GPII 1992 Insegnamenti - Alla cittadinanza raccolta sul piazzale della Concattedrale di San Giusto - Trieste

Alla cittadinanza raccolta sul piazzale della Concattedrale di San Giusto - Trieste

Titolo: Trieste, sii la patria del dialogo

Signor Commissario, Signor Sindaco, Onorevoli Signori, Carissimi fratelli e sorelle,


1. E' con gioia ed affetto che porgo questo mio primo saluto alla suggestiva Città di Trieste, insigne per le sue memorie patriottiche; alla sua Comunità cristiana e civile, a tutti e a ciascuno di voi, qui presenti. Sono riconoscente, in particolar modo, al Signor Commissario, Dottor Sergio Ravalli per le cordiali espressioni di benvenuto che mi ha rivolto a nome vostro. Saluto le Autorità amministrative, politiche e militari che hanno voluto onorarmi della loro presenza. Rivolgo uno speciale saluto al caro fratello Vescovo Monsignor Lorenzo Bellomi, Pastore di questa Chiesa triestina, ai Sacerdoti, ai Religiosi e Religiose, ai laici ed a tutte le componenti della vostra attiva comunità ecclesiale.


2. Mi è dato oggi di ammirare una terra affascinante per le sue bellezze naturali, stretta quasi in un luminoso abbraccio di cielo e di mare; una terra impreziosita da antichi e solenni monumenti e segnata dalle vicende di numerose popolazioni, che hanno contribuito e che contribuiscono al suo sviluppo ed alla sua operosità.

Storia nobile, dunque, è quella di Trieste, ricca di valori umani e spirituali; storia turbata purtroppo anche da eventi tristi e da rovinose distruzioni, a cui hanno fatto fortunatamente seguito coraggiose e pronte rinascite spirituali e materiali. Le vicende del vostro passato manifestano l'intrepido e costante riemergere di un popolo, che si è costantemente distinto per un fecondo intreccio di molteplici tradizioni ed abitudini, consolidate da un maturo senso cristiano della vita.


3. Proprio su questo colle sorsero le prime capanne di quel borgo che, grazie alla sua posizione tra i paesi dell'Adriatico e delle vallate d'Oltralpe, divenne ben presto un notevole centro di commercio e di scambi, naturale punto d'incontro tra i valori culturali dell'Occidente e dell'Oriente. Già da allora, probabilmente, Trieste ebbe modo di sviluppare quella vocazione marittima che tanta influenza avrebbe, poi, esercitato nella sua esistenza. Diventata colonia romana, la vostra città fu tra i municipi più prosperi dell'Impero e accolse con pronta disponibilità il messaggio cristiano recatole dalla vicina Aquileia. Quella prima risposta di fede, confermata dal sangue di numerosi martiri, tra cui San Giusto, vostro venerato Patrono, si irrobusti sino a costituire un elemento determinante ed insostituibile nel tessuto vitale della vostra gente. E a testimonianza di ciò stanno anche le illustri figure di Vescovi zelanti e prudenti, che si sono succeduti sulla cattedra di Frugerio, tra i quali desidero ricordare Enea Silvio Piccolomini, insigne umanista e poi Papa, col nome di Pio II.


4. Le alterne vicende dei secoli, soprattutto in tempi a noi più vicini, hanno visto Trieste difendere con fierezza e tenacia la sua peculiare caratteristica di centro libero e cosmopolita, sovrano e pluralistico; di città in grado di coniugare con una lodevole coscienza della propria origine e identità culturale l'apertura all'accoglienza di popoli e gruppi etnici diversi. Sembra quasi che la veneranda Basilica di fronte alla quale siamo quest'oggi raccolti, con la sua molteplicità di costruzioni e stili armonicamente fusi, rappresenti l'espressione plastica del vero animo della vostra terra, restata sempre fedele a se stessa, ma pronta anche al rinnovamento; ferma nella tradizione, e disponibile all'accettazione di nuovi valori.


