal cuore e dal genio di quel grande sacerdote che fu don Carlo Gnocchi e che quest'anno celebra il quarantesimo anniversario della sua attività.

Insieme col card. vicario, Ugo Poletti, e con mons. Luca Brandolini, vescovo delegato per l'assistenza religiosa degli ospedali e case di cura di Roma, saluto tutti voi, cari giovani e ragazzi, e vi esprimo l'augurio sincero non solo di "Buon Natale", ma anche di una pronta guarigione.

Rivolgo un cordiale ringraziamento a mons. Ernesto Pisoni, presidente della Fondazione e al professor Monticelli, direttore clinico e scientifico di questo Centro, per le parole di accoglienza che mi hanno indirizzato. E con loro ringrazio il direttore sanitario e tutto il personale medico e ausiliario, religioso, tecnico e amministrativo che, con competenza professionale e con profondo senso di umanità si prodiga per la cura e la riabilitazione di tutti gli ospiti di questo Centro.


2. L'odierno incontro, da voi tanto atteso e desiderato, assume un particolare significato nel contesto del Santo Natale, che ci apprestiamo a celebrare.

Con la liturgia di Avvento ci siamo preparati ad accogliere la visita del Salvatore, del "Medico celeste" che è venuto e viene ancora per sanare le ferite del corpo e dello spirito, per consolare gli afflitti con la sua presenza, per annunciare ai poveri la buona notizia della liberazione, per fare dono della vita a quanti confidano in lui.

Ebbene, ora il mistero si svela e si realizza. "Oggi saprete che il Signore viene: col nuovo giorno vedrete la salvezza". così ci ripete la liturgia della vigilia di Natale, nella quale, in un certo senso, siamo già entrati! Si, il Signore viene! Ma occorre che anche noi andiamo incontro a lui. Ancora oggi a tutti gli uomini i pastori ripetono l'invito: "Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere" (Lc 2,18).

Anche all'uomo di oggi, spesso indifferente e incapace di meraviglia di fronte alle grandi opere di Dio, è chiesto di "andare fino a Betlemme", cioè di intraprendere un vero itinerario di fede, un radicale cambiamento di mentalità e di vita, per poter "riconoscere" in quel Bambino povero e rifiutato dagli uomini ("non c'era posto per loro nell'albergo") il Figlio di Dio e il Redentore dell'uomo.

Questo è l'impegno che il Natale chiede a tutti: scuotersi dall'indifferenza, vincere lo scetticismo, superare le facili suggestioni che snaturano il volto cristiano della festa per ascoltare e credere all'annunzio, mettersi in cammino, "vedere" il Signore, adorarlo come Dio, annunciarlo con gioia a tutti come unico e vero Salvatore dell'uomo.


3. E' vero: nel volto del Bambino Gesù si svela in maniera piena e definitiva l'amore di Dio Padre e Redentore che guarisce, libera e salva. Ma è altrettanto vero che in quel medesimo volto si nasconde e si manifesta il volto di ogni uomo, e soprattutto di chi è povero, indifeso, emarginato e malato. Laddove la dignità della persona umana è maggiormente violata, i diritti fondamentali lesi, i bisogni essenziali disattesi e la stessa vita minacciata, li Gesù vuole essere riconosciuto, amato, accolto, servito.

Ecco perché l'uomo sofferente diventa "via" della Chiesa, ed è, questa, una delle vie più importanti. La Chiesa è chiamata a cercare l'incontro con l'uomo sofferente per annunciargli la parola della verità e della vita, per curare le sue ferite materiali e spirituali con l'olio della consolazione e il vino della speranza, per assicurargli un "luogo" in cui poterlo accogliere, curare, riabilitare e restituire alla sua piena dignità.

