GPII 1992 Insegnamenti - Ai Cardinali, alla Famiglia Pontificia, alla Curia e alla Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi - Città del Vaticano (Roma)

Ai Cardinali, alla Famiglia Pontificia, alla Curia e alla Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi - Città del Vaticano (Roma)

Il Concilio Vaticano II: una grande opera del Magistero e insieme di programmazione della missione apostolica e pastorale della Chiesa


Signori Cardinali, Carissimi fratelli e sorelle!


1. L'11 ottobre scorso si sono compiuti trent'anni dall'inaugurazione del Concilio Vaticano II. L'11 ottobre dell'anno 1962 si celebrava la memoria liturgica della Divina Maternità di Maria - una circostanza in se stessa altamente significativa.

L'immediata prossimità del Natale, solennità nella quale ci raccoglieremo ancora una volta nella contemplazione della nascita verginale del Figlio di Dio dall'umile Fanciulla di Nazaret, ci riporta all'atmosfera gioiosa di quel giorno nel quale i Vescovi, convenuti da ogni parte del mondo, avviarono, sotto lo sguardo materno di Maria Santissima, il grandioso evento ecclesiale. Nell'odierna circostanza, nella quale ho la gioia di incontrare i venerati componenti del Collegio cardinalizio, della Curia e della Prelatura romana per la bella consuetudine della presentazione degli auguri, mi è perciò spontaneo scegliere proprio il XXX anniversario del Concilio come tema della nostra riflessione pre-natalizia.

Ringrazio, innanzitutto, il caro e venerato Cardinale Decano per i nobili sentimenti che, a nome di voi tutti, ha espresso e per gli auguri che mi ha presentato. Li ricambio con vivo affetto invocando dal Salvatore divino copiosi doni di grazia su di Lei, Signor Cardinale, sugli altri Porporati e Vescovi e su tutti voi - Sacerdoti, Religiosi, Religiose e laici - che con generosità e costanza prestate la vostra opera a servizio della Santa Sede. Tra le persone qui presenti non poche parteciparono al Concilio, contribuendo - sotto la guida dello Spirito Santo - a quella grande opera di Magistero ed insieme di programmazione della missione apostolica e pastorale della Chiesa. Altri, invece, che in qualche maniera appartengono già alla generazione post-conciliare, sono "entrati nel lavoro" dei loro predecessori, per compiere di giorno in giorno, di anno in anno, ciò che lo Spirito Santo, il quale costantemente parla alla Chiesa (cfr. Ap 2,29), ha detto a noi mediante il Concilio del nostro secolo. A Lui, al Paraclito, allo Spirito del Padre e del Figlio, allo Spirito di Gesù Cristo, indirizziamo l'espressione della nostra costante gratitudine per questo suo "parlare", che nel Concilio si è manifestato in maniera così intensa ed efficace.

Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, co-artefici e protagonisti della grande opera conciliare


2. Eleviamo contemporaneamente il nostro pensiero riconoscente a coloro che in maniera diretta, operando nella carità e nell'umiltà, sono diventati cooperatori dello Spirito di Verità e co-artefici dell'opera del Vaticano II. Mi riferisco innanzitutto al periodo preparatorio del Concilio. In senso largo si potrebbe dire che tutta la vita, l'esperienza e l'insegnamento della Chiesa, soprattutto a partire dal Concilio di Trento e poi attraverso il Concilio Vaticano I, hanno preparato il Vaticano II. Un Concilio si realizza sempre in un determinato momento storico, ma emerge anche dal sottosuolo della storia della Chiesa, sin "dagli inizi". Riguardo alla sua preparazione immediata, va ricordato il grande contributo dato dal Papa Pio XII. I documenti conciliari mostrano quanto ciascuno di essi debba a tutta la tradizione della Chiesa e, in special modo, all'insegnamento di quel Papa. Come poi non essere grati alla Divina Provvidenza per il dono di un Papa quale Giovanni XXIII? Siamo grati per la grande intuizione che lo porto a scoprire l'"ora" del Concilio, il "Kairos" divino recante in sé l'imperativo interiore della sua convocazione. Giovanni XXIII agi come quel padre di famiglia che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche (cfr. Mt 13,52), per mostrare la "novità" del Vangelo, appunto, in ciò che in essa vi è di eterno e di immutabile. "E' necessario - egli diceva nel Discorso di apertura del Concilio - che questa dottrina certa ed immutabile... sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata" (AAS 45 (1962), p. 792).

