GPII 1991 Insegnamenti - Alla plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo con i non-credenti - Città del Vaticano (Roma)

Alla plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo con i non-credenti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Tutto viene salvato anche la banalità quotidiana

Signori Cardinali, Cari fratelli nell'Episcopato, Cari amici,


1. Vi accolgo con gioia questa mattina e vi porgo di tutto cuore il benvenuto.

Siete riuniti in assemblea plenaria, quali membri e consulenti del Pontificio Consiglio per il Dialogo con i Non Credenti, sotto la presidenza del Cardinale Paul Poupard, per riflettere su un tema dalla permanente attualità, dalle profonde incidenze pastorali: l'aspirazione dell'uomo alla felicità, come punto di ancoraggio per la fede. Questo approccio antropologico alla fede e, all'opposto, a coloro che non credono, è uno dei punti possibili per meglio rispondere alle insoddisfazioni e alle angosce, alle paure e alle minacce che pesano sull'uomo d'oggi e di cui egli cerca di liberarsi, per spalancargli la porta della felicità nella gioiosa luce di Cristo risorto "il Vivente, che ha potere sopra la morte e sopra gli inferi" (cfr. Ap 1,18). Colui che solo, offre una risposta definitiva all'angoscia e alla disperazione degli uomini.

Vi ringrazio per aver proposto questo tema della felicità alla riflessione della Chiesa, come un sostegno sul cammino della fede.


2. Come si presenta oggi la ricerca della felicità? Quali caratteristiche riveste? Come risulta dai risultati dell'inchiesta pubblicata, al termine di tre anni, nella vostra rivista "Ateismo e fede", l'aspirazione alla felicità s'identifica, presso le tradizionali popolazioni del Terzo Mondo, con un'armoniosa integrazione nel gruppo familiare ed etnico ed un elementare benessere materiale. Essa è caratterizzata, al contrario, dall'individualismo nelle società opulente, segnate dalla secolarizzazione e dall'indifferenza religiosa. La vostra attenzione si è soprattutto soffermata su queste società, poiché esse sono quelle maggiormente colpite dall'ateismo; la libertà è in esse concepita sovente come una facoltà di autodeterminazione assoluta, affrancata da ogni legge. Per molti, la felicità non si raccorda più al compimento del dovere morale, né alla ricerca di un rapporto personale con Dio. In questo senso, possiamo parlare di rottura tra felicità e moralità. Cercare la felicità nella virtù diviene un ideale estraneo, e persino strano, per molti dei nostri contemporanei. Primeggia l'interesse per il corpo, la sua salute, la sua bellezza e la sua giovinezza. E' l'immagine di una felicità racchiusa in un circolo vizioso del desiderio e della sua soddisfazione. E' vero che la compassione, la benevolenza verso gli altri ed una reale generosità, anche presso coloro che si sono allontanati dalla fede, costituiscono anch'esse delle caratteristiche di queste società.

Questa cultura è spesso definita come narcisista. Il mito ideato dall'antichità greca dimostra come gli antichi avessero già coscienza della sterilità di un amore chiuso su se stesso. Amare solo se stessi vuol dire distruggersi e perire. "Chi vorrà salvare la propria vita, dirà Gesù, la perderà" (Mc 8,35).

Lo sguardo verso gli altri, l'oblio di sé per sollecitudine verso l'altro e la sua felicità, non sono forse le più espressive immagini del mistero divino? Il Dio vivente e vero, di cui Gesù ci ha rivelato il volto, non è un Dio solitario. Tra le Persone divine, tutto è dono, condivisione, comunicazione, in un eterno respiro d'amore. Tutta la felicità di Dio e la sua gioia sono la felicità e la gioia della mutua donazione. Per l'uomo, creato a sua somiglianza, non vi è vera felicità all'infuori della donazione di sé. "Chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà" (Mc 8,35), dice Gesù.


3. Un'altra considerazione s'impone. Al contrario degli antichi che possedevano un così forte senso del tragico dell'esistenza, della solitudine dell'uomo nel mondo, della sua insufficienza dinanzi all'ideale del bello e del bene, del carattere effimero di tutte le cose e, infine, della fatalità della morte, la società della produzione e dei consumi rifiuta d'integrare nella sua idea della felicità la presenza e l'esperienza del male e della morte. Essa si costruisce perciò una immagine della felicità fragile, artificiale e, in definitiva, falsa. Ogni sistema che non affronti in profondità l'oscuro enigma della vita ha poche cose da offrire agli uomini e costoro si stancano, presto o tardi. La storia recente lo dimostra con evidenza.