In questa prospettiva è facile rendersi conto che nella missione della Chiesa l'annuncio del Vangelo della speranza e della carità, della verità di Dio sull'uomo, sulla sua vita e sul suo destino trascendente, non può essere separato dalla testimonianza e dal servizio della carità che lo rendono più forte e credibile. La "nuova evangelizzazione" che tutti auspichiamo dal Sinodo pastorale diocesano deve prendere le mosse e continuamente rifarsi e alimentarsi alla testimonianza della carità. E' questa la via che tutta la Chiesa, e particolarmente la Chiesa di Roma, è chiamata ad imboccare con nuovo coraggio e a percorrere con rinnovato impegno di opere.


4. Tale è stata, carissimi fratelli e sorelle, la via percorsa anche da don Carlo Gnocchi. Questo zelante sacerdote, nell'immediato dopoguerra, di fronte alle orribili ferite scavate nelle carni e nel cuore di tanti bambini, vittime innocenti del grande conflitto, si è dedicato alla loro cura, fino al supremo dono di sé, manifestato anche nell'offerta dei suoi stessi occhi a uno di loro. Dal suo grande cuore di Padre, di fedele ministro di Cristo e della Chiesa, di servitore dell'uomo, è nata la fondazione alla quale questo Centro appartiene.

Un'opera che è rimasta fedele al primitivo spirito di attenzione e di servizio al bambino e al giovane, malato o mutilato, come a persona fatta a immagine di Dio e perciò sempre meritevole di rispetto e di amore.

Il vostro Centro, al fine di offrire risposte sempre più adeguate alle necessità degli ospiti disabili e al progresso delle moderne tecnologie, ha saputo sviluppare notevoli capacità e relativi servizi, sia nella ricerca che nella prevenzione e cura, tanto da essere considerato un Istituto esemplare per tutti coloro che vogliono mettere la scienza e la tecnica a servizio dell'uomo.


5. Carissimi medici e operatori sanitari di questo Centro: rimanete sempre fedeli allo "stile" e allo spirito di don Gnocchi! Mediante le cure fisiche, che voi prestate, come pure l'istruzione scolastica, la formazione professionale, lo sviluppo di attività sportive, ma anche mediante la vostra professionalità, seria e coerente sotto il profilo etico, e soprattutto con il vostro amore, illuminato e sostenuto dalla fede, voi potete contribuire alla riabilitazione piena dei ragazzi e giovani degenti e al loro pieno reinserimento nella comunità civile.

Rivolgo pure un affettuoso pensiero ai genitori e familiari, molti dei quali oggi sono qui. Comprendo il vostro dramma e i problemi umani e spirituali che il dolore e l'infermità degli innocenti suscita nel vostro cuore, come pure le gravi difficoltà che incontrate, cercando di stare accanto a loro. Non sentitevi soli e abbandonati. Molte persone sono solidali con voi. E anch'io vi seguo con la preghiera affinché la vostra fede non venga meno e non tramonti la speranza nel vostro cuore.

A tutti, perciò, chiedo attenzione, partecipazione e solidarietà nei confronti dei disabili che hanno bisogno non solo di cure efficaci, ma di accoglienza, di vicinanza, di sostegno in modo che siano abbattute tutte le barriere che una società efficientistica e produttivistica, come l'attuale, innalza spesso nei loro confronti.


6. Carissimi fratelli e sorelle, il Signore è vicino! Andategli incontro con le opere dell'amore; apritegli il cuore, nella fede, non solo per riconoscerlo come Salvatore e Signore, ma per accoglierlo in ognuno dei fratelli sofferenti, emarginati e malati, nei quali continua a farsi presente nel mondo. E allora sarà davvero Natale: un Natale di gioia e di pace, di amore e di fraternità per tutti.

Questi auguri, che accompagno con la preghiera, voglio ora suggellarli con la benedizione apostolica.

Data: 1990-12-23

Domenica 23 Dicembre 1990

Alle suore del Centro di Riabilitazione di don Gnocchi - Roma

Titolo: La testimonianza della carità è una provocazione contro la logica dell'egoismo e del profitto

Care sorelle.