5. Carissimi, questo compito impegnativo ed attuale continua ancora a coinvolgervi tutti, credenti e non credenti, giovani e adulti. Siete chiamati oggi come ieri a realizzare, uniti in un generoso sforzo, una società ove il riconoscimento, la stima e la difesa del particolare e del tradizionale non vadano a discapito del bene comune. Solo, infatti, l'intesa fraterna, rispettosa di ogni persona e tesa ad appianare gli eventuali contrasti, è in grado di favorire l'autentica ed effettiva crescita di ciascuno. Mi rendo ben conto delle resistenze che su tale cammino si possono incontrare: esse sono talora connesse ad antichi e non sopiti dissapori, ad incomprensioni bisognose di ulteriore chiarimento, alla sottile tentazione di trasformare l'amor patrio in un esagerato nazionalismo, al rischio di far coincidere la difesa della propria identità con l'esclusione di quella altrui. Conosco il vostro sforzo nell'appianare le difficoltà e nel perseguire la indispensabile collaborazione per dar vita ad una convivenza aperta e solidale fra tutti i componenti della vostra comunità cittadina. Nell'incoraggiarvi a proseguire con decisione e costanza su tale strada, mi permetto di ricordarvi che gli ostacoli ed i problemi del momento presente non devono far cadere la speranza ed il desiderio di dar vita ad una feconda e proficua solidarietà tra persone e gruppi di diversa origine sociale e culturale. A tal fine, come voi stessi osservate, è necessario non solo ricusare prontamente le vie della violenza per risolvere le insorgenti problematiche e tensioni, ma occorre anche respingere quelle, forse meno appariscenti ma ugualmente pericolose, dell'indifferenza e dell'isolamento, della chiusura e del rifiuto del dialogo. In questo modo, Trieste sarà ancor più - come poco fa ha auspicato il Signor Commissario - terra di pace e di sereno confronto tra etnie, culture ed esperienze diverse.


6. Città di Trieste, per la tua posizione geografica, che fa di te un anello di congiungimento con l'Est europeo, per la tua caratteristica esperienza storica, non sei forse chiamata ad essere centro di raccordo e di stimolo per la costruzione della nuova Europa? Un'Europa non più divisa e antagonista. Un'Europa orgogliosa delle sue comuni radici e della sua multiforme diversità di tradizioni e di cultura. Trieste sii la patria del dialogo, promuovi senza paura e con spirito libero una genuina e costruttiva civiltà del dialogo! A fondamento di tale atteggiamento, ci sia la ricerca solidale della verità, della bontà e della giustizia. Ci sia l'apertura e l'accoglienza dell'altro, l'ascolto leale e franco dei problemi e delle ragioni di ciascuno. Per diffondere la cultura del dialogo e della solidarietà, è indispensabile agire in profondità, formare le coscienze al reciproco rispetto. Si rende quanto mai opportuno sviluppare una mentalità di accoglienza e di pace, ispirata al rispetto della vita e dei diritti inviolabili dell'uomo. E' soltanto sulla lucida consapevolezza dell'inalienabile dignità dell'essere umano lungo tutto il corso della sua esistenza, dal primo momento del concepimento fino all'ultimo istante, che è possibile edificare una comunità autenticamente libera e fraterna.


7. Si tratta forse di una meta troppo ardua per essere perseguibile? Forse taluno potrebbe pensarlo. I credenti, invece, animati e sostenuti dalla speranza, che si fonda sul Vangelo, non solo la credono raggiungibile, ma la propugnano come ideale che è doveroso conseguire. Essi sanno di poter contare sull'azione di Gesù, il Figlio di Dio incarnato, morto e risorto per noi, che con la potenza del suo amore è in grado di convertire il cuore dell'uomo e di aprirlo all'accoglienza del divino disegno di salvezza. E' fidando nella potenza di Cristo, Redentore dell'uomo, nella forza vittoriosa della sua Risurrezione, che auguro oggi alla vostra comunità di progredire nella concordia e nella fraterna solidarietà.

Abituati come siete a contrastare la violenza della Bora, che non di rado soffia nel vostro Golfo, sono certo che, come in passato, saprete trovare in voi stessi e nella vostra fede, la forza ideale ed il necessario ardimento per lottare uniti e con decisione contro l'indifferenza, l'emarginazione ed ogni forma di egoismo, radice pericolosa di conflitti e di perniciosi mali sociali.

La Vergine Santissima, da voi invocata come maris Stella, vi guidi e vi accompagni lungo questo non facile, ma fecondo cammino.

Con questo augurio, che diventa preghiera, a tutti imparto la mia affettuosa Benedizione.

Data: 1992-05-01 Data estesa: Venerdi 1 Maggio 1992

Al Santuario di Maria Madre e Regina al Monte Grisa - Trieste

Titolo: Guardate a Maria, icona della vocazione alla santità, fiore di una umanità nuova plasmata dallo Spirito di Dio




1. Da questo Tempio, dedicato a Maria Madre e Regina, porgo un saluto cordiale e benedicente a tutto il popolo di Trieste, cominciando dal suo Vescovo, dalle Autorità e da tutti voi qui convenuti con fede e devozione.

Cari fratelli e sorelle! Ho desiderato sostare in questo Tempio, che rappresenta il cuore mariano della diocesi tergestina, per implorare l'intercessione materna di Maria sul proseguimento del mio viaggio apostolico e per affidare alla Madre di Gesù gioie e dolori, angosce e speranze dell'umanità intera.