4. La concezione cristiana della vita - e della felicità - ha la sua sorgente in Gesù Cristo, Dio fattosi uomo, nella sua vita terrestre in mezzo a noi, nella sua morte accettata liberamente e nella sua vittoria sulla morte il mattino di Pasqua.

"In realtà, afferma il Concilio Vaticano II, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo" (GS 22). Il mistero della felicità umana trova la sua chiave in Gesù Cristo, archetipo di ogni esistenza donata. Gesù Cristo abolisce i dolorosi antagonismi tra cielo e terra, presente e futuro, tra l'uomo e Dio. Quest'epoca, oppressa ancora dalle conseguenze del peccato ma ciononostante riscattato ormai da Cristo, può essere vissuta come un'epoca di felicità, nella speranza del suo compimento ultimo.

Questo mondo, in cui il male e la morte regnano ancora, può essere amato nella gioia, perché il Regno di Dio, che raggiungerà la sua perfezione quando il Signore ritornerà, è già presente su questa terra (cfr. GS 39, par. 3), costituendo in questo modo l'abbozzo, la figura e la profezia della terra nuova e dei cieli nuovi. La realtà corporale può essere assunta con tutto il suo peso di miserie e di sofferenze, la morte medesima può essere accettata senza disperazione, grazie alla promessa della resurrezione. Tutto viene salvato, anche la banalità quotidiana, anche la prova più dolorosa. Al peccatore è sempre offerto il perdono delle sue colpe. Questo è il senso cristiano della felicità, la promessa delle Beatitudini, di cui noi desideriamo diffondere la luce, "come... lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori" (2P 1,19).


5. Quest'anno, il bicentenario della morte di Mozart richiama la nostra attenzione sul messaggio di gioia portato dalla sua opera; vi si scorge un sentimento di felicità, come un'esperienza simultanea di morte e resurrezione. Molti percepiscono in essa, soprattutto nelle composizioni religiose, un vero canto di gioia del creato redento e riconciliato con Dio, un'eco della grazia, sorgente inestinguibile. La condivisione della fede ha bisogno di divenire un'altra volta una condivisione della gioia. Il dialogo, che talvolta si prosciuga nello scambio di idee, può ritrovare un'ispirazione privilegiata nella meraviglia dinanzi alla beltà artistica, riflesso dell'eterna e indicibile beltà di Dio.


6. Cari amici, quest'assemblea plenaria sull'aspirazione alla felicità è una soglia attraversata nella vostra breve, ma già significativa, storia: a giusto titolo vi orientate verso la riflessione antropologica. Già tre anni fa lo constatavate: le ideologie, le visioni atee del mondo, costruite nel XIX secolo, non hanno ormai altro che un'influenza sminuita e i classici dell'ateismo non occupano più il centro della scena. L'ateismo militante, con i suoi guasti, ha come generato una nuova religiosità pagana: è la tentazione dell'autodivinizzazione, tanto antica quanto la Genesi, è l'arbitrario rigetto della legge morale, è infine la tragica esperienza del male. Le società industrializzate, dalla tecnologia avanzata, dalle mentalità condizionate dai mezzi di comunicazione di massa, sono preda della svalutazione dei valori e della perdita del senso morale. E' questo un nuovo terreno di dialogo con i non credenti, compito più che mai necessario.


7. Un'era di dialogo sgombrato dal peso delle ideologie si apre all'alba del nuovo millennio. Vi sono grato perché sensibilizzate la Chiesa a questo aspetto della sua missione, con riunioni con i vostri collaboratori nelle diverse parti del mondo. Continuate quest'opera con pazienza e discernimento, invocando l'assistenza dello Spirito Santo e la protezione della Vergine Maria, "causa della nostra gioia".

In questa missione difficile e necessaria, vi accompagnano la mia benedizione e la mia preghiera.

