GPII 1992 Insegnamenti - Ai Vescovi della Conferenza Episcopale di Angola e di Sao Tomé e Principe - Luanda (Angola)

Ai Vescovi della Conferenza Episcopale di Angola e di Sao Tomé e Principe - Luanda (Angola)

Titolo: La Pentecoste 1992 segna per l'Angola l'inizio di una nuova storia

Devo passare alla lingua italiana, perché per parlare così a braccio, non ho tanta esperienza della lingua portoghese. Volevo dire qualcosa che non sostituisce il discorso che avrebbe dovuto essere letto e che è stato trasmesso a tutti i membri della Conferenza. E' un discorso piuttosto circostanziato.

Oggi è la festa di Pentecoste. Devo confessare che per questa grande solennità ho qualche rimorso di coscienza, perché alcuni dicono che la solennità è tanto importante quanto Pasqua e Natale e che il Papa dovrebbe celebrarla in San Pietro. In questo modo si diminuisce l'importanza della festività. Io ho peccato dall'inizio, sin dal primo anno del mio Pontificato, il 1979, quando ho voluto e dovuto andare a celebrare la prima Pentecoste in Polonia. Non si poteva fare altrimenti, perché se si è potuto entrare nel Paese, si doveva mantenere il programma previsto e stabilito. La celebrazione di quella giornata, a Gniezno, la sede primaziale in Polonia, la culla della Chiesa del mio Paese, mi ricorda quella odierna, davanti alla folla a Luanda. Celebrando qui ho visto sempre più un legame. Ho celebrato la solennità della Pentecoste a Gniezno in un periodo in cui era tutto ancora fissato nei due blocchi: c'era il muro di Berlino e vigeva il "Trattato di Yalta". Per la prima volta ho parlato della Pentecoste slava è ho citato tutti i popoli, cominciando dal mio, dove più di mille anni fa è arrivato a Cristo, ed hanno ricevuto il battesimo storico. Tra questi era anche la Russia, o la "Rus'". La Polonia ha ricevuto il battesimo nel 966 e la "Rus'" di Kiev nel 988, 22 anni dopo. Naturalmente quell'omelia ha suscitato inquietudini e proteste, alcune da parte dei governanti. Era il 1979. Ma poi le cose sono andate come sono andate. Dal 1979 si è passati al 1989 e, finalmente, nel 1992, siamo qui. E' lo stesso processo. I luoghi geografici sono diversi, ma è lo stesso sistema che programmava un ateismo ideologico. Dall'altra parte c'è la Chiesa, che non programma, ma che segue la Parola di Dio, segue le promesse di Cristo. Celebrando oggi l'Eucaristia che concludeva il V Centenario dell'evangelizzazione dell'Angola mi sono sentito molto commosso, a causa di questo legame che è insieme storico e personale, perché tutto ciò tocca anche questo povero Papa. In questo processo si trova anche la Madonna di Fatima. E' un'altra data, un altro luogo geografico, ma è lo stesso mistero e la stessa storia europea, e non solo. E' la storia della salvezza, che passa attraverso il suo Cuore immacolato così come a Fatima. Volevo dirvi questo. Il discorso che vi ho lasciato lo potrete leggere, ma queste sono le cose personali e forse ancora più spirituali e più profonde. Non potevo non dirvele, perché ho vissuto tutto questo durante la celebrazione. Vedendo tutto questo ho pensato a Gniezno e a tutto il processo che si è svolto in questi tredici anni, dal 1979 al 1992. Questo ci porta una consolazione. Ci fa capire che c'è una guida dei popoli. Che c'è una Provvidenza e che c'è anche la Madre di Cristo che in questo processo ha ottenuto una missione speciale, sotto la Croce, come oggi. "Ecco tuo Figlio". L'unico Figlio che rappresenta diverse generazioni, diversi Paesi, diverse epoche, diverse razze, diversi Continenti. Devo dirvi alla fine che la celebrazione era molto bella, molto dignitosa. Grazie a Dio, abbiamo ancora l'Africa, dove la liturgia è così profondamente e spontaneamente vissuta.

Quest'Africa che si voleva che digerisse il cosiddetto "veleno hegeliano". Ma in Africa pochi sanno chi era Hegel. Forse più vicino era Cartesio. Si voleva che digerisse questa ispirazione cartesiana. Ma grazie a Dio, non è stato così. E' rimasta africana, è rimasta angolana. Dentro questa sua identità, è rimasta cristiana e speriamo che sarà sempre più cristiana.

Così si vede anche la dimensione propria della giornata di oggi, della Pentecoste. Quando gli Apostoli parlavano le diverse lingue, tutti sentivano che parlavano le loro lingue. Anche gli angolani avrebbero sentito la loro lingua. E' arrivato il tempo, il momento, è arrivato il "kairos". Gli angolani hanno sentito la loro lingua nel Cenacolo, nella giornata di Pentecoste. Vi ringrazio per questo invito. Forse dovro correggermi. Non faro più queste visite nella festività di Pentecoste, per essere più al servizio della Santa Sede e di San Pietro, dove affluiscono i pellegrini. Oggi ho trovato una risposta, perché la Pentecoste è solennità dove comincia un grande movimento, un grande dinamismo. Forse questo spiega perché il Papa ha celebrato la sua prima Pentecoste a Gniezno e la quattordicesima a Luanda. così si vede come la Chiesa è sempre in cammino.

