GPII 1992 Insegnamenti - Ai membri di una Comunità di Vita Cristiana di Madrid - Città del Vaticano )Roma)

Ai membri di una Comunità di Vita Cristiana di Madrid - Città del Vaticano )Roma)

Titolo: Progredire nell'amore di Cristo


Signor Cardinale, Cari fratelli e sorelle, Mi è molto gradito avere questo incontro con tutti voi, membri della Comunità di Vita Cristiana "Matrimonios Nuestra Senora de Nazareth y del Pilar" di Madrid. che siete voluti venire in pellegrinaggio a Roma, centro del cattolicesimo, per fare la vostra professione di fede di fronte alla tomba degli Apostoli Pietro e Paolo, così come per accompagnare il Signor Cardinale Arcivescovo di Madrid - che ringrazio vivamente per le sue amabili parole - il quale, nella solennità di questi Apostoli, riceverà il Pallio come segno della potestà metropolitana e della comunione con il Successore di Pietro.

Conosco la vostra attività nel seno della Chiesa diocesana, sia a livello di apostolico familiare che nelle opere assistenziali. Desidero incoraggiarvi a continuare, con rinnovato spirito, in un maggiore approfondimento degli ideali cristiani, facendo dell'Eucaristia il centro di unità e di incontro dei membri della Comunità, impegnandovi sempre per la giustizia nei vostri ambienti e rimanendo fermamente uniti ai vostri pastori e sempre disponibili all'azione dello spirito che desta permanentemente carismi e servizi per il bene dei fratelli.

Considerando la spiritualità peculiare dei vostri gruppi, vi esorto anche ad essere sacramento vivo dell'amore e della dedizione di Cristo per la sua Chiesa (cfr. Ep 5,24 Ep 5,32). In questo consiste l'essenza del matrimonio cristiano, che unisce fortemente a Cristo e fa si che il focolare sia una cellula fondamentale nella società. La celebrazione eucaristica, infatti, "fonte e apice di tutta la vita cristiana" (LG 11), vi permetterà di progredire nell'amore di Cristo, inserendovi sempre più nella sua intima Alleanza, e vi darà la forza per continuare a rinnovare l'amore sempre aperto al dono della vita.

Elevo la mia preghiera al Padre Onnipotente affinché le vostre famiglie siano autentiche "Chiese domestiche" (ibidem, LG 11) nelle quali si viva l'unità dell'amore. Affinché gli sposi sentano ogni giorno la loro paternità come partecipazione della paternità divina. Affinché i figli sappiano corrispondere con affetto, obbedienza e aiuto, l'amore e la dedizione generosa dei loro genitori.

Affinché gli anziani, testimoni del passato e ispiratori della sapienza (Cfr. FC 27), possano sentirsi anche membri attivi pienamente accolti nella comunità familiare.

La Sacra Famiglia vi aiuti a mantenere fedelmente il vostro impegno apostolico e ad essere testimoni del valore permanente della famiglia nella società spagnola. Come conferma di questi ferventi auguri, imparto a tutti i presenti, ai vostri familiari e a tutti i membri di questa Comunità di Vita Cristiana dell'Arcidiocesi di Madrid, una speciale Benedizione Apostolica.

(Traduzione dallo spagnolo)

Data: 1992-06-27 Data estesa: Sabato 27 Giugno 1992




Incontro con la Curia Romana, il Governatorato e gli organismi connessi per il Sinodo Romano - Città del vaticano (Roma)

Titolo: La vocazione all'esemplarità della Chiesa di Roma




1. "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15).

La Chiesa di Dio che è in Roma non cessa mai di ascoltare queste parole - ultime e decisive - che il Signore Gesù Cristo pronuncio prima della sua "dipartita" per entrare nella gloria del Padre. A Roma infatti rimane sempre viva la memoria dei due grandi Apostoli: di Pietro, che insieme con i suoi fratelli nell'apostolato udi con i propri orecchi quest'ultimo mandato di Cristo risorto; e di Paolo, che lo senti più tardi e in circostanze speciali, alle porte di Damasco - lo senti pronunciare con una potenza tale che da quel momento esso divenne l'unico motivo-guida della sua vita, come egli stesso lascio scritto: "Guai a me se non predicassi il Vangelo!" (1Co 9,16).


2. La Chiesa, che poggia su queste due colonne apostoliche, sta vivendo in modo particolarmente intenso l'anno corrente, perché in esso cade il quinto centenario di quel 1492 in cui le fu svelata l'esistenza di un nuovo "mondo", prima sconosciuto. E tale mondo divenne subito una nuova sfida per i discepoli di Gesù Cristo, il quale aveva detto una volta a Pietro e agli altri Apostoli: "Andate in tutto il mondo". Anche i ministri del Redentore, che vivevano nell'anno 1492, non poterono perciò non sentire come rivolto a se stessi quel "guai a me" di Paolo: "Guai a me se non predicassi il Vangelo!". Come non fare, a questo punto, un paragone tra l'anno 1492 e il Battesimo della Ruthenia (Rus) nell'anno 988? Anche allora ebbe inizio la diffusione del Vangelo tra nuovi popoli e nazioni, questa volta tuttavia in direzione Est. Anche quei popoli e quelle nazioni costituivano un "mondo" distinto: uno di quei mondi a cui il Redentore aveva inviato i suoi Apostoli, al sopraggiungere della "pienezza dei tempi" (cfr. Ep 1,10).