(Traduzione dal francese)

Data: 1991-03-16
Sabato 16 Marzo 1991

La preghiera mariana in piazza san Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Oggi si è sperimentato a quali nefaste conseguenze porti un'impostazione autonoma e amorale dell'economia e della politica




1. Chi legge l'Enciclica "Rerum Novarum" si accorge che tutto il ragionamento di Leone XIII intorno alla questione operaia e alle sue adeguate soluzioni si svolge nel quadro dell'ordine morale, e più precisamente della legge divina, espressa sinteticamente nel Decalogo, delle leggi umane fatte secondo giustizia, delle virtù personali e sociali da praticare, dei doveri di carità e di giustizia che s'impongono ai datori di lavoro come ai prestatori d'opera, dell'amore dei poveri, della fratellanza cristiana. Ci fu - come è noto - chi giudico il testo papale "moralistico" ed astratto, cioè estraneo alla "storicità" delle questioni e delle controversie dibattute nella società di fine Ottocento. Ma forse oggi più di ieri siamo in grado di vedere quanto importante ed opportuno sia stato il richiamo di Papa Leone ai principii morali: si è, infatti, sperimentato a quali nefaste conseguenze porti un'impostazione autonoma e amorale dell'economia e della politica, e oggi è nuovamente avvertita l'esigenza che sia l'etica a regolare i rapporti sociali.


2. Il senso dell'Enciclica leoniana fu di indicare alle parti in causa nel conflitto sociale - operai e datori di lavoro - e allo Stato, quale garante del bene comune, la via giusta per costruire una società a misura d'uomo, in particolare una società nella quale la classe lavoratrice non fosse "oppressa con ingiusti pesi o avvilita con patti contrari alla personalità e dignità umana", una società in cui lo Stato avesse come compito di "proteggere i diritti" di qualsiasi persona, "assicurare a ciascuno il suo", "avere uno speciale riguardo alle necessità dei più deboli e poveri", aiutare i lavoratori a "migliorare la propria condizione onestamente", proteggendoli dai condizionamenti della demagogia e dalle tentazioni della violenza. Si spiega così il riferimento del Papa ai beni dell'anima e, particolarmente, al fondamento di ogni diritto, che è l'immagine divina nello spirito umano, per la quale "tutti gli uomini sono uguali, né c'è tra ricchi e poveri, padroni e servi, monarchi e sudditi differenza alcuna", e tutti sono degni di rispetto, di amore e di protezione. Oggi ci si chiede se l'invocato "ritorno" ad un'etica sia possibile senza un riferimento religioso, quale si ha, almeno implicitamente, nel riconoscimento dei valori assoluti che costituiscono il patrimonio delle grandi civiltà sorte dal monoteismo. Anzi si deve aggiungere, con Leone XIII, che di fatto è stato il Vangelo di Cristo a "trasformare da capo a fondo la società" e che, "se ai mali del mondo vi ha rimedio, questo rimedio non può essere altro che il ritorno alla vita e ai costumi cristiani".


3. Non possiamo dimenticare che Cristo è il Verbo eterno di Dio che ha assunta la natura umana per dare compimento e redenzione all'ordine universale. L'Incarnazione è l'evento decisivo della storia, dal quale dipende la salvezza non solo del singolo, ma anche della società in tutte le sue espressioni. Se non c'è Lui, viene a mancare la Via per raggiungere la pienezza di elevazione e di realizzazione dell'uomo in ogni sua espressione, non esclusa quella sociale e politica. Preghiamo la Vergine Santissima perché ottenga a tutti gli uomini ed a tutti i popoli quella grazia di Cristo, che - per strade visibili ed invisibili - porta al vero bene dell'uomo, anche nella sua dimensione sociale.

Data: 1991-03-17
Domenica 17 Marzo 1991

Le visite pastorali del Vescovo di Roma

Titolo: Parrocchia di san Maurizio Martire ad Acilia

Ai bambini Abbiamo sentito un bel discorso, bello e breve. Si dice che le donne usano parlare a lungo, invece qui è avvenuta un'altra cosa.

Ha parlato poco, ha detto poche parole, allora anch'io devo dire poche parole o piuttosto devo parlare un po' più a lungo. Sono entrato qui nella vostra chiesa, la Santa Messa la celebreremo fuori, e che cosa vedo qui? Vedo qui tre cose insieme. Vedo la famiglia, vedo la scuola e vedo la Chiesa. Perché ciascuno di voi appartiene a queste tre realtà: la famiglia per prima, ma la famiglia è già un po' la Chiesa perché nella famiglia noi siamo stati battezzati, introdotti nella Chiesa, poi nella famiglia noi impariamo a pregare seguendo i nostri genitori. La famiglia è la scuola della preghiera quindi la famiglia è anche la Chiesa. Ma la famiglia è anche la scuola perché i primi insegnamenti li riceviamo nella famiglia e poi, ottenuti questi primi insegnamenti, andiamo a scuola perché la famiglia ha bisogno di essere aiutata per la nostra formazione, per la nostra educazione. In tanti campi non possono essere i nostri genitori specialisti per tutte le materie, devono portare i loro figli a scuola dove ci sono più insegnanti, maestri, professori per educarci, insegnarci queste diverse materie.

