GPII 1991 Insegnamenti - L'incontro con gli esponenti delle comunità ebraiche nella nunziatura apostolica di Varsavia (Polonia)

L'incontro con gli esponenti delle comunità ebraiche nella nunziatura apostolica di Varsavia (Polonia)

Titolo: E' giunto il tempo di attuare e di mettere in pratica il magistero della Chiesa sui rapporti con gli ebrei




1. Gli incontri con i rappresentanti delle comunità ebraiche costituiscono un elemento costante dei miei viaggi apostolici. Tale fatto ha la sua eloquenza, poiché sottolinea nel suo genere l'unica comunione di fede che unisce i figli di Abramo, confessori della religione di Mosè e dei Profeti, con coloro che confessano anche Abramo il loro "padre nella fede" (cfr. Jn 8,39) e accolgono in Cristo, "figlio di Abramo e figlio di Davide" (cfr. Mt 1,1), anche tutta la ricchissima eredità di Mosè e dei Profeti.

L'incontro con gli Ebrei in terra polacca ha pero ogni volta un significato speciale. Oggi desidero richiamarmi a tutto quello che dissi su questo tema già durante i precedenti incontri, e ciò che mi viene dettato dalla mia fede e dal mio cuore. In questo fatto coincide un passato, in un certo senso magnifico e allo stesso tempo tragico, della comune quasi millenaria storia in terra polacca, la responsabilità di confessori dell'unico Dio per l'oggi e la speranza per il futuro, mirante alla trasformazione del mondo mediante la rinascita e il rinnovamento dell'uomo aperto in pari misura alla voce di Dio e ai bisogni del prossimo.


2. Durante il mio ultimo incontro con i rappresentanti della comunità israelitica in Polonia nella sede dei Primati di Polonia, il 14 giugno dei 1987, incontro che ricordo con gratitudine e non senza commozione, espressi i pensieri e i sentimenti, con cui io stesso e penso la stragrande maggioranza dei Polacchi guardavamo impotenti a quell'orribile crimine che era stato compiuto contro tutta la nazione ebraica. A volte senza sapere bene che cosa stava succedendo, perché chi lo faceva cercava di nasconderlo. L'abbiamo vissuta - dicevo allora - "in uno spirito di profonda solidarietà con Voi. La minaccia contro di Voi è stata anche una minaccia contro di noi. Quest'ultima non si è realizzata nelle stesse dimensioni, non ha avuto il tempo per realizzarsi nelle stesse dimensioni. Questo terribile sacrificio dello sterminio lo avete subito Voi, l'avete subito, si potrebbe dire, anche per gli altri che dovevano essere anch'essi sterminati".

perciò mi unisco cordialmente alle parole che ho trovato nella Lettera dei Vescovi Polacchi del 30 novembre 1990: "La stessa terra che per secoli fu la Patria comune dei Polacchi e degli Ebrei, il sangue versato insieme, il mare delle orrende sofferenze, dei torti subiti dovrebbero non dividerci ma unirci. Questa unione la invocano da noi in modo particolare i luoghi dell'eccidio, e in molti casi anche le tombe comuni".

Il passato degli uomini non scompare completamente. così la storia polacco-ebrea, anche se sono tanto pochi gli Ebrei che abitano attualmente in terra polacca, è sempre molto realmente presente nella vita sia degli Ebrei come dei Polacchi. Lo feci osservare ai miei connazionali venuti a trovarmi a Roma, il 29 settembre 1990. "Il popolo che ha vissuto con noi per molte generazioni, - dissi allora - è rimasto con noi dopo questa terribile morte di milioni dei suoi figli e figlie. Insieme aspettiamo il Giorno del Giudizio e della Risurrezione" (Ciclo "Jasna Gora").


3. Oggi sembra una cosa di non minore portata cercare, da ambedue le parti, di scorgere, di salvare e di ravvivare quel bene, che si operava tra noi (e infatti lungo secoli interi se ne faceva tanto). Ed è importante cercare la riconciliazione e l'amicizia nonostante il male, perché vi è stato anche molto male nella nostra storia.

Purtroppo il bene e il male, sono avvenuti tra noi, sono stati schiacciati da quell'eccidio, inconcepibile nel suo orrore, la cui vittima fu il popolo ebraico. Si può almeno dire, che crimine senza precedenti, quello di sterminare una nazione intera, fece inorridire l'Europa cristiana e la mobilito a riparare i torti, recati attraverso i secoli agli Ebrei e a volte incisi nelle strutture del pensiero e del costume. Dopo un intervallo di duemila anni gli Ebrei hanno ottenuto finalmente il loro proprio stato. Le nazioni di civiltà cristiana hanno intrapreso il penoso lavoro di sradicare dalla propria mentalità ogni ingiusto pregiudizio nei riguardi degli Ebrei e di altre manifestazioni di antisemitismo. In questo lavoro parteciparono attivamente le Chiese cristiane, tra esse anche la Chiesa cattolica.