2. Non vi nascondo il gaudio che provo, ogni volta che mi è possibile soffermarmi in preghiera nei santuari mariani sparsi nel mondo. Ognuno di essi è la "casa di Maria", dove i pellegrini trovano una Madre che accoglie, consola, sostiene, orienta a Dio e al prossimo, aiuta a ricuperare il vero senso della vita. Questo vale in modo significativo per il Tempio di Monte Grisa, innalzato su questo altipiano carsico a perenne ricordo della consacrazione dell'Italia a Cristo Signore per mezzo del Cuore immacolato di Maria, avvenuta il 13 settembre 1959 a conclusione del XVI Congresso eucaristico nazionale. A quanti entrano in questo Tempio per incontrarsi con la Madre del Redentore, certamente Maria ripete l'invito a rinnovare l'alleanza con Dio nell'obbedienza d'amore all'unico Mediatore Gesù Cristo: "Fate quello che vi dirà" (Jn 2,5). Dall'Atto di consacrazione che interessa la recente storia religiosa dell'Italia, amo risalire ad un illustre rappresentante dell'antica Chiesa di Aquileia: il vescovo Cromazio, vissuto nel IV secolo. Egli invitava a non separare mai Maria dalla Chiesa, di cui Ella è segno distintivo. Partendo dalla presenza della Madre di Gesù e dei suoi fratelli nel Cenacolo, Cromazio conclude con queste incisive parole: "Pertanto la Chiesa non può essere detta tale se non è presente Maria, la Madre del Signore, insieme con i suoi fratelli. Infatti la Chiesa di Cristo esiste là dove si predica l'Incarnazione di Cristo dalla Vergine; e dove predicano gli Apostoli, che sono i fratelli del Signore, là si ascolta il vangelo" (Sermoni, 30). Se è vero che senza Maria non c'è Chiesa, dobbiamo ancora concordare con Cromazio che la Chiesa è la "casa di Maria", in quanto in essa "abita Maria, la Madre del Signore" (Sermoni, 29).


3. In tale prospettiva, il Tempio votivo di Trieste diviene un "segno" di ciò che deve essere la Chiesa: la "casa di Maria", dove i fedeli professano la fede nell'Incarnazione, inizio e fondamento dei misteri di Cristo, e ascoltano con fede la predicazione apostolica. Inizia oggi il mese di maggio, dedicato alla celebrazione della Madre del Signore. Mentre si risveglia la natura ed esplode la primavera con i suoi fiori variopinti, il cuore dei fedeli si rivolge a Maria di Nazareth, fiore della nuova umanità plasmata dallo Spirito. E' giusto, è bello che sia così. Se l'Avvento è "un tempo particolarmente adatto per il culto della Madre del Signore" (Marialis cultus, 4), altrettanto potremmo affermare del mese di maggio, che cade ordinariamente nel tempo pasquale tra le due effusioni dello Spirito cui Maria è stata presente: al Calvario e nel Cenacolo (cfr. Jn 19,30 Ac 2,1-4). Auspico che la celebrazione del mese mariano si armonizzi con la liturgia ed evidenzi i nessi organici di Maria col mistero di Cristo e della Chiesa.

Occorre mettere in rilievo il rapporto ineffabile della Vergine con le Persone della Trinità, presentando Maria come un'icona della vocazione alla santità, pur tra le vicissitudini della vita terrena.


4. A Te, o Madre, che sei venerata in questo Tempio nella bianca effigie di Fatima, rinnovo l'affidamento della Comunità ecclesiale italiana e della Chiesa universale. Implora, o Regina misericordiosa, la grazia dello Spirito Santo perché noi tutti, discepoli del tuo divin Figlio, siamo fedeli agli impegni del battesimo e camminiamo sempre sulla via del Vangelo. Allarga, o Maria, il tuo Cuore immacolato e accogli le famiglie dei Popoli dell'Oriente e dell'Occidente, del Sud e del Settentrione, perché radunate in pace e concordia nell'unico popolo di Dio glorifichino la santissima e indivisibile Trinità.

Amen.

