GPII 1991 Insegnamenti - L'omelia della messa per l'apertura del II Sinodo nazionale - Varsavia (Polonia)

L'omelia della messa per l'apertura del II Sinodo nazionale - Varsavia (Polonia)

Titolo: Nella nostra terra la Chiesa si rinnovi a misura dei tempi e rinnovandosi confermi tutta l'identità di mille anni




1. "Dove sono due o tre uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" - dice il Cristo Signore (Mt 18,20).

Qui, nel nome di Cristo, si uniscono non due o tre uomini, ma tutta la Chiesa che vive in terra polacca. La Chiesa intera - il Popolo di Dio, consapevole della propria partecipazione alla missione messianica di Cristo - Profeta, Sacerdote, pastore. Il Popolo di Dio, sensibile alle esperienze del Divin Cuore del Redentore. Il Popolo di Dio che da mille anni vive nella Chiesa apostolica, edificata sul fondamento di Pietro e di tutti i testimoni del Vangelo, della Croce e della Risurrezione.

Questa Chiesa qui - per mezzo dei suoi rappresentanti - si riunisce oggi, nella basilica varsaviense del Sacratissimo Cuore di Gesù, per iniziare il Sinodo Plenario. Esprimo la mia gioia, perché in questo momento importante, posso, come Vescovo di Roma, ed insieme vostro connazionale, dar inizio - con tutti i Pastori della Chiesa in Polonia - a quest'opera. La gioia di poterla offrire, tutta, in un certo senso dal primo istante, in sacrificio Eucaristico a Colui "da cui, grazie a cui e per cui sono tutte le cose" (cfr. Rm 11,36): offrirla "Al Re dei secoli incorrutibile" (1Tm 1,17). Sono lieto di poterlo fare per mezzo del Cuore della Madre, presente qui con noi, perseverando nella preghiera, così come perseverava con gli apostoli nel cenacolo il giorno di Pentecoste quando tutti furono "battezzati" con lo Spirito Santo.


2. Sinodo significa incontro, una convergenza di vie, lungo le quali gli uomini e le comunità umane cercano di seguire il Cristo. Infatti solo Lui è la via, l'unica via, la verità e la vita (cfr. Jn 14,6). Noi, uomini, come Chiesa e come tutte le chiese esistenti in questa unica Chiesa, dobbiamo sempre ritrovare quell'unica via quale è Cristo. Dobbiamo in un certo senso costantemente verificare, se egli è proprio la via che noi percorriamo: lungo la quale camminiamo nella comunità. I Sinodi ebbero sempre una dimensione comunitaria, il che è strettissimamente unito con l'essenza stessa della Chiesa.

La Chiesa è, infatti, il popolo legato dall'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Tale è la sua più profonda realtà. Tale è la verità teologica sulla Chiesa, che trova nei Sinodi la propria espressione, la sua particolare attualizzazione.

Cristo ha detto: "tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo" (Mt 18,18).

Sinodo non è soltanto un incontro, un riconoscimento della convergenza di vie. E allo stesso tempo "il legare". Proprio come questo, nel profondo il mistero trinitario della Chiesa. Mediante il sinodo dobbiamo confermare quell'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, che definitivamente decide dell'unità del Popolo di Dio nella Chiesa.

I sinodi non solo devono confermare tale unità ma anche consolidarla.

Tale è il loro contributo storico alla vita della Chiesa, iniziando dal più antico sinodo, che ebbe luogo a Gerusalemme verso l'anno 50, durante la vita degli apostoli - attraverso tutti i successivi sinodi ecumenici, (cioè i Concili), provinciali e diocesani - fino a questo, che oggi iniziamo a Varsavia come il II Sinodo Plenario in Polonia.


3. La sua dimensione storica è composta da varie circostanze. Prima - da parte della Chiesa universale - il vostro Sinodo apre i suoi lavori dopo il Concilio Vaticano II (il quale è stato il Concilio del nostro secolo). Contemporaneamente esso si trova di fronte all'inizio del terzo Millennio dopo Cristo. Queste circostanze da sole decidono del carattere del Sinodo Plenario e dei suoi compiti.

In esso infatti non può far a meno di riflettersi tutto il "novum" conciliare unito al Vaticano II. Neppure può far a meno di mettere in risalto tutti i "segni dei tempi", che si delineano all'orizzonte del nostro suo termine.

Come Sinodo Plenario polacco - esso è il primo sinodo dopo il nostro Millennio del 1966. Dal precedente lo separa un ciclo intero di eventi decisivi, iniziando dall'anno secolo, mentre esso volge verso il 1939. In questi eventi è contenuta anche una particolare esperienza storica della Polonia e della Chiesa in Polonia. Abbiamo tanti motivi, per ringraziare la Provvidenza per i buoni frutti di questa esperienza, che costo così tanto; non possiamo pero ignorare i frutti cattivi, avendo in mente la parabola di Cristo dei due alberi. Quei due alberi crescevano nella nostra terra, l'uno e l'altro davano frutti nelle anime polacche.

Dobbiamo dunque esaminare con molta perspicacia i "segni dei tempi", i segni del nostro tempo.

Occorre ancora aggiungere che il Sinodo Plenario Polacco procede in qualche modo di pari passo con il Sinodo Europeo intrapreso sulle tombe degli Apostoli degli Slavi a Velehrad. Da parte sua ciò indica il contesto di una sfida che la Chiesa in Polonia accetta insieme a quelle di tutto il continente.