Data: 1992-06-07 Data estesa: Domenica 7 Giugno 1992

L'incontro con rappresentanti di altre comunità e confessioni religiose nel Seminario Maggiore - Luanda (Angola)

Titolo: Chi sa dialogare con i fratelli di altre Chiese e comunità religiose sa anche dialogare con Dio

Amati fratelli e sorelle in Cristo Signore,


1. Comincio col ringraziarvi per l'occasione e il piacere che mi offrite di poter stare oggi insieme a voi e parlarvi un poco di tutto ciò che abbiamo nel cuore. In questo momento, ricordo le parole del Vangelo che attestano la presenza ineffabile del Signore: "Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). Siamo qui riuniti nel Suo nome, e per questo possiamo dire con gioia che Gesù è qui in mezzo a noi. Il Signore vuole stare con noi con la Sua luce, la luce dello Spirito di Verità (Jn 16,13). La Sua presenza costituisce per noi una forza irresistibile che ci colma di fiducia e di speranza di fronte alle sue promesse. In Lui rivolgo a tutti e a ciascuno il mio caloroso saluto. Sono a conoscenza degli sforzi compiuti in tutto il Paese per l'avvicinamento ecumenico delle varie Chiese e Comunità ecclesiali, nonostante le recenti difficoltà e gli errori del passato. Mi congratulo vivamente per questo avvicinamento fraterno, poiché può significare una crescente maturità nella fede. Chi sa dialogare con i fratelli di altre Chiese e Comunità ecclesiali, sa anche dialogare con Dio e sa ascoltare la Sua parola. A questo proposito, ringrazio di cuore per le cortesi parole che mi sono state rivolte, a nome di tutti, dal Pastore... Al calore della presenza di Cristo, "Primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29), questo incontro con voi è per me motivo di gioia, e mi spinge ad un felice e fiducioso dialogo fraterno. Vorrei ricordare qui tre motivi per cui noi tutti dobbiamo impegnarci in questo cammino ecumenico: l'amore verso Cristo, il dovere di evangelizzare, e il consolidamento della pace nella vostra Patria.


2. Il vincolo più forte che ci unisce è senza dubbio l'amore per Gesù Cristo. Per noi tutti è fondamentale amare il Signore e siamo tutti onorati di essere Suoi discepoli. Ma saremo riconosciuti come Suoi discepoli solo se ci ameremo gli uni gli altri (cfr. Jn 13,35). Se amiamo sinceramente Gesù Cristo, dobbiamo compiere anche i Suoi comandamenti, poiché non è possibile amarLo senza osservare la Sua parola (cfr. Jn 14,21). Da qui si deduce che l'amore verso Gesù Cristo passa necessariamente attraverso il nostro amore fraterno. Per questo, il dialogo, che è come il pulsare del cuore dell'ecumenismo, deve essere innanzitutto il dialogo della carità, che si basa sulla comprensione, l'ascolto e il rispetto reciproco.

Sforziamoci, quindi, di promuovere ciò che ci unisce, e di comprendere, con umiltà e serena lucidità, nella fedeltà ai tesori della verità divina, ciò che ci separa.

E' basandosi su questo dialogo di carità che le Chiese e le Comunità ecclesiali in Angola potranno collaborare alla ricostruzione e allo sviluppo del paese, nell'apostolato sociale. Mi è gradito sapere che la Caritas, attenta allo spirito del Vangelo, ha cercato in questi anni di non compiere alcuna discriminazione quando ha avuto la possibilità di aiutare le popolazioni. Allo stesso modo, progetti, fra gli altri, di aiuto ai rifugiati, di riunione delle famiglie disperse dalla guerra, di ricostruzione del mondo rurale, di promozione e sviluppo, possono lodevolmente portare il segno della collaborazione ecumenica.


3. Ma, cari fratelli, l'ecumenismo è intimamente legato all'evangelizzazione.

Dobbiamo far nostra l'ardente supplica che Gesù ha elevato al Padre nell'ultima Cena: "perché tutti siano una sola cosa, come Tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21). Queste parole ardono nel nostro cuore, costituendo per tutti un progetto e un dovere ineludibili. Come ha detto Papa Paolo VI, "la presentazione del messaggio evangelico non è per la Chiesa un contributo facoltativo: è il dovere che le incombe per mandato del Signore Gesù, affinché gli uomini possano credere ed essere salvati" (EN 5). La Chiesa è stata voluta da Dio e istituita da Cristo per essere, nella pienezza dei tempi, segno e strumento del piano divino di salvezza (cfr. LG 1), il cui centro è il mistero di Cristo. Sappiamo che Dio può salvare gli uomini in molti modi, ma desidera salvarli dentro la verità (cfr. 1Tm 4,12). E la verità è Cristo, poiché "non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (Ac 4,12). Se Cristo è l'unico Salvatore degli uomini e noi lo possediamo, abbiamo il grande dovere di comunicarlo a tutti gli uomini, affinché tutti si possano salvare nell'abbondanza della Sua grazia. Innanzitutto, dobbiamo unirci a Lui per mezzo della fede, lasciando che la sua vita si manifesti dentro di noi, ma poi, dobbiamo portarlo in tutti gli ambienti in cui si svolgano attività umane. Che sarà dell'umanità se progredisce nella conoscenza della tecnica e nell'ignoranza dei valori umani consacrati nel Vangelo? "L'uomo - diceva il mio predecessore Paolo VI - può organizzare la terra senza Dio, ma "senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l'uomo"" (PP 42).