1. Ringrazio anzitutto la madre generale per le parole di accoglienza e di filiale devozione che ha voluto esprimermi a nome di tutta la Congregazione delle Suore Salesie e particolarmente della comunità locale, impegnata nel servizio infermieristico e di assistenza degli ospiti di questo Centro "Pro Juventute" don Carlo Gnocchi.

Il vostro Istituto, secondo l'insegnamento e l'esempio di san Francesco di Sales, vescovo e dottore della Chiesa, ha come compito specifico "l'evangelizzazione e la promozione umana della gioventù, con particolare attenzione a quella più povera e abbandonata" (Cost., art. 2). Nel realizzare questa missione voi intendete ispirare il vostro modo di pensare e di agire a quello di Maria, Vergine e Madre, la quale si consacro totalmente alla persona e all'opera del Figlio (cfr. Cost., art. 6).

La liturgia dell'Avvento e del Natale è ritornata e ritorna con insistenza sulla figura e sul ruolo di Maria nel mistero dell'incarnazione, sui suoi interiori atteggiamenti di fede e di amore, sulle sue parole che esprimono disponibilità al servizio di Dio e dell'uomo, sui suoi gesti materni di carità nei confronti del Figlio e quindi dell'intero suo corpo che è la Chiesa.

Vorrei attirare l'attenzione su alcuni di questi gesti che la Vergine Madre compie al momento della nascita di Gesù. Il Vangelo dice non solo che Maria "lo diede alla luce", ma anche che "lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia" (Lc 2,7). C'è, in questo, tutta la ricchezza espressiva e l'efficacia dell'amore materno che circonda di premura e si prende cura con sollecitudine del frutto del suo grembo.

Chiamate alla verginità con la professione dei consigli evangelici, voi, care sorelle, avete ricevuto dallo Spirito Santo il dono e il compito di prolungare, nella Chiesa e nel mondo, la maternità di Maria nei confronti del Cristo e di coloro nei quali egli si è identificato, cioè: i poveri, i piccoli, gli emarginati e i disabili, come avviene appunto in questo Centro. Una maternità destinata a manifestarsi con le parole della fede e con i gesti della carità e dell'integrale promozione della gioventù malata o abbandonata.

Rimanete fedeli a questo carisma che vi assimila a Maria e vi assegna un posto d'onore nella molteplicità dei doni e dei servizi che lo Spirito suscita e alimenta nella Chiesa, facendola "sacramento della carità di Dio" verso l'uomo.


2. Voi sorelle volete, inoltre, impegnarvi a fare del Vangelo della carità la regola stabile della vostra vita. Volete attuarlo, in base alla vostra specifica vocazione, secondo lo spirito di san Francesco di Sales, che riconoscete in qualche modo come vostro padre e fondatore. E' lo spirito della carità e della dolcezza, di una profonda e sincera umiltà, di grande semplicità, di misericordia, pazienza, gioia e pace (cfr. Cost., art. 4).

Queste sono appunto le caratteristiche di un autentico amore materno, che abbraccia il corpo e lo spirito e che giustamente la gente si attende da coloro che, come Maria nei confronti di Gesù, vogliono esercitare una maternità spirituale verso quanti sono malati o sofferenti.

Se il servizio della religiosa, nel mondo della salute e della malattia, perdesse queste connotazioni non avrebbe quasi più senso; diventerebbe come il sale insipido e la luce posta sotto il moggio (cfr. Mt 5,12-15).

In una situazione come quella attuale in cui c'è da preoccuparsi per la disumanizzazione delle strutture sanitarie, la disattenzione ai valori etici, la diffusa indifferenza religiosa, l'assenteismo nell'esercizio della professione, come pure per la strumentalizzazione, da più parti, degli operatori sanitari, la carità vissuta della religiosa diventa una testimonianza viva dell'attualità del Vangelo e quindi anche una "provocazione" per coloro che sono tentati di agire secondo la logica dell'egoismo, dell'interesse e del profitto.


