GPII 1993 Insegnamenti - Omelia dedicata a San Giuseppe Protettore della Chiesa e Custode della Famiglia di Nazareth - Monterotondo


1. "Egli mi invocherà: Tu sei mio Padre" (Ps 88,27). E' assai ricca la parola di Dio che la liturgia ci propone nell'odierna Solennità di san Giuseppe. Essa ci presenta le parole del Vangelo di san Luca ma, al tempo stesso, attinge al grande tesoro dell'Antico Testamento, in particolare al secondo Libro di Samuele e al Libro dei Salmi. Tra l'Antica e la Nuova Alleanza esiste un intimo legame, che viene illustrato da san Paolo, in modo chiaro e profondo, nel brano della Lettera ai Romani, poc'anzi proclamata. Chi è colui che, mediante le parole del Salmo, grida: "Tu sei mio Padre"? E' Gesù Cristo, il Figlio del Dio Vivo. Prima, pero, che queste parole venissero pronunciate da Gesù di Nazareth, il Salmista le aveva espresse nel contesto dell'Alleanza conclusa da Jawhè con il suo popolo. Sono, pertanto, parole rivolte al Dio dell'Alleanza. Ecco, proprio indirizzandosi a Dio, che è la Roccia della salvezza dell'uomo, Gesù proclama: "Tu sei mio Padre"! Dice, usando l'espressione della massima confidenza di un figlio nei confronti del Padre: "Abbà", padre mio!


2. Abbà, padre mio! così Gesù chiama il Padre che è nei cieli, e rende possibile pure a noi di rivolgerci in tal modo a Colui del quale Egli è il Figlio consustanziale ed eterno. Gesù ci autorizza ad esprimerci in questo modo, a pregare il Padre così. La liturgia odierna ci introduce in maniera significativa nella preghiera che il Figlio di Dio rivolge incessantemente al padre celeste.

Allo stesso tempo, dalla sua orante invocazione, che mette il luce la paternità di Dio, emerge, in qualche modo, un singolare disegno salvifico circa l'uomo chiamato Giuseppe, a cui il Padre eterno ha affidato una peculiare partecipazione alla propria paternità. "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.

Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20-21). Con queste parole, il Padre celeste chiama Giuseppe, discendente della stirpe di Davide, a partecipare, in modo speciale, alla sua eterna paternità. Il Figlio di Dio, Figlio di Maria, concepito mediante lo Spirito Santo, vivrà al fianco di Giuseppe. Sarà affidato alla sua paterna premura. Si rivolgerà a Giuseppe - un essere umano - come ad un "padre".


3. La Madre di Gesù, quand'egli era ancora dodicenne, non ebbe forse a dire nel tempio di Gerusalemme: "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo!" (Lc 2,48). Maria parla di Giuseppe ed usa l'espressione: "tuo padre". In quella circostanza, ben singolare fu la risposta data dal fanciullo Gesù ai suoi genitori: "perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49). Gesù rivela in tal modo la verità profonda della sua divina Figliolanza: la verità che concerne il Padre, il quale "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16). Gesù fanciullo risponde a Maria e a Giuseppe: "Io devo occuparmi delle cose del Padre mio". E benché a prima vista queste parole sembrino, in un certo senso, mettere in ombra la "paternità" di Giuseppe, in realtà la evidenziano anche maggiormente come paternità premurosa del singolare "discendente di Davide", Giuseppe di Nazareth.


4. Ecco, carissimi Fratelli e Sorelle, il cuore dell'odierna solennità liturgica: la paternità premurosa di san Giuseppe. Egli è il garante e il protettore che, insieme alla vocazione di padre putativo del Redentore, ha ricevuto dalla Provvidenza divina la missione di proteggerne la crescita in sapienza, età e grazia. Nelle Litanie a lui dedicate, noi l'invochiamo con titoli stupendi. Lo chiamiamo "Illustre figlio di Davide" - "Splendore dei patriarchi" - "Sposo della Madre di Dio" - "Custode purissimo della Vergine" - "Tu che hai nutrito il Figlio di Dio" - "Tu che hai difeso Cristo Gesù" - "Tu che hai guidato la Sacra Famiglia". Con una espressione, che ben sintetizza la verità biblica su di lui, lo invochiamo come "protettore della Santa Chiesa". Si tratta di un'invocazione profondamente radicata nella rivelazione della Nuova Alleanza. La Chiesa è, appunto, il Corpo di Cristo. Non era, allora, logico e necessario che colui, a cui il Padre Eterno ha affidato il Figlio suo, estendesse la sua protezione anche su quel Corpo di Cristo, che - secondo l'insegnamento dell'Apostolo Paolo - è la Chiesa?


5. Oggi la Comunità dei credenti, diffusa nel mondo intero, affida a san Giuseppe se stessa e affida al suo potente patrocinio le sue necessità nell'attuale difficile tappa della storia, mentre si avvicina la fine del secondo Millennio cristiano. Invoca il tuo aiuto o mirabile Custode del Signore: "Tu che hai difeso Cristo Gesù", Tu che sei "protettore della Santa Chiesa". Anche la Chiesa sabina quest'oggi, raccomanda a te se stessa e i suoi progetti pastorali. Carissimi Fratelli la vostra diocesi si prepara all'importante appuntamento spirituale dell'anno duemila con la Visita pastorale che il vostro Vescovo effettuerà nelle ottantadue parrocchie che compongono la vostra famiglia ecclesiale, in vista della celebrazione del Sinodo diocesano. Possa questa provvidenziale visita pastorale aprire in tutti voi la strada ad una autentica mentalità Sinodale. Voi avvertite come necessario una riscoperta del mistero della "Chiesa" intesa come comunione e missione ed il cuore del vostro progetto pastorale è proprio questo: tutti annunciare a tutti che Gesù Cristo è il Signore!