Siamo grati, ancora, a Cristo Signore per il Papa Paolo VI, il quale porto a compimento l'impresa del Concilio, iniziandone poi l'attuazione pratica in circostanze talvolta drammatiche, ma procedendo sempre con calma, moderazione ed equilibrio. Col "Credo del popolo di Dio", Paolo VI risaliva agli inizi apostolici, ma apriva al tempo stesso la Chiesa al "Dialogo di salvezza", indicando e spiegando le vie che essa avrebbe dovuto percorrere nel mondo contemporaneo. Fu questo il contenuto della "Ecclesiam suam" - la prima Enciclica in cui l'indimenticabile Pontefice definiva, nella prospettiva del Concilio, gli ambiti del dialogo salvifico, descrivendoli come grandi cerchi concentrici. Quante persone bisognerebbe adesso richiamare alla nostra memoria, sia tra i protagonisti che tra i collaboratori della grande opera conciliare! In essa tutto l'Episcopato della Chiesa universale, tutti i Vescovi del mondo esercitarono il loro specifico ministero di fronte a tutte le Chiese dell'"oikumene" terrestre.

E poi i teologi, gli esperti, gli uditori, i collaboratori interni, gli operatori dei mass-media al servizio dell'assemblea conciliare... un apporto assai prezioso per il Concilio fu quello dei rappresentanti delle altre Chiese e Comunità cristiane, la cui presenza contribui a far si che il Vaticano II tracciasse coraggiosamente le linee di un rinnovato ecumenismo per la ricerca dell'unità tra i cristiani divisi: "perché tutti siano una cosa sola" (Jn 17,21).

Guardare al Concilio attraverso l'esperienza del periodo post-conciliare


3. Nel fare oggi memoria con vivo senso di riconoscenza di tutte queste persone e delle loro multiformi attività, non possiamo non rendere grazie allo Spirito Santo, il quale - secondo la promessa del Signore - è con noi sino alla fine del mondo per insegnarci ogni cosa e ricordare al momento giusto tutto ciò che Gesù ha detto (cfr. Jn 14,26). La nostra riflessione sul passato diventa ancora più significativa, se guardiamo al Concilio attraverso l'esperienza del periodo post-conciliare. La Chiesa, pur essendo in ogni angolo della terra la stessa di ieri, vive e realizza in Cristo il suo "oggi", che ha preso il via soprattutto dal Vaticano II. Questo "oggi" ha trovato una sua espressione anche nei documenti post-conciliari a carattere universale. Penso al Codice di Diritto Canonico della Chiesa Latina e al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, la cui futura redazione era stata annunciata dallo stesso Papa Giovanni insieme col Concilio.

A suo tempo si disse che questi erano da considerare, in certo senso, come gli ultimi documenti del Vaticano II. Analoga valutazione va fatta oggi (e forse con ancor maggior ragione) a proposito del "Catechismo della Chiesa Cattolica", solennemente consegnato alla comunità dei credenti nei giorni scorsi dopo intensi anni di lavoro dell'apposita Commissione presieduta dal Signor Cardinale Joseph Ratzinger, appassionato indagatore di quella Verità di cui vive la Chiesa.

Non si può non aggiungere che tali documenti - in particolare il Catechismo - sono nati come frutto delle proposte degli Episcopati, espresse specialmente per il tramite dei Sinodi. Si tratta di un dato assai significativo, che dice molto sia in merito a ciò di cui vive la grande comunità del popolo di Dio in tutto il mondo, sia in merito a ciò di cui essa ha bisogno per vivere. C'è inoltre un particolare che non dev'essere dimenticato: l'assemblea conciliare fu seguita con grande interesse dai mass-media, i quali svolsero indubbiamente un prezioso compito di informazione nei confronti dell'opinione pubblica, ma indulsero anche non di rado ad una interpretazione piuttosto parziale dei lavori, presentando il Concilio come luogo di scontro tra tendenze conservatrici e progressiste. In verità, sarebbe molto ingiusto nei confronti di tutta l'opera del Concilio chi volesse ridurre quello storico evento ad una simile contrapposizione e lotta tra gruppi rivali. La verità interna del Concilio è ben diversa: è la verità che emerge dalla parabola evangelica del padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche (cfr. Mt 13,52).

E ciò che soprattutto conta è che quell'uomo sa di trovarsi di fronte a un grande Tesoro affidatogli da Dio stesso. Lui - quell'uomo - sa di essere, di quel Tesoro, soltanto amministratore e servitore, non proprietario. Il Tesoro gli è stato solo affidato.

Un Concilio ecclesiologico e trinitario Le radici dell'antropologia teologica del Vaticano II


4. Il Concilio Vaticano II passerà alla storia come Concilio soprattutto ecclesiologico. La Chiesa è stata e rimane il suo tema centrale: la Chiesa - realtà umana e storica, ma al tempo stesso istituzione divina e mistero di fede.