3. Care sorelle, anche sotto questo profilo il Sinodo pastorale diocesano molto si attende da voi e da tutte le religiose che sono impegnate nel complesso settore della promozione umana; e ciò proprio in vista di un nuovo annuncio del Vangelo della carità agli uomini di questa città, che spesso s'incontrano con la Chiesa solo attraverso di voi.

Il Signore che viene a consolare il suo popolo, sia anche per voi sorgente di consolazione e di gioia, nel delicato, ma fecondo settore in cui lavorate. Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1990-12-23

Domenica 23 Dicembre 1990

Omelia alla Messa di mezzanotte - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Tutto ha il suo inizio nella notte di Betlemme. Qui nasce il nuovo principio della storia dell'uomo

"Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine et homo factus est".


1. Pronunciando queste parole del "Credo", stanotte noi ci inginocchiamo. Esse esprimono il mistero che la notte della veglia natalizia ci rende presente, ogni anno. La liturgia della Messa di mezzanotte contiene prima di tutto la descrizione degli avvenimenti che ebbero luogo a Betlemme, il villaggio a sud di Gerusalemme.

Tali eventi appartengono alla storia: quella delle persone concrete di Maria, di Giuseppe, dei pastori che sorvegliavano il gregge. E, nello stesso tempo, quella di Cesare Augusto, di Quirino e degli abitanti di Gerusalemme.

Il mistero supera questi avvenimenti e, nello stesso tempo, li riveste, dando ad essi un diverso significato: "Incarnatus est"! Quando il Verbo si fa carne, quando il Figlio consustanziale al Padre nelle profondità dell'Eterna Trinità, diventa, per opera dello Spirito Santo, uomo, Figlio di Maria, allora gli occhi umani vedono, nell'aspetto umano, colui che è invisibile. Vedono colui che "abita una luce inaccessibile" (1Tm 6,16).

Questa santa notte di Betlemme è il momento, il primo in cui Dio invisibile può essere visto. "Chi ha visto me ha visto il Padre", dirà un giorno Gesù agli apostoli (Jn 14,9).


2. Ci inginocchiamo quindi di fronte al mistero ineffabile. Possiamo forse fermarci alla superficie degli avvenimenti? Essi sono semplici e, insieme, pieni di un mirabile incanto, benché in se stessi non cessino di esprimere la povertà e perfino il rifiuto degli uomini: "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto" (Jn 1,11).

Non si può forse dire che questi primi momenti della nascita di Gesù di Nazaret tracciano, in qualche modo, tutto il suo cammino terreno, il cammino di Messia e di Redentore? Infatti sappiamo che verrà nella liturgia il giorno in cui la Chiesa, in tutto il mondo, di nuovo s'inginocchierà. Ciò avverrà nel venerdi santo, durante l'adorazione della croce...

Questa notte: "Christus natus est nobis / venite adoremus". Il venerdi santo: "Ecce lignum crucis, in quo salus mundi pependit / venite adoremus".


3. "Salus mundi". "Vi annunzio con grande gioia... oggi vi è nato... un salvatore, che è il Cristo Signore" (Lc 2,10). Queste sono le parole che stanotte i pastori di Betlemme sentono.

L'apostolo Paolo nella Lettera a Tito le commenta ampiamente: "E' apparsa... la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini". La salvezza in Gesù Cristo "il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità" (Tt 2,11 Tt 2,14).

Questa salvezza plasma la vita umana nel mondo, le dà una forma divina: "ci insegna... a vivere con... pietà" (Tt 2,12). Essa dà anche all'esistenza umana sulla terra il senso definitivo, avviando la nostra vita alla futura gloria in Gesù Cristo.