Data: 1992-05-01 Data estesa: Venerdi 1 Maggio 1992

Ai rappresentanti del mondo della cultura riuniti nell'Università - Trieste

Titolo: Superare condizionamenti e pregiudizi per cogliere l'incontro tra fede e scienza




1. Ringrazio il Magnifico Rettore per i sentimenti espressi nel nobile indirizzo che mi ha rivolto a nome di tutti i presenti. Ho seguito con interesse la descrizione, da lui fatta, delle specificità che caratterizzano quest'area culturale, con le conseguenti opportunità di confronto e di dialogo, offerte sia dalla ubicazione geografica sia dalla presenza di numerose istituzioni scientifiche internazionali. Di queste ultime s'è fatto interprete il Prof. Abdus Salam, il quale ha voluto rendere omaggio alla città di Trieste per la gentilezza dei suoi abitanti e per la qualità delle strutture messe a disposizione dei ricercatori che qui convengono da ogni parte del mondo. A lui pure vada un ringraziamento cordiale. Sono lieto di sostare in questa sede universitaria per porgere uno speciale saluto a tutti voi, illustri membri delle Università di Trieste e di Udine, del Centro Internazionale di Fisica teorica, dell'Osservatorio Astronomico e delle varie Istituzioni di alta cultura situate nell'area di ricerca scientifica e tecnologica di Padriciano. Saluto anche le molte migliaia di giovani che fanno capo a questa Città per compiervi gli studi universitari. Qui convivono pacificamente civiltà diverse: qui confinano popoli che hanno una precisa identità nazionale e vivono, anzi convivono, in rispettosa e pacifica cooperazione. Qui, dove viene a chiudersi nel magnifico Golfo il mare Adriatico, che non separa ma congiunge la penisola italiana, santificata dall'evangelizzazione e dal martirio degli Apostoli Pietro e Paolo e la penisola Balcanica nella quale fiori la santità sapiente dei fratelli Cirillo e Metodio, qui sono lieto d'incontrarvi, illustri Signori e cari Amici, sia per testimoniare direttamente i sentimenti di alta stima che la Chiesa cattolica nutre nei confronti del sapere scientifico e del mondo degli studi in genere, sia per rivolgervi una parola d'augurio e d'incoraggiamento.


2. Entro e fuori dello specifico ambito universitario, gli studi superiori e la ricerca scientifica sono caratterizzati dalla nota dell'universalità. La nozione stessa di Università, ho sottolineato il 21 maggio 1985 a Lovanio, comporta un'esigenza di universalità. L'uomo e il suo mondo, anzi l'intero universo, si propongono all'indagine del ricercatore e dello scienziato con caratteri razionalmente leggibili e universalmente comunicabili. Il linguaggio scientifico è oggi tale che, superando frontiere e barriere d'ogni genere, trasmette parole ed immagini, comunica concetti e progetti, teorie e dimostrazioni ad un numero sempre più grande di persone, mettendole in grado di crescere in cultura ed umanità e di avvalersi delle risultanze e delle applicazioni positive dell'attività scientifica. Si può a ragione affermare che, mai come oggi, l'universalità della metodologia, del linguaggio e della mentalità scientifica ha contribuito a cambiare il mondo dell'uomo. L'universalità del sapere consegue, per un verso, dall'incoercibile inclinazione che gli esseri umani provano verso la conoscenza della verità e, per l'altro, dal bisogno che essi hanno di comunicare fra loro sia per trasmettersi le acquisizioni raggiunte, sia per utilizzarle a beneficio di un numero sempre più grande di loro simili. Nonostante l'ampia messe di risultati raggiunti e le meravigliose conquiste attuate nel micro e nel macrocosmo, necessità gravissime attendono di essere superate, problemi nuovi esigono di venire affrontati e risolti. Pensiamo, ad esempio, ad alcune malattie che, pur fatte oggetto di profondi studi, continuano a mietere incessantemente vittime d'ogni età e in ogni luogo. Pensiamo, pure, alla problematica connessa con lo sfruttamento e la distribuzione delle risorse naturali, a cui la scienza ha dato meravigliosi impulsi, ma che l'egoismo umano continua a sottrarre alla destinazione universale, chiaramente indicata dalla natura. Come non auspicare che intese sempre più larghe, sincere ed efficaci, promosse fra ricercatori, scienziati e responsabili politici delle Organizzazioni internazionali, aiutino ad affrontare risolutamente problemi secolari, come quello delle malattie, della fame, o dell'iponutrizione, che angustiano o minacciano tanta parte dell'umanità?