Nell'ultimo anno la Chiesa universale, e anche la Chiesa in Polonia, celebrarono solennemente il 25° anniversario della dichiarazione del Concilio Vaticano II "Nostra Aetate", che segna una svolta essenziale nel rapporto dei cristiani verso gli Ebrei. L'insegnamento del Concilio è stato in seguito sviluppato nei successivi documenti della Sede Apostolica, come "Indicazioni e suggerimenti sull'introduzione in pratica della dichiarazione conciliare "Nostra Aetate"", del 1974, e "Gli Ebrei e il giudaismo nell'annuncio della parola di Dio e nella catechesi della Chiesa cattolica" del 1985. Con soddisfazione ho potuto constatare che tutti questi documenti della Chiesa, ed anche l'insieme dell'insegnamento pontificio, sono stati, a cura dell'Episcopato polacco, tradotti e pubblicati anche in lingua polacca. Sono lieto che alla raccolta di quei documenti ultimamente è stata aggiunta la menzionata Lettera dell'Episcopato Polacco del 30 novembre 1990.

Oggi, dopo oltre venticinque anni dal Concilio Vaticano II, è giunto il tempo per intraprendere il particolare sforzo di attuare e di introdurre in pratica il magistero della Chiesa. Che il contenuto di questi documenti sia ispirazione per intraprendere sempre nuovi sforzi da parte di tutte le Chiese locali, e tra esse anche della Chiesa polacca, per il superamento degli ingiusti stereotipi, schemi e di reciproci pregiudizi sopravvissuti ancora qua e là, per mostrare, davanti al mondo di oggi, in cui la fede viene esposta ad una dura prova, la bellezza e le profonde verità di un solo Dio e Padre, che come tale vuole essere conosciuto e amato per mezzo di tutti i suoi figli.

Uno dei più importanti compiti della Chiesa è l'educazione delle giovani generazioni in uno spirito di reciproco rispetto, nella consapevolezza delle nostre comuni radici e dei nostri compiti nel mondo contemporaneo, ma anche nel conoscere la propria specificità e identità. Benedico di cuore tutti gli sforzi, che servono proprio questo scopo.

Con le parole del Salmista prego Dio Onnipotente, di insegnare a tutti i figli dell'Alleanza di compiere la sua volontà: "Insegnami a compiere il tuo volere, /perché sei tu il mio Dio" (Sal, 142/143,10).

Shalom! (Traduzione dal polacco)

Data: 1991-06-09
Domenica 9 Giugno 1991

L'incontro con il Consiglio ecumenico polacco nella chiesa luterana della Santissima Trinità - Varsavia (Polonia)

Titolo: Il dovere di rispondere alla volontà di Cristo esige che restiamo saldi sulla via verso l'unità tra i cristiani

Sia lodato Gesù Cristo!


1. "Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli... eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito,...e per essere aspersi dal suo sangue (di Gesù Cristo): grazia e pace a voi in abbondanza!" (1P 1,1-2).

Con queste parole di Pietro Apostolo della sua Prima Lettera desidero salutare cordialmente tutti voi, cari Fratelli e Sorelle, partecipanti a questo incontro. Sia lode per questo alla Santissima Trinità. Alla sua gloria è stata dedicata questa casa di Dio della Chiesa Evangelica Asburgica, che oggi ci ospita.


2. A questo incontro mi invito, quattro anni fa, nella sede del Primate in via Miodova, il Rappresentante del Consiglio Ecumenico Polacco, il Molto Venerato nostro fratello Adam Kuczma. Espresse allora l'augurio di poter incontrarci, durante il mio quarto pellegrinaggio in Patria, in un tempio di una delle Chiese associate al Consiglio Ecumenico Polacco. Anch'io lo desideravo ardentemente. Ed ecco si compiono i desideri di entrambe le parti.


3. Il luogo del nostro incontro odierno ha una profonda eloquenza. Questo tempio luterano nel 1939 e nel 1944 condivideva la sorte delle altre chiese di Varsavia.

Gli occupanti non le riservarono un trattamento migliore, perché era luterana.

Qui lavoro nel 1898, come parroco, il reverendo Juliusz Bursche, più tardi vescovo e capo della Chiesa Evangelica-Asburgica in Polonia. Quel grande cristiano e grande patriota polacco preferi dare la vita nella prigione tedesca che rinunciare all'essere polacco.

In questo tempio annunzio la parola di Dio anche un altro grande cristiano e polacco, servo della Chiesa Evangelica-Asburgica, il Vescovo Zygmunt Michelis, parroco di questa parrocchia dal 1921, al quale per la difesa di Varsavia nel 1939 fu conferita la Croce "Virtuti Militari".

