GPII 1993 Insegnamenti - Angelus - Città del Vaticano (Roma)


1. Vorrei ringraziare insieme a voi il Signore per il pellegrinaggio apostolico in Benin, Uganda e Sudan, che ho avuto la gioia di compiere nei giorni scorsi e di cui avro modo di parlare più diffusamente mercoledi prossimo nel corso dell'Udienza generale. E' stata davvero un'occasione di grazia, in cui lo Spirito di Dio ha fatto sentire la sua presenza consolante e rinnovatrice. Ho ancora negli occhi i volti dei tanti fratelli incontrati. Mi restano vivi nel ricordo i canti, le danze, i colori, ma soprattutto la cordialità, il profondo senso religioso di quelle popolazioni. Nel mondo cosiddetto "sviluppato" l'Africa è ancor poco conosciuta, o viene alla ribalta solo per i suoi problemi. Essa è invece un grande serbatoio di giovinezza. E' luogo di incontro tra grandi tradizioni culturali e spirituali; è terra di martiri. C'è in quel continente, pur così provato, un enorme potenziale di umanità e di valori da cui l'umanità intera può attingere nuova forza vitale. La Chiesa guarda con attenzione alle giovani Comunità ecclesiali africane e l'Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi, dedicata all'Africa, che si svolgerà a Roma nell'aprile del prossimo anno, contribuirà certamente a mettere in evidenza l'apporto che esse possono dare alla nuova evangelizzazione, in questi anni che ci avvicinano ormai al Giubileo del 2000.


2. Mentre penso all'Africa della speranza, non posso, tuttavia, dimenticare i numerosi e gravi problemi che l'affliggono. Durante il mio soggiorno ho visto occhi imploranti, e tra gli applausi e le grida di gioia, è arrivato al mio cuore anche il gemito dell'Africa, quella che muore sotto l'urto della fame, della malattia, della guerra, dell'intolleranza etnica e religiosa. Essa chiede al mondo una rinnovata solidarietà! Certo, l'Africa deve avere il coraggio di prendere nelle sue mani il proprio destino, e ne ha le capacità, ma non può essere lasciata sola.


3. Oggi ricorre la Festa liturgica dei Santi Cirillo e Metodio, compatroni d'Europa. La sollecitudine dei Santi Fratelli per la salvezza spirituale e il progresso sociale dei popoli Slavi ci porta col pensiero alle care popolazioni dei Balcani e costituisce per noi un pressante invito a non abbandonarle in una situazione che diventa ogni giorno più tragica e crudele. Ai lutti della guerra si aggiungono infatti quelli provocati dalla fame e dalla mancanza dei generi di prima necessità. Invito ancora una volta tutti i credenti ad invocare insieme con me il Signore, affinché conceda alle martoriate popolazioni della Bosnia Erzegovina il dono della pace e guidi le coscienze di coloro che hanno responsabilità di governo a compiere ogni sforzo per far cessare le violenze, così da permettere agli aiuti umanitari di giungere a destinazione.

Insieme ai Santi Fratelli Cirillo e Metodio, che hanno amato di un amore speciale le nazioni Slave, invochiamo la materna protezione della Vergine Maria, affinché converta i cuori ad atteggiamenti di autentica fraternità.

Maria, Madre di misericordia, prega per noi!

Data: 1993-02-14 Data estesa: Domenica 14 Febbraio 1993

Discorso ai Vescovi del paese africano, in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Formare laici responsabili e catechisti preparati per la missione evangelizzatrice della Chiesa nel Gabon

Cari fratelli nell'Episcopato,


1. Al ritorno dal mio decimo viaggio nel vostro continente, è con gioia che vi ricevo a Roma e che ritrovo in vostra compagnia l'atmosfera dell'Africa. Siate i benvenuti in questa casa in cui vi riceve un Pastore che desidera essere vicino alle affascinanti popolazioni africane, vicino a voi e alle vostre comunità ecclesiali e che porta nel cuore e nella preghiera la sollecitudine di tutte le Chiese particolari, fra cui quelle del Gabon che siete venuti ad affidare all'intercessione dei Santi Apostoli, in occasione della tradizionale visita "ad limina"! Ringrazio vivamente Mons. Basile Mvè Engone, Vescovo di Oyem e Presidente della Conferenza Episcopale del Gabon, per essersi fatto cortesemente vostro portavoce.


2. Presto celebreremo la Cattedra di San Pietro, una festa che si radica nel culto reso dai cristiani ai loro padri nella fede, presso il sepolcro di Pietro in Vaticano e quello di Paolo sulla via per Ostia. Questa solennità ci ricorda la missione che Cristo ha affidato a Pietro di confermare la fede dei suoi fratelli, di fare l'unità dei cristiani, di presiedere alla carità e di portare tutti i battezzati a condividere lo stesso pane e a bere dallo stesso calice. La missione originaria di Pietro è rimasta nel corso dei secoli quella dei suoi successori sul Seggio Episcopale di Roma: il Papa, Successore di Pietro, è per il popolo cristiano il principio e il fondamento visibile della sua unità in una stessa fede e in una stessa comunione. Mi auguro che questo pellegrinaggio romano, compiuto sulle orme dei vostri Fratelli membri del Collegio Episcopale, vi porti luce e forza, pace e conforto, cosicché ritorniate in Gabon colmi di nuova sollecitudine per il vostro ministero quotidiano.