6. Con tali sentimenti sono lieto di salutare ciascuno di voi presenti a questa solenne celebrazione eucaristica e quanti sono a noi uniti spiritualmente. In particolare, saluto il Cardinale Camillo Ruini, mio Vicario Generale per la diocesi di Roma e presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Saluto con affetto e stima il pastore della vostra Comunità diocesana, Mons. Salvatore Boccaccio, unitamente ai sacerdoti, suoi primi collaboratori nel servizio pastorale ai fratelli! A voi, cari sacerdoti, vorrei rivolgere una parola di sentito apprezzamento per il vostro lavoro apostolico arduo e talora umanamente poco gratificante. Siate sempre solidamente fondati in Cristo; di lui sentitevi in ogni circostanza araldi e testimoni. Curate con passione evangelica la porzione del popolo cristiano a voi affidata e diffondete attorno a voi il messaggio della salvezza destinato ad ogni essere umano. Per poter seminare a piene mani la gioia e la speranza del Vangelo, si consolidi la comunione tra voi e con il vostro Vescovo si che la vostra comune azione pastorale diventi sempre più stretta ed incisiva. Un affettuoso saluto rivolgo al Nunzio Apostolico in Italia e ai Vescovi della Conferenza Episcopale Laziale. Saluto, poi, voi cari Religiosi e Religiose e quanti attivamente operate nei vari campi dell'apostolato a servizio del Vangelo.

Il Signore ricompensi ogni vostro sforzo e vi renda segni fulgidi della sua presenza nel mondo. Mi è gradito, inoltre, rivolgere un deferente pensiero alle Autorità civili e militari; ai rappresentanti della Amministrazione provinciale di Roma e della Giunta regionale del Lazio, come pure a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa mia visita dandomi modo in un solo giorno di conoscere varie ed interessanti località della Sabina. Con affetto particolare, mi rivolgo a voi, carissimi ammalati, testimoni privilegiati della Croce di Cristo, a voi, anziani, a voi, giovani, che vedo numerosi e so animati da coraggioso ed ardente entusiasmo missionario. Cari giovani, su di voi è puntata la speranza della Chiesa e quella della Comunità civile. Aprite il cuore a Cristo, non lasciatevi catturare dai richiami fallaci del consumismo e dell'egoismo. Siate apostoli di un amore senza frontiere; siate ricercatori di verità autentiche e liberatrici. Siate appassionati di Cristo.


7. Carissimi Fratelli e Sorelle, l'odierna mia visita, non può non interessare in modo speciale le famiglie e il lavoro - le vostre famiglie e il vostro lavoro: quello svolto nei campi, quello compiuto nelle fabbriche e nelle officine. Il quadro delle condizioni attuali della famiglia è purtroppo, anche in questa vostra regione, per molti aspetti allarmante. La crisi dell'istituto familiare, connessa con le crescenti problematiche del lavoro, si fa sentire e gravi sono le sue ripercussioni sull'intera società. Soprattutto una parte della vostra diocesi, quella che gravita su Roma, risente delle difficoltà della Capitale, sollecitata dalla "immigrazione selvaggia" a nuovi modelli di vita, a nuove esigenze, a un nuovo modo di concepire l'esistenza. Il lavoro di ambedue i genitori, spesso addirittura il doppio lavoro, i tempi morti per i trasferimenti su strade sovraffollate, sono il tarlo roditore dell'identità familiare e contribuiscono ad aumentare lo sbandamento dei giovani, sempre più confusi nelle loro scelte di fondo e delusi nelle loro più intime aspettative. San Giuseppe, custode della famiglia di Nazareth, guarda alle famiglie di questa Comunità diocesana! Aiutale a risolvere le tante e complesse problematiche che rendono il loro futuro incerto e poco sereno. Le persone hanno diritto ad un lavoro che assicuri ai nuclei familiari un tenore di vita dignitoso; i figli debbono poter godere dell'affetto pieno e indiviso dei genitori; le nuove coppie di sposi vanno poste in condizione di iniziare con serenità ed impegno la vita matrimoniale. San Giuseppe aiuta le famiglie a diventare soggetti di una rinnovata evangelizzazione, sostenuta ed accompagnata, come ha ricordato il vostro Vescovo all'inizio della celebrazione, dalla testimonianza della carità a partire dagli ultimi. La vostra comunità diocesana crescerà, così, nell'apertura missionaria e nella concreta solidarietà verso chi è nel bisogno. In tale contesto, vi ringrazio per la generosa offerta che mi avete consegnato a favore delle popolazioni africane maggiormente colpite dalla miseria, dalla violenza e dalla fame.