Sia il vescovo Bursche che il vescovo Michelis con la loro vita e con la loro morte hanno in un certo senso smentito la diffusa convinzione, che un luterano è un Tedesco, e un Polacco è un cattolico.


4. Lungo i secoli la nostra Patria fu una casa ospitale per tutti i suoi abitanti.

Vivevano qui, una accanto all'altra diverse nazionalità, più religioni e molte confessioni. La Polonia si distingueva per la tolleranza, rara in Europa, il che è stato giustamente annotato dagli storiografi.

Nel mio "Messaggio per la Celebrazione della XXIV Giornata della Pace" ho discusso più ampiamente la questione delle minoranze religiose e confessionali su scala mondiale. L'intolleranza, una malattia dell'umanità e l'ignominia delle Chiese, può manifestarsi sia da parte del più forte sia da quella dei più deboli.

La mancanza di tolleranza appare là, dove viene applicata per esempio la pressione e la costrizione nel "convertire", ma anche là dove prevale la mentalità fondamentalista. Pensando prima di tutto alle comunità "più forti" ho scritto: "Per quanto si possa avere a cuore la verità della propria religione, ciò non dà a nessuna persona o gruppo il diritto di tentare di reprimere la libertà di coscienza di quanti hanno altre convinzioni religiose o di indurli a falsare la loro coscienza offrendo o negando determinati privilegi e diritti sociali, se essi cambiano la propria religione" (IV).


5. Si tratta pero di qualcosa di più che tolleranza reciproca.

Sovente infatti la tolleranza viene intesa come protezione di minoranze etniche o religiose, "riducendole così alla categoria di minori civili... Ciò potrebbe risolversi in una forma di discriminazione che ostacola, anzi impedisce lo sviluppo di una società armonica e pacifica. Piuttosto, va riconosciuto e garantito l'insopprimibile diritto di seguire la propria coscienza e di professare e di praticare, da soli o comunitariamente, la propria fede, sempre che non siano violate le esigenze dell'ordine pubblico" (Ibidem). Ho ritenuto che questo avrebbe dovuto essere detto in un Messaggio di pace.


6. Fratelli e sorelle in Cristo! Se noi ricordiamo al mondo la necessità della tolleranza tra le Chiese, ciò non vuol dire che basta la tolleranza da sola.

Decisamente è troppo poco. Un semplice tollerarsi non può bastare ai cristiani e alle Chiese di Cristo. A volte infatti si tollera persino il male, nel nome di un bene maggiore. Non vorrei che voi soltanto mi tolleraste. E io non voglio soltanto tollerarvi, Fratelli e Sorelle. Che fratelli e sorelle sono se soltanto si tollerano? Che fratelli e sorelle sono in Cristo coloro che soltanto si tollerano?! Siamo davvero i figli amati del Padre, i figli amati nel Figlio, siamo la dimora dello Spirito Santo, amiamo il Vangelo, siamo innestati in Cristo, dissetati dal suo Spirito. Ognuno nel modo a sé proprio, a misura del dono di Cristo e delle proprie vie, a volte difficili da discernere e da valutare.

Leggiamo nella Lettera agli Efesini: "...in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo... Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito" (2,13.18). Apparteniamo a diverse Chiese, pero non siamo "stranieri né ospiti"; "siamo concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù" (Ep 2,19-20). Anche se ancora siamo diversi nella fede, tuttavia per la grazia di Dio siamo concordi a proposito dei fondamenti stessi della nostra fede: tutti crediamo in Gesù Cristo Figlio di Dio, che è il nostro Salvatore crocifisso e risorto; tutti siamo stati battezzati nel nome dello stesso Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Esattamente quasi due anni fa, durante l'incontro ecumenico nella lontana Reykjavik, facevo osservare che lo stesso battesimo, con cui siamo battezzati, non costituisce soltanto il germe della nostra reciproca unità. "Il Battesimo, come inizio della salvezza in ciascun individuo, contiene un dinamismo interno che "tende interamente all'acquisto della pienezza della vita in Cristo"" (cfr. UR 22). E' quindi "orientato all'integra professione di fede, alla integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, come lo stesso Cristo ha voluto, e infine, alla piena inserzione nella comunione eucaristica" (Ibidem UR 22). La sfida che ci si pone è di superare a poco a poco gli ostacoli a questa comunione e crescere insieme in quella unità di Cristo che è una sola, quella unità della quale la doto sin dall'inizio. La serietà del compito vieta ogni precipitazione o impazienza, ma il dovere di rispondere alla volontà di Cristo esige che restiamo saldi sulla via verso la pace e l'unità tra tutti i Cristiani.