Per questa ragione tutti i tentativi di ridurre la realtà ecclesiale a dimensioni - ad esempio - soltanto sociologiche, risultano inadeguati e addirittura fuorvianti, perché non tengono conto di quel mistero che rappresenta il "constitutivum" più profondo ed essenziale della Chiesa, come realtà divino-umana.

perciò il Concilio, che è ecclesiale nel suo nucleo, è anche profondamente trinitario: "un popolo adunato dalla comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (San Cipriano, De Orat. Dom., 23; citato in: LG 4).

Il vertice e il nucleo più profondo della "teo-logia" - la verità su Dio, comunione di Persone nell'assoluta unità della Divinità - costituisce, al tempo stesso, la fonte da cui prende inizio la ecclesiologia. La Chiesa è nata e sempre nasce dal seno dell'eterno Padre, il quale ha tanto amato il mondo da mandare il proprio Figlio unigenito (cfr. Jn 3,16) e mediante l'opera del Figlio, cioè mediante il suo sacrificio redentore, ha mandato nel mondo anche lo Spirito Santo.

Ci troviamo qui nel centro stesso dell'"Economia Trinitaria". La Chiesa - nella dimensione costitutiva del mistero - è realtà profondamente cristologica e pneumatologica. Questa verità sulla Chiesa manifesta in modo evidente fin dalle prime pagine della "Lumen gentium", ed è poi presente in tutto il Magistero conciliare. Affondano qui anche le radici dell'antropologia teologica del Vaticano II. In Cristo infatti si rivela pienamente il mistero dell'uomo (cfr. GS 22). "Si rivela": benché la verità sull'uomo sembri essere completamente accessibile alla conoscenza umana, sia a quella pre-scientifica che alle varie branche della scienza sull'uomo, tuttavia la pienezza di quella conoscenza nasce solo sulla base "dell'immagine e della somiglianza con Dio". Cristo "rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" (GS 22). In questa vocazione si trova la risposta, teologicamente corretta, alla domanda: "Chi è l'uomo?".

Il Concilio si pone nella linea di tutta la tradizione, quando insegna che l'uomo, essendo "la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" (GS 24).

In tale affermazione raggiungiamo le profondità del Mistero trinitario: quel "dono sincero di sé", infatti, si rende possibile per noi a partire dalla divina "Communio" delle Persone nell'unità della vita trinitaria. Il Concilio parla addirittura di una "certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità" (GS 24).

Questa antropologia conciliare illumina il senso profondo dell'uomo in quanto creato ad immagine e somiglianza di Dio. Al tempo stesso, essa ci permette di comprendere la vera identità del "mondo", facendocelo scoprire come mondo degli uomini, dell'intera famiglia umana "nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano, e reca i segni degli sforzi dell'uomo, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e conservato nell'esistenza dall'amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma dal Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del Maligno, liberato e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento" (GS 2).

Abbiamo qui quella che potremmo chiamare la cosmologia teologica del Concilio, intimamente permeata dalla verità soteriologica. La creazione e la redenzione del mondo si inquadrano nell'unità del disegno divino. La Chiesa, la cui missione è radicata nel mistero della creazione e della redenzione - è costituzionalmente universale, perché tutto ciò che esiste proviene da Dio-Creatore, ed ogni uomo è stato abbracciato dall'amore salvifico di Dio in Cristo Redentore. Ecco la ragione per cui la Chiesa si trova sempre "in statu missionis".

I grandi lumi del Vaticano II sorgente di gioia particolare e di intensa ispirazione


5. In questo giorno, che ci vede qui raccolti, alle soglie della grande Solennità del Natale per scambiarci gli auguri, noi chiediamo al Signore che questi grandi lumi del Vaticano II diventino per ciascuno sorgente di gioia particolare e di intensa ispirazione. Gesù, Figlio del Padre, che nella notte di Betlemme entra nel mondo, è il testimone più fedele - testimone "oculare" - del Mistero trinitario di Dio. Egli, Figlio della Vergine di Nazaret, viene per offrire a tutti - agli uomini e ad ogni creatura - la testimonianza che Dio ha amato il mondo, e la misura di tale amore si esprime nel fatto che "ha dato il suo Figlio Unigenito" (cfr. Jn 3,16) e per mezzo dello Spirito Santo lo dà continuamente. Dio, che secondo le parole pronunciate da San Paolo nell'Areopago è Colui in cui "viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (Ac 17,28), si è rivelato in Cristo quale Padre e Figlio e Spirito Santo. Egli non solo abbraccia l'universo, conservandolo nell'esistenza con la potenza della sua Provvidenza creativa, ma al tempo stesso lo permea con il mistero della Comunione divina, cioè con il suo amore salvifico.

