GPII 1993 Insegnamenti - Per l'unione del Consiglio della Cultura con il Consiglio per i non credenti - Città del Vaticano (Roma)

Per l'unione del Consiglio della Cultura con il Consiglio per i non credenti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lettera Apostolica

Già dagli inizi del mio pontificato, raccogliendo le ricche e stimolanti indicazioni offerte dal Concilio Vaticano II, mi sono preoccupato di sviluppare il dialogo della Chiesa col mondo contemporaneo. In particolare. ho cercato di promuovere l'incontro con i non credenti sul terreno privilegiato della cultura, fondamentale dimensione dello spirito che mette gli uomini in rapporto fra loro e li unisce in ciò che essi hanno di più proprio, la comune umanità.

A tale scopo. convinto che "la sintesi tra cultura e fede non è solo un'esigenza della cultura, ma anche della fede", ho creato nel 1982 il Pontificio Consiglio della Cultura con l'intento di rafforzare la presenza pastorale della Chiesa in questo specifico ambito vitale, nel quale è in gioco il destino del mondo in questo scorcio di millennio, e di promuovere, al tempo stesso, "il dialogo con le religioni non cristiane e con individui e gruppi che non si richiamano ad alcuna religione, nella ricerca congiunta di una comunicazione culturale con tutti gli uomini di buona volontà" (Lettera autografa al Cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato, del 20 maggio 1982).

In questi anni si è presa, inoltre, più viva coscienza dello stretto rapporto esistente tra il lavoro di codesto Pontificio Consiglio e l'attività a cui è chiamata la Pontificia Commissione per la Conservazione del Patrimonio Artistico e Storico della Chiesa, da me costituita il 28 giugno 1988, la quale, pur avendo avuto finora un breve periodo di attività, ha dimostrato quanto fosse necessaria la sua istituzione: la fede, infatti, tende per sua natura ad esprimersi in forme artistiche e in testimonianze storiche aventi un'intrinseca forza evangelizzatrice e valenza culturale, di fronte alle quali la Chiesa è chiamata a prestare la massima attenzione.

Si è anche avvertita l'opportunità di rendere più adeguata la presenza qualificata della Santa Sede nel campo della cultura, mediante un rinnovamento e collegamento delle Pontificie Accademie.

Alla luce delle menzionate premesse. ho deciso di riunire, in deroga alle disposizioni della Costituzione "Pastor Bonus", il Pontificio Consiglio della Cultura ed il Pontificio Consiglio per il Dialogo con i non credenti e di fonderli in un unico Organismo, che avrà il nome di Pontificio Consiglio della Cultura, con il quale d'ora innanzi la Pontificia Commissione per la Conservazione del Patrimonio Artistico e Storico manterrà contatti periodici.

Il nuovo Organismo sarà retto dalle seguenti norme: Art. 1 Il Consiglio promuove l'incontro tra il messaggio salvifico del Vangelo e le culture del nostro tempo, spesso segnate dalla non credenza e dall'indifferenza religiosa, affinché esse si aprano sempre più alla Fede cristiana, creatrice di cultura e fonte ispiratrice di scienze, lettere ed arti.

Art. 2 Il Consiglio manifesta la sollecitudine pastorale della Chiesa di fronte ai gravi fenomeni di frattura ira Vangelo e culture. Promuove quindi lo studio del problema della non credenza e dell'indifferenza religiosa presente in varie forme nei diversi ambienti culturali, indagandone le cause e le conseguenze per quanto riguarda la Fede cristiana, con l'intento di fornire sussidi adeguati all'azione pastorale della Chiesa per l'evangelizzazione delle culture e l'inculturazione del Vangelo.

Art. 3 Nell'intento di favorire le relazioni della Chiesa e della Santa Sede con il mondo della cultura, il Consiglio assume iniziative appropriate concernenti il dialogo tra la Fede e le culture, e il dialogo interculturale. Segue quelle che sono intraprese dalle varie Istituzioni della Chiesa e offre la sua collaborazione ai corrispettivi Organismi delle Conferenze Episcopali.

Art. 4 Il Consiglio stabilisce anche il dialogo con coloro che non credono in Dio o non professano alcuna religione, ogni volta che costoro siano aperti ad una sincera collaborazione. Organizza e partecipa a convegni di studio in questo campo per mezzo di persone esperte.