4. Mosè dice a Israele "Obbedirai alla voce del Signore tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge; quando ti sarai convertito al Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima" (Dt 30,10).

Si può dire che il Sinodo è anche un tempo di conversione? Un tempo - o piuttosto: un processo? Si. Bisogna affermarlo subito all'inizio. Tutta l'esistenza cristiana è un processo di conversione. II Sinodo esprime in modo particolare questa esistenza. E se è indispensabile che lo Spirito di verità "ci convinca quanto al peccato" (cfr. Jn 16,8) - allora la via per questo è la conoscenza della verità e la conoscenza della legge. La legge dell'agire si fonda nella verità dell'esistenza. Questa è la verità la cui dimensione umana - universalmente umana - trova la propria profondità in Cristo. Cristo rivela l'uomo all'uomo rivelandogli la sua definitiva vocazione: rivelando Dio nella sua eterna paternità e nel suo mistero trinitario.

E' per questo "La legge del Signore è perfetta, rinfranca l'anima... i comandi del Signore... danno luce agli occhi" (Ps 18/19,8-9). E contemporaneamente: "Questa parola è molto vicina a te (ad ognuno), è nella tua bocca e nel tuo cuore perché tu la metta in pratica" (Dt 30,14). Sembra un compito importante del Sinodo mostrare la bellezza della verità divina e della legge divina. Della sua mirabile condiscendenza, della sua - si può dire - verifica umanistica: "Questo comando che ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te" (Dt 30,11). Bisogna ricostruire nelle generazioni che verranno l'amore per la verità e per la legge di Dio, poiché la loro fonte è in Dio stesso, è il suo eterno amore per la creazione, l'amore per l'uomo: la "filantropia" divina.


5. Esprimiamo dunque la gioia che, a motivo dei lavori del Sinodo Plenario, "i fratelli vivranno insieme" (cfr. Ps 132/133,1) - i fratelli delle diverse diocesi e regioni della nostra Patria, ecclesiastici e laici nel comune senso della chiamata cristiana la quale, sempre (come insegna il Concilio) è una chiamata all'apostolato: gli uomini e le donne: i rappresentanti delle diverse generazioni; la gioventù: tutti.

Che in questa comunità sinodale risuoni l'eco della Pentecoste di Gerusalemme, quando tutti i radunati, insieme alla Madre di Dio e agli apostoli scoprivano e proclamavano al mondo le "magnalia Dei" (Ac 2,11).

Che si rinnovi la Chiesa nella nostra terra patria a misura dei tempi verso i quali camminiamo. E rinnovandosi confermi tutta la sua identità di mille anni, perché la Parola di Dio ritorni a tutti colma della sua potenza salvifica.

Perché possiamo ripetere con l'Apostolo: "Signore... Tu hai parole di vita eterna, Signore, da chi andremo?" (Jn 6,68).

E Pietro pronuncio queste parole nei pressi di Cafarnao. E queste parole erano la preparazione all'Eucaristia, che Gesù annunzio allora e che istitui il giorno prima della sua passione e risurrezione. Anche da essa - dall'Eucaristia - iniziamo i lavori del II Sinodo Plenario in Polonia.

(Prima di concludere la celebrazione, Giovanni Paolo II ha voluto ancora rivolgere un saluto all'assemblea di fedeli presenti nella chiesa del Sacro Cuore:) Cari fratelli, permettete che prima di chiudere legga ancora parole che toccano il cuore, quelle di San Paolo ai Filippesi, che ho tralasciato nell'omelia perché risuonino ancora una volta in mezzo a questa Assemblea, ora, per concludere prima della benedizione.

"Se c'è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c'è conforto derivante dalla carità, se c'è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con l'unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ognuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Non cerchi ciascuno il proprio interesse, ma anche quello degli altri" (2,14).

Che queste parole formino il clima spirituale del II Sinodo Plenario Polacco, e allo stesso tempo siano il punto d'arrivo dei lavori e delle preghiere sinodali.

Desidero ancora dare il benvenuto qui, a Varsavia, al Cardinale Laszlo Paskai di Budapest e salutare con affetto tutti i partecipanti di questa Eucaristia, e tra loro i fratelli e le sorelle di rito greco-cattolico con il loro vescovo, e i nostri fratelli e sorelle di rito armeno. Mi rivolgo con espressioni di profonda e cordiale unione a tante, tante persone che hanno partecipato a questa Eucaristia fuori della Chiesa, e a tutti coloro che vi hanno partecipato attraverso la radio e la televisione. Alla fine, dopo queste ultime parole, desidero ancora, insieme con tutti voi, cari fratelli e sorelle, partecipanti di questo Sinodo Plenario, recitare la preghiera conciliare che potrà testimoniare la continuità e l'unione della vostra assemblea e dei vostri lavori con il Concilio Vaticano II. Per quattro anni questa preghiera apriva le sessioni del Concilio Vaticano II.