3. Alle soglie del terzo millennio, dinanzi a drammi e speranze, le Diocesi dell'Africa uniscono le loro ricerche e sommano i loro sforzi per far si che il Vangelo sia accolto sempre meglio e vissuto più profondamente in tutti i luoghi e in tutti gli ambienti. Questo è, infatti, lo scopo della prossima Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi: "La Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice in vista del Duemila". L'Evangelizzazione vuole offrire "La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo" (2Co 13,13) a tutta l'umanità. Cristo è stato il primo evangelizzatore e la Chiesa continua la sua missione. L'evangelizzazione è quindi "la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare e insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella Santa Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione" (EN 14).


4. La Chiesa è una famiglia viva, formata da Vescovi, da sacerdoti, da religiosi, da religiose e da fedeli laici: ciascuno dei membri di questa famiglia, in ragione del proprio battesimo, è responsabile dell'annuncio del Vangelo. Certo, il ruolo principale spetta ai Vescovi, assistiti dai loro collaboratori immediati nel sacerdozio, i sacerdoti e i diaconi. I religiosi e le religiose si collocano nel dinamismo stesso dell'evangelizzazione incarnando il radicalismo delle Beatitudini. Tuttavia, il laicato deve essere incoraggiato ad assumere la propria responsabilità nella missione evangelizzatrice della Chiesa, e vi esorto, cari Fratelli, a proseguire i vostri sforzi per formare dei laici in Gabon capaci di testimoniare autenticamente la loro fede. Offrite loro i mezzi per acquisire un'autentica cultura religiosa attraverso l'insegnamento della Bibbia, la vita spirituale e la dottrina sociale della Chiesa. In particolare, esorto i fedeli laici a educare cristianamente i loro figli: infatti, l'infanzia e la gioventù sono per l'avvenire della Chiesa di notevole importanza. "I bambini ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di Dio" (CL 47). Sulla scia di altri Paesi africani, le scuole cattoliche del Gabon hanno contribuito a formare la classe dirigente del vostro Paese. Possano continuare a offrire un'educazione per la vita, una formazione della coscienza cristiana, e a proporre efficacemente i valori umani e spirituali in armonia con la fede!


5. "Tra i laici che diventano evangelizzatori si trovano in prima fila i catechisti... (essi sono) operatori specializzati, testimoni diretti, evangelizzatori insostituibili, che rappresentano la forza basilare delle comunità cristiane" (RMi 73). Essi costituiscono un importante aiuto per l'espansione della fede. Essi sono al centro della storia della Chiesa in Africa e del suo successo missionario. Possano ricevere sempre un'accurata istruzione dottrinale e pedagogica, e al tempo stesso ricevano mezzi adeguati allo sviluppo della loro vita spirituale! Preparateli in particolare al sostegno del "Catechismo della Chiesa cattolica", a divenire attivi animatori di comunità, che compiano con maestria la loro indispensabile funzione di insegnanti e di testimoni del Vangelo, guidati dai Pastori.


6. La questione delle vocazioni nel clero secolare e nel clero religioso resta per voi, lo so, di grande importanza. Come ho fatto notare ai Vescovi del Benin che ho incontrato recentemente, "la Chiesa si augura di avere sacerdoti in gran numero, ma non a qualsiasi costo, perché soltanto sacerdoti secondo il cuore di Cristo possono rispondere alle immense necessità della messe" (Discorso ai membri della Conferenza Episcopale del Benin, n. 3). Continuate a rivolgere tutta la vostra attenzione al risveglio delle vocazioni e alla formazione dei candidati al sacerdozio. Grazie a gruppi di educatori qualificati, offrite loro solide basi dottrinali, spirituali e disciplinari. Dai seminari sia offerto ai futuri sacerdoti uno spirito di collaborazione sincero fra i membri del clero diocesano e religioso! Siano anche impartiti loro l'apprezzamento per la vita consacrata e il desiderio di promuoverla secondo il carisma proprio di ciascun istituto, poiché la presenza attiva delle religiose nei settori parrocchiali, educativi e ospedalieri è particolarmente preziosa per la diffusione della Buona Novella! Infine, secondo lo spirito dell'Esortazione apostolica Pastores dabo vobis, cercate di radicare la convinzione che "tutti i membri della Chiesa, nessuno escluso, hanno la grazia e la responsabilità della cura delle vocazioni" (PDV 41). Infatti, il problema delle vocazioni sacerdotali non deve essere delegato ad alcuni specialisti sui quali ci si appoggerebbe. E' un problema vitale che ogni cristiano che ama veramente la Chiesa deve portare nel proprio cuore. Cari Fratelli volevo soprattutto mostrarvi l'interesse che nutro per le vostre maggiori preoccupazioni, confermarvi nella vostra missione di Pastori, ridarvi speranza e fiducia: "E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?" (1Jn 5,5).

In segno di incoraggiamento, vi imparto di tutto cuore la mia Benedizione apostolica che estendo a tutti i vostri collaboratori e alle vostre comunità diocesane.

Data: 1993-02-15 Data estesa: Lunedi 15 Febbraio 1993





Discorso ai Presuli della Conferenza Episcopale della Giunea Equatoriale in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il dinamismo della speranza e la forza dell'amore per una rinnovata presenza della Chiesa nella società

Cari fratelli nell'Episcopato,


1. Il Signore ci concede la grazia di questo incontro con il quale culmina la visita "ad Limina" di voi, Pastori della Chiesa in Guinea Equatoriale. Vi esprimo il mio più cordiale benvenuto e rendo grazie a Dio per averci permesso di condividere con spirito di fratellanza la sollecitudine pastorale per la vita, le speranze e le difficoltà nelle vostre rispettive diocesi. Ringrazio di cuore per le amabili parole che, a nome di tutti, mi ha rivolto Mons. Anacleto Sima Ngua Obono, Presidente della Conferenza Episcopale, che si è fatto anche portavoce dei vostri collaboratori diocesani e dei vostri fedeli.