4. Il momento che vivete nella vostra Nazione costituisce una sfida patriottica rivolta a tutti i cristiani, affinché si impegnino nel consolidamento della pace nazionale. La Chiesa ha realmente ricevuto dal Signore il ministero della riconciliazione (cfr. 2Co 5,18) e ogni cristiano, a modo suo, è chiamato ad essere promotore della pace, soprattutto fra i fratelli meno fortunati. I cristiani dell'Angola potranno svolgere più efficacemente questa missione di riconciliazione e di consolidamento della pace, se lavoreranno tenendosi per mano, in spirito ecumenico. così ho detto nell'ultimo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: "Senza ignorare né sminuire le differenze, la Chiesa è convinta che in ordine alla promozione della pace, ci siano alcuni elementi o aspetti che possono essere utilmente sviluppati e realizzati insieme con i seguaci di altre sedi e confessioni (...)" (n.5).

Infine l'apostolato ecumenico è un dovere di ogni cristiano consapevole della propria fede. Se non abbiamo colpa delle divisioni cristiane, dal momento che siamo nati all'interno di esse e vi siamo stati educati, ne saremo tutti colpevoli se non faremo nulla per superarle.

Voglia il Signore compiere tutto il bene che ha cominciato in voi, in particolare il bene della pace e dell'unità dei cristiani. Questa unità sarà frutto dell'azione dello Spirito Santo che "abita nei credenti..., produce quella meravigliosa comunione dei fedeli e tanto intimamente tutti unisce in Cristo, da essere il principio dell'unità della Chiesa" (UR 2). Per questo, la celebrazione di oggi della Festa della Discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli, la Pentecoste, racchiude un invito ad aprirci alla Luce che viene dall'alto, affinché tutti siamo guidati alla crescita nella Verità che il Signore ha promesso, come opera del Suo Spirito (cfr. Jn 16,13): "Vieni, Spirito Santo! Riempi i Cuori dei Tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del Tuo amore!".

Data: 1992-06-07 Data estesa: Domenica 7 Giugno 1992

L'incontro con le nuove generazioni nel "Pavilhao da Cidadela" - Luanda (Angola)

Titolo: "Giovane credi e vivrai! Punta tutto sull'Amore"

Cari giovani e amati fanciulli!


1. Sia lodato Dio che oggi mi dà la gioia di essere con voi. Nel vedervi qui, allo stadio della Cidadela, così numerosi, il cuore del Papa sa di avere davanti a sé, come un grande segreto tutto da svelare, il futuro dell'Angola. Voi siete, senza dubbio, la più grande e più bella promessa di vita che il Signore ha dato a questa nobile Nazione. Viva la gioventù angolana, così piena di promesse e di speranze! Ringrazio profondamente per l'accoglienza riservatami e, in particolare, per le sue parole, il Vescovo José Queiros Alves, responsabile del settore giovani all'interno della Conferenza Episcopale. A tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione di questo incontro vada il mio sincero ringraziamento! Vi ringrazio, inoltre, per i quesiti che mi avete fatto pervenire a Roma: cercando di vedere in essi il vostro spirito giovane, confesso che mi ha colpito la vostra aspirazione giovanile a conoscere i principi e i mezzi per una degna condotta nel mondo odierno. E' stato come se un amico bussasse alla mia porta per chiedermi il cibo e la giusta direzione prima di un lungo cammino, per non sbagliare...Voi siete questo amico! Giovani dell'Angola, avete un po' di pazienza per ascoltarmi?


2. Il Papa sa che l'esperienza dura che avete vissuto durante questi anni di guerra ha lasciato in voi segni profondi che dovete curare. Adesso, agli albori della pace riacquistata, nel tornare alle attività di sempre, buona parte del popolo molto spesso trova le case bruciate, il villaggio distrutto, la vita delle città sconvolta e, quel che è peggio, vecchie dispute di carattere ideologico o di origine tribale non ancora superate. Di conseguenza, si è aggravata la mancanza di prospettive per il vostro futuro, negli studi, nel lavoro onesto, nel problema della casa e in tanti altri settori della vita del vostro Paese. Purtroppo, a tutte queste difficoltà, viene ad aggiungersi la tendenza all'indifferenza: la mancanza di idee nella vita. La corruzione e le pressioni subite da una parte della gioventù hanno generato un'assenza di motivazioni, il lasciarsi andare e il non impegnarsi. Per cui l'unico movente è la vita facile, l'edonismo. Come esistenze senza futuro, né speranza, tanti giovani, non avendo la sicurezza del domani, bruciano la vita nel momento contingente: vogliono consumare tutta la vita in un minuto... Non sanno cosa vuol dire aspettare per vedere e crescere. Miei cari amici, mi sono accorto che una delle vostre maggiori preoccupazioni era proprio questo vuoto di valori umani, o comunque un'invasione di controvalori che colpisce la gioventù e il suo futuro. Ma - vi chiedo - come superare questo baratro, questo abisso in cui tante vite, come per una vertigine, si perdono, attratte dalla seduzione di una vita facile, dalla corruzione dei costumi e dalla disperazione di fronte all'avvenire? Il Papa conosce le vostre tristezze e i vostri dubbi, ma sa anche, per esperienza personale e per le numerose testimonianze dei giovani in tutto il mondo, che, dentro di noi - per grazia di Dio, - c'è la libertà di dire "no" a ciò che ci distrugge e "si" alla vita, all'amore, al bene. Ebbene, sono venuto qui, oggi pomeriggio, proprio con questo messaggio nel cuore: cari giovani dell'Angola, non vi lasciate illudere dalla tentazione di una vita facile, dall'imborghesimento dei costumi, dal sensualismo e da tutto ciò che corrompe la persona. Ricercate non ciò che è facile, ma ciò che è buono, poiché solo nel bene troverete la libertà, la pace e la realizzazione personale.