3. Questa regione dell'Italia, così felicemente situata là dove il Settentrione si collega col Mezzogiorno, l'Occidente con la zona Centroorientale dell'Europa, è stimolata dalla natura ed invitata dalla storia a far da tramite o cerniera di congiunzione tra popoli, flussi migratori e patrimoni culturali differenti. La stessa diversità, che distingue la costiera dalle Alpi orientali, la pianura dalle colline friulane e dalla Carnia, e le varie popolazioni con una loro propria lingua e cultura, già soggette a drammatiche vicissitudini storiche, può e deve tradursi in forme d'integrazione reciproca e di solidarietà tali, che diventino benefiche per questo Territorio ed esemplari per le comunità etniche dei Paesi confinanti. A ciò può dare un contributo insostituibile la convergente unità degli studi, delle ricerche, dei progetti volti al futuro. La ricerca scientifica, le applicazioni tecniche e tecnologiche, la formazione della gioventù studiosa all'esercizio di professioni consacrate dalla tradizione o richieste dalla costante innovazione, possono determinare in misura notevole il consolidamento della pacifica convivenza e della cooperazione interna ed internazionale. Madre e maestra delle popolazioni che risiedono in questi territori e in quelli circostanti, la Chiesa ritiene di avere, a questo proposito, la missione di sostenere e incoraggiare gli intenti e gli sforzi di chiunque si proponga come obiettivo il raggiungimento, il rafforzamento e la salvaguardia della pace. Non sussistono, in questo senso, motivi di divergenza fra ciò che il mondo del sapere accademico e scientifico, da un lato, e la Chiesa, dall'altro, possono e debbono fare. I conflitti che a lungo divisero, e talora contrapposero alcuni versanti e settori delle scienze naturali ad altri del sapere teologico, appaiono oggi in gran parte superati. Mentre sembra entrata in crisi irreversibile, come dicevo nell'Università di Friburgo, "l'ideologia scientista che persiste nell'affermare l'autosufficienza del progetto scientifico, come se da se stesso potesse soddisfare tutte le domande essenziali che l'uomo si pone" (Insegnamenti, vol.

VII, 1, 1984, p. 1707), la Chiesa fa propria la bella dichiarazione di Galileo, secondo il quale procedono "di pari dal Verbo divino la Scrittura Santa e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio" (Opere, ediz. naz., V, p. 282, r. 30-35): la scienza e la fede s'incontrano nel rispetto delle reciproche competenze, degli ambiti specifici.


4. Noi crediamo che non soltanto la natura sia opera di Dio. Riteniamo anche, con l'apostolo Paolo, che "dalla creazione del mondo in poi, le sue (di Dio) perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelligenza nelle opere da Lui compiute" (Rm 1,20). La ricerca e la pratica del sapere scientifico, tuttavia, possono di fatto spingere la mente indagatrice a confinare il vero entro il recinto di ciò che è sensibilmente oppure matematicamente verificabile. Ma anche quando non incontra, per debolezza o disattenzione, o per pregiudiziale negazione, il mistero dell'Assoluto trascendente, chi si consacra alla scienza non può non imbattersi, durante il percorso dei suoi studi, nel problema e nel mistero dell'uomo, della sua origine e del suo ultimo destino, delle sue mirabili forze e dei suoi invalicabili limiti, il più oscuro dei quali, ove non sia illuminato dalla fede, resta la morte. Il sapere scientifico non ha in sé il proprio fine.

Esso è a servizio dell'uomo: dell'uomo-persona, come dell'umanità tutta intera, dell'uomo inteso come genere umano nella sua differenza specifica, caratterizzata dalla presenza dello spirito - conoscenza, coscienza, volontà - e dalla sua attività consapevole e libera. Nei confronti dell'uomo la scienza non può dirsi o sentirsi neutrale: essa è insieme dono che viene dall'Alto, e conquista incessante dello spirito che cerca e trova, interpreta e organizza. Essa svolge una funzione liberatrice ed elevante, ove non sia esercitata - come avviene nel caso dell'invenzione e dell'uso di armi micidiali - a servizio della morte anziché della vita, a vantaggio del prepotere di pochi anziché a servizio dei diritti di tutti.


5. Quanto è grande, in questo senso, la responsabilità dell'uomo di scienza, quanto nobile la sua missione! Meglio di tanti altri esseri umani, egli può aprire nuovi varchi, tracciare sentieri nuovi nella sfera sempre immensa del conoscibile tuttora ignorato. Egli non può rassegnarsi alla constatazione scettica e agnostica, che faceva dire a qualcuno "Ignoramus, et ignorabimus!", "Non sappiamo e non sapremo mai". Anche nella conoscenza di se stesso, l'uomo continua a progredire: oggi, grazie all'ampliarsi degli orizzonti scientifici, delle scienze di osservazione come di quelle che si dicono "umane", l'uomo conosce se stesso ed i propri simili, sotto aspetti diversi, meglio che in qualsiasi epoca passata.

Eppure i massimi problemi dell'umanità, quelli che riguardano il valore e il fine dell'esistenza, rimangono insoluti, se dal piano delle conquiste scientifiche non si passa ad una visione superiore, superando eventuali condizionamenti culturali o inveterati pregiudizi. Uno dei pregiudizi di cui si può ancora trovar traccia in certi modi di fare scienza riguarda la religione, la pratica della fede, la morale che il Vangelo propone, anzi esige: quasi che l'essere sinceramente credenti possa costituire ostacolo all'esercizio e al cammino del pensiero. può essere utile ricordare, a questo proposito, due brevi passaggi dei Pensieri di Blaise Pascal.