8. Come avveniva nella Famiglia di Nazareth, nella Famiglia di san Giuseppe, fate delle vostre famiglie il luogo privilegiato dell'incontro vivo con Cristo e i fratelli. Nelle Litanie di san Giuseppe preghiamo ancora così: "Decoro della vita domestica" - "Modello dei lavoratori". La famiglia ed il lavoro diventino, grazie alla sua protezione, qui e dappertutto, germoglio di vita eterna, espressione di quell'Alleanza che Dio ha concluso in Gesù Cristo con l'intera umanità.

"Tu sei mio padre"... Giuseppe fedelissimo, a te ci rivolgiamo. Non cessare di intercedere per noi; non cessare d'intercedere per l'intera famiglia umana!

Data: 1993-03-19 Data estesa: Venerdi 19 Marzo 1993

Ai Vescovi statunitensi dell'Illinois, dell'Indiana e del Wisconsin in visita "ad limina" - Roma

Titolo: L'individualismo religioso che rifiuta alcuni insegnamenti della Chiesa non è compatibile con l'essere "buoni cattolici"

Cari fratelli nell'Episcopato,


1. "Io piego le ginocchia davanti al Padre... che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori" (Ep 3,14-17). All'inizio di questa serie di visite ad Limina dei Vescovi degli Stati Uniti, questa è la mia preghiera per la Chiesa nella vostra grande ed amata nazione: che la fede dei Vescovi della Chiesa possa rinnovarsi e rafforzarsi cosicché tutti i fedeli possano vivere la loro vocazione cristiana con integrità e coraggio! Questa mattina accolgo voi, il primo gruppo di Vescovi provenienti dall'Illinois, dall'Indiana e dal Wisconsin. La vostra visita ad Limina vi porta a Roma per venerare le tombe dei gloriosi Martiri Pietro e Paolo, che fondarono questa "Chiesa grandissima e antichissima" (Sant'Ireneo, Adv. Haer. III.3.2), e per incontrare il Successore di Pietro in questa Sede Apostolica che "presiede la comunione universale della carità" (Cfr. Sant'Ignazio Ad Rom., prefazione). Vi saluto con cordiale affetto fraterno nel Signore. Nel corso dell'anno incontrero altri gruppi di Vescovi provenienti dagli Stati Uniti. Questi incontri hanno per noi tutti un significato profondo. Essi sono l'espressione della struttura collegiale della comunità gerarchica della Chiesa. In queste occasioni sperimentiamo profondamente la solidarietà spirituale di coloro che hanno "un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo", e sono orgogliosi "di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace" (Ep 4,5-3).

Mentre le nostre conversazioni private riguardano la situazione delle vostre singole diocesi, questi incontri di gruppo mi offrono l'opportunità di condividere con voi e con i vostri fratelli Vescovi negli Stati Uniti alcune opinioni su aspetti più generali del vostro ministero e della vita della Chiesa nel vostro Paese. Desidero fare questo alla luce del Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato recentemente, e che dovrebbe essere presto disponibile nella traduzione inglese. Questo dono della Divina Provvidenza - risultato di un desiderio espresso dai Vescovi in occasione del Sinodo Straordinario del 1985 - (Cfr. Documento finale, II. B. a. 4) - è l'espressione autorevole della ricchezza piena e della meravigliosa armonia della fede cattolica. Considero la sua pubblicazione uno dei frutti principali del Concilio Vaticano II e uno degli eventi più significativi del mio Pontificato. Esso è un preziosissimo strumento dell'autentico rinnovamento ecclesiale a cui tendeva il Concilio. Seguendo la struttura del Catechismo, desidero riflettere con i vari gruppi di Vescovi su alcuni aspetti del credere, pregare, celebrare e vivere "la fede cattolica che giunge a noi dagli Apostoli" (Preghiera Eucaristica, I).


2. Innanzitutto, compio queste riflessioni nel contesto di una solida e stabile professione di fede della Chiesa nel Nostro Signore Salvatore Gesù Cristo. Noi stessi, se vogliamo veramente compiere la nostra missione come Successori degli Apostoli, dobbiamo costantemente rinnovare la nostra fede. In quanto Vescovi noi, soprattutto, siamo "testimoni di Cristo al cospetto di tutti gli uomini" (CD 11), "araldi della fede che portano a Cristo nuovi discepoli" (LG 25). "Dispensando scrupolosamente la parola della verità" (Cfr. 2Tm 2,15), noi dobbiamo mantenere ciò che noi stessi abbiamo ricevuto (Cfr. 1Co 15,3). In quanto Vescovi noi siamo stati configurati a Cristo nella pienezza del sacerdozio per proclamare quella parola e insegnarla non come propria, ma in accordo con tutta la tradizione della Chiesa e in comunione con gli altri membri del Collegio Episcopale, sempre in unione con il suo Capo.

Nonostante le intromissioni della secolarizzazione, le persone ricercano un'autentica esperienza di Dio nella preghiera e in una vita spirituale interiore come antidoto agli elementi disumanizzanti del vivere moderno (Cfr. RMi 38). A volte persino i cattolici hanno perso o non hanno mai avuto la possibilità di sperimentare Cristo personalmente: non Cristo come mero "paradigma" o "valore", ma il Signore vivente: "la via, la verità e la vita" (Jn 14,6). Nel venire incontro a questo bisogno noi, come San Paolo, non dobbiamo mai allontanarci dal centro del messaggio "Cristo crocifisso... Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio" (1Co 1,23-24). Infatti, il mistero dell'incarnazione, della passione, della morte e della resurrezione, del Figlio Eterno: questo è l'incommensurabile "tesoro" (Cfr. 2Co 4,7) che viene predicato, celebrato e vissuto nella Chiesa Cattolica. Questa è la "grazia salvifica" che Dio offre attraverso il nostro ministero a coloro che Lo ricercano, a tutti senza distinzione. Gesù Cristo è la Buona Novella che il mondo attende, ed è nostro dovere diffondere chiaramente quel messaggio in Suo nome.