3. Voglio ora invitarvi ad ascoltare "i più grandi di voi"! A volte i giovani pensano di rifare da capo il mondo perché non amano quello che trovano. Dover rendere migliore il mondo è un vostro diritto e un vostro compito, ma volerlo rifare è un'illusione che si paga a caro prezzo. Non potete ignorare la culla in cui siete nati, avvolti nelle fasce della cultura e della saggezza angolana.

Quanti sogni per il futuro hanno visto "i più grandi" di voi, soprattutto le vostri madri, in quel neonato che sorrideva loro e incominciava a crescere?


4. Mi avete chiesto quale potrebbe essere il modo migliore per realizzare la vostra Patria? Non spetta alla Chiesa in quanto tale indicare le soluzioni pratiche ai problemi socio-economici e politici della nazione. Il suo contributo consiste nel sottolineare i principi, che derivano dall'altissima dignità della persona umana chiamata ad essere figlia di Dio, difendendoli con la propria vita, secondo l'esempio che Gesù Cristo ci ha lasciato. Infatti, conoscendo l'uomo come Gesù Cristo lo conosce (cfr. Jn 2,25) e glielo ha rivelato, sia direttamente che nelle vicissitudini storiche, la Chiesa è riuscita a mettere insieme una saggezza importante con un corretto orientamento di fondo per la società attuale. così si è formata la cosiddetta "dottrina sociale della Chiesa". Posso dirvi che gli uomini di oggi guardano sempre di più a tale dottrina e vi hanno ritrovato quel valore e quel sentimento della vita che le ideologie avevano loro sottratto. Per questo vi esorto caldamente a studiare la dottrina sociale della Chiesa, nei vari gruppi di cui fate parte. Essa vi guiderà ad una corretta partecipazione ai destini del Paese, come è diritto e dovere di ogni cittadino, per collaborare, secondo le sue possibilità, al bene comune.


5. Prima di interrompere questa prima parte del discorso, il Papa vuol rivolgere ai giovani e alle giovani dell'Angola questo appello: dedicate la vostra vita a cause degne e giuste! Costruite una Patria che si appoggi agli autentici valori umani e cristiani, affinché il mondo di domani non vi accusi di avergli lasciato una Patria priva di ideali e alienata in pseudovalori. Costruite qualcosa che abbia valore! Amatevi gli uni con gli altri e aiutatevi reciprocamente, con una attenzione particolare verso i poveri e gli emarginati. Non accettate nel vostro codice di rapporti le divisioni sociali: sono una triste eredità del passato.

Siano, le differenze, attributi che arricchiscono e danno multiformità al popolo angolano e non motivo di divisione e di discordia. Siate un Popolo unito, costruite una Nazione sola in cui tutti possano considerarsi fratelli.

(manca testo, OR 12/06/1992, pag. 16-17)

Data: 1992-06-07 Data estesa: Domenica 7 Giugno 1992

L'omelia durante la concelebrazione eucaristica presieduta sulla spianata adiacente all'aeroporto - Cabinda (Angola)

Titolo: Le opere che distinguono i cristiani nel mondo portano il segno di un amore spinto all'estremo




1. "Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini" (Col 3,23). così dice l'Apostolo San Paolo nell'esprimere il valore delle azioni dei cristiani, chiamati ad essere testimoni, davanti ai loro simili, del Redentore degli uomini, Cristo Nostro Signore. Sono felice di incontrarvi, di incontrare il vostro Pastore e Vescovo Paulino Fernandes Madeca e i Presbiteri, gli agenti della Pastorale, i religiosi e le religiose e i laici insieme a tutti i rappresentanti della Provincia di Cabinda. Molte grazie per l'accoglienza che avete riservato al Successore di Pietro, che viene da Roma per incontrarvi con particolare giubilo ed emozione. Egli viene a portare una parola di affetto e di stimolo alle vostre famiglie e ai vostri figli, affinché vi sentiate accompagnati nelle vostre quotidiane occupazioni in seno alla società di Cabinda. La liturgia della Chiesa ha concluso oggi il cosiddetto Ciclo Pasquale con la festa della Pentecoste, e comincia da oggi il Tempo Ordinario. Questo tempo ordinario, che terminerà con l'Avvento in preparazione al Natale, può anche significare per noi il tempo di sempre, il tempo nel quale siamo chiamati ad esprimere, con la nostra vita e con le nostre opere di bene e di amore verso Dio, il più profondo significato che Cristo volle imprimere all'umanità redenta dall'alto della Croce.