2. Durante le udienze che ho avuto con ognuno di voi, non ho potuto fare a meno di evocare quel pellegrinaggio apostolico così memorabile, che nel febbraio del 1982 ho svolto nel vostro nobile Paese, e che mi ha permesso di avvicinarmi alle radici della vostra fede cristiana e della vostra storia. So che da quella indimenticabile giornata, e con l'aiuto di Dio sono sorte iniziative apostoliche, che voi avete saputo rendere concrete con piani pastorali; d'altra parte, in occasione del decimo anniversario della mia visita, avete voluto dare un ulteriore impulso all'appello che vi ho rivolto nell'omelia che ho pronunciato nella Piazza della Libertà, a Bata, invitando "ogni settore ecclesiale a una rinnovata fedeltà nell'impegno evangelizzatore" (Omelia 18 febbraio 1982). La sfida, rappresentata dai gravi problemi che affliggono il vostro Paese, esige da voi, cari Fratelli, un impegno totale per il costante annuncio del Vangelo, per il necessario rinnovamento delle vostre comunità, per il discernimento e la comprensione dell'uomo della Guinea Equatoriale, che cerca di soddisfare la sua fame di Dio e le sue legittime aspirazioni affinché la sua dignità sia rispettata e i suoi diritti siano tutelati. Cristo vi ha scelti e vi ha mandati affinché annunciate a tutti, con la vostra parola e con la vostra vita, il suo messaggio, la sua verità salvifica. Come educatori nella fede e "dottori autentici" (LG 25), la vostra preghiera e l'ascolto della Parola devono essere assidui e attenti per poter trasmettere quest'ultima a tutti e scoprire così in ogni avvenimento i disegni di Dio (Cfr. AA 4). La vostra predicazione deve essere sempre una tesimonianza del vostro incontro personale con Cristo e del vostro impegno totale per diffondere il Vangelo ed edificare il Regno di Dio in comunione ecclesiale.


3. Nell'esercizio del vostro ministero "per perpetuare l'opera di Cristo, pastore eterno" (CD 2) contate, in primo luogo, sulla collaborazione dei vostri presbiteri, che il Concilio Vaticano II chiama "saggi, collaboratori dell'ordine episcopale" (LG 28). Vivete, perciò, molto vicini a essi, con sincera amicizia, condividendo le loro gioie e le loro difficoltà, sostenendoli nelle loro necessità; in questo modo, e contando soprattutto sull'aiuto della grazia divina, potranno affrontare con maggiore fiducia e generosità le difficoltà quotidiane e potranno vivere più fedelmente gli impegni assunti nell'ordinazione sacerdotale, imitando Cristo obbediente, povero e casto.

Pensando alle vostre Chiese particolari, considero anche le diverse congregazioni e comunità religiose presenti in esse. Oltre alla sua insostituibile opera nell'evangelizzazione e nella catechesi, così come nella Pastorale liturgica e sacramentale, la Chiesa svolge importanti e numerose opere nel campo dell'insegnamento, dell'assistenza e promozione sociale, dell'attenzione verso i poveri e gli infermi, dirette da religiosi e religiose. Per questo, insieme a voi, voglio ringraziarli per il loro impegno per il rafforzamento spirituale delle vostre comunità e allo stesso tempo esortarli a continuare a contribuire generosamente, come anime consacrate, all'opera di evangelizzazione, affinché i semi piantati, i missionari generosi, che li hanno preceduti, diano ai nostri giorni abbondanti frutti per il bene degli amati figli della Guinea Equatoriale.


4. Preoccupazione principale del vostro ministero deve essere la pastorale vocazionale.

Negli ultimi anni avete avuto la gioia di veder crescere il numero dei vostri seminaristi. Essi costituiscono una speranza per i prossimi anni, durante i quali potrete incorporare al vostro clero un certo numero di sacerdoti nativi. Il Concilio Vaticano II sottolinea il fatto che i Pastori devono dedicare una particolare attenzione ai centri di formazione sacerdotale, dove i candidati, con l'adeguata preparazione intellettuale devono istaurare per mezzo della preghiera e dei sacramenti, un rapporto personale e intimo con Cristo, che risvegli in essi la consapevolezza di essere chiamati a continuare la sua opera nel mondo a favore dei fratelli. Il previsto Seminario Nazionale dovrà essere una fonte che garantisca la continuità dei servitori del Vangelo e una soluzione all'attuale problematica che riguarda il clero nativo. Come le direttive emanate dalla Sede Apostolica indicano ripetutamente, nei seminari e nelle case di formazione, si deve promuovere la pietà comune e personale, così come un serio impegno allo studio e all'osservazione della disciplina; al tempo stesso si dovrà favorire la convivenza fraterna e la progressiva iniziazione alla vita pastorale come base e garanzia di una solida preparazione per il sacerdozio o la vita religiosa. perciò, non dovete risparmiare sforzi per assumere questa responsabilità tanto importante e prioritaria per il presente e il futuro della Chiesa nel vostro Paese.