I. Il Pontificio Consiglio della Cultura avrà due sezioni:


1. Fede e Cultura.


2. Dialogo con le Culture.

La sezione "Fede e Cultura" continuerà l'attività che ha svolto fino al presente il Pontificio Consiglio per la Cultura.

La sezione "Dialogo con le Culture" continuerà l'attività finora svolta dal Pontificio Consiglio per i non credenti.

Il nuovo Organismo sarà presieduto da un Cardinale Presidente che sarà coadiuvato da un Segretario e da un Sottosegretario. In caso di necessità, vi potranno essere anche due Sottosegretari, uno per ciascuna Sezione.

II. Salvo i peculiari Statuti della Pontificia Accademia della Scienza e della erigenda Accademia delle Scienze Sociali, il Pontificio Consiglio della Cultura segue e coordina l'attività delle Pontificie Accademie.

III. La Pontificia Commissione per la conservazione del Patrimonio Artistico e Storico della Chiesa d'ora innanzi sarà denominata "Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa". Essa, conservando la competenza fissata dagli articoli 100-101-102-103 della mia Costituzione Apostolica "Pastor Bonus", non sarà più stabilita presso la Congregazione per il Clero, ma sarà autonoma, con un proprio Presidente, che farà parte dei Membri del Pontificio Consiglio della Cultura, con il quale manterrà contatti periodici, in modo d'assicurare una sintonia di finalità e una feconda reciproca collaborazione. Si consulterà, inoltre, con lo stesso Pontificio Consiglio della Cultura anche a riguardo delle Accademie che hanno attività concernenti i beni culturali della Chiesa.

Tutto quanto è stabilito con il presente Motu Proprio, ordino che abbia pieno e stabile valore, nonostante qualsiasi disposizione contraria, pur meritevole di speciale menzione.

Dato a Roma, presso la Basilica di San Pietro, il 25 marzo 1993, decimoquinto di Pontificato.

[Traduzione dal latino]

Data: 1993-03-25 Data estesa: Giovedi 25 Marzo 1993

Ai Presuli della Conferenza Episcopale della Costa d'Avorio, in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ogni uomo deve diventare protagonista del suo sviluppo. Ogni popolo è chiamato ad essere artefice del suo futuro

Caro Signor Cardinale, Cari fratelli nell'Episcopato,


1. E' con grande gioia che vi accolgo in questa casa e, attraverso di voi, accolgo tutta la Chiesa della Costa d'Avorio, una Chiesa che mi ha ricevuto affettuosamente per ben tre volte. Ringrazio vivamente S. E. il Cardinal Yago, Presidente della Conferenza Episcopale, per il gentile saluto che ni ha ricolto a vostro nome. Le mie parole vogliono essere un rendimento di grazie per i frutti che ha portato nella terra della Costa d'Avorio la buona semenza del Vangelo, nel momento in cui vi preparate a celebrare con gioia il primo centenario dell'evangelizzazione. Nell'ottobre 1895, infatti, i padri Hamard e Bonhomme, della Società delle Missioni africane di Lione, sono sabrcati sulle vostre coste, a Grand-Bassam, per annunciare il Vangelo di Cristo. Tre anni più tardi giungevano le religiose di Notre-Dame degli Apostoli. Nonostante difficoltà di ogni genere,i Padri e le Sorelle, che collaboravano con entusiasmo, hanno fatto conoscere il Signore e hanno organizzato le prime comunità cristiane. Oggi, la Costa d'Avorio conta tredici diocesi i cui Vescovi sono tutti della Costa d'Avorio. Essa ha anche fatto dono al Papa di un intimo collaboratore nella persona del caro Cardinale Arcivescovo d'Abidjan. Colgo l'occasione di questo incontro per salutare cordialmente i membri della Conferenza Episcopale che compiono la loro prima visita ad limina: Mons. Alexandre Kouassi, Vescovo di Bondokou, Mons. Barthelemy Djabla, Vescovo di San Pedro, così come quello nominato più recentemente, Mons. Joseph Teky, Vescovo di Man.