Questa semplice constatazione vuole aiutarvi a riflettere - anche oggi che siete venuti ad ascoltare il Papa, interrompendo il ritmo normale delle vostre attività giornaliere - sul lavoro, questa realtà di enorme portata che la Provvidenza vi chiama a vivere.


2. Voi siete, in questo enclave della nazione angolana, un popolo dallo spirito imprenditore che intravede un futuro di prosperità e di benessere. Il Creatore del cielo e della terra vi ha dato in mano questa ricchezza e "vide che era cosa buona" (Gn 1,10). Questa terra e il suo litorale sono il frutto della generosità divina che, come il seminatore divino, sparge semi di bontà per tutti i suoi figli. Ma voi siete stati chiamati a trasformare tutto quello che il Signore vi ha dato, attraverso il vostro lavoro e le vostre occupazioni giornaliere, in opere di bene e di progresso umano e spirituale. Siete stati chiamati, lasciatemelo dire - rifacendomi alla prima Enciclica del mio Pontificato, - per comprendere che la "Redenzione avvenuta per mezzo della Croce, ha ridato definitivamente all'uomo la dignità ed il senso della sua esistenza nel mondo, senso che egli aveva in misura notevole perduto a causa del peccato" (RH 10). Purtroppo, a causa del peccato, l'uomo ha pregiudicato non soltanto il suo rapporto con Dio e con gli altri uomini, ma anche con tutto il creato. L'uomo è divenuto egoista e pigro.

Vuole godere adesso, ora e qui... senza farsi carico della durezza del lavoro e del sacrificio necessari a raggiungere quel benessere che ricerca. Dimentica che il lavoro accompagna inevitabilmente la sua vita sulla terra. Con esso sono presenti lo sforzo, la fatica, la stanchezza, che sono espressioni di quella affermazione divina: "Con il sudore del tuo volto mangerai il pane" (Gn 3,19). La ricerca di strade facili e dal risultato immediato, il furto o il lavoro non produttivo né costruttivo che voi chiamate imbroglio, sono situazioni quasi sempre derivate dal peccato personale, ma anche dal peccato collettivo-sociale: la mancanza di pianificazione e di lavoro organizzato, nonché di spazio per la libera iniziativa, le guerre e le altre calamità che ostacolano la vera attività umana, tutti questi sono fattori che impediscono di apprendere, come persone e come popolo, la vera felicità di lavorare.


3. E' ora che tutti noi cristiani proclamiamo con forza che il lavoro è un dono di Dio. Ogni lavoro onesto si presenta come partecipazione all'opera creatrice di Dio che, nel creare l'uomo, ha detto: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominatela" (Gn 1,28). Oltre ad essere assunto da Cristo, il lavoro si presenta come realtà redenta e redentrice che ci introduce nella sfera del mistero della salvezza umana del Figlio di Dio, fatto Uomo. Vi sono alcune religioni che educano gli uomini alla paura di fronte alla creazione, alle forze della natura e agli avvenimenti o movimenti degli astri e della terra. Questa paura paralizza l'uomo e lo rende passivo, in atteggiamento di spettatore, quasi vittima di queste forze e situazioni che interpreta come volute e comandate dalle sue divinità. Al contrario, noi cristiani proviamo una grande gioia nel pensare all'immenso panorama di pace e di vivida speranza svelatoci dal nostro Redentore il quale, per amore verso gli uomini, ci ha indicato la gloria del suo Regno, nelle azioni di tutti i giorni. Grande è il privilegio del cristiano nel sapere che il cammino che Dio gli chiede di santificare si trova in mezzo alle normali occupazioni quotidiane, nel suo tempo ordinario. Quando ci sentiamo colpiti dalle parole esigenti e compromettenti di Cristo: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48), possiamo farci prendere da un certo sussulto, motivato dai nostri interrogativi più profondi: come? perché? Dunque, cari fratelli e sorelle di Cabinda, è necessario ripetere molte volte che Gesù non si è rivolto a un gruppo privilegiato di persone, dotate di qualità eccezionali per comprendere il Suo messaggio, ma è venuto a rivelare a noi tutti l'amore universale di Dio. Tutti gli uomini e le donne sono amati da Dio, da tutti Dio attende amore. Da tutti si aspetta che facciano ogni cosa "nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre" (Col 3,17). Con il lavoro, "l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo" (LE 9), cioè diventa, in collaborazione con Dio, agente e soggetto del progresso del suo Paese. Con il lavoro, l'uomo crea e sviluppa la solidarietà e la fratellanza con gli altri suoi fratelli. Dio lo chiama nelle vicissitudini della vita quotidiana, nella sofferenza e nella gioia delle persone insieme alle quali vive, nelle aspirazioni umane dei suoi compagni, nei piccoli eventi della vita familiare. Lo chiama anche nei grandi problemi ed impegni che segnano l'epoca storica, a collaborare per trovare soluzioni ai destini dell'umanità. "Qualunque sia il tipo di attività alla quale l'uomo si dedica, essa ha sempre una intrinseca dignità che va molto al di là del quadro economico e produttivo, grazie ai valori umani e morali che esprime ed incarna" (Angelus, 10.02.1991). Per questo, il lavoro è un diritto e un dovere di tutte le persone, che deve essere protetto e stimolato, in ogni ambito, dalle autorità competenti. Un diritto e un dovere anche per i mutilati e i minorati, per tutti gli uomini e le donne. E quando parlo del lavoro parlo anche dello studio, anch'esso lavoro costruttivo.