3. E' giusto, dunque, che noi, radunati qui presso le "soglie degli Apostoli", eleviamo con più profonda intensità l'inno di gloria al Dio unico nella maestà della Santissima Trinità, ringraziandolo per il dono della missione del Redentore (Redemptoris Missio), che si rinnova nelle epoche diverse della storia, per raggiungere i cuori delle persone e le comunità dei popoli ed abbracciarle nell'eterno Disegno della Verità e dell'Amore salvifici.


4. Questo è il contesto storico in cui la Chiesa che è in Roma è entrata nel cammino del Sinodo pastorale, i cui lavori sono ormai molto avanzati, come abbiamo potuto udire anche oggi dalla puntuale e ricca relazione del Cardinale Vicario. A lui e a tutto il Consiglio Episcopale, come pure ai collaboratori della Diocesi va il mio vivo ringraziamento. Ho voluto questo Sinodo diocesano, annunciandolo nella Pentecoste dell'anno 1986, poco dopo la celebrazione dell'Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi a venti anni dal Concilio, per promuovere una profonda penetrazione del magistero dottrinale - e al tempo stesso pastorale - del Concilio Vaticano II nella vita della Chiesa in Roma. In particolare, le due grandi Costituzioni conciliari sulla Chiesa e sulla sua presenza nel mondo contemporaneo, "Lumen gentium" e "Gaudium et spes", nella loro profonda unità, rappresentano la base e la sorgente ispiratrice sia del lavoro sinodale svolto finora - con i suoi momenti forti nelle Assemblee presinodali di Prefettura e poi nel "Confronto con la Città" - sia di quello a cui si accingono le Assemblee plenarie ormai imminenti, attraverso le quali il Sinodo giungerà a compimento per irradiarsi in tutte le dimensioni della pastorale diocesana verso il grande Giubileo dell'inizio del terzo Millennio cristiano.


5. Con lo sguardo rivolto tanto al cammino percorso quanto a quello che sta davanti a noi, ricordiamo anzitutto quella dimensione "fondativa" del Sinodo, come di tutta la vita della Chiesa, che è la preghiera: l'adorazione, il rendimento di grazie, la supplica al Padre ricco di misericordia, attraverso il Figlio fatto uomo per noi, nella luce e nella consolazione dello Spirito, devono salire incessanti dal cuore della Chiesa di Roma riunita in Sinodo. Le assemblee liturgiche, solenni e quotidiane, la preghiera nascosta e silenziosa dei sacerdoti e dei fedeli, l'assiduo stare accanto al Signore delle comunità di vita contemplativa, abbiano una costante intenzione comune: il Sinodo e i frutti del Sinodo. Per la mutua relazione che sussiste tra Chiesa pellegrina e Chiesa celeste, sappiamo e confidiamo che questa preghiera è sostenuta dall'intercessione della Vergine Maria, nostra Madre e nostra Fiducia, ed insieme da quella degli apostoli Pietro e Paolo e di tutto il coro dei Santi e delle Sante, che attraverso i secoli hanno illustrato e reso feconda con la loro testimonianza la Chiesa di Roma.


6. L'orizzonte del Sinodo diocesano è definito dall'impegno della "nuova evangelizzazione": entro questa prospettiva vanno letti - nella loro intima relazione - i due grandi temi sinodali, la comunione e la missione, secondo la preghiera di Gesù: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21). Il compito dell'evangelizzazione, connaturato nell'essenza stessa della Chiesa, acquista certamente un'urgenza nuova per la situazione spirituale, morale e sociale di questa Città, in cui è ben viva e vitale la grande tradizione cristiana e cattolica di fede e di carità operosa, ma sono pure ampiamente diffusi l'indifferenza religiosa, il permissivismo, con il conseguente degrado morale e sociale. perciò l'azione pastorale della Chiesa è chiamata a svilupparsi sul duplice versante di una profonda formazione cristiana, personale e comunitaria, che sappia generare autentici testimoni e apostoli di Gesù Cristo, e di uno slancio missionario che non si limiti a coloro che già frequentano le nostre chiese, ma si sforzi di raggiungere le persone, le famiglie, le categorie sociali là dove esse vivono e attraverso quelle forme di cultura e quegli strumenti di comunicazione dai quali esse vengono largamente plasmate nei propri convincimenti e stili di vita. La Chiesa non può rinunciare infatti ad offrire a tutti la possibilità di un incontro personale con Cristo e di una vita modellata sull'esempio di Lui.