Il mondo è molto ricco e per conoscere il mondo si deve imparare questa realtà attraverso le diverse specializzazioni, le diverse materie umanistiche, la matematica, la fisica. Nella famiglia non ci sono esami. Nella scuola ci sono esami e questo qualche volta non piace tanto ai bambini, ai ragazzi. Preferiscono non avere esami. Ma gli esami sono necessari, sia a scuola che nella famiglia. E anche nella Chiesa. Esami diversi. Parlerei soltanto dell'esame che si fa nella Chiesa. Si, anche nella catechesi si fa un esame orale per dimostrare se siamo preparati, se possiamo esprimere i concetti della nostra fede, ma l'esame che si fa nella Chiesa è soprattutto un'esame interiore che si fa dentro alla nostra coscienza: i nostri comportamenti, anche della nostra fede. L'esame maggiore è la nostra partecipazione ai sacramenti, soprattutto al Sacramento della Confessione.

Il Sacramento dell'Eucaristia è pero un esame superiore, superiore a tutti perché nell'Eucaristia, nella Comunione, dobbiamo trovarci davanti ad Uno che ci ama e che ci conosce. Ci conosce amando e che ama conoscendo. Allora questo esame dell'Eucaristia è sempre l'esame supremo. Diverso da quello che si fa nella scuola o anche nell'università; qui ci sono i vostri colleghi più adulti che sono catechisti e li ringrazio per l'aiuto che danno alla parrocchia. Ma, soprattutto, Gesù ci scruta nella nostra coscienza, nel nostro comportamento e ci conosce amando e ci ama conoscendoci. Voglio augurare a tutti voi di rimanere in contatto sempre più profondo con Gesù, Figlio di Dio che si è fatto uomo. E' un momento molto opportuno perché, come sapete, adesso la Chiesa vive il suo periodo quaresimale, si prepara alla Pasqua di Cristo che vuol dire la sua Passione, la sua Croce, la sua Risurrezione. Tutto questo è un mistero più sublime, mistero più profondo. Noi siamo salvati, redenti attraverso questo mistero, ma anche davanti a questo mistero di Gesù crocifisso e risorto dobbiamo valutare e giudicare i nostri comportamenti e la nostra vita. Perché Gesù ha dato un significato, un valore ultimo alla vita umana, all'essere uomo. Questo vi auguro ed è anche il mio più profondo desiderio. Per questo sto sempre pregando, perché voi sappiate mantenere il contatto vivo, sempre più profondo, sempre più autentico, sincero con Gesù. Lui è amico, è un amico fedele, invisibile ma fedele. Vi auguro di incontrare e di vivere questa amicizia con Gesù tutta la vita. Amicizia è il nome supremo dell'esame. Trovare un amico fedele, essere fedele nell'amicizia. Questo è sempre l'esame superiore di tutti. Allora torniamo di nuovo ai tre ambienti. Vorrei che portiate il mio saluto nel vostro ambiente scolastico, nella scuola, ai vostri coetanei, ai vostri insegnanti e maestri. Voglio anche che portiate questo mio augurio e benedizione alle vostre famiglie. Ditelo ai vostri genitori, ai vostri fratelli e sorelle che abbiamo parlato di loro, abbiamo pregato per loro, per tutta la parrocchia che è sempre famiglia delle famiglie. così nella nostra preghiera eucaristica saranno introdotte intenzionalmente, spiritualmente tutte le famiglie di questa famiglia che è la vostra parrocchia. Voglio concludere con una benedizione per vivere bene in questi tre ambienti: famiglia, scuola, parrocchia-Chiesa.

L'omelia durante la celebrazione eucaristica "Vogliamo vedere Gesù".


1. Carissimi fratelli e sorelle, queste parole rivolte all'apostolo Filippo da alcuni greci, saliti a Gerusalemme insieme alla folla dei giudei convenuti per celebrare la Pasqua, attirano oggi, ultima domenica di Quaresima, la nostra particolare attenzione. Nella città santa, dove Gesù si è recato per l'ultima volta, c'è molta gente. Ci sono i piccoli e i semplici che l'hanno accolto festosamente, riconoscendo in Lui l'Inviato nel nome del Signore ed il Re d'Israele. Ci sono i farisei e le altre autorità giudaiche, che lo temono, decisi ad eliminarlo perché considerato sovvertitore e quindi "scomodo" per i loro piani.