5. Nell'ambito dell'attività evangelizzatrice particolare attenzione deve essere rivolta alla famiglia in quanto essa, oltre a costituire la cellula primaria della società, è punto di incontro con Dio e luogo propizio affinché si perfezioni la grazia propria del sacramento del matrimonio. Voi non avete smesso di segnalare i mali che affliggono l'istituzione famigliare nel vostro Paese: unioni illecite, infedeltà, abbandono, violazione del diritto alla vita, impedimento della fecondità, deterioramento dei valori della famiglia. E' perciò necessario intensificare prontamente un'azione pastorale che, affrontando le diverse sfide che si presentano, porti le famiglie a compiere la missione di essere cenacolo di amore e luogo di santificazione per i suoi membri. In questo settore, i laici, donne e uomini cristiani, possono fare molto. Per questo, dovete promuovere la partecipazione e la corresponsabilità ecclesiale dei secolari. Anche se essi hanno mosso già alcuni passi su questo terreno, il cammino da percorrere è ancora lungo.

E' necessario, pertanto, proseguire verso una presenza nuova della Chiesa e dei cattolici nella società della Guinea Equatoriale. I fedeli laici devono essere fermento del Vangelo per l'animazione e la trasformazione delle realtà temporali attraverso il dinamismo della speranza e la forza dell'amore cristiano. Un particolare riconoscimento meritano i catechisti per l'importante ruolo che essi svolgono nelle loro comunità. Grato, nel nome del Signore, per il lavoro apostolico che essi svolgono, li esorto perché si impegnino decisamente a perpetuare la loro formazione per affrontare più adeguatamente le sfide della Nuova Evangelizzazione. Essi, con il loro generoso e costante lavoro, collaborano all'urgente compito di presentare al popolo fedele i contenuti essenziali della fede cattolica, in particolar modo ora che sette fondamentaliste e nuovi gruppi religiosi conducono, in alcune zone del vostro Paese, campagne di proselitismo, seminano confusione e indeboliscono la coerenza e l'unità del messaggio evangelico.


6. D'altra parte, la necessaria crescita nella fede e la testimonianza cristiana per la trasformazione delle realtà temporali, secondo i disegni di Dio, devono basarsi su una partecipazione più attiva del laico nella vita liturgica e sacramentale della Chiesa. Infatti, il Concilio Vaticano II ci ricorda che la liturgia è "il culmine verso cui tende l'azione della chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù. Infatti le fatiche apostoliche sono ordinate a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, partecipino al sacrificio e mangino la cena del Signore" (SC 10). I secolari, donne e uomini, devono sentirsi chiamati a contribuire generosamente al bene comune. Tutti devono promuovere la giustizia e la solidarietà, nella propria vita quotidiana, nel settore delle proprie concrete responsabilità sociali, nell'attività economica, nell'azione sindacale o politica, nell'attività educativa e culturale, nelle istituzioni al servizio della salute, nei progetti di promozione umana integrale, nei mezzi di comunicazione sociale. D'altra parte, conviene anche ricordare che - rispettando sempre la legittima autonomia della sfera politica - è, senza dubbio, missione dei Pastori del popolo di Dio illuminare, sulla base del Vangelo, l'azione dei fedeli laici nella vita pubblica (Cfr. GS 76).


7. Per farsi presenti nel mondo, come testimoni di Dio e messaggeri della Buona Novella della salvezza, i secolari cristiani hanno bisogno di essere saldi nella fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Per questo, voglio esortarvi ancora una volta a insistere nello sviluppo della catechesi. A esso contribuiranno l'adeguata diffusione e lo studio del "Catechismo della Chiesa Cattolica", recentemente pubblicato. Nella catechesi non deve mancare - in particolar modo per coloro che si sono impegnati in campo sociale e politico - un'adeguata conoscenza della dottrina sociale della Chiesa, che deve ispirare la condotta cristiana in una conversione continua ai valori evangelici. Esigenza specifica della vocazione del secolare cristiano deve essere un deciso impegno per la giustizia, per il rispetto dei diritti umani, per la moralità e l'onorabilità nella vita pubblica, denunciando tutto ciò che minaccia il bene comune e la pacifica convivenza. E il cristiano non può rimanere impassibile quando tanti suoi fratelli si dibattono in situazioni di miseria, o non sono rispettati i loro diritti di persone e di membri della società. Per questo, la pace, che è essenzialmente opera della giustizia, percorrerà il cammino della sua realizzazione in un rispetto maggiore per la dignità della persona e per le sue libertà, e per una più ampia partecipazione dei cittadini a tutto ciò che interessa il bene comune in uno Stato di diritto.


8. Il presente e il futuro di questa comunità ecclesiale richiedono che si rivolga una particolare attenzione alla gioventù. Continuate il vostro impegno pastorale verso i giovani, poiché da loro, da come si identificano con il Vangelo, dipenderà in gran parte il futuro della Chiesa nella Guinea Equatoriale. Proponete loro i nobili e alti ideali ai quali Cristo li chiama. Solo quando Cristo è conosciuto e amato come centro della propria vita è possibile pensare di mettere la propria esistenza totalmente al suo servizio, e proporre correttamente la vocazione alla vita sacerdotale e religiosa.

Al ritorno presso le vostre diocesi, vi prego di portare ai vostri sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi, catechisti e fedeli il saluto affettuoso del Papa, che pensa a tutti e prega per tutti con grande affetto e grande speranza. Affido all'intercessione della Santissima Vergine voi, le vostre intenzioni e i vostri propositi pastorali, affinché il nome di Cristo sia sempre presente nel cuore e sulle labbra di tutti gli abitanti della Guinea Equatoriale.

Con questi auguri vi accompagnani la mia preghiera e la mia Benedizione Apostolica.

Data: 1993-02-18 Data estesa: Giovedi 18 Febbraio 1993

Incontro con il Presidente della Repubblica di Slovenia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Un tempo di grandi attese e di speranze

Signor Presidente!