3. Inoltre, dal momento che le persone sono maggiormente sollecitate dalla testimonianza delle nostre vite che dal potere della nostra parola, esse hanno il diritto di vedere nei loro Pastori uomini la cui vita intera è incentrata su Gesù Cristo, "Figlio, unigenito, che è nel seno del Padre" (Jn 1,18). Esse si aspettano che anche noi, come gli Apostoli, i primi testimoni, trasmettiamo ciò che, per grazia di Dio, abbiamo "veduto con i nostri occhi... ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato" (1Jn 1,1): contemplata aliis tradere. Spetta soprattutto ai Vescovi edificare una comunità di credenti mantenendo la fede della Chiesa e spiegando il suo autorevole insegnamento e la sua disciplina in un modo positivo, in un modo adeguato alle difficoltà e ai problemi che preoccupano le persone e le affliggono (Cfr. CD 13). Poiché "la parola di Dio è viva e efficace" (He 4,12), la sua piena potenza vive nelle comunità in cui "l'obbedienza alla fede" (Rm 1,5) è praticata liberamente e con amore. La nostra professione di fede, sostenuta da ferventi preghiere, è quindi estremamente pertinente ai nostri sforzi di comunicare, con serenità, entusiasmo e coraggio la comunione di vita che condividiamo con il Padre e il Figlio nello Spirito Santo (Cfr. 1Jn 1,3). Ogni giorno prego per voi e per i vostri fratelli Vescovi affinché vi rinnoviate "nello spirito della vostra mente" e rivestiate "l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera" (Ep 4,23-24). Chiedo a voi lo stesso favore: continuate a pregare affinché io compia fedelmente il mio ministero come principale guardiano del deposito di fede, per il bene della Chiesa nel mondo.


4. Affrontando le sfide del vostro ministero episcopale vi confrontate con un clima culturale in cui molti sono sospettosi, se non ostili nei confronti di ogni richiesta di certezza nella conoscenza della verità. Un approccio positivista ha prodotto la tendenza ad escludere dalla sfera pubblica questioni circa la verità ultima e a confinare alla sfera privata il credo religioso e i giudizi su valori morali fondamentali. Di conseguenza, l'orientamento scelto dalla società è spesso il risultato del "consensus" prevalente, che è soggetto a varie forme di condizionamento da parte di coloro che hanno i mezzi per far udire la propria voce al di sopra di quella degli altri. Infine, persino la legge, che ha una potente influenza formativa sul modo di pensare delle persone, può venire separata dal suo fondamento morale. In questo caso essa è vista come uno strumento per regolare esternamente la società senza far riferimento all'ordine morale oggettivo. Ne consegue che voi affrontate particolari difficoltà nel predicare e nell'insegnare "la parola della verità, il vangelo della... salvezza" (Ep 1,13). La maggior parte dei cattolici americani comprende che l'accettazione della fede è in sublime armonia con la dignità umana in quanto essa è un libero atto di intelligenza che accoglie la parola di Dio, ricevuta attraverso la predicazione e l'insegnamento della Chiesa credendo in Dio che non può ingannare né essere ingannato (Cfr. Dei Filius, DS 3008 CEC 156). Allo stesso tempo le pressioni morali, psicologiche e culturali della vita negli Stati Uniti oggi costituiscono per alcuni nella Chiesa la tentazione di compromettere i suoi insegnamenti e la sua disciplina, a grave discapito delle anime. In un clima di individualismo religioso, alcuni si arrogano il diritto di decidere essi stessi, anche in importanti questioni di fede, quali sono gli insegnamenti da accettare e ignorano quelli che ritengono inaccettabili. La selettività nell'aderire all'autorevole insegnamento della Chiesa, come vi ho detto a Los Angeles nel 1987 in occasione della mia Visita Pastorale, è incompatibile con l'essere "un buon cattolico" e per sua stessa natura essa costituisce un ostacolo alla piena partecipazione alla vita ecclesiale (Cfr. Discorso ai Vescovi americani, 16 settembre 1987, n. 5). E' compito dei Vescovi esortare l'intera comunità cattolica ad accettare nella sua pienezza l'autorevole insegnamento della Chiesa sulla fede e sui valori morali. I Pastori e altri uomini di fede non dovrebbero scoraggiarsi, sebbene l'insegnamento della Chiesa su alcune questioni è andato irrimediabilmente perduto. Con l'aiuto di Cristo, che ha "ha vinto il mondo" (Jn 16,33), non è mai superfluo predicare, insegnare e operare contro l'errore, seguendo il consiglio di San Paolo di essere insistenti "in ogni occasione opportuna e non opportuna" (2Tm 4,2).