Tutto ha il suo inizio in questa notte di Betlemme. Qui nasce il nuovo principio della storia dell'uomo. In Gesù Cristo si rivela la Grazia. Dio riconferma in lui il suo amore all'uomo. Infatti il canto natalizio della notte di Betlemme parla degli uomini che Dio ama (cfr. Lc 2,14).


4. Ecco una grande gioia: "vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo". Non soltanto del popolo eletto dal quale nacque Gesù. E' la gioia di tutti gli uomini. La gioia di ogni uomo. Il mistero della notte di Betlemme ha una portata universale. E' la prima parola del Vangelo, cioè della buona novella.

Dio si compiace in ogni uomo. Il Padre vede ciascuno di noi nel Figlio di Maria, poiché lui è il Figlio Eterno, della stessa sostanza del Padre. Egli stesso è il Figlio del compiacimento di Dio: Dio da Dio e Luce da Luce. In lui incominciamo ad esistere di nuovo, quando nasce per redimerci. In lui diventiamo "figli nel Figlio", figli che Dio ama.

Non è forse proprio questa la prima e fondamentale verità della buona novella? Non è forse proprio questo che è atteso dall'uomo di tutti i tempi? La fondamentale e assoluta affermazione. Non ne ha forse bisogno anche - e forse in modo particolare - l'uomo dei nostri tempi? Non è questo che, in mezzo a tutte le conquiste del progresso della civiltà materiale, gli manca di più? Egli è tentato sin dall'inizio di voler diventare come Dio (cfr. Gn 3,5)... senza Dio! Senza il mistero dell'incarnazione. Senza la notte di Betlemme.


5. Tuttavia questa notte inconcepibile perdura e si ripete. "Vi annunzio una grande gioia". La gioia che deriva da un dono puro, da un dono insuperabile. Non è possibile pensare a un dono più grande. Non è possibile offrire all'uomo un dono più grande. Occorre soltanto che egli apra gli occhi in questa notte, così come hanno fatto i pastori di Betlemme, e poi i magi dell'Oriente, e in seguito, nel corso dei secoli e delle generazioni, tanti e tanti altri.

Una gioia grande. Quest'è la gioia di tutto il creato, poiché in questa notte viene alla luce colui che è "generato prima di ogni creatura" (cfr. Col 1,15). Tutto il creato trova in lui, nel Verbo di Dio, la sua eterna origine, il suo posto: "tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste" (Jn 1,3).

Oh, notte di Betlemme! Ci sia consentito di parlare con la voce di tutte le creature! Ci sia consentito di parlare con le lingue di tutti i popoli e di tutti gli uomini! Notte di Betlemme, ti salutiamo. Christus natus est nobis! Venite, adoremus!

Data: 1990-12-24

Lunedi 24 Dicembre 1990

All'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Funzione di sostegno dello Stato verso la famiglia




1. La festa della Sacra Famiglia, che oggi celebriamo, ci riporta col pensiero alla casa di Gesù, di sua madre e del suo padre putativo. La liturgia ci fa ripercorrere una linea non solo geografica, ma anche spirituale, che va da Betlemme, luogo della nascita del Bambino, a Gerusalemme, luogo della sua oblazione a Dio, e dall'Egitto, luogo del rifugio dalla prima persecuzione, a Nazaret in Galilea, patria di Maria. Li si stabilisce quella famiglia di artigiani, composta da Giuseppe, carpentiere, da Maria, occupata nelle faccende domestiche, e da Gesù, al quale resterà anche in seguito l'appellativo di "figlio del carpentiere" (cfr. Mt 13,55 Mc 6,3).

Quella famiglia di poveri si trova al centro dell'economia della salvezza, come custode del mistero dell'incarnazione, ma anche come specchio dei poveri, dei bisognosi, dei quali Maria aveva cantato l'esaltazione (cfr. Lc 1,52-53) e Gesù avrebbe proclamato la beatitudine (cfr. Mt 5,3).