1. Le porgo il più cordiale benvenuto, e La ringrazio per le cortesi parole che ha voluto rivolgermi. L'odierna Sua visita mi è particolarmente gradita, non solo perché è la prima che un Capo di Stato della Slovenia libera e indipendente rende alla Sede Apostolica, ma anche perché esprime e corrobora gli antichi vincoli di fede che legano la maggioranza della popolazione slovena alla Chiesa cattolica. Il popolo sloveno, erede di una storia millenaria non poco travagliata, vive oggi un tempo di grandi attese e speranze. Per lunghi secoli, pur difendendo vigorosamente la propria identità culturale, esso è rimasto all'ombra di Stati più grandi; ora, invece, si impone all'attenzione della Comunità internazionale con una sua specifica fisionomia politica ed istituzionale. Senza dubbio, a tale storico appuntamento la Slovenia non è giunta impreparata. Se ha scelto la strada non facile della completa autonomia, affrontando notevoli problemi di ordine giuridico, sociale ed economico nell'ambito interno ed internazionale, lo ha fatto perché sa di poter investire, in questo nuovo cammino, le risorse di una matura capacità politica, insieme con la consapevolezza della sua cultura, della sua religiosità, della sua arte, delle sue tradizioni, insomma, di quel patrimonio di valori che plasmano una Nazione prima ancora degli assetti giuridici e politici.

Si tratta di una scelta di cui la Chiesa prende atto con rispettoso apprezzamento.

Le identità nazionali costituiscono di per sé una grande ricchezza anche - e forse ancor più - in un mondo come il nostro, chiamato ad una sempre più stretta collaborazione, nella maggiore vicinanza dei popoli.


2. La Slovenia inoltre, quale emerge dalla sua attuale Costituzione, sa che l'autonomia nazionale è un valore importante, ma non assoluto. Troppe volte, nella storia antica e recente, fino ai nostri giorni, il sentimento patriottico è degenerato in nazionalismi chiusi ed aggressivi, forieri di lacrime e di sangue.

Ecco, dunque, una sfida decisiva per il momento storico che l'umanità sta vivendo.

Al fine di non ripetere errori, che nel passato hanno tristemente pesato sulla storia europea e mondiale, occorre ribadire con forza che, prima ancora degli interessi nazionali, ci sono gli uomini con la loro inalienabile dignità e che, al di sopra delle tradizioni particolari dei singoli gruppi umani, si pone la comunità universale, da costruire nella giustizia, nella solidarietà, nella pace.

"Ogni gruppo deve tener conto dei bisogni e delle legittime aspirazioni degli altri gruppi, anzi del bene comune dell'intera famiglia umana" (GS 26). Dimenticando ciò o allontanandosi da questa visione della storia umana, si rischia di dar nuovamente vita a pericolosi scenari di guerra fratricida, come quelli che stanno seminando la morte nelle regioni balcaniche e in altre parti del mondo. Signor Presidente, vorrei esprimere il mio apprezzamento per le scelte che hanno caratterizzato la politica della Slovenia nel suo esordio come Stato indipendente. Essa ha imboccato decisamente la strada della pace e della collaborazione internazionale. La sua fisionomia politica è quella di uno Stato giuridico e sociale (Cfr. art. 2 della Costituzione). Il programma che essa si è dato è la costruzione di una società, dove siano rispettati i diritti umani e garantite le libertà fondamentali, dove a nessuno manchi il necessario per vivere con dignità, le minoranze etniche vengano tutelate e valorizzate, ed a ciascuno sia consentito di recare il proprio apporto allo sviluppo armonico della Nazione, in un democratico e pacifico confronto.


3. Tuttavia, come l'esperienza dimostra, anche l'attuazione di un progetto così ben compaginato non è al riparo da difficoltà ed ostacoli. Da tutti, pertanto, si esigono buona volontà e senso del bene comune; si esige, in particolare, l'armonioso convergere delle forze culturali e sociali del Paese, che devono sentirsi chiamate a dare, pur nel rispetto della propria specifica originalità, un fattivo contributo all'edificazione della nuova realtà statale. La Chiesa è pronta a fare la sua parte. La sua disponibilità si pone in linea con l'indirizzo tracciato trent'anni or sono dal Concilio Vaticano II, nella Costituzione Gaudium et spes, che così ne delinea il ruolo nella società: "Certo, la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d'ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è d'ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono compiti, luce e forza, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina" (GS 42). La Slovenia, che nella sua Costituzione ha sancito la separazione tra lo Stato e le Confessioni religiose (Cfr. art. 7), sa di poter contare sull'attiva collaborazione della Comunità cattolica, che non pretende privilegi di sorta né vuole invadere campi non di sua pertinenza. La Chiesa, quando si avvale nell'ambito degli ordinamenti vigenti di facoltà sancite mediante intese giuridiche, non ha altra mira che la libertà nell'annuncio del Vangelo. Lo spazio da essa richiesto non è quello del potere, ma del servizio, perché suo scopo è aiutare gli uomini a incontrare Dio. Essa addita alle famiglie il segreto dell'unità e ai giovani il senso profondo della vita; si rende vicina agli ammalati e va incontro ai poveri; intende educare alla pace e infondere un tale spirito in ogni espressione della vita della Nazione; vuole inculcare l'urgenza della solidarietà e il valore sacro di ogni vita umana. E' questo, Signor Presidente, il peculiare contributo che la Chiesa desidera offrire alla Nazione di cui Ella è il più alto esponente. Essa rifugge da ambizioni politiche, ma fa convergere al bene comune di tutti gli abitanti il suo impegno per l'evangelizzazione e l'utilizzo delle strutture pastorali che possiede. Tra queste, mi piace qui menzionare specialmente le istituzioni culturali ed educative, a cominciare dalla benemerita Facoltà Teologica di Ljubljana.