5. Come avete scritto nella vostra recente dichiarazione, Il Ministero dell'Insegnamento del Vescovo Diocesano: Una Riflessione Pastorale, i Vescovi rispondono al meglio "all'insegnamento insufficiente, imperfetto ed erroneo" per mezzo di una presentazione "positiva, efficace, coerente e sincera" della dottrina cattolica (prefazione). Infatti, soltanto quando l'insegnamento è chiaro, non ambiguo, e unitario, esso si eleva al di sopra del clamore delle opinioni contrastanti con la forza e la potenza della verità. Riconoscendo che la Chiesa presenta il suo insegnamento con vari gradi di autorità magisteriale (Cfr. ibid., II.2), è necessario riscoprire un senso di interezza e di logica interiore - la "sinfonia" della fede. Indubbiamente il più grande servizio che ora potete rendere alla Chiesa è quello di presentare di nuovo la pienezza e la bellezza della fede apostolica, e quindi di porre fine alla disarmonia e alla confusione causate da insegnamenti su questioni di fede, di morale e di comportamento che sono in contrasto con il Magistero della Chiesa. Grazie al vasto sistema di scuole cattoliche a tutti i livelli, ai programmi per bambini e adulti, alla stampa cattolica e ad altri mezzi a disposizione della Chiesa negli Stati Uniti, avete la possibilità di arricchire i membri della Chiesa con una conoscenza più profonda e sicura della fede, cosicché essi possano essere più preparati per essere testimoni di quella fede nella famiglia e nella comunità più ampia. Spero che il Nuovo Catechismo costituirà l'impulso per una nuova catechesi nazionale ai giovani e agli anziani, affinchéè i cattolici americani siano sempre più in grado di essere responsabili per la fede che è in loro (Cfr. 1P 3,15). In tal modo essi saranno in grado di offrire un contributo ancor più specifico e efficace per affrontare le gravi questioni sociali ed etiche che si pongono alla nazione.


6. Il Giubileo Millenario dell'anno 2000 esorta l'intera Chiesa a prepararsi a commemorare l'incarnazione redentrice del Figlio Eterno. Il Piano e la Strategia nazionali per l'Evangelizzazione Cattolica, recentemente approvati dalla vostra Conferenza, offrono una cornice per tale preparazione. Una conversione costante della mente e del cuore accompagnata da sempre maggiori preghiere, dalla celebrazione gioiosa e frequente dei Sacramenti e da una vita morale coerente con l'essere discepoli di Cristo, farà si che la comunità cattolica negli Stati Uniti sia pronta ad accogliere il Giubileo con fiducia totale in Gesù Cristo, il Signore della Storia, che è "lo stesso ieri, oggi e sempre" (He 13,8). Inoltre, al di là di tutte le strategie e di tutti gli obiettivi, di tutti i piani e le dichiarazioni, non dimentichiamo mai che lo Spirito Santo è la forza motrice di tutta la conversione e la crescita in santità; e ci sono molti segni positivi della sua presenza e della sua azione in ognuna delle vostre diocesi. Guardo con fiducia alla celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù a Denver, ad agosto, come a una magnifica occasione per proclamare di nuovo ai giovani il mistero salvifico di Cristo che ha detto: "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10). Vi ringrazio per tutto ciò che state facendo nelle vostre diocesi per dare la possibilità al maggior numero possibile di giovani di partecipare a questo importante evento ecclesiale, come segno e testimonianza della vitalità della Chiesa nel vostro Paese.


7. Cari fratelli Vescovi, durante l'Ultima Cena, Gesù invito i suoi discepoli ad essere suoi amici, dicendo loro che non erano più servitori (Cfr. Jn 15,13-14) e sigillando questa intimità con l'Eucaristia. Il Signore continua ad attrarre voi, Successori degli Apostoli, nella sua fiducia, per confermarvi nella Sua Verità affinché possiate proclamare la sua potenza nuova e liberatrice al Popolo di Dio affidato alla vostra cura pastorale. La più grande testimonianza degli Apostoli è il loro martirio, e questo è l'esempio che dobbiamo tenere a mente nel momento in cui cerchiamo di formare e di confermare l'amato Popolo di Dio nella fedeltà al Pastore Supremo, Gesù Cristo (1P 5,4).

Affido a Maria, Madre della Chiesa, le gioie e le preoccupazioni del vostro ministero e le necessità e le speranze della Chiesa negli Stati Uniti. Ad ognuno di voi e a tutti i sacerdoti, religiosi e laici delle vostre diocesi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

Data: 1993-03-20 Data estesa: Sabato 20 Marzo 1993

Agli ammalati e ai volontari piemontesi appartenenti all'OFTA, in occasione del 60° di fondazione - Cortile di San Damaso

Titolo: "L'esempio di Dina Belanger vi aiuti a scrutare il mistero del dolore e della malattia con la sapienza divina"




1. Sono lieto di accogliervi, carissimi Fratelli e Sorelle, venuti in pellegrinaggio a Roma da tante parti del Piemonte e di cuore rivolgo a ciascuno il mio affettuoso benvenuto. Saluto, in particolare, l'Arcivescovo di Vercelli, Mons.

Tarcisio Bertone, che ringrazio per le cortesi parole. Saluto i responsabili della vostra organizzazione, i volontari, e abbraccio con affetto ognuno di voi, carissimi ammalati ed i vostri familiari. Voi siete venuti presso le tombe degli Apostoli per rinnovare la vostra adesione a Cristo e al Successore di Pietro.