Ci sono pure alcuni pagani, i greci appunto, che sono curiosi di vederlo e saperne di più intorno alla sua persona ed alle opere da Lui compiute, l'ultima delle quali - la risurrezione dell'amico Lazzaro - ha destato meraviglia e scalpore in tutti. "Vogliamo vedere Gesù": si avverte in queste parole una richiesta che va oltre l'episodio narrato dall'Evangelista. Esse, infatti, manifestano un'aspirazione e una domanda che percorrono i secoli e sgorgano più o meno esplicitamente dal cuore di molti uomini che hanno sentito parlare di Cristo, ma non lo hanno ancora incontrato.


2. Gesù coglie questa istanza e offre una risposta che svela la sua identità messianica e indica la strada per entrare nell'esperienza del suo "mistero" di Redentore, che dona la vita a coloro che credono in Lui e si aprono alla sua parola e alla sua azione salvifica. Gesù, nella sua risposta, fa riferimento al momento che si prepara a vivere e più precisamente all'ora che sta per scoccare e che rappresenta il punto d'arrivo della sua esistenza e di tutta la storia della salvezza. E' l'ora della Croce. E' l'ora del giudizio, della sconfitta di Satana, principe del male, e quindi del trionfo definitivo dell'amore infinito di Dio.

Elevato da terra, Cristo, infatti, è sospeso sul patibolo della Croce e si offre volontariamente alla morte; ma è anche esaltato dal Padre, nella risurrezione, per attirare tutti a Sé e perciò riconciliare gli uomini con Dio e tra loro. E' l'ora del suo sacrificio pasquale, colto non solo come momento di sofferenza e di morte, ma soprattutto nella sua più profonda e interiore dimensione di dono e di offerta; come atto supremo di obbedienza e di glorificazione del Padre e come sorgente di redenzione per quanti crederanno in Lui. E' l'ora, finalmente, in cui si realizzerà la nuova ed eterna alleanza, annunciata dai profeti ed in particolare da Geremia. Un'alleanza non più scritta su tavole di pietra, come l'antica, ma sancita dal sangue di Cristo e suggellata dal dono dello Spirito, che Egli effonderà dal costato squarciato nel cuore dei credenti, affinché siano in Lui una cosa sola e diventino annunciatori e testimoni del suo amore.


3. Gesù, tuttavia, si propone a tutti come Salvatore, oltre che con la parola, anche attraverso un'immagine semplice e suggestiva, ricca pure di implicazioni vitali per coloro che aderiranno a Lui con la fede e diventeranno suoi discepoli.

Quella precisamente del chicco di grano che, sepolto nella terra, muore per portare frutto. così commenta, a riguardo, un Padre della Chiesa: "Nel grano di frumento il Signore e Salvatore nostro indica il suo corpo. Quando poi fu sepolto in terra ha portato frutti abbondanti, perché la risurrezione ha fatto spuntare in tutta la terra i frutti delle virtù e le messi dei popoli fedeli". Nell'immagine del chicco di grano è dato cogliere dunque un altro aspetto del mistero pasquale di Cristo: quello della fecondità dell'evento di cui Egli è protagonista. Dalla sua morte e risurrezione, infatti, promana la forza dello Spirito, l'acqua viva della grazia, che dà origine al popolo della nuova alleanza, la Chiesa, comunità pasquale aperta a tutti gli uomini. Ma la morte di Cristo, vista come il grano marcito da cui scaturisce la vita, diventa altresi paradigma per l'esistenza del discepolo, chiamato a seguirlo sulla stessa strada, a fare come ha fatto Lui, per diventare così collaboratore e servo del progetto divino della salvezza universale. E di ciò possono dare testimonianza tutti quelli che hanno sperimentato la forza della Croce. Molti di voi, almeno una volta, hanno già sperimentato la forza della Croce di Cristo.


4. Carissimi fratelli e sorelle della Parrocchia di San Maurizio in Acilia, fatevi attenti e disponibili alla "lezione di vita" che il messaggio della liturgia odierna vi dà, specialmente per quanto concerne l'impegno di evangelizzazione al quale è sollecitata la vostra comunità e tutta la Chiesa di Roma con il Sinodo pastorale diocesano. Aprite gli occhi sulla realtà del vostro quartiere: raccogliete le domande che salgono dal cuore degli uomini e delle donne, giovani soprattutto, di "vedere Cristo" e date loro le risposte che il Vangelo vi offre.