7. Se questo è l'orizzonte del Sinodo diocesano di Roma, esso a più di un titolo domanda che convergano in un impegno solidale tutte le energie vive della Chiesa di Dio che è in Roma, da quelle più propriamente diocesane a quelle - salva restando la diversità delle funzioni - che sono al servizio della dimensione universale del ministero del Successore di Pietro. La "esemplarità" che è propria della Chiesa di Roma, in virtù del suo essere la Sede di Pietro, imprime un significato e un valore non soltanto diocesano al Sinodo che essa sta celebrando.

Al Sinodo Romano guardano e guarderanno le Chiese sorelle, sparse nel mondo, per trarne ispirazione, stimoli e suggerimenti per l'opera della nuova evangelizzazione che, pur nelle differenze delle culture e delle situazioni, è il grande compito comune dei discepoli di Cristo nell'epoca che stiamo attraversando.

Il Sinodo è quindi un'occasione privilegiata per promuovere e incrementare la comunione e il raccordo organico tra coloro che sono al servizio delle due dimensioni, diocesana e universale, dell'unico ministero del Romano Pontefice. Già questo raccordo è in atto, con beneficio evidente del popolo di Dio che è in Roma, nella multiforme disponibilità pastorale dei Padri Cardinali, dei Vescovi e dei Sacerdoti, dei Religiosi e delle Religiose, e di non pochi laici che sono al servizio della Sede Apostolica o comunque sono presenti in Roma perché in questa Città ha Sede il Successore di Pietro. E reciprocamente, proprio da questo impegno pastorale e dall'esperienza del contatto vivo con la Chiesa particolare di Roma, lo stesso servizio alla Sede Apostolica riceve sostegno spirituale e aiuto ad entrare nella realtà concreta dei problemi. Ma è largo ancora lo spazio perché questa comunione operosa e questo scambio di doni crescano in intensità ed organicità, senza ostacolare l'adempimento dei compiti propri di ciascuno.


8. E perché sia sempre chiara l'origine di questa condizione unica della Chiesa di Dio che è in Roma, occorre avere costantemente presente il legame indissolubile che sussiste tra "romanum" e "petrinum" alla luce di tutta la Tradizione ecclesiale. La Sede episcopale di Roma è infatti il titolo in forza del quale il Vescovo designato a questa Sede è congiunto, per l'ininterrotta successione apostolica, con la persona stessa di Pietro e ottiene così il ministero pastorale della Chiesa universale, a Pietro direttamente e immediatamente conferito dal Signore Gesù. perciò, se in ciascuna delle Chiese particolari "è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e Apostolica" (CD 11), e vi è quindi un rapporto di "mutua interiorità" con la Chiesa universale (cfr. Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, 9), la Chiesa che è in Roma ha anche sotto questo profilo una peculiare identità, a cui segue una responsabilità ugualmente peculiare. Essa è per se stessa aperta e riferita in maniera singolare all'universalità dell'unica Chiesa.

Di qui anche nasce la vocazione di esemplarità che le è affidata: più di ogni altra Chiesa particolare, essa ha la responsabilità di rendere in sé presente e operante il mistero dell'unica Chiesa di Cristo, depositaria "di tutta la verità rivelata da Dio e di tutti i mezzi di grazia" (UR 4). Il Sinodo diocesano di Roma chiama e aiuta noi tutti a vivere questa esemplarità nella conversione, nella fedeltà, nel rendimento di grazie.


9. Conviene ricordare qui, ancora una volta, l'insegnamento del Concilio Vaticano II sulla collegialità dell'Episcopato nella comunione con il Successore di Pietro.

La Chiesa, per volontà di Cristo, ha una struttura gerarchica, e la Gerarchia - a sua volta - ha un senso ministeriale: è una gerarchia di servizio. Ciò vale per tutti coloro che nella Chiesa sono i soggetti del ministero gerarchico: per ciascuno secondo una proporzione adeguata. Per il Vescovo di Roma dunque - in ragione del "ministerium petrinum" - in modo del tutto particolare. Ciò è espresso nella maniera migliore dal titolo di "servus servorum Dei", del quale il Papa San Gregorio Magno per primo volle fregiarsi (Epistula ad Eulogium Episcopum Alexandrinum, PL 77, 933).