Scrive il grande scienziato e pensatore religioso: "Toute notre dignité consiste... en la pensée. C'est de là qu'il faut nous relever et non de l'espace et de la durée, que nous ne saurions remplir. Travaillons donc à bien penser: voilà le principe de la morale" (Ed. Des Granges, n.347); "Or, l'ordre de la pensée est de commencer par soi, et par son Auteur, et sa fin" (n. 146). Corretto è dunque l'ordine del pensiero quando non nega lo spazio appropriato alla considerazione dell'uomo, del suo Autore, del suo fine. Corretta e benefica ne è l'applicazione, quando va a beneficio dell'uomo: di tutto l'uomo, di ogni uomo, secondo quei criteri di universalità, d'interdipendenza e di solidarietà che la stessa scienza moderna ha contribuito a dimostrare non solo validi ma indispensabili per il mondo intero.

Affinché ciò avvenga anche mediante le vostre illustri persone e attraverso l'attività scientifica che le nobilita, io elevo al Datore di ogni bene una fervida preghiera ed invoco su di voi, sulle iniziative scientifiche a cui attendete e su coloro che vi sono cari la sua benedizione.

Data: 1992-05-02 Data estesa: Sabato 2 Maggio 1992

Alle Monache benedettine del Monastero di San Cipriano - Trieste

Titolo: "Siete in questa città di confine per manifestare che Dio ama il mondo"

Carissime sorelle, figlie di San Benedetto e di Santa Scolastica, grazie per la vostra ospitalità.

Per esprimere cosa sia la vostra vocazione, che cosa sia questo Monastero benedettino qui, a Trieste, si deve tornare alle parole di Gesù nella sua conversazione notturna con Nicodemo: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito".

Questa volontà salvifica di Dio, questo amore di Dio, questa donazione di Dio nel suo Figlio, spiega tutto il Cristianesimo, spiega la Chiesa, spiega la nostra consacrazione battesimale, spiega pure la nostra consacrazione claustrale, religiosa: i tre voti. Tutto questo è per corrispondere alla volontà di Dio che ha tanto amato il mondo.

Sappiamo dallo stesso San Giovanni che questo mondo non ha accettato Cristo. Questo mondo lo ha odiato, lo ha crocifisso, così ha scritto San Giovanni.

Ma questo odio del mondo, come anche l'indifferenza del mondo, l'assenza intenzionale di Dio in questo mondo, non possono eliminare la volontà salvifica di Dio, perché l'amore è sempre più forte di ogni odio, di ogni dolore, di ogni peccato, di ogni limitazione umana, terrena, di ogni limitazione di questo mondo.

Ecco, meditando su questi numerosi elementi evangelici troverete sempre la risposta sull'essenziale della vostra vita. Siete qui, e dovete essere qui, in questa città di confine, un'isola dove si manifesta chiaramente che Dio ha amato il mondo, che Dio ama il mondo e che questo amore in Gesù Cristo è sempre più forte, sempre determinante, sempre decisivo e ultimo.

E così si verifica anche quello che Gesù ha detto ai suoi Apostoli: "Se hanno odiato me, odieranno anche voi. Se ascolteranno me, ascolteranno anche voi".

E' il grande paradosso del Vangelo, della Chiesa e della sua storia, attraverso i secoli, ed anche in questo scorcio del secolo ventesimo dopo la venuta di Cristo.

Carissime Sorelle, vi benedico, mi raccomando alla vostra preghiera, alla vostra consacrazione claustrale, religiosa, ai vostri sacrifici.

Raccomando e affido la Chiesa in Trieste, affido la Chiesa dappertutto, specialmente là dove soffre, dove viene perseguitata, dove soffre a causa degli uomini e con gli uomini, con le Nazioni e con i Popoli, anche qui vicino, molto vicino.

Voglio offrirvi una benedizione, raccomandando anche la mia povera persona e la mia importantissima missione nel mondo: "servi inutiles sumus".

Data: 1992-05-02 Data estesa: Sabato 2 Maggio 1992

L'omelia durante la concelebrazione della Santa Messa in Piazza dell'Unità d'Italia - Trieste

Titolo: Abbiate l'audacia degli Apostoli di Cristo per fare della nuova Europa una "casa comune"




1. "Sono io, non temete!" (Jn 6,20). così disse Gesù agli apostoli, quando essi lo videro camminare sulle acque del lago di Genezaret, nei pressi della città di Cafarnao, là dove avrebbe annunziato il mistero dell'Eucaristia. Queste parole le rileggiamo nel tempo di Pasqua. Dopo la sua risurrezione, Gesù apparve più volte ai discepoli, ripetendo loro: "Non abbiate paura, sono io!". Si incontrava con loro, li preparava alla sua dipartita e alla venuta del Consolatore, lo Spirito di Verità. "Non abbiate paura!".