2. Sulla scia dei vostri Fratelli membri del collegio episcopale, venite, a vostra volta, in pellegrinaggio sulle tombe di San Pietro e di San Paolo per ravvivare la vostra comunione nella professione di fede su cui essi hanno fondato qui la Chiesa. La vostra iniziativa, compiuta in nome delle vostre comunità diocesane della Costa d'Avorio, testimonia allo stesso modo la vostra unione con il successore di Pietro e avrà come risultato fra gli altri, quello di rafforzare ancor più vincoli che vi uniscono in seno alla conferenza. La vostra stessa unione così rafforzata, l'annuncio della Buona novella per condurre gli uomini alla fede non potrà che divenire più efficace: "siano anch'essi in noi una cosa sola, perchè il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21). L'unità della Chiesa, infatti, non dipende solamente da una buona organizzazione o da una ferma disciplina. Essa è nella dinamica della comunione, poichè, secondo il Concilio Vaticano II, "la Chiesa universale si presenta come "un popolo che deriva la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"" (LG 4). La Chiesa è una anche per il suo fondatore, "Il Figlio incaricato infatti, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio; ristabilendo l'unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo" (GS 78). Infine, la Chiesa è una per la sua "anima": "Lo Spirito Santo che abita nei credenti e riempe e regge tutta la Chiesa, produce questa meravigliosa comunione dei fedeli e li unisce tutti così intimamente in Cristo, da essere il principio dell'unità della Chiesa" (UR 2). Cari Fratelli, mi auguro che la vostra permanenza a roma vi porti il conforto, il sostegno e il nuovo slancio che da essa vi aspettate: è la grazia che chiedo di tutto cuore per voi, attraverso l'intercessione dei santi Apostoli.


3. Da una lettura del documento che riassume i vostri resoconti quinquennali, emerge che una delle vostre maggiori peoccupazioni è la pastorale dei giovani. In Costa d'Avorio, i giovani rappresentano circa il settanta per cento della popolazione, e le difficoltà che incontrano, specialmente in campo scolastico e universitario, sono aumentate nel corso di questi ultimi anni, in seguito alla crisi economica. La disoccupazione è aumentata; i villaggi hanno poco lavoro da offrire, il che comporta l'esodo dalle campagne con le sue inevitabili conseguenze negative. So che la Chiesa è presente in questo mondo dei giovani, in particolare attraverso i suoi sacerdoti. Continuate ad essere portatori di speranza presso le nuove generazioni. Esortateli ad accogliere la Parola di Dioe a elaborare il oro progetto di vita sul fondamento incrollabile di Cristo "Io sono la vita, la verità e la vita" (Jn 14,6). aiutateli a sviluppare una vera coscienza personale e il senso del dovere. Rafforzate in loro i valori morali della rettitudine, della lealtà, del rispetto per gli altri e del dono di sè. Affiancateli nella lotta contro ciò che minaccia il loro equilibrio personale, come l'eccessiva libertà sessuale, l'aborto o la droga. Esortatlei a impegnarsi, individualmente o in gruppo, a migliorare la sorte di coloro che li circondano e a compiere dei gesti concreti di aiuto reciproco, seppur semplici, nella sicurezza che il Signore nella sua munificenza sa trasformare le iniziative più umili: il Vangelo non ci dice forse che Cristo ha nutrito delle folle intere cominciando con qualche pane d'orzo e un poco di pesce portati da un bambino (Cfr. Jn 6 Jn 5-13)?


4. Nell'approssimarsi del giubileo del 1995, vi proponente di invitare i fedeli alla conversione, al cambiamento interiore, al rinnovamento delle loro identità di figli di Dio. Inoltre, in questa prospettiva, un'altra preoccupazione importante per voi è la formazione di un laicato adulto e competente, in grado di assumersi pienamente le proprie responsabilità nella Chiesa. Sono a conoscenza del grande sforzo che compite affinchè la fede cristiana progredisca nel vostro paese, raggiunga i vostri compatrioti all'interno delle loro culture e li faccia impegnare, quando il oro cuore si è aperto al dono della fede, a portare una testimonianza conforme a ciò che essi credono. Mi congratulo con voi e vi incoraggio a proseguire questo sforzo con i sacerdoti, vostri collaboratori immediati; con i religiosi e le religiose, che adempiono con serietà ed efficacia numerose attività: animazione rurale, educazione sanitaria, inseganmento cattolico, catechesi; infine con i catechisti che hanno un ruolo fondamentale per la formazione cristiana dei giovani e degli adulti e ai quali conviene offrire delle fonti a cui attingere, quali il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato proprio per contribuire ad una migliore conoscenza della fede. Che i segni positivi di vita cristiana nel vostro paese, risultano della vostra opera apostolica, via diano fiducia nell'avvenire del cristianesimo nella Costa d'Avorio!