4. L'augurio che formulo, infine, ringraziandoLa per la Sua visita, è che la prospettiva del reciproco rispetto e della cordiale collaborazione si consolidi ulteriormente nei rapporti tra Chiesa e Stato sloveno, superando eventuali problemi mediante un sereno e costruttivo dialogo.

La prego, Signor Presidente, di farsi interprete presso il suo popolo di questi miei sentimenti. Possa la Slovenia, grazie anche al contributo morale della Comunità cristiana, superare le inevitabili difficoltà dell'odierna "rinascita", e raggiungere sempre più elevati traguardi di autentica democrazia e civiltà.

Invoco sull'intero popolo sloveno l'aiuto di Dio e la protezione della Vergine Santissima, assicurando la mia fervida preghiera, perché resti lontano dalla Slovenia il flagello della guerra. Mi unisco alla corale implorazione dei credenti per domandare al Signore che si approdi presto a una pace onorevole e giusta nell'intera regione Balcanica.

Accompagno tali sentimenti con la mia Benedizione.

Data: 1993-02-19 Data estesa: Venerdi 19 Febbraio 1993

Lettera all'Arcivescovo di Aix, nel centenario della pubblicazione di "L'Action" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Blondel: fedele interprete della filosofia e del cattolicesimo più autentico

A Mons. Bernard PANAFIEU Arcivescovo di Aix L'Arcidiocesi di Aix celebra quest'anno il centenario dell'Azione di Maurice Blondel che ha profondamente segnato il pensiero cattolico del ventesimo secolo. Dall'11 al 13 marzo, attraverso un Convegno internazionale, di cui ho potuto apprezzare il ricco programma, intendete rendere onore al pensatore e esplorare i molteplici aspetti della sua opera.

L'opera fornisce ai lettori, non soltanto un discorso filosofico, ma anche un alimento spirituale e intellettuale, capace di sostenere la loro vita di cristiani, poiché la condotta intellettuale fa parte dei "preamboli razionali per la fede" (M. Blondel, Il problema della mistica, n. 6); ma ciò non deve tuttavia portarci a disconoscere i limiti di tutti i pensieri e di tutte le scuole.

"Si o no, la vita umana ha un senso e l'uomo ha un destino?" (L'Azione, p. VII). Questa è la questione iniziale della tesi del 1893, questione che nessun uomo può evitare. Maurice Blondel risponde con una sottile analisi fenomenologica dell'azione umana, dalla sua origine fino al suo termine passando per le diverse circostanze nelle quali essa si perfeziona incessantemente; così egli ne mette in luce i molteplici aspetti. Manifestando la libertà umana, questo "scandalo della scienza" (p. 118), in cui l'uomo partecipa "a una potenza infinita" (p. 121) che prolunga l'opera creatrice di Dio, l'agire è l'espressione e la realizzazione della coscienza e della legge morale, "in actu perfectio" (409), e "noi moralizziamo la nostra natura attraverso la virtù operante del dovere" (p. 142).

Inoltre, per il "filosofo di Aix", l'azione è il potere di manifestare l'amore aprendo così l'anima a Dio. L'originalità di Blondel risiede nel fatto che egli comprende l'azione umana in ogni sua dimensione, individuale, sociale, morale e soprattutto religiosa e nel fatto che egli mostra l'intima connessione tra questi differenti aspetti. Ne segue che, nel suo agire, ogni uomo svela la potenza del suo essere e della sua vita interiore così come il legame profondo con il suo Creatore. Ecco perché, ci spiega il filosofo, l'anima religiosa trova, in ultima istanza, la sua perfezione nella "pratica letterale" e semplice della religione rivelata. Al di là delle meraviglie dialettiche e delle "coinvolgenti emozioni della coscienza" (p.409), esiste l'azione attraverso la quale Dio penetra in noi.

E il modello non è forse l'atto eucaristico che si apre verso l'infinito e che offre al fedele "l'infinito finito"? In un'epoca in cui il razionalismo e la crisi modernista snaturavano la rivelazione e minacciavano la fede della Chiesa, Maurice Blondel ricordava, in una visione positiva, che l'azione lascia intravedere l'agire divino, "penetrato nella nostra carne" (p. 114) e il legame tra il mistero della grazia divina e la coscienza o l'azione dell'uomo. Ma, al termine del suo procedimento filosofico, Blondel ci conduce alla soglia del mistero, poiché non esiste misura comune tra ciò che proviene dall'uomo, quest'azione alla quale egli attribuisce un potere così importante, e ciò che procede da Dio.

Quest'opera non cesserà di suscitare lo stupore dei filosofi e dei teologi; dei primi, perché Blondel sembra dimostrare troppo, dei secondi perché dimostrando troppo, Blondel non sembra osservare sufficientemente la distinzione dell'ordine naturale e dell'ordine soprannaturale. Ma, più gli studi di Blondel sono progrediti, più chiaramente si è mostrato il rigore di tutta l'opera.

L'Azione ci fa comprendere, dal punto di vista del credente che utilizza lo strumento filosofico, che esiste una meravigliosa armonia tra la natura e la grazia, tra la ragione e la fede. Come con Pascal, l'uomo, "in mezzo tra niente e tutto", è pazientemente condotto a riconoscere il premio divino della vita.