Ci presentiamo davanti a Te, Spirito Santo, come peccatori, ma riuniti nel Tuo nome. Vieni tra noi, rimani con noi, penetra nei nostri cuori, insegnaci quel che dobbiamo fare e quale direzione prendere. Mostraci che cosa dobbiamo scegliere affinché possiamo, con il Tuo aiuto, piacerTi in tutte le cose. Tu stesso sii nostro consigliere e autore dei nostri propositi; Tu che con Dio Padre e con Suo Figlio porti il nome glorioso; Tu che ami la giustizia, non permettere che noi ne diventiamo distruttori. Che la nostra ignoranza non ci induca in errore, il successo non ci inganni, che non ci macchi l'interesse proprio o altrui. Legaci strettamente a Te con il dono della Tua grazia affinché in Te siamo una cosa sola e non ci allontaniamo mai dalla verità. E poiché siamo riuniti nel Tuo nome, che in tutto ci governi la giustizia guidata dall'amore, così che ora non facciamo niente contro la Tua volontà, e per il futuro con le nostre buone azioni ci guadagniamo l'eterna ricompensa.

Amen.(Traduzione dal polacco)

Data: 1991-06-08
Sabato 8 Giugno 1991

L'incontro con il Corpo diplomatico nella sede della nunziatura apostolica - Varsavia (Polonia)

Titolo: Dai profondi cambiamenti sociali rinasce la speranza di un'"Europa dello spirito"

Eccellenze, Signore, Signori,


1. L'incontro odierno con il Corpo Diplomatico accreditato a Varsavia si svolge nella sede della Nunziatura Apostolica, appartenente alle più antiche d'Europa.

Già nel 1555 venne in Polonia il nunzio Luigi Lippomano. Da quel tempo la Nunziatura esisteva in Polonia fino al 1796, quando, dopo la terza spartizione della Polonia, l'ultimo rappresentante della Sede Apostolica dovette lasciare questo Paese. Dopo centoventidue anni, nel maggio 1918, dopo il ricupero dell'indipendenza, fu nuovamente istituita la rappresentanza della Sede Apostolica. La dirigeva l'arcivescovo Achille Ratti, più tardi Papa Pio XI.

Dopo la tragica scossa della seconda guerra mondiale avvenne nuovamente, in seguito alla disdetta unilaterale del concordato del 1925, una lunga assenza del nunzio in Polonia, durata alcune decine di anni. Tale assenza, per la società polacca, fu qualcosa di molto umiliante e doloroso perché fu causata, contro la volontà della nazione, dal totalitarismo imposto alla Polonia, un sistema ostile alla Chiesa.

Il ristabilimento dei pieni rapporti diplomatici avvenne solo due anni fa - il 17 luglio 1989 - in effetto dei mutamenti politici, compiutisi in Polonia.

La presenza a Varsavia di un rappresentante della Sede Apostolica è segno della riacquistata sovranità dello stato fondato sulla pienezza dei sovrani diritti della società in esso vivente. Un'analoga situazione sussiste da poco nel caso di alcuni altri Stati di questa parte d'Europa, i quali riacquistando la propria soggettività, hanno anche ripreso le relazioni diplomatiche con la Sede Apostolica.

Così dunque, egregi Signori, durante questo quarto pellegrinaggio in Patria, per la prima volta posso incontrarmi con voi qui, nella Nunziatura.

Approfittando di questa circostanza vi prego di trasmettere ai Governi ed alle Nazioni, che rappresentate a Varsavia, le espressioni del mio profondo rispetto e l'augurio di ogni bene.


2. La sollecitudine di assicurare i diritti di ogni Nazione e società costituisce una parte di particolare importanza della coscienza che la Chiesa ha oggi della sua missione. Lo mette in evidenza anche il fatto che questo mio incontro con i Membri del Corpo Diplomatico si sta svolgendo in uno di quei Paesi, che nello spazio dell'anno 1989 divennero in un certo senso delle tappe di un lungo cammino verso la libertà. Conformemente alla propria missione di evangelizzazione, la Chiesa prese le difese dei diritti di ogni uomo e di tutta la società umana, dei diritti basati sulla natura umana comune a tutti e sulla legge naturale, diritti confermati da Cristo nel Vangelo.

E' difficile non sottolineare qui sotto questo aspetto il ruolo particolare della Chiesa e del cristianesimo in quei Paesi e in quelle società, nei quali avvenne una svolta profonda.

Non dimentichiamo che in questa parte del continente, a volte dopo un millennio di presenza in un dato Paese, la Chiesa si trovo di fronte ad una sfida da parte dell'ideologia del materialismo dialettico, sostenuta dalla forza di uno stato totalitario, che riteneva ogni religione un fattore alienante l'uomo. E' stato proprio qui che la proclamazione delle elementari verità sulla dignità dell'uomo e sui suoi diritti, del fatto che egli è il soggetto della storia e non soltanto "un riflesso dei rapporti socio-economici", dovette unirsi indissolubilmente, come nel caso della Chiesa polacca, alla difesa dei diritti spettanti ad ogni uomo e a tutta la comunità nazionale. Tale servizio si esprimeva tra l'altro nel coraggioso compimento della funzione critica nei riguardi del modello dei rapporti sociali forzatamente imposto, nella sensibilizzazione delle coscienze verso le varie minacce nella vita pubblica, ed anche verso gli obblighi morali da ciò scaturienti nell'ambito della cultura nazionale, dell'istruzione, dell'educazione o del ricordo storico. Proprio qui, in questa parte d'Europa, la Chiesa spesso diventava l'istituzione più credibile della vita collettiva, e la religione l'unico sicuro punto di riferimento in una situazione di sfiducia e di totale discredito del sistema ufficiale dei valori.