2. All'origine della paura dell'uomo c'è sempre il presentimento di un male incombente. Nella memoria degli Apostoli erano ancora impressi gli eventi del Venerdi Santo: ciò che era successo a Gesù, come Egli era stato giudicato, flagellato, condannato a morte e, infine, crocifisso sul Golgota. Si trattava di un "male" accaduto al loro amato Maestro, nel quale avevano riposto piena fiducia.

Sulla via di Emmaus i due discepoli non dicevano forse: "Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele" (Lc 24,21)? Il motivo della paura può, pero, essere anche un bene: un evento positivo, straordinario ed inatteso. Gesù sulla strada di Emmaus, non si fece subito riconoscere dai due discepoli con i quali conversava.

Essi lo sapevano crocifisso, morto e deposto nel sepolcro. Ed invece Gesù era vivo! I loro cuori erano posseduti dal timore, prima che in essi subentrasse la gioia. La realtà della risurrezione supera la limitatezza dell'uomo: l'uomo si è abituato al fatto che la morte sia qualcosa di irreversibile. Ecco perché Gesù dice: "Sono io, non temete!".


3. I giorni tra la Pasqua e la Pentecoste sono un tempo di gioia, unita a singolare timore. La discesa dello Spirito Consolatore opera negli Apostoli un cambiamento essenziale: fa maturare la certezza della risurrezione e l'amore per il Signore risorto. Essi comprendono, allora, il mistero pasquale: "Bisognava che Gesù sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria" (Lc 24,26).

Ritrovano in se stessi quella forza sovrumana che scaturisce dalla croce e dalla risurrezione, e dal giorno della Pentecoste diventano testimoni. La Chiesa è nata e si è sviluppata grazie alla testimonianza da essi resa nello Spirito di Verità.


4. Proprio di questo parla la prima lettura dell'odierna liturgia. Gli Apostoli impongono le mani su sette uomini destinati al servizio dei poveri e dei bisognosi: sono i primi diaconi, tra i quali si trova Stefano, "uomo pieno di fede e di Spirito Santo" (Ac 6,5). Sarà lui il primo martire della Chiesa. Cadendo sotto i colpi delle pietre, in un trasporto di estasi, esclamerà: "Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio" (Ac 7,56). La Comunità dei credenti cammina nel mondo avendo anch'essa dinanzi agli occhi Cristo crocifisso e risorto, costituito dal Padre Signore della storia umana.


5. Guardando verso il compimento della storia, Giovanni, nell'Apocalisse, vede il Figlio dell'uomo e ode le sue parole: "Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi. Scrivi, dunque, le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo" (Ap 1,17-19). Ancora una volta Cristo dice: "Non temere!".

Nell'uomo della nostra epoca c'è la paura. Ci sono paure di diverso genere, spesso assillanti per la coscienza umana, per la coscienza individuale e per quella collettiva. può qualcun altro, al di fuori di Cristo, al di fuori di Colui che ha "potere sopra la morte e sopra gli inferi" (Ac 1,18), dire all'uomo contemporaneo: "Non temere!"?


6. Non temere! Il Signore lo ripete a ciascuno di noi, che siamo raccolti attorno all'altare per la celebrazione dell'Eucaristia in questa storica piazza. Non temete, carissimi fratelli e sorelle della città e della diocesi di Trieste. Vi saluto tutti con affetto nel nome di Cristo. Saluto il vostro Pastore, il carissimo Monsignor Lorenzo Bellomi, e gli altri Presuli presenti. Saluto i Presbiteri, stretti collaboratori del ministero pastorale del Vescovo, i Religiosi e le Religiose, testimoni singolari del Regno di Dio, ed i Laici, chiamati a recare l'annuncio della salvezza in ogni ambiente della umana convivenza. Rivolgo un deferente pensiero alle Autorità Amministrative, Politiche e Militari, e ringrazio vivamente quanti hanno collaborato alla realizzazione di questo mio viaggio apostolico. Saluto ancora i nostri fratelli cristiani che hanno voluto essere con noi in questa celebrazione del giorno odierno. Siamo molto grati e molto fiduciosi per la loro presenza. Sono venuto tra voi per recarvi la pace e la gioia di Cristo, che ci ha redenti col suo sangue e ci ha resi, con la sua morte e risurrezione, un solo popolo nella diversità dei carismi, chiamandoci a proclamare e testimoniare il suo messaggio di salvezza ad ogni creatura.