Il Concilio ha mostrato come questa Comunione più alta è iscritta dentro il mistero stesso della Chiesa e della sua missione, diventando la fonte e il modello della sua vita e del suo multiforme dinamismo. E' sotto l'ispirazione di quella Comunione divina che diventa possibile quello "scambio dei doni", grazie al quale il Corpo mistico di Cristo è uno nella molteplicità delle Chiese sparse sull'intera faccia della terra. E' uno anche nella speranza ecumenica di quell'unità dei cristiani, da Cristo incessantemente domandata al Padre. E' uno nel suo riferimento alla famiglia umana sempre più numerosa. In questa prospettiva l'attività missionaria diventa lo spazio privilegiato, in cui lo scambio dei doni tra la missione salvifica e la vita e la cultura dei vari popoli si attua in una sempre più grande ricchezza (cfr. Redemptoris Missio). La Chiesa è una nel continuo incontro con le molteplici realtà che costituiscono il "mondo dell'uomo": con tutte le sue "vittorie e sconfitte", con il progresso e il sottosviluppo, con le sue conquiste civili, economiche e politiche, con la sua ardente ricerca della pace e con la continua minaccia della guerra.

Tutte le forze centrifughe, le forze del disprezzo, dell'odio e della distruzione si incontrano - grazie alla Chiesa - con quell'amore salvifico che si è manifestato pienamente nel mistero della Croce sul Golgota, ma il cui inizio si è avuto a Betlemme, nella notte della nascita del Redentore. "Natus est nobis hodie Salvator mundi".

Servire all'amore con la sola forza della verità portata al mondo dal Verbo Incarnato


6. Ci avviciniamo al mistero di quella Nascita con profonda umiltà e gratitudine per poter servire all'Amore, che - apparentemente sconfitto dall'odio - vince con la propria potenza; inizialmente sopraffatto dal padre della menzogna, trionfa con la forza della sola verità portata al mondo dal Verbo Incarnato. A Colui che è venuto nella notte di Betlemme per servire, rendiamo grazie per il dono di poter servire. Rendiamo grazie insieme con tutti coloro che nella Chiesa compiono vari ministeri. Rendiamo grazie con l'intero sacerdozio ministeriale della Chiesa.

Rendiamo grazie in unione con il peculiare ministero di testimonianza del Regno che è proprio dei Religiosi e delle persone consacrate. Rendiamo grazie insieme con gli sposi che contemplano la Sacra Famiglia nella notte di Betlemme, e poi durante la fuga in Egitto, e in seguito a Nazaret - rileggendo in tutti questi eventi il divino significato del loro amore umano a servizio della vita e dell'educazione dei figli. Rendiamo grazie insieme con coloro che soffrono, con gli anziani, con le persone sole ed abbandonate. Rendiamo grazie anche con le giovani generazioni che in Cristo apprendono questa fondamentale verità: servire significa regnare.

Rendiamo grazie tutti noi, qui riuniti, e rende grazie colui che se ha diritto a un nome - esso è quello soltanto di servo dei servi di Dio - si, semplicemente un servo.

Oggi è una occasione particolare per ringraziare Voi, Venerabili e cari fratelli, per la vostra preziosa partecipazione a quel "ministerium petrinum", che il Signore ha voluto a servizio della multiforme "comunione", mediante la quale si manifesta nella realtà umana l'ineffabile mistero di Dio. Rendiamo grazie quest'anno anche per la IV Conferenza dell'Episcopato Latinoamericano. Rendiamo grazie per il lavoro dei Sinodi: dell'Africa, dell'Europa, del Libano, dell'Armenia; e per il lavoro già avviato del prossimo Sinodo sulla vita religiosa. Ancora una volta rendiamo grazie per i frutti di tutti i Sinodi dei Vescovi del post-concilio, ricordando in particolare le recenti Esortazioni post-sinodali "Christifideles laici" e "Pastores dabo vobis". Affidiamo al Signore i compiti - gli attuali nuovi compiti e quelli futuri - di tutte le Chiese e comunità cristiane, pregando "perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21).

Se i cristiani saranno uniti fra loro, potranno meglio adempiere il compito sempre attuale, ma oggi particolarmente urgente, della carità verso quanti sono nel bisogno. Domenica scorsa, nella prospettiva del Natale, ho reso visita alla mensa della Caritas diocesana che si trova al Colle Oppio. Ho trovato là un gran numero di immigrati, rifugiati e nomadi: persone che mancano di tutto e sono impossibilitate spesso a far valere persino i loro diritti fondamentali. A quanto già va facendo la diocesi di Roma per venir loro incontro, non può non unirsi l'impegno anche della Santa Sede, che, nel rispondere alla sua missione universale di servizio, sente di doversi anzitutto preoccupare di quanti, in questa nostra Città, versano in condizioni così precarie. Tale consapevolezza si fa ancor più profonda nel clima del Natale, che ci riporta al mistero del Figlio di Dio, venuto sulla terra per condividere sino in fondo la condizione degli uomini, soprattutto quella dei poveri, dei poveri di tutti i tempi, e quindi anche quella dei poveri del nostro tempo, di questa fine del ventesimo secolo.