Il simbolo di un tale atteggiamento della Chiesa unito alle aspirazioni di tutta la società sono diventati alcuni uomini della Chiesa, come il Cardinale Stefan Wyszynski, il Cardinale Josef Beran, il Cardinale Aloisio Stepinac, il Cardinale Giuseppe Mindszenty, il Cardinale Frantisek Tomasek vivente a Praga, e altri. Lo divenne anche, come si è soliti chiamarlo, il protettore spirituale del mondo del lavoro polacco, Don Giorgio Popieluszko, crudelmente assassinato nel 1984.

Con apprezzamento occorre anche sottolineare i profitti e l'aiuto che la Chiesa stessa sperimentava dagli uomini di buona volontà, dalla storia e dai movimenti sociali a noi contemporanei, nel suo tendere verso una maggiore maturità nella realizzazione dei propri rapporti con il mondo. perciò proprio in questo spirito riportero le parole, rivolte da me, poco dopo gli eventi nell'Europa centro-orientale, ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Sede Apostolica: "Dobbiamo rendere omaggio ai popoli che, a prezzo di sacrifici immensi, hanno coraggiosamente intrapreso questo pellegrinaggio... La cosa più ammirevole negli avvenimenti dei quali siamo stati testimoni, è che interi popoli abbiano preso la parola: donne, giovani, uomini hanno vinto la paura. La persona umana ha manifestato le risorse inesauribili di dignità, di coraggio e di libertà che custodisce in sé. In Paesi nei quali per anni un partito ha dettato la verità in cui credere e il senso da dare alla storia, questi fratelli hanno dimostrato che non è possibile soffocare le libertà fondamentali che danno un senso alla vita dell'uomo: la libertà di pensiero, di coscienza, di religione, d'espressione, di pluralismo politico e culturale" (Discorso al Corpo Diplomatico, 13-1-1990).


3. Sono crollati i muri, che fino a poco tempo fa separavano proprio queste società e questi popoli dal mondo libero e dalla parte occidentale del nostro continente. Le nazioni animate nel loro cammino a volte solitario lungo la via verso la verità, da una consapevolezza che le loro biografie collettive, segnate così crudelmente dal marchio della storia costituiscono l'altra parte della stessa cultura europea. La Sede Apostolica ha salutato con grande soddisfazione la scomparsa dei muri e l'apertura delle porte. Essa infatti mai si era riconciliata con il "tragico paradosso e la maledizione dei nostri tempi", come Pio XII chiamo le conseguenze delle decisioni della Conferenza di Yalta (Discorso alla radio alla vigilia di Natale del 1947). Proprio agli anni del pontificato di quel Papa toccarono le più difficili lotte della Chiesa e delle società nel mondo del terrore di allora. Il suo richiamo costante, univoco nella sua eloquenza politica, fatto direttamente alle nazioni rese schiave, alla "Chiesa del silenzio" destava - diversificandosi dall'atteggiamento della maggioranza degli uomini di Stato dell'Occidente di allora - la fede nella "non-definitività" della storia temporale e della forma dell'Europa post-yaltana.

Per lunghi anni questo è stato l'unico mezzo d'azione accessibile e compreso nei limiti delle essenziali competenze della Chiesa, in favore dell'"integrazione" europea.

Durante i Pontificati di Giovanni XXIII e di Paolo VI, l'azione diplomatica della Santa Sede a favore dell'Europa centrale ed orientale mirava ad una attenuazione almeno parziale delle tensioni tra la Chiesa e i Governi comunisti. Quando sono apparse le reali possibilità, offerte dall'epoca di una certa distensione politica, la Sede Apostolica si è impegnata attivamente nell'appoggiare i processi che potevano avvicinare la prospettiva di un'integrazione europea.

L'elezione di un Papa slavo fece si che le Chiese e i popoli dell'Europa centrale ed orientale divennero ancora più oggetto di una costante sollecitudine e responsabilità da parte della Sede Apostolica.

Niente di strano dunque che specialmente ora, quando essenziali mutamenti politici in questa parte del continente destano la speranza di costruire un'"Europa dello spirito", anche con la partecipazione e con l'aiuto da parte delle nazioni tenute schiave sino a poco tempo fa, la Chiesa è in modo particolare consapevole del posto che le spetta nel rinnovamento spirituale ed umano del "vecchio continente". Essa desidera essere testimone della speranza, ma anche il coraggioso portavoce di quei valori e di quelle tradizioni che una volta hanno formato l'Europa e che oggi sono capaci di unirla.

"Il mio dovere è anche quello di sottolineare con forza che se il sostrato religioso e cristiano di questo continente dovesse essere emarginato dal suo ruolo di ispirazione dell'etica e dalla sua efficacia sociale, non è soltanto tutta l'eredità del passato che verrebbe negata, ma è ancora un avvenire dell'uomo europeo - parlo di ogni uomo europeo credente e non credente - che verrebbe gravemente compromesso" (Discorso al Parlamento Europeo a Strasburgo, 11-10-1988).

Proprio per questo, ora, di fronte alla vittoria conseguita da interi popoli di questa parte del continente, i quali aspirano con forza a realizzare la "soggettività della società", la Chiesa non può rinunciare a proclamare la verità sul carattere integrale dei fondamentali valori umani, il cui trattamento selettivo può minare le fondamenta dell'ordine sociale. Anche gli stati pluralisti non possono rinunciare alle norme etiche nella loro legislazione e nella vita pubblica, specialmente Ii dove il bene fondamentale, quale è la vita dell'uomo dal momento del suo concepimento fino alla morte naturale, esige protezione.