10. Questa fondamentale prospettiva non deve mai essere persa di vista quando ci riferiamo alle articolazioni della compagine ecclesiale. così, anche se nel linguaggio profano si usano con facilità i termini "centralizzazione" e "decentramento", noi dobbiamo sottolineare che la specificità della Chiesa è diversa. Come un "corpo", un organismo vivente, la Chiesa ha un solo Capo, che è Cristo stesso, operante nella potenza dello Spirito Santo. Nell'ambito della struttura gerarchica, il potere ministeriale della Chiesa è esercitato dai Vescovi nell'unità collegiale con il Vescovo di Roma, in quanto Successore dell'apostolo Pietro. Si può dire dunque che il "munus episcopale", particolarmente nella sua dimensione collegiale, e il "munus petrinum" si compenetrano e si connettono profondamente a vicenda. Nel periodo post-conciliare la dimensione collegiale del ministero episcopale si è molto intensificata. A parte, infatti, l'istituzione più significativa in questo campo, che è il Sinodo dei Vescovi nelle sue diverse attuazioni, si devono ricordare altre molteplici forme di raccordo tra la Santa Sede e l'Episcopato mondiale, quali, ad esempio, la vasta e capillare consultazione posta in atto per la preparazione del nuovo Codice di Diritto Canonico e del Catechismo della Chiesa Cattolica, le convocazioni straordinarie del Collegio Cardinalizio o degli Episcopati di determinate Nazioni per lo studio di problemi di interesse generale, gli incontri con i Vescovi dei vari Paesi in occasione dei viaggi apostolici, oltre che nelle consuete visite "ad limina", e la collaborazione di alcuni di loro in qualità di consultori con i diversi Dicasteri della Curia Romana. Alla base di tutto ciò vi è la consapevolezza che il Successore di Pietro ha di dover restare costantemente in ascolto di "ciò che lo Spirito dice alle Chiese" (Ap 3,6), agendo con e per i suoi fratelli nell'episcopato, così da favorire una sempre più intensa comunione nell'opera di evangelizzazione del mondo contemporaneo. Anche la Costituzione "Pastor Bonus" dimostra in quale maniera la Sede Apostolica e la Curia Romana cerchino di adeguare la loro opera all'intensa attività dell'Episcopato nella sua dimensione collegiale, affinché il "munus petrinum" del Vescovo di Roma possa svolgere adeguatamente il compito espresso dalla formula gregoriana "servus servorum Dei".


11. E' presente oggi tra noi una delegazione del Patriarca ecumenico, Sua Santità Bartolomeo I, qui venuta, secondo una bella consuetudine, per prendere parte alla celebrazione romana della festa dei Santi Pietro e Paolo, così come una delegazione cattolica si reca al Patriarcato ecumenico per la festa di Sant'Andrea apostolo, fratello di Pietro. Saluto con sentimenti di fraterna cordialità la delegazione, guidata dal Metropolita del Nord e Sud America Sua Eminenza Iakovos, ed esprimo la mia gioia per la comunione nella commemorazione degli Apostoli e per quanto vien fatto in vista del ristabilimento di quella piena unità che Cristo vuole per i suoi discepoli. La presenza dei fratelli ortodossi attira visivamente la nostra attenzione sulla preoccupazione per la dimensione ecumenica del Sinodo Romano. Il suo regolamento prevede che si invitino, "data la peculiarità della diocesi di Roma", delegati fraterni delle altre Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, perché prendano parte all'assemblea sinodale romana cattolica. Ciò esprime la sollecitudine del Sinodo per la ricerca della piena unità tra i cristiani, la quale è una priorità nella pastorale della Chiesa nel nostro tempo e in particolare in quella del Vescovo di Roma.


12. Nella Declaratio conclusiva della Sessione speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Europa, i Padri, sulla scia dell'insegnamento del Concilio Vaticano II, hanno dichiarato: "Ci siamo resi conto di quanto la nuova evangelizzazione sia compito comune di tutti i cristiani e di quanto dipenda da ciò la credibilità delle Chiese nella nuova Europa" (III,7). In questa linea, il Sinodo Pastorale diventa un momento di fattiva applicazione della preoccupazione ecumenica in una diocesi concreta con le caratteristiche peculiari della diocesi di Roma. Per l'esemplarità del ruolo che essa esercita nella Chiesa di Cristo, l'intento ecumenico, che non proviene da una iniziativa pastorale contingente, ma dalla stessa volontà di Cristo (CJC CIC 755, par. 1), deve starle particolarmente a cuore. La presenza al Sinodo Romano dei fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali potrà, tra l'altro, arricchire le stesse deliberazioni sinodali, contribuendo ad introdurre maggiormente la preoccupazione ecumenica nella pastorale normale, facendo crescere la reciproca conoscenza, la carità vicendevole e possibilmente la fraterna collaborazione. Una simile vicendevole partecipazione, oltre ad esprimere la comunione - vera seppur parziale - che esiste, non mancherà di stimolare il concorde impegno nella ricerca della piena unità. In tal modo, sin da ora sarà possibile dare una autentica testimonianza di fronte al mondo, una testimonianza che diventi anche fonte di evangelizzazione.