7. Per rispondere a così singolare vocazione, la vostra Diocesi si è data un impegnativo programma apostolico, che si inserisce nel piano pastorale "Evangelizzazione e testimonianza della carità", proposto dai Vescovi italiani per il decennio degli anni '90. Nella situazione sociale della vostra terra voi sentite che oggi urge dare rinnovato impulso al "primo annuncio della fede". Ciò richiede un cambiamento di mentalità e di prassi nelle Comunità parrocchiali: all'attuale preminenza della catechesi per i bambini e i fanciulli bisogna sostituire la formazione spirituale, teologica e missionaria degli adulti. Essi, infatti, sono chiamati ad essere, a loro volta, annunciatori e testimoni del Vangelo in Comunità vive, dinamiche ed evangelizzanti. Voi avvertite, inoltre, l'esigenza d'inculturare la fede e di diffonderla in maniera capillare. La cultura triestina è ricca di civiltà e di valori, tra i quali piace ricordare la libertà e l'amore patrio, la tolleranza e l'accoglienza. Come dimenticare che sin dalle origini del suo assetto moderno, nel diciottesimo secolo, Trieste ha conosciuto la coesistenza di diverse genti e culture, così da divenire, quasi per naturale vocazione, ponte tra i mondi latino, germanico e slavo? Reagite, pertanto, con fermezza, carissimi fratelli e sorelle, a ciò che tenta di dividervi e di ostacolare la convivenza tra i vari gruppi etnici. Trovate, piuttosto, nella costante adesione al Vangelo la sorgente della vostra concordia e della reciproca collaborazione. Abbiate l'audacia degli Apostoli di Cristo! Un grande campo di lavoro è dinanzi a voi: recare il Vangelo alla vasta area dei cosiddetti "lontani", degli "indifferenti", dei "non credenti". Che sfida immane per la vostra Comunità! Che compito singolare da svolgere all'interno della vostra tipica realtà locale, anche in vista della "nuova Europa", da costruire in particolare sui valori cristiani come "casa comune"! Tocca a voi, fratelli e sorelle carissimi, infondere a coloro che incontrate la speranza e la gioia di Cristo risorto. Essa è fonte di ottimismo, di coraggio e di perseveranza per chi opera a favore della vita, dell'uomo e del suo futuro; a favore della società e della pacifica convivenza tra i popoli. Tocca a voi, fedeli della Chiesa di Trieste, rendere visibile il mistero della divina carità. L'alta percentuale di anziani, molti dei quali ammalati e soli, le famiglie dissestate o in pericolo, i giovani in difficoltà, gli stranieri, i profughi, i poveri e gli emarginati vi stimolano a sempre più grande apertura nei loro confronti, a gesti concreti di accoglienza, di assistenza e di solidarietà. Siate a tempo pieno volontari dell'amore di Cristo! Su queste strade non vi sarà difficile incontrare la collaborazione convinta di tante persone di buona volontà, alle quali annuncerete il Vangelo con l'eloquenza della parola, ma soprattutto con la forza trascinante dei fatti.


8. "Non abbiate paura, sono io!". Ecco, cari fratelli e sorelle, ciò che vi ripete ancora una volta, quest'oggi, il Risorto. Ascoltate la sua voce; abbiate entusiasmo e vigore per proporre il suo annuncio, testimoniando il primato di Dio nella vostra esistenza. Siate sempre premurosi delle esigenze, della sensibilità e della cultura di coloro che vi vivono accanto. Fatevi garanti della giusta liberazione, che con la fede è strettamente connessa. Il rispetto per la libertà religiosa, come metodo oltre che come condizione, continui ad occupare un posto di primaria importanza nel dialogo religioso, che nella vostra Città è fervido e ricco di frutti ecumenici. Accanto ai fratelli delle altre Chiese cristiane, che hanno avuto qui, da secoli, una loro significativa presenza, costruite il Regno di Dio. Unico è il Signore, unica deve essere la carità che unisce i credenti nel suo nome. Solo la carità può generare tra di voi un incessante cammino di fraterna comprensione e di amicizia, un cammino fedele sempre alle esigenze della verità.

Fedele a Cristo. Vi accompagni e vi sostenga Maria, presente nei punti estremi del golfo triestino con due segni monumentali: l'antica Chiesa di Muggia vecchia, dedicata all'Assunta, ed il moderno, maestoso Tempio a Maria, Madre e Regina. Sia Lei il forte sostegno della fede dei credenti e l'aiuto potente per l'unità dei cristiani.

"Sono io, non temete!", continua a ripeterci il Signore Risorto.

Ascoltiamo la sua parola! Apriamogli il cuore con gioia e fiducia! "Io ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte".

"Non temere!".

Amen!

Data: 1992-05-02 Data estesa: Sabato 2 Maggio 1992


GPII 1992 Insegnamenti - Alla cittadinanza raccolta sul piazzale della Concattedrale di San Giusto - Trieste