5. Ispirati dalla loro fede in Gesù Cristo, i fedeli laici, nell'esercizio dei loro compiti terreni, trasformando la società. Ecco perchè i Pastori devono incoraggiarli a essere come lievito nella pasta. Essi li aiuteranno a essere "profumo di Cristo" (2Co 2,15), a permeare sempre più vigorosamente con il suo spirito i campi della famiglia, della vita sociale e del lavoro. Essi li incoraggieranno nella ricerca di migliori condizioni di vita. Mostreranno loro che è così che preparano la venuta del Regno di Dio (Cfr. GS 39, §2).

E' necessario dunque sviluppare l'azione pastorale per le elite dando loro una buona conoscenza della dottrina sociale della Chiesa. Fate tutto ciò che è possibile per mettere al loro servizio sacerdoti competenti.


6. osservate nella vostra società una tendenza naturale ai raggruppamenti e alle associazioni: una migliore conoscenza reciproca e il reciproco aiuto contribuiscono a risolvere i problemi che si pongono a livello di villaggio o di lavoro. Incoraggiate un'efficace solidarietà. Ciò presuppone uno sforzo a favore di un ordine sociale più giusto nel quale le tensioni potranno essere riassorbite meglio e nel quale i conflitti troveranno più facilmente la loro soluzione negoziata. Fate conoscere questa convinzione cara alla Chiesa che ogni uomo deve diventare l'artefice del suo progresso, nello stesso modo in cui ogni popolo è l'artefice del suo destino. Raccomandate uno sviluppo che sia integrale, che associ gli aspetti materiali e spirituali, in conformità con il messaggio evangelico, che rilevi la dignità di ogni essere umano, creato da Dio a Sua immagine e chiamato a vivere in comunione con Lui e in fratellanza con i suoi simili. "La virtù della solidarietà oltrepassa l'ambito dei beni materiali diffondendo i beni spiritulai della fed, la Chiesa ha, per di più, favorito lo svipluppo del benessere temporale, al quale spesso ha aperto vie nuove. così nel corso dei secoli, si è realizzata la parola del Signore: "cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33), (CEC 1942).


7. E' con soddisfazione che avevo notato nel vostro documento riassuntivo che la formazione dei grandi seminaristi si compie con serietà. E' un campo di grande importanza perchè ne va dell'avvenire della Chiesa. così come esprime l'Instrumentum laboris in vista dell'Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, "la Chiesa in Africa è cosciente del fatto che se è necessaria una testimonianza efficace del Vangelo, bisogna che siano dei sacerdoti validi, che conducano un avita autenticamente cristiana, e che si dedichino alle necessità pastorali dei fedeli. Il sacerdote è chiamato inanzitutto a testimoniare una vita santa. La vita spirituale profonda è una condizione essenziale. Nella scelta dei candidati al sacerdozio la qualità non deve essere sacrificata per salvare il numero" (n. 27). Certamente, esiste il problema principale di costituire un valido gruppo di formatori per accompagnare i candidati al sacerdozio; voglio esortarvi a continuare ad affrontarlo con determinazione e ottimismo. Come raccomanda l'Esortazione Pastores dabo vobis (Cfr. PDV 60-62), mi auguro che il seminario sia veramente al cuore della Chiesa locale, una "comunità educativa in cammino" che formi i futuri sacerdoti attraverso l'insegnamento e l'azione dei responsabili, ma anche grazie alla qualità della vita comunitaria diretta ed animata spiritualmente da tuto il gruppo dei formatori. Più che un gruppo di studenti, la comunità del seminario è una comunità di discepoli di Cristo, unita nella celebrazione dell'Eucarestia, nell'ascolto della parola di Dio, nella carità fraterna così come nella condivisione di aspirazioni e di progetti apostolici.


8. Mentre è cominciata la fase di preparazione immediata all'Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi e si intensifica la preghiera di tutti per il successo delle importanti sessioni future, vorrei, rivolgermi insieme a voi a Nostra Signora e affidarle le vostre diocesi, come avevamo fatto a Yamoussoukro il 10 settembre 1990: "O Vergine Maria, conducici verso tuo Figlio, Lui che è la via, la verità e la vita! Concedi ai Pastori, ai consacrati, ai fedeli laici di far vivere (qui) la Chiesa di Cristo, con fede e generosità, resi forti dalla grazia del tuo Figlio... Permetti ai fedeli della Costa d'Avorio di vivere nella pace, di essere instancabilmente artefici della pace, in un'unione con i loro fratelli e le sorelle di questa terra e di tutto il continente!" (Omelia della Messa per la Dedicazione della Basilica Notre-Dame de la Pax, n.8).