13. Carissimi, in questa antivigilia della Festa dei Principi degli Apostoli a cui la Chiesa di Roma deve le sue origini, mi è caro concludere ricordando la tradizione che ci parla degli immediati collaboratori di San Pietro, partecipi delle sue sollecitudini universali, collaboratori della sua missione, responsabili, sia pure in gradi diversi, delle sorti della Sede Apostolica. Voi siete subentrati a loro ed avete il compito di collaborare da vicino col Successore di Pietro. Il Papa non si sente solo, conta su di voi, su ciascuno di voi. Vi saluto ad uno ad uno, con viva gratitudine per l'opera generosa che quotidianamente prestate nell'ufficio a ciascuno affidato. Con voi saluto le vostre famiglie, alle quali auguro ogni bene. Un pensiero di speciale riconoscenza desidero rivolgere anche a voi, Religiosi e Religiose degli Ordini e delle Congregazioni presenti in Roma e contemporaneamente operanti nel mondo. La vostra collaborazione col ministero petrino si rivela singolarmente preziosa a motivo della ricca esperienza ecclesiale che la vastità del raggio di azione dei vostri Istituti vi consente di acquisire. Anche su di voi il Papa fa speciale affidamento.

Nell'invocare su ciascuno dei presenti a questo incontro la celeste intercessione degli Apostoli Pietro e Paolo per un rinnovato impegno di dedizione al servizio della Chiesa, a tutti imparto di cuore la mia Benedizione.

Data: 1992-06-27 Data estesa: Sabato 27 Giugno 1992

Celebrazione eucaristica nella solennità dei Santi Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La stessa fede che condusse Pietro e Paolo al martirio guida ancora oggi la Chiesa sui sentieri della santità




1. "Il Signore pero mi è stato vicino e mi ha dato forza" (2Tm 4,17). così scrive Paolo di Tarso a Timoteo, suo discepolo. Vicino ormai alla fine della sua vita, l'Apostolo fa questa confidenza che risale al lontano passato. Quando il Signore gli è stato vicino? Come è avvenuto questo? Tutti ricordiamo - soprattutto oggi - l'evento che ebbe luogo presso le mura di Damasco. Giustamente Saulo di Tarso - quello di un tempo - si definiva come "il più piccolo" e l'"infimo" tra i chiamati da Cristo. Giustamente dichiarava che non era degno neppure di essere qualificato apostolo, perché aveva perseguitato la Chiesa di Dio (cfr. 1Co 15,9). Umanamente parlando, era uno che aveva voluto distruggere l'opera di Cristo. Tuttavia, il Signore stesso l'aveva distolto da questo proposito - e l'aveva trasformato; Egli stesso aveva trasformato il persecutore in un Apostolo - nell'Apostolo, in certo senso, "più grande", dal punto di vista dello zelo per il Vangelo e dell'ampiezza dell'opera di evangelizzazione compiuta: "Il Signore... mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili" (2Tm 4,17). In queste parole vive la Chiesa universale, cioè "cattolica" - secondo il mandato di Cristo: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19).


2. "Il Signore pero mi è stato vicino". Nel momento in cui era vicino a Saulo sulla via verso Damasco, Cristo era già assiso "alla destra del Padre": era il Signore risorto. Era li per intervenire a favore della Chiesa, che è il suo Corpo.

Diceva, appunto, a Saulo: "perché mi perseguiti?" (Ac 9,4). Saulo pensava di perseguitare Pietro e i discepoli di Gesù, che - secondo lui - erano apostati dalla Legge e, oltre a seguire una strada sbagliata, cercavano di portare all'errore anche gli altri. In realtà, in loro egli perseguitava Cristo stesso.

Pensava di perseguitare persone che forse conosceva per nome, così come Stefano, che era stato condannato alla lapidazione con l'accusa di bestemmia. Saulo aveva approvato la sua crudele condanna ed aveva partecipato all'esecuzione del Diacono, che era morto dicendo: "Ecco io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio... Signore, non imputar loro questo peccato!" (Ac 7,56 Ac 7,60).

Poteva Saulo intuire in quel momento che le parole pronunciate da Stefano sarebbero valse anche per lui? Poteva prevedere che era vicino ormai il giorno in cui egli stesso avrebbe contemplato Gesù risorto per la potenza di Dio, lo avrebbe contemplato con gli occhi abbagliati dalla forza della luce promanante da Lui.


3. "Il Signore mi è stato vicino". Queste parole ci conducono nel cuore della storia di entrambi gli Apostoli: Pietro e Paolo, che la Chiesa venera oggi a Roma e in tutto il mondo. Molte volte ancora, più tardi, il Signore si sarebbe avvicinato a Paolo sulle sue strade, prima del giorno in cui anch'egli avrebbe dato la vita sotto la spada: la spada, non la croce, essendo egli cittadino romano. Molte volte il Signore si sarebbe avvicinato a Pietro sulle sue strade, a quel Pietro che prima si chiamava Simone ed era pescatore, figlio di Giona di Galilea e fratello di Andrea. Era stato Andrea a condurlo per la prima volta a Gesù (dopo il battesimo nel fiume Giordano) - e già durante quel primo incontro Cristo gli aveva cambiato il nome: "Ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)" (Jn 1,42). E da quel momento il Maestro lo aveva chiamato così, ma il significato di quel nuovo nome si sarebbe chiarito più tardi, nei dintorni di Cesarea di Filippo, quando Gesù gli disse: "Tu sei Pietro e su questa pietra edifichero la mia Chiesa" (Mt 16,18). Questa Chiesa cresce appunto dalla fede nel Vangelo portato prima dagli Apostoli, poi dai loro discepoli e in seguito dalle generazioni dei loro successori - a nazioni e popoli sempre più lontani, fino ai confini della terra.