Con queste esortazioni, unitamente al Pro-Vicario Generale, l'Arcivescovo Monsignor Camillo Ruini, e al Vescovo del Settore Sud, Monsignor Clemente Riva, vi esprimo il mio cordiale saluto e vi ringrazio per la vostra partecipazione a questa celebrazione eucaristica, in occasione della mia visita a questa zona, che si avvia a diventare una comunità sempre più unita e solidale, sia nell'espressione della fede cristiana, sia nelle iniziative di carattere sociale.

Saluto egualmente il Parroco, Don Loris Massimo Zannini, e i sacerdoti suoi collaboratori, che non cessano di promuovere una catechesi capillare in tutti gli agglomerati di questa vasta plaga del Sud di Roma. Vi esorto ad approfondire sempre più la conoscenza e l'amore di Gesù Nostro Signore, che in questi giorni ricordiamo nella sua passione, morte e risurrezione, cioè nel mistero della Pasqua; curate gli incontri liturgici con l'assidua frequenza alla Santa Messa; rendetevi generosamente disponibili per l'aiuto concreto alle persone sofferenti e bisognose. Dite a tutti che Dio ci ama ed è presente nel cuore dell'uomo e nella storia umana, anche se segnata da tante contraddizioni e lacerazioni. Risvegliate nell'intimo di ognuno la domanda religiosa, spesso latente, annunziando con coraggio che in Cristo Gesù Dio ci ha svelato il suo volto di Padre e ci ha offerto una salvezza piena e definitiva. Proclamate senza paura e senza compromessi che Cristo è la via, la verità e la vita; la radi ce e la sorgente della libertà, della giustizia, della solidarietà e della pace.


5. Carissimi, la "buona notizia" che Gesù ha portato al mondo è costituita dalla sua Croce gloriosa, espressione suprema della sua vita data per amore. Fate anche voi lo stesso. Gesù lo chiede con particolare insistenza e forza a coloro che vogliono essere suoi discepoli e testimoni e perciò mettersi al servizio del suo Regno. E' quanto ci ha ricordato il Vangelo di questa domenica: "Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua e dove sono io là sarà anche il mio servo". Il Signore Gesù vi chiede di condividere le sue scelte, di testimoniare la sua carità, di diventare chicchi di frumento, pronti a morire all'egoismo, alla superbia e alla falsità per risorgere a nuova vita nello Spirito. In una parola vi chiama all'appuntamento della Croce, dove l'amore è capace di donarsi totalmente e a tutti. Questa è la Pasqua di Gesù. Questa Pasqua si avvicina. Vi auguro di vivere profondamente, nelle prossime settimane, questo grande mistero di Gesù, mistero della Chiesa, mistero nostro. Amen! Al consiglio pastorale Grazie per questa presentazione, grazie per l'accoglienza e la presenza di tutti i membri del Consiglio Pastorale. Da quanto ho capito la struttura di questo Consiglio è dinamica, non è solamente Consiglio nel senso intellettuale, ma potrei dire Consiglio animatore. Fa l'animazione nelle diverse zone in cui è diviso il territorio della vostra parrocchia, ma lo fa anche al centro, nella parrocchia, che è sempre animata da questi doni, dalla necessità, dai bisogni, dai desideri, dalle proposte. Penso che è un concetto molto adeguato anche per il lavoro del Consiglio nel senso stretto della parola. Per fare consiglio, per decidere, si deve anche conoscere la realtà. Ci sono anche alcune opere che servono alla comunità, specialmente alle persone più bisognose della comunità parrocchiale. Penso che la vostra parrocchia è ancora in ricerca delle sue proprie strutture, della sua propria dimensione perché tutto è qui ancora molto nuovo. Ma è anche entusiasmante questa novità, questo spirito di ricerca, di improvvisazione. Vi ringrazio, carissimi fratelli e sorelle, per il vostro impegno, per aver dato una mano al vostro parroco nel creare questa comunità e nel farla crescere e maturare nello spirito di Cristo, nello spirito della Chiesa di Roma che ha una caratteristica e una responsabilità speciale per essere stata fondata dagli Apostoli Pietro e Paolo. Allora una nuova parte di questa eredità della Chiesa di Roma appartiene anche alla vostra parrocchia dedicata ad un altro martire, San Maurizio, e dedicata a tutte le persone vive, aperta a queste persone perché la Chiesa si fa sempre comunità arrivando alle persone, facendo entrare le persone. così si realizza anche la parola espressa nella mia prima Enciclica: l'uomo è la via della Chiesa. Ringraziandovi voglio anche augurare tutto il bene per voi, per la vostra parrocchia, per le vostre famiglie, per gli ambienti di lavoro, per tutto questo anche nella prospettiva delle celebrazioni della solennità pasquale che vivremo tra poco.