Sappiamo bene che non siamo noi quelli che rimargineranno le ferite della divisione e che ristabiliranno l'unità; siamo semplici strumenti che Dio potrà utilizzare. L'unità tra i cristiani sarà dono di Dio, nel suo tempo di grazia. Umilmente tendiamo a quel giorno, crescendo nell'amore, nel reciproco perdono e nella reciproca fiducia" (3 giugno 1989, Reykjavik).

"Sopportandovi a vicenda", continua la Lettera agli Efesini, delineando un vero programma di convivenza cristiana del Popolo di Dio. Dobbiamo agire "con ogni umiltà, mansuetudine"; anche con "pazienza". Questa è anche una lezione di tolleranza che nella nostra storia polacca si è riusciti ad incarnare nella vita in modo abbastanza soddisfacente.

Tuttavia questo è appena il primo, il più facile punto del programma scritto per i cristiani. Leggiamo infatti: "sopportandovi a vicenda con amore" (Ep 4,2).

"Sopportare... con amore" significa più di tollerare soltanto.

"Sopportare con amore" è anche tentare di capire; capire per perdonare; "sopportare con amore" è anche accettare, sentirsi vicini interiormente, voler essere nella comunione, sentire il bisogno di comunità, è affrettarsi per sostenersi, è voler collaborare e creare insieme.

Ancora una volta ricorrero alle riflessioni ecumeniche formulate in occasione nel mio viaggio nei Paesi scandinavi. "Dobbiamo riconoscere con dolore - dicevo durante l'incontro ecumenico nella cattedrale luterana a Uppsala (il 9 giugno 1989) - che i cristiani non sono uniti. Allo stesso tempo possiamo essere fiduciosi che il Signore della storia non ci ha abbandonati alle nostre divisioni.

Egli con saggezza e pazienza ci conduce con la sua grazia ad un maggiore ravvedimento e ad un maggiore desiderio dell'unione".

Che il nostro amore si esprima prima nel perdonare e nel chiedere perdono. "E' una sfida per noi perdonarci l'un l'altro, ma il Signore ci ha comandato di farlo. Dopo quattrocento anni di separazione, occorre del tempo perché il processo di riconciliazione e di risanamento abbia luogo. Non tutto può essere fatto subito, ma dobbiamo fare oggi quello che possiamo nella speranza di ciò che sarà possibile domani" (Ibidem). Occorre tenere presente che "Per quanto noi ci impegniamo per l'unità, essa rimane sempre un dono dello Spirito Santo.

Saremo disponibili a ricevere questo dono nella misura in cui avremo aperto le nostre menti e i nostri cuori a lui attraverso la vita cristiana e soprattutto attraverso la preghiera" (Ibidem).


7. Nella misura in cui in noi crescerà l'obbedienza allo Spirito Santo, anche la collaborazione esterna e collaborazione delle nostre Chiese acquisterà forma spirituale: sarà questo il nostro comune sforzo avente come scopo la difesa della vita umana dal momento del concepimento sino alla morte naturale, oppure la nostra collaborazione in favore dei valori come la dignità di ogni uomo, il lavoro, la giustizia, la pace, la libertà o la difesa dell'ambiente.

Possiamo essere più visibilmente solidali ecumenicamente nel sostenere i bisognosi. Tanto desideriamo di essere ecumenicamente solidali con i popoli che lungo la via della croce procedono nella ricerca di poter essere se stessi nella propria terra.


8. Per una tale solidarietà cristiana, ecumenica tra le Chiese prego oggi il Signore Dio per la mia amata Patria. La raccomando vivamente ai miei Fratelli nel servizio episcopale nella Chiesa romana cattolica. Da loro infatti dipende così tanto il cristianesimo polacco. La raccomando a tutti i Molto Venerati Fratelli delle Chiese associate nel Consiglio Ecumenico Polacco. La raccomando a voi tutti, amati Fratelli e Sorelle nel Vangelo.

"Grazia e pace a voi in abbondanza".

(Traduzione dal polacco)

Data: 1991-06-09
Domenica 9 Giugno 1991

L'omelia della messa per la beatificazione del religioso francescano conventuale Raffaele Chylinski - Varsavia (Polonia)

Titolo: E' davanti a noi l'esame della nostra libertà




1. "Amerai..." (Mc 12,30).

Nelle precedenti tappe del mio peregrinare attraverso la terra patria abbiamo fatto riferimento al Decalogo, ai dieci comandamenti. In questa ultima tappa, la nostra attenzione si volge verso quell'unico comandamento, che - secondo le parole di Cristo - è il primo e il più grande. Il comandamento dell'amore comprende in sé tutti i comandamenti del Decalogo e li porta alla pienezza: in esso sono contenuti tutti, da esso tutti derivano, ed anche ad esso tutti tendono.