2. La famiglia di Nazaret, tuttavia, non si trova nella condizione dei miserabili, dei nullatenenti, o anche dei cosiddetti "proletari", che con la rivoluzione industriale andranno moltiplicandosi e finiranno col costituire un'enorme massa d'uomini costretti a lavorare e a vivere in uno stato di insicurezza e di avvilimento.

Sensibile a questa loro condizione, Leone XIII, nell'enciclica "Rerum Novarum", intervenne sia col proporre all'attenzione di tutti l'esempio della Sacra Famiglia, sia col sostenere i diritti umani e civili dei coniugi e dei loro figli. Il grande Pontefice presenta la famiglia come "società domestica, società piccola, ma vera, e anteriore a ogni civile società, e quindi con diritti e obbligazioni indipendenti dallo Stato".


3. La famiglia è un istituto che ha il suo fondamento nella legge naturale: di li - insiste Leone XIII - il diritto della famiglia ad acquisire i beni economici necessari al suo sostentamento; di li la priorità dei diritti della famiglia per rapporto alla società civile e allo Stato in ciò che riguarda il matrimonio e l'educazione dei figli; di li la funzione di sostegno che lo Stato è tenuto a svolgere nei confronti della famiglia. L'insegnamento della "Rerum Novarum" è chiaro: "Se l'uomo, se la famiglia, entrando a far parte della società civile, trovassero nello Stato non aiuto, ma offesa, non tutela, ma diminuzione dei propri diritti, la civile convivenza sarebbe piuttosto da fuggire che da desiderare...".

Per la stessa ragione Leone XIII, che aveva in mente soprattutto la massa operaia, le cui famiglie sono le più bisognose di tutela e di sostegno, rivendicava per i lavoratori un giusto salario, che consentisse loro di vivere decorosamente e di provvedere pure a un ragionevole risparmio.

E' un insegnamento di cose sane e buone, che la Chiesa non può non ripetere anche oggi, esortando tutti a impegnarsi specialmente per risolvere il problema della sicurezza del lavoro e delle abitazioni, e a praticare quella parsimonia che è frutto di virtù e sorgente di vero benessere.

Questa linea di saggezza, nel lavoro e nella vita, deriva a noi dalla famiglia artigiana di Nazaret, dalla quale riceviamo, oggi particolarmente, luce e benedizione.

(Omissis: saluti a due gruppi)

Data: 1990-12-30

Domenica 30 Dicembre 1990

Alle Figlie di Sant'Anna - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Chiamate a rendere visibile l'amore di Dio per ogni creatura

Carissime "Figlie di Sant'Anna"!


1. Sono lieto di accogliervi durante lo svolgimento del vostro XVIII capitolo generale e vi porgo il mio saluto cordiale; saluto che desidero far giungere a tutte le vostre sorelle sparse per il mondo.

Grazie per la vostra visita che, oltre ad essere un gesto di filiale devozione nei confronti del successore di Pietro, costituisce per me l'occasione di meglio conoscere la vostra Famiglia religiosa e di apprezzare la generosità che l'anima nel quotidiano servizio alla Chiesa. Ringrazio, in particolare, la madre generale del vostro Istituto, suor Virginia Sinagra, per le sentite parole che mi ha rivolto a vostro nome.

Auspico che il capitolo generale, con l'aiuto del Signore e la materna assistenza della Vergine santissima e di sant'Anna, vostra speciale patrona, susciti in ciascuna e nella intera Congregazione un crescente fervore spirituale, un più convinto impegno apostolico e una sempre più attiva fedeltà al vostro specifico carisma.

Voi proseguite nella linea del rinnovamento conciliare, attente sempre a non smarrire lo spirito proprio di chi ha abbandonato tutto per seguire Gesù. Vi esorto a non cedere mai alle lusinghe del mondo il quale, in modi talora insidiosi, cerca di minare dal di dentro l'integrità della risposta personale e comunitaria alla divina chiamata.