Ai gruppi caritativi Si vede che il Papa è anche utile! Le sue visite sono utili, ho già costatato più volte nelle diverse dimensioni, nelle parrocchie, ma anche nelle città, nelle diocesi visitate in Italia e anche negli altri Paesi, mi dicono sempre che quando il Papa arriva devono pulire, devono sistemare, devono preparare. Il Papa serve anche un po' all'ordine pubblico, serve al progresso civile. Almeno ha questa utilità!Ma questo è un aspetto che ci fa un po' ridere ed essere gioiosi, ma d'altra parte ci dice tanto della nostra vocazione perché noi dobbiamo essere per gli altri anche in questo senso di cui abbiamo parlato. Dobbiamo essere per gli altri. Questo ci ha insegnato Gesù. Vivere per gli altri come Lui ha vissuto per il Padre nella sua eternità, nella divinità e questo è così marcato, così presente, nelle parole del Vangelo e soprattutto del Vangelo di Giovanni. così marcato, così visibile che Lui è veramente Verbo del Padre e vive tutto dal Padre e per il Padre. Nello stesso tempo Gesù ci ha insegnato a vivere per gli altri, per i fratelli ed ha assunto tutti noi come fratelli, non solamente i suoi contemporanei, coloro che gli erano vicini, i suoi Apostoli, i Discepoli, ma tutti noi, tutta l'umanità in ogni generazione. E questo è il mistero della Chiesa: Cristo non solamente è con noi - "io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" -, ma Cristo è sempre per noi, è il segno sacramentale di questo suo essere per noi e con noi. E' una cosa stupenda se si pensa davanti al Tabernacolo: è sempre là, sempre là per aspettarci, per aprirci, per essere ricevuto, per ricevere noi. E' una profondità, una ricchezza grande questa che ci dà la nostra fede. Vi auguro di vivere questa ricchezza di Cristo di cui parla, con un altro linguaggio rispetto a Giovanni, anche S. Paolo. Cerchiamo di comprendere, di appropriarci di tutto questo per offrirlo agli altri come fate in questi gruppi di catechesi, e anche attraverso la mensa comune e con la carità. Lo si può fare anche attraverso un semplice colloquio. Si, un colloquio umano può essere qualcosa di insignificante, ma può essere un grande atto di carità, pieno di carità, pieno di doni.

Ai gruppi giovanili Siamo a buon punto. Penso che San Paolo ha cominciato nello stesso punto quando scriveva ai cristiani del suo tempo, ai convertiti, alle comunità che doveva fondare in diversi posti del mondo, che erano degli atleti. Cominciate con l'atletica, con la gara. Certamente è un fenomeno fisico ma con una possibile interpretazione spirituale perché la persona umana è unità. Unità del corpo e dello spirito, del fisico e del psichico. così San Paolo incominciava con questa esperienza agonistica dei suoi ascoltatori, dei suoi - possiamo dire - parrocchiani di San Maurizio. E poi attraverso questa esperienza agonistica San Paolo mostrava un'altra esperienza, anche agonistica, ma superiore in quanto si tratta degli alti valori, degli alti contenuti, delle mète soprannaturali. così avvicinava a Cristo, mostrava Cristo attraverso l'esperienza agonistica. Penso che ci troviamo a questo punto con la vostra parrocchia, un punto promettente. Si vede non solamente in queste esperienze sportive ma anche con l'esperienza e lo sforzo educativo e auto-educativo dei giovani che hanno già ricevuto la Cresima. La Cresima è molto simile, appartiene all'esperienza agonistica, ci prepariamo tutti ad essere testimoni di Cristo. Questa esperienza agonistica e esperienza cristiana si esprime nella testimonianza che non è solamente una cosa intellettuale, ma è una cosa esistenziale. Auguro ai ragazzi che dopo la Cresima cerchino di approfondire il sacramento che hanno già ricevuto, di approfondire le sue conseguenze, auguro di capire e di realizzare questa testimonianza nel senso esistenziale. Si dà testimonianza a Cristo con le parole, con la professione della fede, ma anche con tutto il nostro comportamento, con la nostra esistenza cristiana, anche senza parola. Si può testimoniare, si può fare un apostolato stupendo, si può anche far crescere gli altri, convertire gli altri. La vostra parrocchia è giovane e così dev'essere portata avanti dai giovani. Ho visto prima anche le persone anziane che cercano di aiutare gli altri. Anche loro devono essere giovani in questa parrocchia giovane.