In un mondo dove crescevano il relativismo e lo scientismo, la tesi di Blondel era preziosa per la sua ricerca di unificazione dell'essere e per la sua preoccupazione per la pace intellettuale: essa è il discorso di un credente rivolto ai non credenti, il discorso di un filosofo su ciò che va oltre la filosofia; essa stimola la ricerca del vinculum, "vittoria" della coscienza attraverso la quale l'unità dell'agire umano viene raggiunta, attraverso la quale la consistenza di tutto ciò che esiste si rivela e attraverso la quale la connaturalità che crea un ponte tra il mistero di Dio e l'azione umana si esprime.

Così, ricordando l'opera, intendiamo innanzitutto rendere onore al suo autore, che nel suo pensiero e nella sua vita, ha saputo far coesistere la critica più rigorosa e la ricerca filosofica più coraggiosa con il cattolicesimo più autentico, attingendo dalle fonti della tradizione dogmatica, patristica e mistica. Questa doppia fedeltà ad alcune esigenze del pensiero filosofico moderno e al Magistero della Chiesa ha incontrato non poche incomprensioni e difficoltà, in un tempo in cui la Chiesa si trovava di fronte alla crisi modernista, di cui Blondel era stato tuttavia uno dei primi a discernere le poste in gioco e gli errori. Più volte incoraggiato dai miei predecessori, Leone XIII, Pio X, Pio XI e Pio XII, Blondel prosegui la sua opera spiegando instancabilmente e ostinatamente il suo pensiero senza rinnegarne l'ispirazione. E' questo coraggio di pensatore, unito a una fedeltà e a un amore indefettibili verso la Chiesa, che i filosofi e i teologi attuali che studiano l'opera di Blondel devono apprendere da questo grande maestro. La Chiesa, oggi come sempre, ha bisogno di filosofi che non temano di toccare le questioni decisive della vita umana, della vita morale, e della vita spirituale, per preparare l'adesione e la testimonianza della fede, "principio d'azione" (p. 411), per testimoniare la speranza e per aprirsi all'esercizio della carità. E la Chiesa ha bisogno di teologi che, basandosi su un solido procedimento filosofico, siano capaci di esprimere il dato rivelato, per illuminare i fedeli così come i non credenti.

Sperando che l'esempio di Maurice Blondel, credente e filosofo, che attinge dall'intimità con il Maestro il suo desiderio di Verità, ispiri i cristiani filosofi dei nostri giorni, domando a Cristo, Saggezza divina e riflesso della gloria del Padre, di non cessare mai di mandare il suo Spirito per illuminare l'intelligenza dei suoi fratelli e, con tutto il cuore, imparto a tutti i partecipanti al Convegno di Aix-en-Provence la mia Benedizione Apostolica.

Data: 1993-02-19 Data estesa: Venerdi 19 Febbraio 1993

Visita al Pontificio Seminario Maggiore al Laterano - Roma

Titolo: Dare se stesso: questo ci insegna Cristo questo ci insegna San Massimiliano Maria Kolbe

"Non c'è amore più grande di chi dà la vita per gli amici" (Cfr. Jn 15,13).

Sono le parole di Cristo pronunciate alla vigilia della sua Passione.

Queste parole sono state, il giorno dopo, confermate, sigillate, con questo dono della vita per gli amici. Chi sono gli amici? Sono tutti gli uomini. Poteva sembrare, nel momento in cui Cristo pronunciava queste parole, che fossero gli Apostoli. Si, certamente, ma sono anche tutti gli uomini, dall'inizio alla fine del mondo. Tutti sono amici di Cristo, Figlio di Dio fattosi uomo per questo: per dare la sua vita per gli amici, per noi tutti.

E', questa, una verità che non si misura con i criteri verbali, intellettuali, di una logica astratta. E' una verità che si misura con la realtà stessa: Cristo non solamente ha pronunciato queste parole; Cristo ha fatto quello a cui accennava in queste parole. Lo ha fatto una volta per sempre. E' una verità, una realtà del Vangelo, centrale, realtà chiave: qui sta tutto il Vangelo, tutta la Buona Novella, qui sta tutto il mistero divino-umano, il mistero della Redenzione. così è stato venti secoli fa. Quando il giorno 14 agosto 1941 e, prima ancora, si stava realizzando nel campo di concentramento di Oswiecim-Auschwitz la storia riprodotta artisticamente da voi stasera, la storia di Padre Massimiliano Maria Kolbe, forse i partecipi di quell'avvenimento, di quella storia, di quel processo - perché era poi un processo di morte, morire di fame nel corso di molti giorni, fino al giorno dell'Assunta - quando tutto questo si stava compiendo in questo inferno sulla terra, come era il campo di concentramento di Auschwitz e tanti altri simili, forse immediatamente non si pensava che veniva data nel nostro secolo una testimonianza alla stessa verità, alla stessa realtà redentrice, quella che ha come suo portatore principale e per tutti, universale, Gesù Cristo.

Un altro uomo, un discepolo di Cristo, un figlio di San Francesco, ha fatto in senso analogico ma molto autentico, lo stesso gesto che ha compiuto Cristo il giorno della Passione, realizzando le parole pronunciate da Cristo il giorno prima: "Non c'è amore più grande di chi dà la vita per gli amici". Un uomo, un sacerdote cattolico, come si è dichiarato davanti al comandante Fritsch, responsabile di questo campo di concentramento, un uomo, un prete cattolico ha dato la sua vita per un altro uomo, possiamo dire uno sconosciuto, perché non lo conosceva, probabilmente. Era un uomo che voleva essere salvato ed è stato salvato con questa sostituzione. Padre Kolbe si pose al suo posto, pronto a morire in quel bunker, per salvarlo dalla morte. Tutto si è fatto di nascosto, perché tutto era circondato dal clima del campo di concentramento. Sembrava dovesse restare sconosciuto, invece ne è stata data una testimonianza, e ha trovato voce: la testimonianza ha trovato subito accoglienza presso i prigionieri, i compagni di prigionia di Padre Massimiliano.