2. Numerose sono state in questi anni le tappe del vostro cammino di revisione: dal capitolo speciale del 1969-1971 all'assemblea generale di Santiago del Cile nel 1988. Voi sentite ora il bisogno di riflettere su quanto sinora è stato programmato ed è vostro speciale intendimento verificare le quattro scelte operative dell'ultimo capitolo: la missionarietà, i poveri, la famiglia, i giovani, al fine di imprimere un più forte slancio al vostro già benemerito servizio ecclesiale.

Viviamo certo anni difficili, che esigono prudenza e ardore evangelico, ma non vi abbatta mai, care sorelle, lo scoraggiamento, né vi freni la fatica. Non erano forse altrettanto duri i tempi nei quali si trovarono a operare la vostra fondatrice, la serva di Dio madre Rosa Gattorno, e padre Giovanni Battista Tornatore? L'atmosfera sociale e politica del secolo scorso era, infatti, in gran parte ostile alla religione e alla Chiesa, fatte bersaglio di attacchi violenti da parte di pensatori e di politici. A quante difficoltà e incomprensioni dovettero andare incontro madre Rosa e padre Tornatore nella loro opera! Eppure, con fede intrepida e sorretti dalla grazia, affidarono se stessi alla divina Provvidenza, che, per loro mezzo, avvio tante iniziative benefiche a vantaggio della Chiesa e della società.


3. Nessuno avrebbe potuto pensare che quella giovane genovese, nata da una agiata e prestigiosa famiglia, sposa a ventun'anni e subito provata dal dolore, si sarebbe dapprima dedicata come laica al servizio degli ammalati nella sua città e poi avrebbe dato inizio a Piacenza a un Istituto religioso per l'assistenza ai sofferenti e alle giovani bisognose di aiuto.

Madre Rosa assecondo i disegni della divina Provvidenza. Incoraggiata a dedicarsi completamente a Dio e alle anime dal papa Pio IX, la vostra Madre pose fine ad ogni dubbio e tentennamento. Nacque così l'Istituto intitolato a sant'Anna, grazie anche al consiglio e all'aiuto spirituale di padre Tornatore.


4. Voi proseguite il sentiero tracciato dalla vostra fondatrice. Siete chiamate ad aprire il cuore alle molte richieste d'aiuto che vi giungono dall'umanità del nostro tempo; siete chiamate a rendere visibile, con le vostre istituzioni, l'amore che Dio nutre verso i sofferenti, le giovani e i piccoli. La vostra presenza accanto a loro, per essere efficace, deve farsi assidua, umile e silenziosa. Siate fedeli allo spirito originario della vostra fondazione. Amate la vita austera e coltivate l'anelito alla contemplazione e alla preghiera. Col sacrificio di voi stesse, accogliendo la croce nella vostra vita, compirete la missione che Dio vi ha affidato. Come ricorda madre Rosa, di questo la società ha bisogno: di un amore crocifisso! Convinta di ciò, essa dichiarava: "Solo il Calvario è il luogo sicuro per fermarmi".

Esercitate la "maternità spirituale" con tenera attenzione verso chi soffre e chi bussa alle vostre case. Come al tempo di madre Rosa, anche ai nostri giorni c'è tanto bisogno di sensibilità materna, di comprensione e di aiuto concreto. Ispiratevi alla vostra celeste protettrice, sant'Anna, e imitatene le virtù, specialmente l'amore verso Maria santissima.

Vi aiuti la Madre del Signore nel vostro quotidiano sforzo di donazione e di testimonianza evangelica.

Augurando a tutte voi un felice nuovo anno, ricco di fervore spirituale e di gioiosa carità, vi imparto di cuore la mia benedizione, che estendo con affetto all'intera vostra Famiglia religiosa.

Data: 1990-12-31

Lunedi 31 Dicembre 1990


GPII 1990 Insegnamenti - Alla comunità polacca - Città del Vaticano (Roma)