Come segno di incoraggiamento, vi imparto dal profondo del cuore la mia Benedizione Apostolica che estendo volentieri ai vostri collaboratori e a tutti i vostri diocesani.

Data: 1993-03-27 Data estesa: Sabato 27 Marzo 1993

Discorso ai membri della Penitenzieria Apostolica - Sala Clementina, Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nell'esercizio del ministero della Penitenza parli il cuore sacerdotale infiammato dalla carità di Cristo




1. Mi è felice occasione di compiacimento la vostra presenza in questa, che è e dovete considerare casa paterna, Signor Cardinale Penitenziere Maggiore, Prelati ed Officiali della Penitenzieria, Padri Penitenzieri Ordinari e Straordinari delle Basiliche Patriarcali dell'Urbe, e voi, cari alunni, di recente ordinati o anelanti a ricevere presto l'Ordinazione. Il compiacimento deriva sia dalla vostra affettuosa unione col Successore di Pietro che, qui e ora, si fa quasi tangibile, sia dalla speciale vostra condizione di Penitenzieri, che dedicate il vostro impegno ministeriale in modo privilegiato al sacramento della Penitenza, ovvero di sacerdoti alle vostre primissime cure pastorali, o ancora di candidati al sacerdozio, i quali prima di assumere il particolare ufficio, che la Provvidenza, mediante la voce dei Superiori gerarchici, vi assegnerà nella Chiesa, con la frequenza al corso sul foro interno tenuto dalla Penitenzieria Apostolica, avete inteso approfondire la vostra preparazione in ordine al servizio delle anime nella remissione del peccato. Al compiacimento è unita la gratitudine al Signore, poiché Egli nel vostro impegno e nella vostra diligenza rende evidente che continua a suscitare per il suo Popolo ministri di perdono e di riconciliazione. L'Ordo Paenitentiae oggi vigente così esprime, nella formula dell'assoluzione, le grandi realtà nelle quali si attua il ritorno dell'uomo peccatore a Dio e si ripristina il suo ordine interiore: "Dio padre di misericordia... ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace". Orbene, il sacramento della Penitenza - ministero della Chiesa - produce il perdono di Dio, in quanto agisce per virtù divina, quali che siano il merito o il demerito personale e le qualità umane del ministro: così in proposito insegna (per tutti i sacramenti, non solo per quello della Penitenza) il Catechismo della Chiesa Cattolica: "I sacramenti conferiscono la grazia che significano. Sono efficaci, perché in essi agisce Cristo stesso: è Lui che battezza, è Lui che opera nei suoi sacramenti per comunicare la grazia che il sacramento significa. Il Padre esaudisce sempre la preghiera della Chiesa del suo Figlio" (CEC 1127); "E' questo il significato dell'affermazione della Chiesa: i sacramenti agiscono ex opere operato" (CEC 1128).

Indubbiamente la pace annunciata dalla formula sacramentale, pace soprannaturale e che, pertanto, "exsuperat omnem sensum" (Ph 4,7), deriva anch'essa nell'anima "ex opere operato"; ma, nei limiti in cui ciò è possibile, attesa la sua trascendenza soprannaturale, la percezione gratificante di questa pace da parte del soggetto del sacramento dipende anche in notevole misura dalla personale santità del sacerdote, ministro del sacramento della Penitenza, dalla sua sapienza coltivata nello studio, dalla sua sensibilità psicologica, dalla sua accogliente umanità: egli, infatti, incoraggia a perseverare nella grazia restituita, ed alimenta la fiducia nella possibilità della salvezza, stimola all'umile gratitudine verso il Signore, ed aiuta (salvo casi patologici o ai limiti della normalità) a ricostruire l'equilibrio della coscienza e la sanità del giudizio.