4. Queste condizioni ideali conferiscono al lavoro umano un valore e una dignità tali da renderlo paragonabile a quello che Cristo stesso faceva nella Sua umile casa di Nazareth. Gesù ha assunto e ha vissuto il lavoro in mezzo al suo popolo: i vicini di Nazareth si riferivano a Lui indistintamente come faber e fabri filius: lavoratore e figlio di lavoratore. Il Signore, prima come bambino, poi come adolescente, aiutando nell'officina di Giuseppe, non ha rifiutato il sacrificio per compiere bene i suoi doveri. San Marco lo ha documentato, affermando che: "omnia bene fecit", fece bene tutto ciò che fece (Mc 7,37).

"Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti daro autorità su molto" (Mt 25,21). così ci dice il Signore nella Parabola dei Talenti, dandoci il sigillo definitivo della Benedizione eterna. Essere fedeli nel poco, nel poco di tutti i giorni, nell'ordinario, ma fatto con amore a Dio e verso quelli che sono intorno a noi, nell'ambiente professionale, familiare o sociale, è un pegno che ci apre le porte del cielo, quando compiamo con la maggiore perfezione possibile le azioni di tutti i giorni in unione con la Santissima Trinità, e con la nostra anima in grazia di Dio. Come è bello contemplare Maria, la madre del Dio fatto Uomo, mentre svolge le sue occupazioni con amore e dedizione, intimamente unita, in pensieri e opere, al Suo Figlio Gesù.


5. Le grandi opere che distinguono i cristiani in mezzo al mondo, devono portare un segno di amore. Un amore spinto fino all'estremo, dove il più piccolo dei gesti non è mai banale, ma pieno di vita, perché trascende fino alla grandezza di Dio.

Attraverso il suo lavoro generoso e pieno di abnegazione, il popolo dell'Angola potrà produrre tutto ciò di cui ha bisogno nella costruzione di una Nazione prospera e felice nell'edificare la sua vita in Cristo che, con la sua Incarnazione, con la sua Vita, Morte e Resurrezione, ha redento l'umanità e, come dice San Marco, ha attirato "a sé tutte le cose" (Mc 6,3). La vostra Patria, questa grande Angola, ha bisogno del lavoro e della solidarietà di tutti per la sua ricostruzione. La ricostruzione non progredisce senza la pace. Spero che tutti aiutino a risolvere i problemi di Cabinda senza violenza, ma con la pace e il dialogo, rispettando il popolo e le sue ansie, ma guardando anche alle necessità dell'intero Paese. così con il lavoro, con la solidarietà, aiutandosi l'un l'altro, un'era di pace e di prosperità potrà arrivare per tutti. Gesù, Giuseppe e Maria la vostra patrona, alla quale vi rivolgete con il titolo di Immacolato Cuore di Maria, vi insegnino a sentire la vocazione di collaboratori di Dio nello sviluppo della vostra terra e nello sviluppo integrale di tutto il vostro Popolo, in particolare dei più poveri e bisognosi che aspettano da voi non soltanto compassione, ma effettiva solidarietà. Cari fratelli e sorelle di Cabinda, cercate di accogliere quella esortazione che San Paolo ha diretto ai Colossesi, e che oggi ripete per noi: "Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che quale ricompensa riceverete dal Signore l'eredità" (Col 3,23).

Si. Riceverete l'eredità! "Servite a Cristo Signore!" (Col 3,24).

Amen.

Data: 1992-06-08 Data estesa: Lunedi 8 Giugno 1992

Appello durante la celebrazione della Parola presieduta sulla spianata della cattedrale - M'Banza Congo (Angola)

Titolo: La guerra civile ha costretto i rifugiati a fuggire La pace si costruisce anche con il loro ritorno




1. "Guai a me se non predicassi il Vangelo" (1Co 9,16). Queste parole sono state pronunciate da San Paolo, l'Apostolo delle genti. Sono parole forti. In esse si esprime il mandato missionario, quasi come fosse una pressione interiore.

L'Apostolo scrive: "... ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato" (1Co 9,17). Ministro del Vangelo. Ricordando gli albori dell'evangelizzazione dell'Angola cinquecento anni fa, ricordando allo stesso tempo il secolo scorso in cui l'evangelizzazione del vostro Paese ha fatto grandi progressi, vogliamo oggi rendere grazie alla Santissima Trinità per tutti quelli per i quali le parole dell'Apostolo delle genti sono diventate un programma di vita e di vocazione. Il mio pensiero va necessariamente a M'Banza Congo, che nel 1984 è diventata sede di Diocesi per la seconda volta, poiché l'antica Diocesi del Congo, che risaliva al 1596, si è trasformata successivamente in Diocesi di Angola e Congo fino al 1940. L'antica Diocesi è stata segnata da diverse vicissitudini: morte prematura di vescovi, lunghi periodi di "sede vacante", esiguo numero di missionari, carenza di agenti di evangelizzazione all'altezza della loro missione.