Siete venuti in pellegrinaggio per esprimere la vostra riconoscenza per l'istituzione della Giornata Mondiale del Malato, tesa a far comprendere e valutare sempre più e sempre meglio il significato della sofferenza per la salvezza del mondo. Ma c'è un'ulteriore ragione a rendere significativo e familiare l'odierno nostro appuntamento: voi celebrate quest'anno i sessant'anni di servizio nella Chiesa.


2. E' commovente in questo momento ripensare alla compianta figura del Fondatore dell'OFTAL, Monsignor Alessandro Rastelli, apostolo della sofferenza, che spese tutta la vita a servizio dei malati. Nel maggio 1912 egli si reco a Lourdes per la prima volta, ed ebbe là l'ispirazione di dar vita ad una concreta struttura atta a trasportare gli ammalati nella Cittadella di Maria. Già nel maggio dell'anno seguente partiva da Vercelli un gruppo di trenta ammalati, e nel 1932 veniva organizzato sotto la sua direzione il primo treno con tale destinazione. Nel marzo 1934 l'Associazione assumeva il suo nome "OFTAL", Opera Federativa Trasporto Ammalati a Lourdes, con tre obiettivi ben delineati: aiutare i malati ad uscire dalla situazione di depressione e di emarginazione, far loro comprendere il valore salvifico della sofferenza accettata ed offerta in unione con Cristo Redentore, coinvolgere volontari, giovani ed adulti, per servire i sofferenti aiutandoli a maturare nella fede in un'opera di delicata ed attenta evangelizzazione. Alla sua morte, l'11 ottobre 1960, Monsignor Rastelli lasciava un'Associazione ormai fiorente, animata e sorretta da grande amore per la Chiesa e per le anime.


3. L'OFTAL ha continuato in questi anni a camminare sulla strada tracciata dal suo Fondatore con entusiasmo e dedizione, ed oggi voi siete qui per ringraziare il Signore e per rinnovare la vostra volontà di proseguire tale prezioso apostolato, che fa della sofferenza un costante dono al Signore per la salvezza dell'umanità.

Desidero perciò, esprimere a voi, malati, ed a quanti a voi si dedicano - medici, infermieri, farmacisti, amici volontari, accompagnatori, Sacerdoti, Religiosi - la riconoscenza di tutta la Chiesa per l'esempio che offrite e per la carità di cui siete silenziosi servitori ed eloquenti testimoni. L'occasione è propizia per dirvi grazie anche per la cospicua offerta che la famiglia "oftalina" ha destinato alla costruzione della Chiesa di San Giuseppe ad Oswiecim nella mia patria, esempio che rimarrà a indelebile memoria della vostra solidarietà e sensibilità ecclesiale.


4. Carissimi amici dell'OFTAL! Questa sera avro la gioia di dichiarare "beata" una giovane canadese, Suor Maria di Santa Cecilia di Roma, al secolo Dina Bélanger, delle Religiose di "Gesù-Maria", vissuta tra il 1897 ed il 1929. Si tratta di una ragazza stroncata dalla tubercolosi ancora in giovane età, ma giunta ugualmente alle vette della santità. Favorita da numerosi doni soprannaturali, apostola della contemplazione e dell'intimità con la Santissima Trinità. Ella - per grazia di Dio - seppe amare soffrendo e seppe soffrire amando. Leggiamo nella sua Autobiografia: "Non ho più parole per dire quanto la mia sete di sofferenza è infinita... L'amore è l'unica ragione dei miei desideri; mi auguro che Gesù crocifisso si riproduca in me, per assomigliare a Lui il più perfettamente possibile e, grazie a Lui, applicare alle anime i suoi meriti infiniti" (Autobiographie, p. 330). Dina Bélanger dimostra con la sua vita che il dono sincero di noi stessi, fonte della nostra vera felicità, si può realizzare, in unione con Cristo Gesù, anche nella sofferenza. "Come sono felice! - scriveva -... anche per le altre anime... Io donero gioia" (ivi, p. 431).

L'esempio di questa fedele serva di Dio sia di sostegno anche per voi, cari ammalati, e vi aiuti a scoprire in ogni circostanza il senso più autentico della vostra esistenza. Vi aiuti a scrutare il mistero del dolore e della malattia con la sapienza divina. Nella Croce di Cristo, particolarmente richiamata dall'itinerario penitenziale della Quaresima che stiamo percorrendo, possiate intravvedere i segni della speranza e della vittoria di Dio sul male e sulla morte. E tutto ciò alimenti la vostra fede, rinvigorendo la volontà di fare della vostra esistenza un'offerta a Dio a lode della sua gloria e per la salvezza degli uomini.

Maria Santissima, Madre della Divina Grazia, che ben conosce il valore redentivo dell'umano soffrire, vi ispiri e vi aiuti a vivere con disposizioni interiori la vostra condizione di prova e talora di prolungata malattia. Pregate anche per me e per il ministero petrino a me affidato. Ve ne sono fin d'ora grato.

Vi conforti e vi accompagni sempre la mia Benedizione.

Data: 1993-03-20 Data estesa: Sabato 20 Marzo 1993



Omelia del Papa per la celebrazione di beato Duns Scoto e di beata Dina Belanger - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dina Belanger: apostola e missionaria secondo il cuore di Dio. Duns Scoto: cantore del Verbo incarnato e difensore dell'Immacolato Concepimento di Maria

"Vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio" (2Co 6,1).