Proprio qui, nella capitale di un Paese che 52 anni fa divenne vittima di una terribile guerra - l'inizio della lacerazione dell'Europa, mantenutasi attraverso lunghe decine di anni, non si può far a meno di ricordare la verità prima di tutto sulla dimensione etica di una pace duratura. Essa dipende, ciò è stato così a proposito sottolineato dalla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa di Helsinki, non solo dalla sicurezza militare, ma prima di tutto dalla fiducia tra i cittadini di un dato Paese e dalla reciproca fiducia tra le nazioni. perciò oggi diventa così importante tutto quello che serve all'edificazione e al rafforzamento della fiducia nell'Europa che si unisce a ciò che potrebbe opporsi alla sostituzione delle vecchie divisioni con nuove forme di isolamento. Accanto a tali fondamentali valori d'ordine sociale, come la neutralità ideologica, la dignità dell'uomo come fonte di diritti, il primato della persona umana davanti alla società, il rispetto per le norme giuridiche democraticamente riconosciute, il pluralismo delle strutture sociali, oggi occorre sottolineare anche l'importanza di tali atteggiamenti e aspirazioni, che sembrano essere particolarmente necessari subito all'inizio del sorgere di un nuovo mondo, più giusto e di una nuova Europa, indivisa.

Si tratta specialmente di elaborare e all'Est e all'Ovest una visione dell'Europa come un insieme spirituale-materiale, richiedente proprio come un insieme lo sviluppo e la garanzia della sicurezza. Si tratta di saper costruire un'intesa di dimensioni anche regionali; si tratta dello sforzo orientato al superamento di pregiudizi e di timori storici, si tratta di eliminare tali rimanenze dopo il periodo di vita in società chiuse, come esuberante nazionalismo e intolleranza. Si tratta di pensare ad un'Europa futura, nonostante la sorprendente straordinarietà della dimensione prima di tutto politica degli eventi, anche come ad un "continente di cultura". Si tratta infine della capacità di scorgere con gratitudine tutte le iniziative e le prove di solidarietà internazionale, che favoriscono oggi l'opera di integrazione spirituale ed economica dell'Europa.

In quest'opera un ruolo particolarmente responsabile tocca attualmente agli uomini di politica. Esso costituisce pero una sfida storica per tutti gli abitanti del continente. Anche per i cristiani, i quali dopo la conclusione della seconda guerra mondiale hanno portato un contributo così grande nella fioritura civilizzatrice dell'Europa occidentale.

Mi concentro prima di tutto sui problemi riguardanti l'Europa, pero voglio sottolineare con forza ciò che ho scritto nell'ultima Enciclica: "gli avvenimenti del 1989 risultano importanti anche per i Paesi del Terzo Mondo, che sono alla ricerca della via del loro sviluppo, come lo sono stati per quelli dell'Europa centrale ed orientale" (CA 26).


4. Negli sforzi in favore di una nuova e più felice Europa un posto importante tocca anche a voi, che rappresentate in Polonia i governi e le Nazioni da tutti i continenti. E anche se a voi tocca prima di tutto la premura per gli interessi del vostro Paese, un privilegio di questo nobile ufficio è una particolare chance per cooperare nella creazione di un clima spirituale di reciprocità, di solidarietà e di collaborazione internazionale. Proprio da voi, dallo stile dell'esercizio della vostra responsabile missione dipende tanto in questa parte d'Europa, se si tratta di consolidare la così necessaria fiducia all'istituto della vita internazionale, al linguaggio degli accordi internazionali e delle garanzie.

Da molti di voi oggi si attende la partecipazione nella costruzione dei ponti di un'autentica intesa e collaborazione tra le nazioni dell'Europa postcomunista, che fino a poco fa erano prive della possibilità di una diretta e libera comunicazione tra di esse.

Vi auguro, Signore e Signori, che vi accompagni la convinzione che adempiendo alla vostra missione diplomatica in Polonia, proprio attualmente, al momento di trasformazioni quanto mai affascinanti in questa parte del continente, portiate personalmente un prezioso contributo anche nella preparazione di un mondo più umano, più degno degli uomini e di Dio, al quale chiedo di benedire voi e le vostre famiglie, il vostro lavoro e i Paesi e le nazioni che qui rappresentate.

(Traduzione dal francese)

Data: 1991-06-08
Sabato 8 Giugno 1991

L'incontro con il mondo della cultura nel Grande Teatro nazionale di Varsavia (Polonia)

Titolo: La Polonia sente l'imperativo della risurrezione

Illustri Signore e Signori! Cari fratelli e sorelle!


1. Anzitutto desidero esprimere il mio grazie al Signor Marek Rostworowski, Ministro della Cultura e dell'Arte, per le parole, che ha voluto pronunciare a Loro nome, Egregi Signore e Signori.

Non potrei comunque in questo momento, parlando al figlio del grande drammaturgo polacco Karol Hubert Rostworowski non ricordare quanto io stesso devo a questo artista e alla sua opera. Con questo postumo omaggio al grande scrittore polacco, grande uomo di teatro e grande cristiano, desidero in un certo senso pagare quel debito che non è stato pagato in Polonia dalla generazione del dopoguerra. Suo padre, Karol Hubert Rostworowski, era stato, direi, tendenziosamente dimenticato. Mi scuso per questa aggiunta molto personale, subito all'inizio, ma non ho potuto non dirlo.