Successivamente, gravi avvenimenti, legati all'arrivo di stranieri nel Paese, hanno sconvolto la vita sociale e si sono ripercossi negativamente sull'evangelizzazione: il flagello disumano e ingiusto del commercio degli schiavi e l'intrusione violenta di questi stranieri nella vita del Regno del Congo. I peccati degli uomini accrescono le difficoltà che accompagnano sempre qualsiasi sforzo di evangelizzazione. I tristi eventi che si sono verificati durante la celebrazione dei 500 anni dell'evangelizzazione del Congo, eventi che hanno avuto la loro massima espressione nella tragica morte del primo Vescovo di questa Diocesi, Afonso Nteka, mi portano a credere che Dio non voglia far deviare M'Banza Congo dal cammino che il proprio Salvatore ha percorso: senza spargimento di sangue non c'è redenzione. Rendo omaggio al giovane Vescovo e chiedo a tutti che si inchinino dinanzi alla sua memoria. Amati fratelli e sorelle di questa diocesi di M'Banza Congo, vi presento qui il nuovo Vescovo, Don SerafimShyngo-Ya-Hombo, al quale auguro un ministero pastorale ricco di frutti della grazia divina. E lo faccio in una professione di speranza: le difficoltà che accompagnano la Missione del Congo non hanno impedito il fiorire della Chiesa sui due lati dell'attuale confine amministrativo. La forza della Pasqua di Cristo e l'azione del suo Spirito, con la collaborazione dei missionari, dei catechisti e di tutto il popolo cristiano, farà si che questa Chiesa locale cresca ancor di più e diventi un centro di irradiazione cristiana per tutto il territorio attorno a M'Banza Congo.


2. Ho parlato prima di questa pressione interiore, un imperativo dell'Apostolo. Ma da dove proviene? Da dove, lungo tutti questi secoli e fino alla fine dei tempi? Per dare una risposta a questa domanda, occorre salire su quel monte della Galilea dove gli Apostoli hanno ascoltato le parole di Cristo prima di salire alla Casa del Padre: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,19-20).


3. Con queste parole lo stesso Cristo risponde alla domanda sul dovere di evangelizzare "tutte le nazioni", di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini in ogni epoca e in ogni luogo. Il "potere - di Cristo - in cielo e in terra" ha la sua fonte definitiva nella redenzione del mondo compiuta da lui stesso mediante la Croce. E nella Risurrezione Cristo si è manifestato come il Signore che rimane con noi, nello Spirito che è fonte di vita, "fino alla fine del mondo". Quanti intraprendono un'opera di evangelizzazione vogliono rispondere all'amore del Redentore, che ci ha manifestato attraverso le sue opere e i suoi insegnamenti e, in modo definitivo, con il sacrificio della Croce: ha dato la sua vita per noi! Quanti intraprendono l'opera di evangelizzazione seguono la verità divina di questo amore, poiché soltanto in Lui si trova la salvezza dell'uomo e dell'umanità.


4. Sento un'emozione particolare, come Pastore della Chiesa Universale, nel momento in cui poso il piede su questa terra di M'Banza Congo. Perché qui il cristianesimo ha una storia di cinque secoli, una tradizione che affonda nelle ombre del passato e nelle imprese che si sono distinte per l'audacia. Se oggi rendiamo grazie a Dio per tutti coloro a cui l'Angola deve l'evangelizzazione, è perché vogliamo mostrare allo stesso tempo la sua necessità oggi e per il futuro della vostra Patria. Voi Pastori, missionari, catechisti e semplici laici, a cui rivolgo il mio saluto affettuoso e caloroso - segno di omaggio e fonte di stimolo - avete ereditato un compito impegnativo, una responsabilità storica e una tradizione che esige fedeltà.


5. Il lavoro dei primi missionari nel portare fino a questi luoghi la fiamma della Fede, è stato un'epopea di sacrifici e consolazioni, di luci e ombre, di angosce e speranze: è stato questo l'inizio e in questo modo è sopravvissuto il cristianesimo per cinque secoli in queste regioni. Questo processo di evangelizzazione, come un minuscolo seme, si è andato sviluppando fino a giungere ad essere ciò che è oggi la realtà cristiana dell'Angola: una gerarchia saldamente radicata, con i cristiani che partecipano, accanto ai loro pastori, alla vita della Chiesa. In questo richiamo storico non possiamo dimenticare il nome di un grande re, la cui memoria è rimasta per secoli nel popolo del Congo: Re Alfonso I, Mvémba-Nzinga, che è stato a quei tempi il più grande missionario del suo popolo.