2. Nelle mie precedenti allocuzioni a questo uditorio ho fissato l'attenzione prevalentemente su aspetti dogmatici, morali e canonistici del sacramento della Penitenza; esse sono state raccolte in volume e accompagnate da un sintetico commento a cura della Penitenzieria Apostolica; mi conforta sapere che hanno avuto larga diffusione, e spero che giovino per l'auspicata ripresa di un uso frequente del sacramento della Penitenza. Considerando ora in concreto l'amministrazione del sacramento del perdono, amerei intrattenermi sui menzionati aspetti di santità, sensibilità psicologica e accogliente umanità del ministro. Il confessore deve impegnarsi al massimo affinché, accanto all'effetto essenziale, che l'"opus operatum" sempre produce, supposte le condizioni di validità, si producano anche a favore del penitente, nel mistero della Comunione dei Santi, i frutti della sua personale santità: per virtù di intercessione presso il Signore, per forza trascinante di esempio, per l'offerta che il sacerdote santo fa delle sue espiazioni a vantaggio del penitente. Si tratta di cose ben evidenti. Ma desidero insistere affinché la carità faccia si che il vostro sia mai "nudum ministerium" penitenziale, ma un dono paterno e fraterno accompagnato dalla vostra preghiera e dal vostro sacrificio per le anime, che il Signore mette sul vostro cammino: "Per ciò... completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24). così l'esercizio del ministero è santo ed è strumento di santificazione per lo stesso ministro.


3. Sul sacerdote confessore incombe il dovere grave di possedere dottrina morale e canonistica adeguata almeno ai "communiter contingentia", e cioè al comportamento umano nell'ordinario dei casi, tenuto particolarmente conto delle condizioni generali dell'"ethos" socialmente dominante. Dico almeno, ma aggiungo subito che tale preparazione dottrinale deve sempre accrescersi e consolidarsi, sulla base dei grandi principi dogmatici e morali, i quali consentono di risolvere cattolicamente anche le situazioni problematiche che si affacciano alle coscienze, nell'incessante evoluzione culturale, tecnica, economica, e così via, della storia umana. Anche qui, il Catechismo della Chiesa Cattolica è paradigmatico: esso autorevolmente propone il giudizio morale da formulare su realtà della vita umana, effettivamente presentatesi, o divenute statisticamente diffuse, in tempi recenti; si è detto a questo proposito che il Catechismo considererebbe nuovi precetti o nuovi peccati, mentre esso non fa che applicare a modalità dell'agire umano, ora divenute comuni, l'identica legge divina, naturale o rivelata. Impegno particolarmente importante e delicato, nel quale applicare la necessaria solidità della dottrina, è per il confessore quello di facilitare al penitente l'accusa dei peccati, contemperando con l'esigenza di una morale completezza, irrinunciabile per i peccati mortali, quanto alla specie, alle circostanze determinanti per la specie stessa, e al numero, quella di non rendere la confessione odiosa o penosa, specialmente a coloro, la cui religiosità è debole o di cui è incipiente il processo di conversione. A questo riguardo mai si raccomanderà abbastanza la delicatezza circa le materie oggetto del sesto precetto del Decalogo. Occorre inoltre considerare la possibilità che la limitatezza umana ponga il ministro della Penitenza, anche senza sua colpa, di fronte ad argomenti sui quali egli non ha un'approfondita preparazione. Vige allora l'aureo principio del dottore moralista Sant'Alfonso Maria de' Liguori: "Saltem prudenter dubitare". La preparazione dottrinale del confessore dovrà esser tale da consentirgli almeno di percepire la possibile esistenza di un problema. In tal caso la prudenza pastorale, unita all'umiltà, tenendo conto dell'urgenza o meno, dell'ansia o meno del penitente, e delle altre concrete circostanze, lo porterà a scegliere se inviare il penitente stesso ad un altro confessore o fissare un appuntamento per un nuovo incontro e nel frattempo prepararsi: a questo riguardo giova tener presente che sono disponibili i volumi dei "probati auctores", e che, salvo il rispetto assoluto del sigillo sacramentale, si può ricorrere a sacerdoti più dotti e sperimentati, in particolare si può ricorrere - torna opportuno dirlo qui - alla Penitenzieria Apostolica, che è sempre pronta ad offrire per casi concreti, e quindi individuali, il suo servizio di consulenza, munito di valore autoritativo.