Era una testimonianza puramente evangelica e nello stesso tempo profondamente umana, in questo posto, in questo campo, in questo ambiente dove l'uomo era sistematicamente disprezzato, calpestato. In questo posto, attraverso il gesto di Padre Massimiliano, si è scoperta la dignità dell'uomo, la sua grandezza. L'uomo non va distrutto, è capace di un amore più grande. così lo hanno vissuto, sperimentato i prigionieri di Auschwitz e così lo hanno poi ritrovato gli altri, molti, in diversi Paesi, non solamente nel mio Paese - io vivevo vicino a questo luogo; sono stato Vescovo di Cracovia ed Auschwitz si trova nella diocesi, ai confini della diocesi di Cracovia -, ma in diversi posti del mondo si è ritrovata la verità delle parole evangeliche e la realtà redentrice che queste parole hanno definito con la morte eroica, con la oblazione eroica di Padre Massimiliano Kolbe nel campo di concentramento.

Ho seguito la vostra realizzazione artistica di questo tema, Kolbe, con grande commozione, e non soltanto io, penso, ma tutti i presenti; ma soprattutto penso che questo è un tema molto adeguato all'ambiente in cui ci troviamo, perché queste parole di Cristo che lui stesso, Gesù, ha realizzato in modo unico come Redentore del mondo e di tutta la grande famiglia umana e di tutta la creazione, queste parole sono applicabili in modi diversi e non soltanto così come hanno trovato applicazione nella oblazione, nella donazione di Massimiliano Maria Kolbe.

Sono applicabili sempre, dovunque: dare la vita, perderla. Il Vangelo ama questa formula radicale, lo stile del Vangelo è radicale, ma questa formula può essere anche interpretata con gesti molto più umili, semplici, di vita quotidiana. Uomo, donna, tutti, ogni persona umana - dice il Vaticano II nella "Gaudium et spes" - non può pienamente realizzare sé stesso se non attraverso il dono di sé stesso.

Ma il dono di sé stesso in realtà si realizza attraverso diversi doni nella vita quotidiana: doni che si fanno della nostra personalità, della nostra intelligenza, della nostra volontà, della nostra attività, dei nostri studi, dei nostri ministeri, diversi doni che si offrono agli altri. Vivere con quell'orientamento verso gli altri: dare sé stesso. Dare sé stesso: questo ci insegna Cristo, questo ci insegna Massimiliano Kolbe. E questo insegnamento è molto attuale in questo ambiente che è il Seminario Romano, ma non solamente nel Seminario, dappertutto: voi che siete ospiti di questo Seminario questa sera, nella vostra vita troverete tante possibilità per attuare questa verità fondamentale, verità chiave del Vangelo. C'è ancora un altro tema che voi avete introdotto nella rappresentazione del tema "Kolbe", quello dell'Immacolata. Avete fatto molto bene, visto che siamo qui per celebrare anche la festa mariana del vostro Seminario: Maria, Madre della Fiducia. Maria, Madre di Cristo, ha diversi titoli, diverse invocazioni con cui la seguiamo, la invochiamo, la preghiamo.

Per Massimiliano, questo nome era "Immacolata", Immacolata Concezione.

Un nome dogmatico, una verità fondamentale della mariologia, ma lui personalmente si chiamava sempre molto volentieri "Cavaliere dell'Immacolata". Era qualcosa di simile alla tradizione cavalleresca del Medioevo. Era innamorato come un Cavaliere della sua Signora, della Signora del suo cuore. Ecco, era la Signora del suo cuore e si vede con la fine della sua vita che la Signora era forte nel suo cuore, perché seppe aiutarlo, seppe farlo eroico. Era esigente, perché la stessa Maria che stava sotto la croce di Cristo, nel momento decisivo della nostra Redenziome, fu esigente, fu forte, seppe infondere questa fortezza eroica nel cuore del suo Cavaliere, Massimiliano Maria Kolbe. E poi, essendo così, fu anche riconoscente perché lo ha preso da questa terra dopo il suo martirio, lo ha preso con sé il giorno 15 agosto, il giorno dell'Assunta e così lo ha introdotto nella gloria, nella sua gloria, rendendolo partecipe della gloria del suo divino Figlio Gesù che è la gloria di sua Madre, Maria.

Nella vostra presentazione di questa tematica vediamo anche un profondo accenno mariano vicino a quello che ispira la vostra vita come seminaristi del Seminario Romano, "Madre della Fiducia". Anche per Kolbe era "Madre della Fiducia", con una caratteristica profondamente eroica. Per noi tutti è "Madre della Fiducia", per voi tutti: per voi seminaristi, per voi ospiti, per voi artisti; per noi tutti, per i Vescovi, per il Vescovo di Roma.

Vi ringrazio e vi benedico.

Data: 1993-02-20 Data estesa: Sabato 20 Febbraio 1993

Visita pastorale: omelia durante la celebrazione eucaristica - Parrocchia di San Giuseppe Moscati (Roma)

Titolo: Solo una grande fioritura di santità può dare una risposta adeguata alla crisi del nostro tempo

Carissimi fratelli e sorelle!


GPII 1993 Insegnamenti - Angelus - Città del Vaticano (Roma)