"L'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" (GS 24).

Ho riportato le parole del Concilio dalla costituzione "Gaudium et Spes" per ringraziare per il dono del vostro invito. Cari Signore e Signori! Ho ancora vivo nella memoria il mio precedente incontro con i rappresentanti del mondo della cultura polacca durante il mio precedente pellegrinaggio in Patria. Ebbe luogo nella chiesa di Santa Croce a Varsavia, presso il cuore di Fryderyk Chopin. Questa volta ci incontriamo nel Palazzo del Teatro Nazionale. Ciò possiede anche la sua eloquenza storica nel bicentenario della Costituzione del 3 Maggio. Sappiamo che quelli erano tempi di un grande sviluppo della cultura e dell'arte sotto il regno del re Stanislao Augusto. E il teatro fa tornare alla mente la figura di Wojciech Boguslawski, ritenuto padre della scena polacca e grande pioniere del teatro nazionale.

Ringrazio dunque di cuore per l'invito e per l'introduzione musicale del nostro incontro. L'ospitalità che trovo e la nostra musica di Stanislaw Moniuszko (un passo dell'opera "Halka") provocano un sentimento particolare di qualcosa che è caro al cuore. Rivolgo espressioni di gratitudine per questi attimi di commozione a tutti i partecipanti di quest'incontro, agli organizzatori e agli esecutori. Ringrazio il Direttore del Teatro Grande dell'Opera e del Balletto di Varsavia, Signor Jerzy Bojar, l'orchestra dello stesso Teatro, diretta dal Signor Andrzej Straszinski e il solista Signor Adam Zdunikowski.


2. Il passo del Concilio citato può giustamente passare per una sintesi della verità cristiana sull'uomo. Tale verità si radica subito nei primi capitoli del Libro della Genesi, che parla della creazione dell'uomo ad immagine e somiglianza di Dio. Questa verità è stata approfondita nel Vangelo. Mentre il Signore Gesù prega il Padre "perché tutti siano una sola cosa... siano come noi una cosa sola" (Jn 17,21-22), egli schiude davanti alla ragione umana prospettive inaccessibili - svela cioè il mistero trinitario: Dio nell'assoluta unità della sua divinità è allo stesso tempo la Trinità, cioè una comunione di Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo.

E contemporaneamente Cristo spiega in un nuovo modo in che cosa consista questa somiglianza dell'uomo a Dio, già conosciuta dal Libro della Genesi. Ecco, all'unità delle Persone in Dio deve corrispondere "l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità" (cfr. GS 24).

Tale somiglianza è possibile proprio perché "l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé".

Come il Padre e il Figlio insieme allo Spirito Santo esistono nell'unità della divinità mediante un dono assolutamente gratuito, così anche l'uomo non si realizza diversamente se non "attraverso un dono sincero di sé". Questo dono costituisce la piena attuazione della finalità propria all'uomo-persona. La sua autoteologia non consiste nell'essere "per se stesso", nel chiudersi in sé in modo egoista - ma nell'essere per gli altri, essere dono. Cristo è un modello, irraggiungibile e allo stesso tempo sempre modello supremo di tale umanità. L'uomo si realizza, si ritrova pienamente, superando se stesso. In questo si conferma la sua identità come persona ed insieme la caratteristica divina dell'umanità.

Il passo del Concilio parla contemporaneamente dell'ontologia e della deontologia dell'uomo (cioè dell'etica). Esse costituiscono una corretta chiave per tutta l'antropologia in senso cristiano.


3. Ciò possiede un'importanza essenziale per tutto il mio ministero di quest'anno durante la visita in Polonia. Nelle singole tappe di questa visita (conformemente al suggerimento dell'Episcopato) mi sono riferito al Decalogo, e qui - a Varsavia - devo concludere riferendomi al comandamento dell'amore, che è il primo e il più grande. In un certo senso comprende tutti i comandamenti: l'intero Decalogo.

L'antropologia costituisce il fondamento dell'etica. Per poter operare la piena interpretazione del Decalogo mediante il comandamento dell'amore occorre avere davanti agli occhi proprio questa immagine dell'uomo ricordata dal Concilio con le parole sopra riportate. Esse sono allo stesso tempo in un certo senso una guida che porta verso un'approfondita comprensione, e soprattutto verso una matura pratica della moralità: cristiana, che allo stesso tempo vuol dire umana, pienamente umana.

Qui bisogna ancora ricorrere alla parabola evangelica dei talenti.

Ricordiamo che in essa trovano l'approvazione i servi che lavorando hanno moltiplicato i talenti ricevuti; invece colui che "ha nascosto il talento sotto terra" (cfr. Mt 25,20-29) incontra la disapprovazione.

In mezzo al mio uditorio di questa sera la parola "talento" sicuramente trova una viva risonanza. Si tratta infatti degli artefici della cultura e della scienza e degli artisti e si sa che la creatività scientifica e artistica iniziano sempre da ciò che nella sua molteplice forma chiamiamo talento.