Ma voi giovani siete al posto giusto.

Data: 1991-03-17
Domenica 17 Marzo 1991

Ai membri del "Bureau esecutivo" della Confederazione Mondiale del Lavoro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Vocazione alla santità

Cari amici,


1. Sono felice di accogliere voi che rappresentate numerosi lavoratori cristiani, in tutto il mondo. E ringrazio il vostro Presidente per le sue parole che rendono bene le generose preoccupazioni della vostra confederazione. La vostra presenza qui, in quest'anno in cui celebriamo il centenario della promulgazione dell'enciclica "Rerum Novarum", dedicata alla "questione operaia", non può non rammentarci questo documento dell'insegnamento sociale della Chiesa e l'influenza che esso ha avuto fino ai nostri giorni.

E, invero, voi ne siete la testimonianza viva, come lavoratori cattolici impegnati, pienamente coscienti delle vostre responsabilità nei confronti dei colleghi di lavoro e della stessa Chiesa. Infatti, rappresentate un insieme di organizzazioni che desiderano affermarsi in quanto cristiane. In questo, voi siete gli eredi dell'insegnamento della "Rerum Novarum" e del suo illustre autore che, come ben sapete, affermava l'importanza e la necessità di sindacati che associassero i lavoratori cristiani e difendeva, per questi sindacati, il diritto all'esistenza e alla libertà.

Nel corso di questo breve incontro, alla vigilia della festa di san Giuseppe, modello per gli artigiani e per i lavoratori, desidero ricordare due cose che mi sembrano importanti per la realizzazione della vostra vocazione di lavoratori cristiani riuniti in una organizzazione come la vostra.


2. In primo luogo, siate sempre più consci della vostra dignità. Essere lavoratore è già motivo di vanto, poiché attraverso il vostro lavoro, qualunque esso sia, rendete più agevole e più felice la vita degli uomini e delle donne nella società, consacrando a ciò la vostra energia e le vostre competenze. Di più, essere un lavoratore cristiano vi pone sulla via dell'imitazione di Gesù Cristo che ha scelto liberamente di essere Egli stesso operaio (cfr. Mc 6,3). Rendete, in questo modo, la vostra vita e la vostra condizione un'offerta gradita al Signore. La vocazione alla santità non è qualcosa di aggiunto o di marginale in rapporto alla vostra condizione di lavoratori cristiani, ne rivela bensi tutto il senso. Non abbiate quindi paura di manifestare la vostra professione di fede cristiana, individualmente o come membri di una confederazione che porta anch'essa il nome che vi qualifica.


3. In secondo luogo, come avete ricordato, ho voluto proclamare quest'anno, centenario dell'enciclica di Leone XIII, Anno della Dottrina sociale della Chiesa.

Ora, questo attiene direttamente alla vostra vocazione di sindacalisti cristiani.

In quanto tali, voi siete i testimoni e, per così dire, i portatori di questa dottrina, ancora molto spesso ignorata o mal compresa.

In questi tempi difficili e confusi sotto molti aspetti, la vostra missione è quella di proclamare e soprattutto incarnare la dottrina sociale nell'esercizio stesso della vostra vita di lavoratori, di membri e di responsabili delle vostre organizzazioni. Si tratta, certamente, di conoscere bene questa dottrina, di farla conoscere agli altri, ai giovani soprattutto. Ma bisogna, innanzitutto, porla in pratica nel dialogo con i vostri colleghi di lavoro, con i dirigenti d'impresa, con i responsabili di altre organizzazioni sindacali non specificatamente cristiane. La dottrina sociale della Chiesa, infatti, è destinata ad essere vissuta ed applicata nella vita concreta degli uomini e delle donne, in tutte le dimensioni della vita nella società e con tutte le responsabilità ch'essa comporta, a partire dalla propria famiglia, fino alla vita della nazione e della comunità internazionale.

Prego il Signore che renda voi e la vostra confederazione, più ancora che innanzi, focolari di irradiazione della dottrina sociale, in quest'anno che è ad essa consacrato.

E vi benedico di cuore, così come benedico le vostre famiglie e tutti i membri della vostra organizzazione.

(Traduzione dal francese)

Data: 1991-03-18
Lunedi 18 Marzo 1991


GPII 1991 Insegnamenti - Alla plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo con i non-credenti - Città del Vaticano (Roma)