Tale è l'intima logica dell'Alleanza di Dio con l'uomo. Quest'Alleanza ha raggiunto la sua pienezza in Gesù Cristo - e in Lui anche è stata rivelata la pienezza del bene data all'uomo dal Creatore e contemporaneamente datagli in compito come ad un essere fatto a somiglianza di Dio.

"Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza... Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mc 12,30-31 cfr. Dt 6,4s; Lv 19,18). Questo supremo comandamento è uno, ed è contemporaneamente duplice: comprende Dio e gli uomini, e tra essi - il prossimo e se stessi. In questo modo Dio s'incontra in questo comandamento con la sua immagine e somiglianza, che è ogni uomo.


2. E' bene che ci tocchi meditare questo fondamentale comandamento proprio a Varsavia la capitale polacca, che da secoli è scenario di grandi eventi per la storia della nazione. Qui, a Varsavia - a quel tempo un luogo nei pressi di Varsavia - nel territorio di un rione di nome Wola ("Volontà") - si svolgevano le elezioni dei re della Polonia.

Attraverso le elezioni si manifestava la sovrana volontà della società (era la società nobiliare, perché solo essa aveva il diritto elettorale attivo nella Nazione di allora). così dunque attraverso i secoli la località "Wola" era sede di una verifica circa la volontà della nazione circa la libera volontà umana in un atto di elezione, circa le decisioni di importanza fondamentale per il bene comune della Repubblica di tre popoli.

Il comandamento dell'amore ha nel Vangelo anche la propria dimensione sociale. Cristo dice: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri" ...che vi amiate socialmente (Jn 15,12).

Il comandamento dell'amore in ogni sua dimensione viene riferito alla volontà umana che è libera. L'uomo guidato dalla luce della ragione, cioè dal giudizio della coscienza sceglie, e in questo modo decide di sé. Conferisce una forma ai propri atti. Il comandamento dell'amore è rivolto alla libera volontà, da essa infatti dipende se l'uomo darà ai propri atti, al suo comportamento la forma dell'amore oppure un'altra forma, contraria all'amore. Questa può essere la forma dell'egoismo, dell'indifferenza verso i bisogni altrui, dell'indifferenza verso il bene comune. Questa può infine essere la forma dell'odio o del tradimento - contrariamente a ciò che insegna Cristo: "amate i vostri nemici" (Mt 5,44).

Nel corso degli anni Varsavia fu scenario di diverse scelte e di varie decisioni. In molte certamente si rispecchiava l'amore sociale, l'amore per la patria in mezzo ai suoi molteplici bisogni. Pero avveniva anche diversamente.

Bisogna che noi in questo luogo meditiamo sulla grandezza della volontà, ma anche sulla sua piccolezza: la noncuranza degli altri e la ricerca del proprio tornaconto, la corruzione e il vilipendio della causa comune.


3. Verso la fine della Prima Repubblica, ed anche dopo la sua caduta fu proprio Varsavia a diventare lo scenario della rinascita di un amore maturo per la patria.

Proprio qui, nella capitale, si stava formando il pensiero civico e venivano assunte coraggiosamente iniziative miranti a salvare la patria in pericolo. Il risultato culminante di quello slancio patriottico fu, come si sa, l'approvazione della Costituzione del 3 Maggio. Varsavia pago per questo con un memorabile eccidio avvenuto nel rione Praga, sulla riva destra della Vistola.

Un amore disposto anche a dare la vita, non perisce. perciò niente di strano, che proprio a Varsavia - alcune centinaia di metri da qui, sotto il Belvedere - abbia avuto inizio il successivo atto di quell'eroico dramma dei Polacchi spinti dall'amore per la patria, cioè l'Insurrezione di Novembre. Inizio qui: è vero che coinvolse l'intero Paese, ma qui anche si concluse. Come simbolo rimarrà la figura del generale Sowinski - quel veterano che combattè tante battaglie per la Polonia: invalido e privo di una gamba, poco distante da Wola tento di precludere al nemico l'entrata nella capitale, e qui lascio la propria vita. "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Jn 15,13) - disse Cristo. Egli stesso fu il primo tra coloro che davano la vita: per gli altri, per la causa, per la patria. Nella nostra storia non mancano suoi imitatori.

Se ricordiamo quel grande tributo di sangue, tante volte offerto da Varsavia sull'altare dell'amore per la patria, la nostra capitale ci appare - specialmente nei momenti solenni - come un santuario di martiri della Nazione. Un santuario di martiri della Nazione. così lo ha definito a Varsavia il Primate del Millennio. Osserviamo in questa definizione tutto il peso specifico della testimonianza evangelica. Martire - martyr - testimone. Testimone dell'amore, che è più grande dell'odio.