Ecco, desidero sottolineare che alla base di ognuno di questi talenti diversificati, ciascuno di noi, ciascuno senza eccezioni, anche se non appartiene al mondo della cultura e della scienza, dispone soprattutto di uno di essi: quest'universale talento è la nostra umanità, il nostro "essere" umano (esse). Il Vangelo con il suo comandamento dell'amore ci insegna a moltiplicare soprattutto questo talento: il talento del nostro essere uomini. Il definitivo giudizio della nostra vita soprattutto riguarderà questo talento. E' questo talento viene moltiplicato mediante "un dono sincero di sé" cioè mediante l'amore per Dio e per il prossimo. Ciò significa contemporaneamente: amore per Dio attraverso l'amore per i prossimi-uomini: "Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1Jn 4,20).


4. Il ricordare il primato di questo talento possiede un'importanza essenziale nell'attuale momento storico. Il sistema ideologico che conferiva il tono alla nostra vita durante il periodo delle ultime decine di anni, conformemente alle sue premesse materialistiche, spostava infatti questo primato verso l'"avere". Si tentava perfino di vedere la cultura in categorie di produzione-consumo. Ed è un' altra questione se questo spostamento era efficace.

Penso che ha dimostrato di essere piuttosto poco efficace. Gli individui abituati a vedere la propria esistenza secondo il primato dell'"avere" (e dunque - del primato dei valori materiali) spesso cercavano posto in Occidente, dove questo primato dell'"avere" umano è meglio consolidato. Non voglio affatto dire con questo che ciò sia stato l'unico o definitivo motivo di tale decisione. In ogni caso il materialismo sistematico, nella sua forma dialettica, e ancor più in questa pratica, sacrifica l'"essere" umano in favore dell'"avere".

La nostra giovane III Repubblica certamente si trova di fronte al compito della ricostruzione dell'economia, dell'aumento dello stato dell'"avere" polacco secondo le giuste necessità e le esigenze di tutti i cittadini. Mi sia pero permesso constatare con tutta fermezza che anche questo compito si realizza in modo corretto ed efficacemente soltanto in base al primato dell'"essere" umano.

L'economia, in definitiva, è per la cultura. Viene realizzata anche mediante la cultura. Viene realizzata correttamente per mezzo di questa dimensione fondamentale della cultura che è la moralità - (la dimensione etica). Assicurando la precedenza di questa dimensione, assicuriamo la precedenza dell'uomo. L'uomo infatti si realizza come uomo essenzialmente mediante il proprio valore morale.

Ritengo che proprio in questa prospettiva - nella prospettiva della ricerca della definitiva verità sull'uomo, nella prospettiva del primato dell'"essere" umano davanti all'"avere" - occorre guardare le reciproche relazioni tra la Chiesa e il mondo della cultura. Diro francamente, che ero molto orgoglioso della Chiesa polacca, quando in tempi difficili per la cultura, cerco di facilitare agli autori di essa l'adempimento dei loro doveri nei riguardi della società. Il profitto dalla concessione da parte della Chiesa di un qualche asilo alla cultura nazionale era certamente bilaterale. Gli artefici della cultura - oltre alle possibilità di contatto con la società, così preziose allora - ebbero l'occasione di conoscere più a fondo le radici da cui cresce l'Europa, alcuni di loro addirittura hanno ritrovato la fede o si sono approfonditi in essa. Alla Chiesa, a sua volta, ciò diede la possibilità di una più profonda presenza nella vita sociale.

Quelli pero erano tempi straordinari, non del tutto normali. Oggi il mondo della cultura sta operando la ricostruzione dell'autonomia a sé dovuta.

Questo è un processo naturale e giusto.

Spero tuttavia che il periodo, in cui la cultura nazionale in un certo senso usufruiva dell'asilo ecclesiale, cari Signore e Signori, abbia lasciato un segno duraturo nei vostri ambienti. Spero che come artefici della cultura ora riconosciate più chiaramente i fondamentali segni orientativi, che rendono possibile un autentico movimento nel campo dello spirito. Ho in mente specialmente la verità sulla persona umana, annunziata dal cristianesimo e la gerarchia cristiana dei valori.


5. In questo modo, nell'incontro con il mondo della cultura, ritorniamo alla parabola dei talenti. Insieme a voi tutti, cari Signori, insieme alla Chiesa e alla Società in Polonia, sono profondamente preoccupato per l'uomo, perché l'uomo si ritrovi pienamente. E la via per questo ritrovarsi, come insegna il Concilio, ed anche l'esperienza del genere umano, è un dono sincero di sé.

Questo dono trova la sua ulteriore espressione in molti diversi talenti.

Su di essi si basa la cultura universale e quella nazionale. Desidero augurare, a tutti quei talenti che si sviluppano e raggiungono quella forma di bellezza che è la "forma dell'amore" (C.K. Norwid, Promethidion, Bogumil, v.109) che essi si moltiplichino in ogni settore della vita polacca.

Per questo prego Dio che è Datore di talenti. Prego perché tutti gli uomini favoriti da molteplici talenti in terra polacca trovino le condizioni per il lavoro creativo. Perché possano donarci una vera bellezza. La bellezza - il lavoro - la risurrezione: questa triade di Norwid rimane sempre valida. Abbiamo già parlato di questo, quattro anni fa nella chiesa di Santa Croce. Oggi ritorno a questo. Oggi infatti - può darsi diversamente da allora, ma ancor di più, sentiamo il bisogno della risurrezione, l'imperativo della risurrezione.