Questa Chiesa ha oltrepassato le frontiere d'Israele e le frontiere dell'Antica Alleanza. E' stata questa, appunto, l'opera pionieristica di Paolo - Apostolo dei Gentili. Ma il primo passo in questa direzione fu fatto da Pietro, che battezzo il centurione romano di nome Cornelio.


4. "Il Signore mi è stato vicino...". Quante volte il Signore stette vicino a Pietro da quel momento in cui lo chiamo e gli cambio il nome! In varie occasioni Gesù lo pose in evidenza tra gli altri Apostoli, ma al tempo stesso lo ammoni e lo rimprovero severamente. Tutti ricordiamo entrambi gli atteggiamenti. Ricordiamo anzitutto il rinnegamento di Pietro e lo sguardo di Cristo, che suscito nell'Apostolo lacrime amare di contrizione. E poi quel colloquio sulla riva del lago di Tiberiade, quando il Risorto concesse a Pietro di professare per tre volte il suo amore - confermandogli anche per tre volte il mandato apostolico. Il Buon Pastore disse all'Apostolo convertito: "Pasci i miei agnelli... Pasci le mie pecorelle" (Jn 21,15-17). E aggiunse: "Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio... un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio" (Jn 21,18-19). Quel momento non era ancora arrivato, quando Pietro fu imprigionato da Erode in Gerusalemme - quando si stava preparando per lui la sentenza di morte. Allora ancora una volta "il Signore gli fu vicino" e lo strappo dalle mani di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo (cfr. Ac 12,11). Quel momento doveva giungere molti anni più tardi, e non in Gerusalemme, ma a Roma sotto l'imperatore Nerone. Proprio oggi è il giorno in cui la Chiesa celebra la memoria annuale del suo martirio - del martirio di entrambi gli Apostoli: Pietro e Paolo.


5. "Il Signore è stato vicino a loro... e ha dato loro la forza, li ha accolti nel suo regno eterno; a lui la gloria nei secoli dei secoli" (cfr. 2Tm 4,17 2Tm 4,18). Come è stato vicino a Pietro e a Paolo conducendoli con la sua forza fino al martirio, così il Signore guida anche oggi la sua Chiesa sui sentieri della santità e dell'apostolato. Consci di tale perdurante vicinanza, quanti siamo oggi raccolti in questa Patriarcale Basilica invochiamo dal Maestro divino rinnovato vigore spirituale e fedeltà soprattutto per voi, venerati Arcivescovi Metropoliti recentemente nominati, che riceverete nell'odierna solennità il sacro Pallio.

L'antico rito del conferimento del Pallio presso la Tomba del Principe degli Apostoli sottolinea, oltre che la giurisdizione, il vincolo di stretta comunione che lega ciascuno di voi al Successore di Pietro, principio e fondamento visibile dell'unità di tutta la Chiesa.

Auspico, venerati fratelli nell'Episcopato, che così espressivo segno di unità e di amore renda in ciascuno più viva l'adesione a Cristo, il quale chiama i suoi discepoli a proclamare il Vangelo a tutte le genti. Possa l'amore di Dio alimentare la vostra dedizione apostolica, sostenendo il vostro quotidiano impegno a servizio del gregge che vi è affidato. Sono poi lieto, in questo clima di spirituale comunione, di rivolgere il mio affettuoso saluto ai membri della Delegazione inviata dal Patriarca ecumenico, Sua Santità Bartolomeo I, e guidata dal Metropolita del Nord e Sud America, Sua Eminenza Iakovos. Prego il Signore perché il rinnovarsi di questi incontri fraterni accresca la reciproca fiducia e stima tra la Chiesa di Roma e il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli ed affretti il compimento della piena comunione, secondo l'ardente desiderio del Redentore.


6. Si realizzi presto la piena unità dei Cristiani, affinché nel mondo risplenda in tutto il suo fulgore la testimonianza della Chiesa nata dalla morte di Cristo sulla Croce. Della Chiesa che dura nei secoli e che è nata in qualche modo anche dalla morte di Pietro e di Paolo, quando i due Apostoli furono chiamati a completare quello che mancava ai patimenti di Cristo nella loro carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa - si, proprio la Chiesa (cfr. Col 1,24). La Chiesa è rimasta ed esiste. Esiste e vive di ciò che ha rivelato il Padre: "Né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17). La Chiesa - contro la quale gli inferi non prevarranno (cfr. Mt 16,18). La Chiesa - che ha le chiavi del Regno dei cieli: Tutto ciò che essa legherà sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierà sulla terra sarà sciolto nei cieli (cfr. Mt 16,19). Nel giorno in cui la liturgia rende presente la morte degli Apostoli Pietro e Paolo - rivolgiamo il nostro sguardo di fede alla Chiesa.