Dinanzi al presepe avvertiamo come l'appello all'amore e alla condivisione divenga per ciascuno invito impellente a realizzare la "civiltà dell'amore". Dinanzi al presepe questo appello si fa preghiera. Ma ecco, viene nel mondo la Preghiera più potente, il più forte grido al Padre. Per il momento, quella Preghiera è solo il debole vagito di un bambino appena nato, ma in esso già si esprime il "Primogenito di tutte le creature". Egli viene "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Jn 11,52). Egli viene perché tutti "abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10).

"Christus natus est nobis, venite adoremus".

Data: 1992-12-22 Data estesa: Martedi 22 Dicembre 1992

Udienza: a medici e infermieri del Policlinico "Gemelli" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La vostra missione è grande: difendere, amare e servire la vita

Sono grato alla divina Provvidenza perché mi offre quest'oggi l'occasione di esprimere nuovamente il mio più fervido ringraziamento a ciascuno di voi, carissimi: Magnifico Rettore, Signori Professori e Medici, Suore, Infermieri e Infermiere, Personale sanitario e amministrativo del Policlinico Agostino Gemelli, che, con generosa e competente dedizione, vi siete presi cura di me durante la mia recente malattia.

Un grato saluto anche al Dott. Renato Buzzonetti ed ai Medici della Direzione Sanitaria del Vaticano.

Sono sentimenti di riconoscenza, che scaturiscono spontanei dal profondo del cuore e stentano a trovare espressioni adeguate. Come già ebbi a dire circa dieci anni or sono, in analoga circostanza, ripeto oggi, prendendo a prestito le parole dell'Apostolo: nei vostri confronti "debitores facti sumus".

Carissimi, anche adesso il mio apprezzamento per quanto avete compiuto si traduce nella consapevolezza di un debito che niente potrà ripagare compiutamente. La vostra missione è veramente grande: difendere la vita umana, amarla, servirla con amore e dedizione sono valori di fondo ed impegni di grande responsabilità. Voi siete chiamati ad essere collaboratori di Dio nel servizio dell'uomo per il ristabilimento della sua integrità fisica e spirituale.

Il clima natalizio rende particolarmente familiare e significativo questo nostro incontro. Esso si illumina del celeste fulgore della Grotta santa nella quale il Figlio di Dio, nascendo nel tempo, si fece fratello d'ogni uomo.

Ciascuno di noi, nel contemplare il Verbo incarnato, si sente debitore nei suoi confronti; in Lui riconosce il volto dell'essere umano restituito alla bellezza originaria; da Lui implora la grazia divina che risana i cuori e guarisce le ferite del peccato.

Carissimi, in tale atmosfera di gioia e di speranza, vi rinnovo i sentimenti della mia grata ammirazione e tutti vi affido alla protezione di Gesù Uomo-Dio. Egli, che ha voluto conoscere la sofferenza e il dolore, vi sostenga nel quotidiano sforzo di alleviare e lenire ogni pena e malattia.

Nell'invocare l'intercessione di Maria, Madre di Dio, su ciascuno di voi, su coloro che lavorano nella vostra struttura sanitaria, sui degenti affidati alle vostre cure e sulle vostre famiglie, a tutti imparto volentieri la Benedizione Apostolica.

(Al termine dell'incontro, Giovanni Paolo II ha rivolto ancora un saluto e un ringraziamento ai presenti. Queste le sue parole:) Attraverso le vostre persone si vede come è complesso l'organismo umano e quanti aspetti intervengono in ogni malattia e in ogni esame. Io l'ho sperimentato due volte, nel 1981 e nel 1992. E ho potuto ammirare, soprattutto le persone, le loro competenze, la loro dedizione all'uomo, al suo organismo. Poi ho ammirato la tecnica, che è anche un'opera dell'uomo. E finalmente ho ammirato quello che si chiama organismo umano.

Il corpo è una cosa meravigliosa. Certamente voi, carissimi professori, e anche voi, carissime sorelle, incontrate questo organismo quando è sofferente, quando è deficiente. Ma anche attraverso le deficienze si rivelano le meraviglie della natura, attraverso la natura del Creatore, la sapienza. Adesso, nell'Avvento, noi stiamo vivendo profondamente questo mistero della sapienza, prima increata - il Verbo - e poi creatasi, fattasi uomo.