1. Con queste parole, proclamate poc'anzi, l'apostolo Paolo ricordava ai fedeli di Corinto il grande dono da essi ricevuto con l'annuncio del Vangelo e, nello stesso tempo, li poneva di fronte alla grave loro responsabilità di persone libere in grado di accogliere o di opporre resistenza ad una simile grazia. Come nell'esperienza umana l'offerta gratuita di un dono comporta un implicito invito alla riconoscenza, così anche nel rapporto con Dio la libera iniziativa del Padre celeste, buono e generoso, pone l'uomo di fronte ad una scelta: riconoscere il dono ricevuto ed accoglierlo con gratitudine oppure rifiutarlo chiudendosi nel proprio mortificante egoismo. Proprio questo l'Apostolo intende sottolineare.


2. "In ogni cosa - egli aggiunge - ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza" (2Co 6,4). Carissimi Fratelli e Sorelle, quanto attuali appaiono queste parole per noi credenti giunti ormai alle soglie del terzo Millennio dell'era cristiana! La nostra epoca ha urgente bisogno di autentici testimoni del Vangelo; l'umanità attende, anche se spesso in modo inconsapevole, il dispiegarsi di una rinnovata e coraggiosa evangelizzazione. Anche per gli uomini della società contemporanea la grazia di Dio non deve rimanere vana. Occorre che essa porti abbondanti frutti di vita, di pace e di progresso spirituale. Il periodo quaresimale, nel quale già da alcune settimane ci troviamo, è veramente "il momento favorevole" (2Co 6,2), nel quale la Chiesa ci invita a fare esperienza del "deserto". La preghiera e la penitenza caratterizzano questo itinerario di conversione e di rinnovamento, nell'anelito mai totalmente appagato d'incontrare il Signore. Un incontro intimo e personale, libero dalle distrazioni terrene e dai compromessi egoistici. Un incontro che trasformi il ritmo frenetico della vita quotidiana in armoniosa risposta alla costante chiamata di Cristo attraverso gli eventi e le circostanze di ogni giorno. L'esortazione dell'Apostolo a non accogliere invano la grazia del Redentore si rinnova dunque questa sera per ogni fedele, affinché si renda capace, con l'aiuto del Redentore, di portare frutti di bene e si prepari degnamente alla celebrazione delle feste pasquali.


3. Ci accompagnano e ci sono di sprone in questo impegno di corrispondenza alla grazia di Dio due nostri fratelli nella fede, che hanno cercato di mettere a frutto i doni di natura e di grazia ricevuti dalla Provvidenza divina. Nel corso di questa suggestiva liturgia ha avuto, infatti, la gioia, di proclamare beata Dina Bélanger, Religiosa della Congregazione di Gesù-Maria, e di dichiarare il riconoscimento del Culto Liturgico di Giovanni Duns Scoto, Francescano. Lontane fra loro nel tempo, queste due "riuscite" personalità di credenti hanno dato testimonianza di una corrispondenza pronta e generosa alla grazia divina, attuando nella loro vita un intreccio di doti naturali e di doni celesti che suscita la nostra ammirazione. Nato in Scozia verso il 1265, Giovanni Duns Scoto fu detto "Beato" quasi all'indomani del suo pio transito, avvenuto a Colonia l'8 novembre 1308. In tale diocesi, come pure in quelle di Edimburgo e di Nola, oltre che nell'ambito dell'Ordine Serafico, gli fu reso nei secoli un culto pubblico che la Chiesa gli ha solennemente riconosciuto il 6 luglio 1991 (Cfr. AAS, 84 [1992], 396-399) e che oggi conferma. Alle Chiese particolari menzionate, che sono presenti questa sera nella Basilica Vaticana con i loro degnissimi Pastori, come pure a tutta la grande Famiglia Francescana, rivolgo il mio saluto, tutti invitando a benedire il nome del Signore la cui gloria risplende nella dottrina e nella santità di vita del Beato Giovanni, cantore del Verbo Incarnato e difensore dell'Immacolato Concepimento di Maria.


4. Nella nostra epoca, pur ricca di immense risorse umane, tecniche e scientifiche, ma nella quale molti hanno smarrito il senso della fede e conducono una vita lontana da Cristo e dal suo Vangelo (Cfr. RMi 33), il Beato Duns Scoto si presenta non solo con l'acutezza del suo ingegno e la straordinaria capacità di penetrazione nel mistero di Dio, ma anche con la forza persuasiva della sua santità di vita che lo rende, per la Chiesa e per l'intera umanità, Maestro di pensiero e di vita. La sua dottrina, dalla quale, come affermava il mio venerato Predecessore Paolo VI, "si potranno ricavare lucide armi per combattere e allontanare la nube nera dell'ateismo che offusca l'età nostra" (Epist. Apost. Alma Parens - AAS 58 [1966], 612), edifica vigorosamente la Chiesa, sostenendola nella sua urgente missione di nuova evangelizzazione dei popoli della terra. In particolare, per i Teologi, i Sacerdoti, i Pastori d'anime, i Religiosi, ed in modo speciale per i Francescani, il Beato Duns Scoto costituisce un esempio di fedeltà alla verità rivelata, di feconda azione sacerdotale, di serio dialogo nella ricerca dell'unità, egli che, come affermava Giovanni de Gerson, fu sempre mosso nella sua esistenza "non dalla contenziosa singolarità del vincere, ma dall'umiltà di trovare un accordo" (Lectiones duae 'Poenitemini', lect. alt., consid. 5: cit. in Epist. Apost. Alma Parens: AAS 58 [1966], 614). Possano il suo spirito e la sua memoria illuminare della luce stessa di Cristo il travaglio e le speranze della nostra società.