E ringraziamo per la Vita che è diventata la luce degli uomini. Questa luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta (cfr. Jn 1,4-5).

Data: 1992-06-27 Data estesa: Sabato 27 Giugno 1992

Omelia della Messa celebrata nella Chiesa di San Stanislao dei Polacchi - Roma

Titolo: Nella prospettiva della Croce la libertà si presenta come dono e vocazione, ma oggi anche come sfida




1. "Voi infatti, fratelli, siete chiamati a libertà" (Ga 5,13). La liturgia della Parola dell'odierna domenica ci introduce nel mondo della libertà - affascinante, ma al tempo stesso estremamente difficile. Tema di grande importanza ed attualità.

Dio ha creato l'uomo libero. Gli ha affidato il dono della libertà. In questo dono è racchiuso un segno di particolare fiducia ed amore da parte di Dio. così la libertà è diventata una misura della grandezza dell'uomo tra tutte le creature, la sua vocazione, e al contempo la causa del suo dramma. L'uomo, pero, attraverso il peccato ha abusato di questo dono. Ha rivolto la sua libertà contro Dio, e conseguentemente, anche contro se stesso. Ha infatti dimenticato che proprio Dio, la sua volontà e i suoi comandamenti costituiscono l'ultima garanzia della libertà. L'uomo è diventato schiavo del peccato. Tutte le altre schiavitù dell'uomo hanno un carattere secondario, rispetto a quella fondamentale, che è il peccato. Ed ecco, Dio manda il suo Figlio Unigenito, affinché liberi l'uomo dalla schiavitù del peccato. E' stato molto alto il prezzo che Cristo ha pagato per la nostra libertà: è stato il prezzo della Croce. "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi" (Ga 5,1) - ricorda l'Apostolo. Il vangelo della libertà, di cui San Paolo fu zelante annunziatore e difensore, è iscritto nella Croce di Cristo. Lo dobbiamo sempre di nuovo rileggere: ciascuno e tutti insieme, come Chiesa e come Nazione.


2. "Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà...". Nella prospettiva della Croce la libertà si presenta come dono e come vocazione - ma oggi spesso anche come sfida. La controversia circa la libertà umana e la sua impostazione riveste ai nostri tempi un carattere particolarmente drammatico. Oggi, difendere l'uomo significa difendere l'autentica comprensione della sua libertà, la comprensione evangelica. L'Apostolo ammonisce: "Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne" (Ga 5,13). Queste parole meritano una sottolineatura speciale. Oggi si è allargata enormemente la sfera degli abusi della libertà e ciò conduce a nuove forme di schiavitù - tanto pericolose, perché camuffate sotto le parvenze della libertà. Ecco un paradosso, ecco il profondo dramma dei nostri tempi: nel nome della libertà, s'impone la schiavitù. Qual è quindi la soluzione? Come difendere oggi il dono della libertà? Come essere veramente liberi nel mondo d'oggi - liberi con questa libertà che Cristo ci ha portato?


3. "Mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri!" (Ga 5,13). Ecco la via verso la vera libertà, la via che l'Apostolo ci viene ad indicare: l'atteggiamento di servizio e l'amore reciproco. L'uomo non si ritrova come un essere libero, se non mediante un dono disinteressato di se stesso a Dio e al proprio fratello. L'esempio di una tale libertà ci viene offerto oggi dal profeta Eliseo quando segue la chiamata divina, letta dalle labbra del profeta Elia; ed anche dagli interlocutori di Cristo nel brano evangelico d'oggi, quando dicono: "Ti seguiro, Signore..." oppure "Ti seguiro dovunque tu vada" (Lc 9,61 Lc 9,57). Quanto è necessario oggi a noi l'insegnamento paolino sulla libertà, tratto dalla lettera ai Galati: "Mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri". Quanto è necessario oggi l'insegnamento sulla libertà, quando la Patria ha riacquistato la libertà, dopo il lungo periodo della schiavitù del sistema totalitario. Purtroppo all'orizzonte compare di nuovo lo spettro della "libertà d'oro" nelle diverse realtà storiche, comunque della libertà che non costruisce, ma distrugge. Quanto tristi sono i pensieri che destano in noi oggi le parole di san Paolo: "Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri" (Ga 5,15). Non così si costruisce la vera libertà! Esiste una sola via: "Mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso" (Ga 5,13-14). Ecco la legge fondamentale della libertà. Liberi - per amare. Liberi - per servire.


4. Cari fratelli e sorelle, celebriamo questa Eucaristia nella chiesa romana di san Stanislao, vescovo e martire, in occasione dell'anniversario della sua consacrazione. E' un giubileo assai importante per la Chiesa polacca e per la nostra Patria. La chiesa di san Stanislao in Roma è un luogo tutto particolare.