Infatti, ormai anche nel nostro secolo, durante l'insurrezione di Varsavia, e poi dopo la sua fine, la capitale divenne lo scenario di uno scontro mortale tra eroismo e brutalità (come ha intitolato il suo libro postbellico un grande filosofo, professore dell'Università Jagellonica, Don Konstanty Michalski) prigioniero di Sachsenaus.

Quello che succedeva allora a Varsavia, era quasi l'ultimo accumulo dell'odio, che per alcune generazioni cercava di distruggere, di distruggere letteralmente, la nostra Nazione. Ed ecco, quella Varsavia - la Varsavia delle elezioni dei re polacchi - divenne ormai nel nostro secolo luogo di altre scelte ed altre soluzioni: tra la vita e la morte, tra l'amore e l'odio. Un mirabile seguito di eventi. Una annotazione antica e una annotazione contemporanea - l'una e l'altra importanti per la storia della Nazione.


4. Oggi ci raduniamo qui per partecipare all'Eucaristia di Cristo. Diverso è il momento storico. Attraverso gli ultimi anni e per decine di anni la società ha lottato per la sua sovranità. Da poco questa lotta sembra essere conclusa. Ed ecco che tutti sentiamo, dopo il lungo periodo della sovranità limitata da un sistema totalitario, che questa sovranità soggettiva non è solo una conquista, ma è anche una nuova sfida. Una sfida per definire se stessi, realizzare se stessi, essere se stessi. Se stessi come uomini, come persone, Nazione, Comunità.

Tale sfida viene in diversi modi rivolta alla volontà dell'uomo: alla volontà di ognuno e di tutti. Stiamo dando un esame della nostra umanità e del nostro cristianesimo, del nostro essere polacchi e del nostro europeismo.

L'esame nel passato era difficile. L'abbiamo superato e l'esito generale ci procuro apprezzamento. Ci siamo stati confermati. Tuttavia non è possibile fermarci qui. L'esame della nostra libertà è davanti a noi. Non si può solo possedere la libertà. Occorre costantemente conquistarla, costantemente la si conquista facendone un buon uso - usandola nella verità, perché soltanto "la verità rende liberi" (cfr. Jn 8,32) gli uomini e le comunità umane le società e le nazioni. così insegna Cristo.

La nostra patria si è trovata nuovamente in un particolare momento storico, un momento sotto molti aspetti unico e forse decisivo, che non può essere sciupato per nessuna ragione. Questo è un grandioso dono di Dio, un qualche "kairos" della nostra storia, che ci è stato donato e contemporaneamente dato in compito.

Nell'odierna Eucaristia prego insieme a voi, amati miei fratelli e sorelle, prego insieme a voi miei Connazionali, per questo esame della libertà, che è davanti a voi. Vivo insieme a voi le difficoltà, che sono nuove e spesso inattese. Le difficoltà che sono dentro di voi, in ognuno di noi e in tutti. Cari Fratelli e Sorelle, sono uno di voi. Lo sono sempre stato, in diverse tappe, e lo sono ancora. Amo la mia Nazione non mi sono mai state indifferenti le sue sofferenze, le limitazioni della sovranità e l'oppressione - e ora non mi è indifferente questa nuova prova della libertà, davanti alla quale tutti ci troviamo.


5. Quale sarà la risposta? Le risposte devono essere molte, ognuna adatta alla persona, all'ambiente, alla situazione. Allo stesso tempo la risposta è unica: essa è il comandamento dell'amore. Il grande comandamento evangelico, mediante il quale l'uomo ritrova se stesso come persona e come facente parte di una comunità, come figlio o figlia della Nazione. Uno e tutti.

Il Concilio insegna: "L'uomo, ...al mondo è la sola creatura che Dio (creando) abbia voluto per se stessa". E' contemporaneamente quest'uomo - immagine e somiglianza di Dio - non può realizzarsi "se non attraverso un dono sincero di sé" (GS 24).

E' dunque: non egoismo, non un affrettato successo economico (ad ogni costo), non il materialismo pratico... (si potrebbe moltiplicare questo elenco) - ma la disponibilità di donare se stessi, il progresso morale, la responsabilità.

In una parola: il comandamento dell'amore.