5. Questa luce splende anche sul viso di colei che la Chiesa ormai venererà come beata, Dina Bélanger, della Congregazione di Gesù-Maria. Al momento della preghiera della sera, volgiamo i nostri sguardi verso quest'anima ardente, giunta a un così alto grado d'intimità con Dio, che essa sentiva sin dal periodo del suo noviziato: "La mia fame di comunione cresceva sempre. Una giornata senza pane, non è forse una giornata senza sole, non sono forse ore la cui sera tarda a venire?" Infatti essa voleva soltanto vedere Gesù vivere in lei, affinché tutto il proprio essere si annullasse nel suo. Dina Bélanger si avvicina all'ammirevole ideale su cui San Paolo ci fa meditare, quando esclama: "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Ga 2,20). In una congregazione il cui scopo è quello di "far conoscere Gesù e Maria attraverso l'educazione cristiana", Suor Maria di Santa Cecilia di Roma conduce la propria vita e orienta la propria condotta in modo da lasciare agire Cristo in lei e in modo da non essere altro che uno strumento totalmente riposto nelle sue mani. Le sue sofferenze le permisero di conoscere l'identificazione che essa cercava. Passando attraverso la croce della malattia e della morte, essa dava la sua offerta a Colui che è stato e che continua a essere oggi il solo scopo della sua vita, la Luce che illumina ogni uomo venuto a questo mondo, la luce nel cuore delle tenebre e della notte, la voce che parla nella nostra anima.


6. L'intimità della presenza di Cristo in Dina Bélanger, la vita della Santa Trinità in lei si mostrano in modo particolare nel loro spirito di offerta al Cuore del Figlio di Dio. Gesù è, essa scrive, la "vita della mia vita", poiché essa si adopera sempre in modo da far battere il proprio cuore al ritmo del suo.

Essa sa di essere accompagnata in ogni istante, nell'eterno presente che fa dire a San Paolo: "Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!" (2Co 6,2). Interamente protesa nel desiderio di obbedire alla volontà divina, essa non vive altro che nella libertà concessa da Dio ai suoi figli, nello spirito del suo motto: "Gesù e Maria, la regola del mio amore, e il mio amore la regola della mia vita". Da questa fedeltà alle intenzioni del Cuore eucaristico di Gesù e del Cuore immacolato di Sua Madre, scaturiscono gli aspetti più semplici e più belli di carità nei confronti delle sue Sorelle. Come se avesse ricevuto la grazia di Santa Teresa del Bambino Gesù, che lascio questo mondo nello stesso anno in cui essa nacque, Dina Bélanger vuole "consumare il mondo intero nell'amore"; essa diviene apostolo e missionario secondo il cuore di Dio. Il suo messaggio ci è dato questa sera, Fratelli e Sorelle, con una purezza, una limpidezza meravigliose.

L'accoglienza di Gesù nella nostra vita, l'unione del suo cuore al nostro, l'amore della Beatissima Vergine, lo spirito fraterno nelle comunità, queste sono le grazie che possiamo chiedere al Signore per intercessione di Dina Bélanger, che ci lascia come ultimo motto: "Amare e lasciar fare Gesù e Maria".


7. "Vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio". Carissimi Fratelli e Sorelle, ritorniamo, quasi guidati per mani dai due nuovi Beati, all'invito che la liturgia odierna ci ripete con pressante insistenza. Siamo tutti chiamati alla santità; dobbiamo tutti costruire nella nostra vita quel dialogo di amore e di unione con Dio che porta alla vera felicità ed al pieno compimento delle più intime aspirazioni del cuore umano. Gli itinerari per seguire la chiamata evangelica possono essere diversi, secondo l'inesauribile ricchezza della grazia soprannaturale. Unica, pero, è la meta: riprodurre nella propria esistenza l'immagine stessa del Figlio di Dio. L'autentica spiritualità si fonda su questa elementare e decisiva condizione: tradurre in concreto l'annuncio evangelico, rispondendo senza tentennamenti all'azione salvifica del Signore.


8. "Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!". Adesso è il tempo della nostra conversione. Dina Bélanger, giovane seguace di quella Claudine Thévenet che domani avro la gioia di proclamare Santa, ci stimola con il suo esempio ad amare i disegni di Dio nella semplicità del vivere quotidiano.

Giovanni Duns Scoto ci ricorda che l'amore attivo verso i fratelli nasce dalla ricerca della verità e dalla sua contemplazione nel silenzio della preghiera e nella testimonianza senza ombre di una piena adesione alla volontà del Signore.

Carissimi fratelli e sorelle, come nelle loro esistenze non fu vana la grazia di Dio, così avvenga anche per noi. Lo chiediamo con fiducia al Signore per la loro stessa intercessione.

Beata Dina Bélanger, Beato Giovanni Duns Scoto, pregate per noi! 17/01/19102 Pag. 19072

Data: 1993-03-20 Data estesa: Sabato 20 Marzo 1993


GPII 1993 Insegnamenti - Omelia dedicata a San Giuseppe Protettore della Chiesa e Custode della Famiglia di Nazareth - Monterotondo