Essa, unitamente al collegato ospizio, è stata fondata 400 anni fa come risposta, appunto, al richiamo di San Paolo: "Siate al servizio gli uni degli altri".

"Mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri"... Già da allora questo tempio serve ai polacchi che vengono qui, alle tombe degli Apostoli per rafforzare la propria fede, serve alla causa della Chiesa e serve alla causa della Patria.

Quando parlo della Polonia, penso a tutti i polacchi, sia a quelli cioè che li vivono, sia a quelli sparsi in tutto il mondo, perché proprio qui, presso questa chiesa ha trovato sede il centro della Pastorale degli Emigranti. La chiesa di san Stanislao, quindi, è come un libro aperto sulla storia della Polonia degli ultimi secoli. Essa ha condiviso fino in fondo la sorte della Nazione nei suoi misteri dolorosi e gaudiosi. Qui si sono innalzate le preghiere quando minacciavano dei gravi pericoli e qui si è cantato il solenne Te Deum di ringraziamento per le vittorie ottenute. Questa chiesa è un particolare testimone del difficile cammino polacco verso la libertà, cammino segnato dal martirio di molte generazioni. Ne parlano le numerose memorie raccolte in questo tempio come una specie di reliquie nazionali.


5. Vengo qui oggi spinto dal profondo bisogno del cuore, di ringraziare Dio, insieme con voi cari compatrioti, per questo sacro luogo e per le grandi opere che qui si sono compiute e si compiono tuttora. Nel giorno del giubileo dei 400 anni della consacrazione di questa chiesa rivolgiamo al trono di Dio la nostra preghiera di lode e di ringraziamento per il dono di questo tempio che è stato nella storia ed è ancora testimone particolare del vangelo della libertà.

Chiediamo a Maria, Regina della Polonia, a Sant'Adalberto e a San Stanislao, vescovi e martiri, San Stanislao in veste di patrono di questa chiesa, che la nostra Nazione sia sempre fedele alla propria vocazione, perché sappia attingere la sua forza alle radici del Vangelo e perché si lasci guidare dallo Spirito Santo (cfr. Ga 5,18). Richiamiamo oggi alla nostra grata memoria il grande fondatore di questa chiesa e dell'ospizio: il Cardinale Stanislaw Hozjusz, nonché il Cardinale Jerzy Radziwill, vescovo di Cracovia, il quale l'ha consacrata proprio nell'anno 1592. Ricordiamo anche i suoi rettori, specialmente quelli degli anni più recenti, grandi e meritevoli protettori degli emigranti polacchi: l'Arcivescovo Jozef Gawlina e il Cardinale Wladyslaw Rubin, di venerata memoria. Rivolgiamo il nostro grato pensiero anche al Rettore attuale, cioè a Sua Eccellenza Mons. Szczepan Wesoly e ai suoi collaboratori nel servizio pastorale. Grazie alla premura di Sua Eccellenza, questa chiesa - recentemente rinnovata in maniera così splendida - aiuta ancor di più le anime dei polacchi ad elevarsi a Dio. Desidero anche salutare, insieme a tutti qui riuniti, il Cardinale Vicario di Roma, i rappresentanti della Repubblica Polacca nelle persone degli Ambasciatori presso la Santa Sede e presso il Quirinale, e anche con gioia dare il benvenuto ai Monsignori Vescovi e particolarmente gli Arcivescovi - Metropoliti delle nuove sedi polacche - i quali sono venuti per ricevere domani il Sacro Pallio.


6. In questo momento di svolta storica che vive la nostra patria, vogliamo qui, in questo luogo santo, accogliere di nuovo il messaggio di Cristo sulla libertà.

Vogliamo metterlo in pratica nella nostra vita personale e sociale. Vogliamo intensificare la nostra lotta contro tutte le forme di schiavitù che oggi ci minacciano. Vogliamo diventare apostoli del regno di Dio, che è regno di libertà, di giustizia, di amore e di pace. Ci chiama il Cristo. Egli stesso dice dalle pagine del Vangelo: "Seguimi!" (Lc 9,59). In questa chiamata si risente una specie di sollecitazione. Bisogna affrettarsi, bisogna lasciare le cose talvolta molto vicine all'uomo per dedicarsi completamente a quella causa più importante: "...tu va' e annunzia il regno di Dio!" (Lc 9,60). Si. Alle soglie del terzo millennio il mondo invoca Cristo e il suo Vangelo di libertà.

Il mondo, l'Europa, la Polonia - aspettano la nuova evangelizzazione.

Cristo non si stanca di invitare e di chiamare: "Seguimi!"... "...tu va' e annunzia il regno di Dio!"...

Data: 1992-06-28 Data estesa: Domenica 28 Giugno 1992


GPII 1992 Insegnamenti - Ai membri di una Comunità di Vita Cristiana di Madrid - Città del Vaticano )Roma)