4. Il sacramento della Penitenza non è e non deve diventare una tecnica psicoanalitica o psicoterapeutica. Tuttavia, una buona preparazione psicologica, ed in generale nelle scienze umane, consente certamente al ministro di meglio penetrare nel misterioso ambito della coscienza, con l'intento di distinguere - e spesso non è facile - l'atto veramente "umano", quindi moralmente responsabile, dall'atto "dell'uomo", talvolta condizionato da meccanismi psicologici - morbosi o indotti da abitudini inveterate - che tolgono la responsabilità o la diminuiscono, spesso senza che lo stesso soggetto agente abbia chiara nozione dei limiti discriminanti tra le due situazioni interiori. Si apre qui il capitolo della carità paziente e comprensiva che si deve avere verso gli scrupolosi. Al tempo stesso, occorre chiaramente affermare che troppo spesso certi atteggiamenti del pensiero moderno scusano indebitamente comportamenti, che a motivo del volontario inizio di un'abitudine, non sono o non sono totalmente scusabili. La finezza psicologica del confessore è preziosa per facilitare l'accusa a persone timide, soggette alla vergogna, impacciate nell'eloquio: questa finezza, unita alla carità, intuisce, anticipa, rasserena.


5. Nostro Signore Gesù Cristo ha trattato i peccatori in un modo, che rivela nella concretezza dei fatti ciò che san Paolo scrive a Tito: "Benignitas et humanitas apparuit Salvatoris nostri", si è resa visibile la benignità di Dio, nostro Salvatore (Tt 3,4). Basti meditare sul racconto evangelico della peccatrice convertita (Lc 7,36-50), sulla donna adultera nella toccante pagina del Vangelo di san Giovanni (8,3-11) e sulla stupenda parabola del figlio prodigo (Lc 15,11-32).

Il sacerdote, trattando con i peccatori nel sacramento della Penitenza, si ispiri a questo divino Modello, chiedendo al Signore la grazia di poter meritare il titolo che Dante Alighieri riserva a san Luca: "Scriba mansuetudinis Christi", uno scriba che incide il suo racconto non sulle pagine di un libro, ma sulle pagine viventi delle anime. così il sacerdote confessore non deve mai manifestare stupore, qualunque sia la gravità, l'impensabilità, per così dire, dei peccati accusati dal penitente, mai deve pronunciare parole che suonino di condanna alla persona anziché al peccato, mai deve inculcare terrore anziché timore, mai deve indagare su aspetti della vita del penitente, la cui conoscenza non sia necessaria per la valutazione dei suoi atti, mai deve usare termini che ledano anche solo la finezza del sentimento, anche se, propriamente parlando, non violano la giustizia e la carità; mai deve mostrarsi impaziente o geloso del suo tempo, mortificando il penitente con l'invito a far presto (salva, come è chiaro, l'ipotesi in cui l'accusa venga fatta con una inutile verbosità). Quanto all'atteggiamento esterno il confessore mostri un volto sereno ed eviti gesti, che possano significare meraviglia, riprovazione, ironia. Analogamente, voglio ricordare che non si deve far pesare sul penitente il proprio gusto, ma rispettare la sua sensibilità per quanto concerne la scelta della modalità della confessione, cioè se faccia a faccia o attraverso la grata del confessionale.


6. Infine, una riassuntiva raccomandazione: tanto maggiore sia la misericordia quanto maggiore è la miseria morale del penitente. E se a confessarsi è un Sacerdote, più umiliato per le sue colpe di un penitente laico, e forse più esposto allo scoraggiamento a motivo della sua stessa dignità profanata, pensiamo che senza una parola di rimprovero "Dominus respexit Petrum" (Lc 22,61) - quel Pietro che solo poche ore prima aveva ricevuto il sacerdozio e subito era caduto - e con quello sguardo amorevole in un istante lo sollevo dall'abisso.

Come vedete, in questo nostro colloquio, molto ha parlato la ragione illuminata dalla Fede; vorrei che, nell'esercizio del ministero della Penitenza, soprattutto parlasse il cuore infiammato dalla carità, il cuore sacerdotale, che tenta, pur nella infinita distanza, di rassomigliare a Gesù mite ed umile di cuore. Ve lo conceda la divina misericordia, di cui, carissimi fratelli, sia per voi auspice l'Apostolica Benedizione.