A questo punto faro un'aggiunta al testo che sta per finire. Lo volevo dire subito all'inizio del pellegrinaggio, sul poligono presso Koszalin. Quando mi sono trovato li, tra l'Esercito Polacco che cantava la "Divin Genitrice" e "Spieghiamo stendardi celesti" e che prima dell'arrivo del Papa aveva pregato durante la veglia notturna, mi sono stropicciato gli occhi. Non nel senso letterale mi sono comportato normalmente. Ma in quel momento ho capito il testo evangelico sulla Risurrezione. Infatti, questo testo, come loro ricordano, dice all'inizio che le donne, proprio così: le donne, andarono all'alba al sepolcro per spalmare unguenti sul corpo di Cristo che si aspettavano di trovare morto. Avevano un'unica preoccupazione: chi avrebbe spostato la pietra dal sepolcro? Prima sorpresa: la pietra rotolata via. Seconda sorpresa, ancora più grande: il sepolcro vuoto. E poi il commento pronunciato non con la parola umana giacché la parola umana non l'avrebbe saputo esprimere. Lo dice un essere soprannaturale: "Non è qui, è risorto!". Le donne corrono dagli apostoli e gli apostoli non credono. Non credono. E allora io che sono uno dei successori degli apostoli, ho capito i miei grandi predecessori.

Avevo l'intenzione di dirlo subito a loro, ma non c'è stato il tempo e neanche il contesto. Ma questo pensiero mi seguiva e finalmente ho trovato l'occasione. Non voglio portarlo via dalla Polonia, preferisco lasciarlo qui, se non altro al Teatro Nazionale. Questo è, dunque, un enorme stupore. Risurrezione e stupore. Difficile sarebbe non stupirsi. Io praticamente in tutta questa settimana, spostandomi da un luogo all'altro con un ritmo abbastanza veloce, faccio continuamente scoperte del genere, ma la più grande, la più improntata alla risurrezione è stata quella di Koszalin. Del resto in questa sala è presente il Vescovo castrense dell'Esercito Polacco e lo può trasmettere ai propri diocesani, lo può fare in termini più militari perché ha una certa preparazione in questa materia. Io pero non ritiro quello che ho detto, specialmente dopo aver sentito quello che ho sentito e dopo aver letto molte cose: che oggi sentiamo, forse in un modo diverso di allora, e cioè quattro anni fa presso la chiesa di Santa Croce, ma forse ancora più intensamente, il bisogno della risurrezione, l'imperativo della risurrezione, la risurrezione di Cristo tradotta da San Paolo in principio della vita cristiana, in principio della vita sacramentale. Basta vedere nella Lettera ai Romani quel che San Paolo scrive sul battesimo e non solo, ma soprattutto sul battesimo. La risurrezione è il principio della vita cristiana, della vita sacramentale: la risurrezione di Cristo innestata in noi. Mentre la stessa risurrezione è stata tradotta da Norwid in esigenza di vita nazionale, direi addirittura di vita socio-economica. Come essere una nazione risorta, cioè una nazione che vive la pienezza della vita. Io mi sto dilungando, ma in pratica voglio dire un'ultima parola: voglio dire che proprio questa risurrezione tradotta da Norwid in un'esigenza di vita nazionale auguro a te Polonia, Patria mia! Vorrei aggiungere che questo augurio depongo nelle vostre mani, cari signori, nelle vostre mani. Nelle mani di tutta la nazione, ma soprattutto nelle mani vostre, mani di tutti coloro che sono qui presenti e che sono, in un certo senso, la coscienza più profonda di questa nazione, il suo intelletto, la sua prospettiva creativa, e nelle mani di voi che amate questa nazione. La amate. Ne avete dato la prova e io mi sono sempre schierato con voi in questa causa. Vi ringrazio per tutto ciò che avete fatto per questa causa e confido che la vostra opera abbia un futuro. E che abbiano un futuro anche la nostra Patria, la nostra società; un futuro europeo. In pratica si sono già iscritte nella storia del XX secolo con tutto quello che è successo. Non perdiamolo di vista. La gente ci riflette, la gente lo domanda. Vengo da un punto del mondo, da un luogo in cui me ne posso convincere. E allora: in alto i cuori! (Un augurio a trascorrere nella "gioia cristiana" il giorno del Signore è stato rivolto da Giovanni Paolo ll ai numerosi giovani che, nella serata di sabato 8, hanno atteso il suo ritorno nella Nunziatura Apostolica di Varsavia:) Oggi è stato un giorno, si può dire, molto laborioso; ci sono stati molti incontri e perciò devo concludere questo giorno piamente e prepararmi a quello di domani. E domani, come si sa, è domenica. Domenica, quindi il giorno del Signore. Giorno che ci è stato dato dal Signore. Auguro a tutti voi di vivere il giorno di domani proprio come il giorno datoci dal Signore. Rallegriamoci in esso e gioiamo. Rallegriamoci con gioia cristiana, Pasquale, anche se ci sono molte tristezze, molte ragioni per essere tristi. Che da tutto ciò, tuttavia, sorga la gioia cristiana, la gioia della Risurrezione, la gioia Pasquale, la gioia domenicale. Questo è il mio augurio per domani.

(Traduzione dal polacco)

Data: 1991-06-08
Sabato 8 Giugno 1991


GPII 1991 Insegnamenti - L'omelia della messa per l'apertura del II Sinodo nazionale - Varsavia (Polonia)