L'uomo ha anche un suo cuore. E voi tutti, come Università Cattolica in Italia, siete dedicati al Sacro Cuore. Allora vi auguro di essere partecipi di questa sapienza e di ritrovare anche la felicità, nonostante il vostro lavoro duro, pesante, responsabile. Vi auguro di trovare la felicità, di poter così partecipare a questa sapienza, a questo Verbo, e, nello stesso tempo, servire le altre persone, quelle bisognose, com'ero io, quelli che, come me, diventano anche debitori...

Ancora una volta buon Natale, buon anno nuovo, a ciascuno di voi, signori e sorelle carissimi, alle vostre famiglie e a questa grande comunità di lavoro scientifico che è l'Università del Sacro Cuore.

Data: 1992-12-24 Data estesa: Giovedi 24 Dicembre 1992



Udienza: alla comunità polacca per la presentazione dell'"oplatek" e per lo scambio degli auguri natalizi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Non è giusto lasciare fuori dalla porta la vita che nasce. Il nostro futuro dipenderà dalla capacità di accoglierla

"In lui era la vita... la vita era la luce... la luce splende nelle tenebre... le tenebre non l'hanno accolta... Egli era nel mondo, eppure il mondo non lo riconobbe... Venne fra la sua gente... il Verbo era Dio... tutto è stato fatto per mezzo di lui... di tutto ciò che esiste... Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio" (cfr. Jn 1,1-12).

Carissimi connazionali, Vorrei che ci soffermassimo in raccoglimento su questi brani del Prologo di San Giovanni. Egli dice le stesse cose che conosciamo dalla relazione di San Luca. Ciò che verrà letto oggi a mezzanotte nel Vangelo della Messa dei pastori.

Dice le stesse cose, ma in modo diverso, arriva più in profondità. Arriva al cuore stesso del mistero e tuttavia parla dello stesso avvenimento.

San Luca descrive dettagliatamente l'arrivo di Gesù fra la sua gente, il suo arrivo nella città di Davide, città di Betlemme. Racconta che egli, Maria e Giuseppe invano hanno cercato un tetto sotto il quale ripararsi e non l'hanno trovato: "I suoi non l'hanno accolto!".

Certamente questo risvolto della vicenda è profondamente umano, perché il Natale è un avvenimento umano che ritorna sempre e in varie dimensioni. L'uomo che ha bisogno di una casa, che cerca un po' di benevolenza da parte degli altri, che cerca una porta aperta. Non la trova! Che moltitudine di situazioni umane indica quell'unica frase del Vangelo di Giovanni: "I suoi non l'hanno accolto".

Passando in rassegna varie situazioni possibili e concrete che conosciamo direttamente o grazie alle informazioni che ci arrivano da diversi continenti, dalla nostra Europa, dalla Penisola Balcanica, soffermiamoci sulla nostra situazione polacca.

A mezzanotte ascolteremo il Vangelo di Luca, domani ascolteremo quello di Giovanni. Che cosa dice questo Vangelo di noi, che cosa dice del bambino nel seno della madre, del bambino che deve ancora nascere, custodito nel seno della madre, e che cosa dice delle porte chiuse. E' un particolare che non può non sconvolgere, se si partecipa, anche se solo da lontano, a ciò che sta vivendo attualmente la nostra società, il nostro Paese, e che del resto non è un caso isolato. E' difficile non rimanere sconvolti. perciò a Natale occorre una grande preghiera affinché i suoi lo accolgano. Egli viene fra la sua gente. Fra la sua gente: tutti sono la sua gente visto che egli è la Parola del Padre, il primogenito dell'intera creazione. Viene fra la sua gente, se deve nascere in terra polacca. Non bisogna forse fare il possibile per aprirgli la porta? Nello spirito della nostra millenaria tradizione natalizia secondo la quale la sera della vigilia si mette sulla tavola un piatto in più per un viaggiatore sconosciuto, per un ospite sconosciuto. E qui si tratta di un ospite speciale che esce dal seno della madre per entrare nella sua famiglia. Senza rischiare un grande rimorso di coscienza si può forse chiudere la porta davanti a lui? Dire: che perisca, che muoia di fame e di freddo? Ci sono certamente altre situazioni alle quali si riferiscono le parole del Vangelo di Giovanni. Sicuramente è così. Bisogna considerare anche il contesto del sistema. Non ci sono forse i sistemi della vita umana, sociale, economica che permettono che alcuni restano fuori dalla porta? Tuttavia alla radice di tutto c'è il bambino non ancora nato. Nel nostro futuro molto dipende dalla soluzione di questo problema: potrà nascere o potrà essere ucciso impunemente? "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto". La sua gente non può passare accanto a questo problema con indifferenza. Esso fa pagare ad una coscienza sensibile un prezzo molto alto. La sensibilità delle coscienze umane, femminili, materne, non può essere offuscata, distrutta, perché in quel caso verrebbe distrutta la sostanza stessa dell'esistenza della nazione, come ha detto il poeta: "Il più grande dei dolori è l'avvelenamento dello spirito nazionale" (cfr. Z. Krasinski, Psalmy przyszLosci).