E' per me una gioia ricordare anche i rapporti diretti che il Regno del Congo ha cercato di mantenere con la Santa Sede di Roma, inviandovi ambasciatori che i miei predecessori hanno accolto con ammirazione e affetto. Ma, come diceva il Concilio Vaticano II: "La Chiesa non è realmente costituita, non vive in maniera piena e non è segno perfetto della presenza di Cristo tra gli uomini, se alla gerarchia non si affianca e collabora un laicato autentico" (AGD 21). Una delle principali caratteristiche della Seconda Evangelizzazione dell'Angola, iniziata nel 1866, è la mobilitazione del laicato locale, soprattutto di coloro che sono chiamati catechisti. Le prove attraverso cui la Chiesa in Angola è passata durante questi ultimi trent'anni segnati dalla guerra di indipendenza, seguita dalla guerra civile, avrebbero certamente provocato la scomparsa di gran parte delle comunità cristiane, se ci fossero stati catechisti consapevoli e responsabili, all'altezza delle circostanze. Infatti la preghiera comunitaria, la catechesi a tutti i livelli, la resistenza all'ateismo ufficiale, hanno impedito l'estinzione delle comunità cristiane - come è accaduto dopo il 1834 in seguito alla cacciata dei missionari - perché i catechisti hanno mobilitato e hanno preparato il popolo alla difesa dei valori religiosi e morali. Centinaia di loro sono diventati martiri: hanno pagato con la vita il loro coraggio e la loro determinazione. Dio voglia che i loro nomi non siano dimenticati e i loro esempi vengano seguiti a edificazione delle future generazioni. Colgo l'occasione per salutare e congratularmi con tutti gli agenti dell'evangelizzazione dell'Angola, soprattutto voi catechisti: alcuni portano sul petto la medaglia "Pro Ecclesia et Pontifice", come segno di riconoscenza della Sede Apostolica per i servizi prestati e per i sacrifici sopportati. E come non ricordare le altre forme di servizio alla vita della Chiesa, alla missione di altri operai del Vangelo?: "animatori della preghiera, del canto e della liturgia; capi di comunità ecclesiali di base e di gruppi biblici; incaricati delle opere caritative, amministratori dei beni della Chiesa; dirigenti dei vari sodalizi apostolici" (RMi 73). Tutti hanno formato e formano una comunione di spirito e di fede, una unità armoniosa per l'edificazione della Chiesa angolana. Che il Dio della Pace vi benedica!


6. "Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro" (1Co 9,22-23). Ecco il programma di azione apostolica per tutti: per il clero e per i laici, ministri della Buona Novella. Il loro servizio mostra le vie della pace. Il Vangelo che servono è il vangelo della pace. E quanto ne ha bisogno la vostra Patria tanto straziata da questi anni di guerra civile! La mia sollecitudine per tutte le vittime di questa guerra mi spinge a rivolgere da qui un pressante appello a favore dei rifugiati: la guerra li ha costretti a fuggire, la pace si costruisce con il loro ritorno.

Cari angolani, in quel lontano 1491, Gesù Cristo, nella persona dei suoi missionari, ha chiesto e ricevuto degna ospitalità in queste accoglienti terre dell'antico Regno del Congo. Il Papa rivolge un appello affinché la generosità che i vostri antenati dimostrarono cinque secoli fa ai primi missionari sia oggi il nobile distintivo del cuore e della mentalità degli angolani, nei confronti dei rifugiati che cominciano a ritornare in patria. Essi contano sulla vostra solidarietà affinché divenga possibile un rincontro per tante famiglie disperse e un nuovo inizio per la loro vita. Il loro ritorno è certamente una delle condizioni necessarie ed urgenti affinché l'Angola possa ritrovare quella normalità di vita che le permetta di progettare e costruire il futuro. Certo che, anche se è decisiva, la solidarietà nazionale non basta! Mi rivolgo alla Comunità Internazionale per chiederle di continuare a sostenere i popoli meno fortunati.

L'Angola come diversi altri paesi dell'Africa Australe ha bisogno del vostro aiuto per non morire di fame, per intraprendere la via dello sviluppo e per rafforzarsi come Nazione sorella e compagna di tutte le altre Nazioni all'interno dell'unica famiglia umana.




7. Amati fratelli e sorelle: l'Angola ha cinquecento anni di incontro di culture, condizione che la maggior parte dei popoli africani non conoscono. Questo fa del vostro paese un popolo a sé, che non può essere incluso semplicemente in una determinata corrente che trascina i Paesi dell'Africa Australe. In alcuni i colonizzatori vivevano tra i colonizzati. Qui i colonizzatori, nonostante tutto, hanno convissuto con i popoli incontrati. Da qui la differenza specifica che contraddistingue il popolo angolano.

perciò, nel vostro lodevole sforzo di inculturazione del Vangelo non dimenticate che si tratta di "un cammino lento, che accompagna tutta la vita missionaria e chiama in causa i vari operatori della missione ad gentes, le comunità cristiane man mano che si sviluppano, i pastori che hanno la responsabilità di discernere e stimolare la sua attuazione" (RMi 52).


8. La liturgia di oggi, prima di condurci, con Cristo e gli Apostoli, sul monte dell'Ascensione, ci porta su un altro monte che il Profeta Isaia vede con gli occhi dell'anima. E' "il monte del tempio del Signore" (Is 2,2). Il profeta osserva come affluiscono a questo monte numerosi popoli che dicono: "Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri" (Is 2,3). E subito dopo: "Egli sarà giudice tra le genti. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci. Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore" (Is 2,4-5).

Popoli dell'Africa, popolo dell'Angola: Il Dio della pace sia con voi! Camminate nella luce del Vangelo di Dio!

Data: 1992-06-08 Data estesa: Lunedi 8 Giugno 1992


GPII 1992 Insegnamenti - Ai Vescovi della Conferenza Episcopale di Angola e di Sao Tomé e Principe - Luanda (Angola)