Vi voglio oggi lasciare - fratelli e sorelle - un'ulteriore esortazione ad un tale amore, che vuole donarsi totalmente a Dio, e ama il prossimo come se stesso. Durante questa Santa Messa è stato proclamato beato un francescano, conventuale P. Rafal Chylinski. Era un uomo di grande preghiera e allo stesso tempo di grande cuore per i poveri. Quando a Cracovia, nel 1736, scoppio l'epidemia, si dedico tutto ai malati compiendo ogni servizio, senza badare alla propria sicurezza. Con dedizione serviva i poveri, gli ammalati, i contagiati dall'epidemia, tutti coloro che venivano al suo convento a Lagiewniki (attualmente un quartiere della città di Lodz); spesso - ormai non avendo nient'altro - dava loro la propria porzione di pane o il proprio mantello. Poco dopo la sua morte ebbe inizio il processo di beatificazione, venne pero interrotto a causa delle spartizioni della Polonia. Il fatto che durante un così lungo lasso di tempo non perisse il ricordo della sua santità, è una testimonianza, che Dio quasi di proposito attendesse che il suo servo fosse proclamato beato nella Polonia ormai libera. Il beato Rafal ci ricordi che ognuno di noi - anche se siamo peccatori - è stato chiamato all'amore e alla santità.

Vi ho riflettuto molto leggendo la sua biografia. La sua vita è legata con l'epoca dei Sassoni e sappiamo che erano tempi tristi non solo per quanto riguarda la storia politica della prima Repubblica, ma anche per quanto riguarda la moralità sociale. Non voglio ricordare qui i proverbi su quei tempi, che girano tuttora. Erano tempi tristi, tempi di una smisurata fiducia in se stessi, di una totale spensieratezza, di consumismo esteso su uno strato sociale. Ed ecco che sullo sfondo di quei tempi compare un uomo che proviene proprio da questo stato.

E' vero che non è un grande magnate, appartiene alla nobiltà modesta, che in ogni caso possiede tutti i diritti sociali e politici. Quell'uomo, facendo quel che ha fatto, scegliendo la vocazione che ha scelto, diventa o forse lo è ancora protesta e espiazione. Più che protesta, espiazione per tutto ciò che portava la Polonia alla rovina. Qualche volta mentre rifletto sulla vita di questo Beato, mi viene in mente Tadeusz Rejtan. E' vero che Padre Rafal mori ancora prima della prima spartizione della Polonia, nel 1741. Quel che ha fatto Tadeusz Rejtan è accaduto, com'è noto, dopo la spartizione durante una sessione della Dieta che l'ha approvata. Proprio allora Rejtan con il proprio corpo ha sbarrato la porta per non far passare i parlamentari polacchi del XVIII secolo, per scongiurarli: "Non si può! Se volete uscire di qui con questa decisione, con questa legge, dovrete passare sul mio cadavere!". Padre Rafal non è mai stato un deputato, un parlamentare. Ha scelto la vocazione di un povero figlio di San Francesco, ma la sua testimonianza è molto simile. La sua vita nascosta, nascosta in Cristo, era una protesta contro la coscienza, l'atteggiamento e il comportamento autodistruttivi della nobiltà in quei tempi sassoni di cui conosciamo la fine. Ma perché oggi la Provvidenza ce lo ricorda? Perché solo adesso questo processo è maturato attraverso tutti i segni della terra e del cielo, e possiamo proclamare Padre Rafal beato? Ecco, cercate di rispondere a questa domanda. Cerchiamo di rispondere a questa domanda. La Chiesa non ha ricette pronte. Il Papa non vuole suggerirvi nessuna interpretazione, ma riflettiamo insieme tutti quanti, 35 milioni di polacchi, riflettiamo tutti sull'eloquenza di questa beatificazione proprio nell'anno del Signore 1991.


6. Si, siamo peccatori. Ricordiamoci di questo.

"Se consideri le colpe, Signore, Signori, chi potrà sussistere?" - domanda il Salmista (Ps 129/130,3). Dio non conserva il ricordo del peccato. Dio ama l'uomo e cerca per lui la vera libertà. La risposta di Dio al peccato delle origini (che l'odierna liturgia ricorda) è il Vangelo di Cristo, il definitivo mistero della sua Pasqua mediante la croce e la risurrezione. L'Eucaristia, che stiamo celebrando, è la costante attuazione di questa Pasqua.

Nella storia dell'uomo e nella storia dei popoli perdura questo amore, che sempre e più forte dell'odio. Continua la potenza della redenzione con la quale Cristo "attrae tutti a sé" (cfr. Jn 12,32). Opera in noi il suo Spirito, che è Spirito di verità (cfr. Jn 15,26). Perdura questo bene nascosto, del quale ci ha parlato in modo così splendido all'inizio.

La potenza della Redenzione.

Almeno non lo bestemmiassimo. Almeno non bestemmiassimo lo Spirito Santo (cfr. Lc 12,10). E' allora che si chiude in noi la potenza creativa dell'amore.

Allora la "casa divisa in se stessa, quella casa non può reggersi" (Mc 3,25).

Quando per la prima volta visitai Varsavia nel 1979, in Piazza della Vittoria pronunciai questa invocazione: "Scenda il Tuo Spirito! E rinnovi la faccia della terra. Di questa terra!" (il 2 giugno).