In occasione di questo "oplatek" romano preghiamo dunque di tutto cuore per la nostra Patria che sta vivendo un momento critico nella storia delle coscienze, della legislazione polacca, nella storia della responsabilità comune e quella dei responsabili della comunità, non solo dei governanti, ma anche di coloro che scrivono, che pubblicano, che sono coinvolti a causa del loro mestiere.

Preghiamo, preghiamo molto affinché quella parola chiave dei Vangeli di Giovanni e di Luca illumini la nostra vita polacca e trovi in essa un giusto riscontro. Che non rimanga un'illusione.

A tavola lasciamo il piatto in più per gli ospiti sconosciuti. Ma quest'ospite noi lo conosciamo! Lo conosciamo, anche se egli è ancora atteso e sta solo per nascere, ma lo conosciamo. Infatti nel bambino non ancora nato, non ancora rivelato, sicuramente c'è Gesù. Colui che ha trovato chiuse le porte delle case di Nazaret, delle case di Betlemme. Sicuramente al giudizio universale dove saremo giudicati dell'amore, ci sarà anche questa costatazione: Non ero ancora nato e non Mi avete permesso di nascere, non Mi avete accolto! "In lui era la vita". Si, in lui è la vita. Tutta la sua missione messianica è una missione vivificante. "In lui era la vita". Anche se gli uomini gli hanno tolto la vita. Anche se la sua breve vita in terra di Palestina si è conclusa con la morte, una morte umana. Oltre la soglia della morte egli ha confermato la vita che era in lui e che è in lui. Il terzo giorno è risuscitato.

Quella vita è per noi. perciò è così importante il diritto dell'uomo alla vita: dal momento del concepimento fino all'ultimo respiro perché all'uomo è destinata la vita più grande di quella umana, la vita in Dio. "Ha dato loro potere di diventare figli di Dio".

Rimanendo sempre nella prospettiva del Prologo di Giovanni, preghiamo, preghiamo ardentemente, dappertutto, qui a Roma, in Polonia e dovunque ci sono i nostri connazionali, affinché quella vita che era in lui, nel Neonato di Betlemme, sia la luce degli uomini e illumini le tenebre, e le tenebre non riescano ad accoglierla.

Le tenebre dell'Avvento erano la preparazione alla venuta della luce.

Stiamo vivendo l'Avvento della storia. Si avvicina l'anno 2000 dalla nascita di Cristo e avvertiamo che le tenebre cercano di accogliere la terra, in vari modi difendono i loro diritti fingendosi la luce. La luce splende nelle tenebre, le tenebre non l'hanno accolta.

E' l'augurio che in questa vigilia voglio fare a tutti i presenti, a S.E. l'Ambasciatore ed alla sua consorte, a tutti i sacerdoti ed al loro Vescovo, a tutti i religiosi ed alle religiose che risiedono a Roma, presso la Sede di Pietro, a tutti i connazionali qui presenti che vivono a Roma e fuori Roma, in questa terra, e a tutti i connazionali in Polonia e in tutto il mondo.

Data: 1992-12-24 Data estesa: Giovedi 24 Dicembre 1992

Messa di mezzanotte: l'omelia durante la solenne celebrazione - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Questa notte la Chiesa guarda a Te, Gesù Cristo, e ti domanda la pace per tutta l'umanità redenta"




1. "Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14). Ecco la notte che abbiamo atteso tutto l'anno. In questa notte si compiono le parole del Profeta Isaia sulle tenebre e sulla luce: "Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse" (Is 9,1). Quella luce squarcio la notte che era calata su Betlemme di Giudea. Grazie alla luce di quella notte, gli uomini si trovarono immersi in uno straordinario chiarore: furono innanzitutto degli uomini semplici, i pastori che facevano la guardia al loro gregge. Nel loro animo rifulse la luce. Non solo intorno a loro c'era la luce, ma anche dentro di loro. La luce annunciata da Isaia era entrata nei loro cuori. In quella luce era presente Dio stesso. Era una luce di Teofania. Come una volta Abramo, Mosè ed i Profeti, così ora anch'essi si trovavano entro il raggio della luce di Dio, che li aveva svegliati nella notte - e li aveva spinti a mettersi in cammino verso Betlemme: "Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore" (Lc 2,11).