A questa terra, a questa terra polacca in mezzo all'Europa, terra segnata dalla tradizione della propria matrice europea. Lo ripeto ancora una volta perché all'interno e all'estero si abusa di questo umiliante argomento che solo ora dobbiamo entrare nell'Europa. Invece dobbiamo riflettere bene sulla realtà europea e sull'essere europei. Bisogna ricordare che il focolaio della libertà è stato portato all'Europa da San Paolo, colui che proclamava la liberazione mediante Cristo: "Se Cristo vi libererà, sarete liberi". La libertà alla quale ci libera Cristo è il messaggio della Buona Novella e il messaggio della libertà di Cristo che plasma la storia dell'Europa da due millenni. La libertà alla quale ci libera Cristo ci è stata data, portata, offerta non perché la sciupassimo, ma perché la vivessimo, e la trasmettessimo agli altri! Bisogna cominciare da questa verità sull'Europa. E nello stesso tempo bisogna renderci conto che col passare del tempo, soprattutto nei tempi cosiddetti moderni, Cristo quale artefice dello spirito europeo, quale artefice della libertà che in Lui affonda la sua radice salvifica, è stato messo tra parentesi e che si è andata formando un'altra mentalità europea, mentalità che sinteticamente possiamo esprimere in questa frase: "pensiamo e viviamo come se Dio non esistesse". Certo, se Cristo è stato messo tra parentesi e forse addirittura completamente fuori, anche Dio non esiste più. Dio come creatore può esistere lontano: creatore, ma senza il diritto di intervenire nella vita dell'uomo, nella storia dell'uomo. Viviamo dunque come se Dio non esistesse. Anche questo fa parte dello spirito europeo. Della tradizione dell'Europa moderna. Dobbiamo riflettere molto a fondo sul molteplice significato dell'essere europei. Il Concilio Vaticano II si rendeva conto di quell'altro spirito dell'Europa. Non solo dell'Europa, nondimeno questo spirito ha qui la sua culla, qui in Europa, sul nostro continente, qui ha raggiunto anche i suoi culmini tragici che noi ricordiamo poiché appartengono a questo secolo; noi stessi li abbiamo provati nella nostra storia del ventesimo secolo. perciò il Concilio Vaticano II ha formulato una frase stupefacente: "Cristo rivela all'uomo la pienezza dell'uomo". Se vogliamo quindi trovarci sul piano dell'umanesimo, per esempio dell'umanesimo europeo, occidentale o orientale, qualsiasi, dobbiamo ricordare che questo umanesimo si rivela pienamente in Cristo. Cristo ha rivelato all'uomo l'uomo stesso, attraverso la rivelazione di Dio, la rivelazione del Padre, poiché non si può dire la piena verità sull'uomo senza ricordare che egli ha le sue origini in Dio, che è all'immagine e somiglianza di Dio, che è stato creato da Dio, redento da Dio-Uomo e visitato continuamente dallo Spirito della Verità, lo Spirito Santo. Questa è la verità sull'uomo, la verità sull'uomo europeo. E noi, noi polacchi, questa verità sull'uomo non la possiamo tradire! E' per questo che parliamo sempre del bisogno di una nuova evangelizzazione. Dopo il Concilio Vaticano II è nata questa coscienza ed è nato questo bisogno di una nuova evangelizzazione di questo vecchio continente, delle sue antiche società, società cristiane. Eppure bisognose della nuova evangelizzazione.

Questo l'ho lasciato per Varsavia, perdonatemi...

Quindi, ricordo una volta ancora: Piazza della Vittoria, l'anno 1979, e l'invocazione del Papa all'epoca ancora giovane, che oggi voglio ripetere non in Piazza della Vittoria, ma nella Villa di Lazienki vicino al Belvedere, nei pressi della residenza del Presidente della Repubblica, alla presenza di questo Presidente, della sua consorte e del Governo, dei rappresentanti della Dieta e del Senato, di tutti: "Scenda il Tuo Spirito! Rinnovi il volto della terra. Di questa terra! Di questa terra polacca, europea, di tutta la terra!".

Scenda il Tuo Spirito e rinnovi il volto della Terra! Non cesso di confidare nello Spirito Santo. "Colui che ha iniziato in voi questa opera buona, la porterà a compimento" (Ph 1,6). Lo credo e lo spero: la porterà a compimento.

Non lo ostacolate; collaborate con Lui poiché tutti siamo chiamati a diventare collaboratori di Dio. Amen.(Traduzione dal polacco)

Data: 1991-06-09
Domenica 9 Giugno 1991


GPII 1991 Insegnamenti - L'incontro con gli esponenti delle comunità ebraiche nella nunziatura apostolica di Varsavia (Polonia)