2. Non dentro la città, ma fuori di essa. Il luogo della nascita del Salvatore era avvolto nelle tenebre di quella notte. I pastori erano stati preavvisati: "Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia" (Lc 2,12). E' possibile? Perché il Salvatore del mondo viene ai suoi in un simile modo? Perché, pur avendo fatto capire ai suoi fin dall'inizio che sarebbe venuto, i suoi non l'hanno accolto? così è stato, infatti, già in Betlemme. I pastori furono avvolti da una luce dall'alto. Quando si trovarono di fronte al bambino appena nato, capirono di essere arrivati al centro di una Teofania. La stessa certezza dimostreranno più tardi anche i Re Magi venuti dall'Oriente, quando si troveranno alla soglia della capanna. Anch'essi, come i pastori, entrano nel raggio della luce divina che è venuta nel mondo. Su quella luce le tenebre non hanno prevalso (cfr. Jn 1,5). E non prevarranno. Come nella notte di Betlemme, né le tenebre dell'indigenza, né lo squallore dell'abbandono e dell'umiliazione hanno potuto soffocare la Luce del Mistero Divino. Ecco, il Verbo si è fatto carne.


3. Come più tardi i Magi dell'Oriente, così in quella notte i pastori di Betlemme attuano in sé le parole del Profeta sul popolo - sul popolo dell'Antica Alleanza, da cui doveva nascere il Messia, il Salvatore del mondo: Ecco, "il popolo che camminava nelle tenebre / vide una grande luce" (Is 9,1). La salvezza del mondo ha la sua fonte in Dio stesso, e il suo inizio temporale proprio qui, in mezzo a questo popolo eletto. Da qui essa deve diffondersi su tutta la terra. Ecco, "il popolo che camminava nelle tenebre" vedrà una grande luce. Tra tante nazioni e popoli in tutto il globo terrestre, un unico popolo di Dio. Lo spazio della Nascita di Dio, che all'inizio ha avvolto di luce i campi di Betlemme, oggi si trova in innumerevoli luoghi della terra. Dovunque si celebra, a mezzanotte, questa liturgia piena di gioia, si rinnova e si fa presente il Mistero di cui, quella notte, i pastori divennero partecipi, presso Betlemme, città di Davide: "Hai moltiplicato la gioia / hai aumentato la letizia" (Is 9,2).


4. Questa letizia è più forte della povertà e della miseria. La conoscono anche i "poveri in spirito". Come allora i pastori di Betlemme così, attraverso i secoli e le generazioni, tanti e tanti uomini di "buona volontà". Da dove scaturisce questa letizia? Non scaturisce forse dal fatto che la nascita "da una donna" (Ga 4,4) del Figlio consustanziale al Padre dà a tutti la certezza dell'amore di Dio? può esservi forse una dimostrazione più convincente del fatto che Dio ama l'uomo, che ha trovato negli uomini la sua compiacenza? può esservi una verifica ancora più evidente? Ecco qui, COLUI CHE E'. Ecco, COLUI CHE E' - non nel roveto ardente, non nei tuoni e nei fulmini, come sul monte Sinai. Ecco, COLUI CHE E' come uno di noi: come Uomo... come un Bambino appena nato dalla Vergine Madre. Affidato alla premura di Maria e di Giuseppe. Ecco, Egli è COLUI CHE E'.


5. "Natus est nobis...".

Lo spazio della Teofania di Betlemme si compie fino ai confini della creazione. Anzi, li oltrepassa. Abbraccia la terra e, al tempo stesso, sale a quelle altezze che sono colme della gloria di Dio.

"Gloria a Dio nel più alto dei cieli" (Lc 2,14).

Quel Dio che ha amato il mondo - lo ha amato fino a dare il proprio Figlio per la salvezza dell'uomo - rivela agli uomini la pace: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi" (Jn 14,27).

Come è difficile per il mondo assicurare la pace all'uomo - agli uomini, alle nazioni, alle epoche storiche! "Io la do a voi...": pace sulla terra agli uomini di buona volontà! Ma può veramente prevalere la pace sulla terra, quando manca la buona volontà, quando agli uomini non importa se Dio li ama? Questa notte, la Chiesa guarda a Te, Gesù Cristo, che sei il Dio Forte e il principe della Pace - e Ti domanda la pace per tutta l'umanità redenta. Questa pace è il tuo Nome.

Erit Iste Pax!

Data: 1992-12-25 Data estesa: Venerdi 25 Dicembre 1992


GPII 1992 Insegnamenti - Ai Cardinali, alla Famiglia Pontificia, alla Curia e alla Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi - Città del Vaticano (Roma)