Data: 1993-03-27 Data estesa: Sabato 27 Marzo 1993

Visita pastorale alla parrocchia di San Crispino - Roma

Titolo: La vita oltre la morte: alla luce di questa verità il senso e il valore del nostro impegno di credenti




1. "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno" (Jn 11,25-26). Carissimi Fratelli e Sorelle! La liturgia di questa V domenica di Quaresima non poteva rivolgerci parole più consolanti. La paura della morte minaccia infatti, quotidianamente, il nostro insopprimibile desiderio di vita. Tenuto in scacco da tale ineluttabile prospettiva, l'uomo spesso fa di tutto per rimuoverla dai suoi pensieri. Ma a che serve? La morte rimane sempre in agguato. Solo Gesù può liberare l'essere umano da tale incubo: piangendo la morte dell'amico Lazzaro e richiamandolo alla vita per restituirlo all'affetto dei suoi, Egli si rivela il Signore della vita e il vero amico dell'uomo. Cristo, nel mistero della sua morte e risurrezione, ha ridotto all'impotenza "colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo", e ha liberato così "quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita" (He 2,14-15).


2. Io sono la risurrezione e la vita: credi tu questo? Questa domanda oggi il Signore la rivolge a ciascuno di noi. Nella professione di fede, la Chiesa ci fa ripetere: "Credo la risurrezione della carne e la vita eterna". Verità fondamentale che sembra talora estranea e incomprensibile alla cultura del nostro tempo, una cultura spesso chiusa al senso della Trascendenza, quasi totalmente centrata sull'esistenza mondana. Ma che cosa sarebbe l'uomo, se tutto si risolvesse nel breve ciclo della sua vita biologica? Il recente Catechismo della Chiesa Cattolica, frutto maturo del Concilio Vaticano II, afferma: "Noi fermamente crediamo e fermamente speriamo che, come Cristo è veramente risorto dai morti e vive per sempre, così pure i giusti, dopo la loro morte, vivranno per sempre con Cristo risorto, e che egli li risusciterà nell'ultimo giorno. Come la sua, anche la nostra risurrezione sarà opera della Santissima Trinità: 'Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi' (Rm 8,11)" (CEC 989). Quale consolante speranza, carissimi Fratelli e Sorelle, irrompe allora nella nostra vita! Questa luminosa verità di fede spalanca dinanzi a noi un meraviglioso orizzonte: la vita oltre la morte! Ed è alla luce di tale verità che assume senso e valore pieno il quotidiano nostro impegno di uomini e di credenti.


3. Gesù scoppio in pianto (Jn 11,35). Le lacrime di Cristo di fronte alla morte dell'amico Lazzaro manifestano certamente la sua sensibilissima umanità, ma rivelano pure, per così dire, il "pianto di Dio", il suo paterno intenerimento, il suo misericordioso giudizio dinanzi a quella più profonda e tragica morte dell'uomo che è il peccato, di cui il disfacimento fisico è conseguenza: La morte - afferma S. Paolo - è il salario del peccato (Cfr. Rm 6,23). Col Cristo la Chiesa piange e prega per ogni peccatore, perché sia liberato dalle bende che lo rendono prigioniero e possa uscire dal sepolcro per ritornare alla vita: perché abbia la vita. "Lazzaro, vieni fuori!" (Jn 11,43). E' per noi questo appello di Cristo e della Chiesa. E' invito ad abbandonare tutto ciò che frena ed appesantisce il nostro cammino verso la pienezza della grazia battesimale. Già morti al peccato, - ricorda l'Apostolo - come potremo noi ancora vivere nel peccato? "O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a Lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,3-4). Ecco, carissimi, il dono grande che il Signore ci rinnova con la sua Pasqua: una vita nuova, libera dalla schiavitù della carne e dal disordinato attaccamento ai beni effimeri del mondo. Una esistenza rinnovata e posta sotto il dominio dello Spirito, fonte di amore, di gioia e di pace.


4. Questa inesauribile e radicale liberazione tocca l'intimo del cuore, ma deve necessariamente manifestarsi anche all'esterno, nei comportamenti dei singoli credenti e della stessa comunità. E' come popolo, infatti, che siamo stati salvati. Lo ricorda opportunamente il Concilio Vaticano II: "A Dio piacque di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma costituendo di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse" (LG 9). Nella Chiesa, dunque, si realizza la sorprendente profezia contenuta nella prima Lettura dell'odierna liturgia: "Riconoscerete che io sono il Signore, quando apriro le vostre tombe e vi risuscitero dai vostri sepolcri, o popolo mio" (Ez 37,13). Nell'Antico Testamento, il viaggio degli esuli verso la terra promessa prefigurava l'itinerario della Comunità ecclesiale verso la salvezza. Questo impegno comunitario oggi è più che mai urgente: la Chiesa è, infatti, autentico segno di speranza nell'attuale società, segnata da una crisi morale e sociale di vaste dimensioni. Occorrono comunità cristiane vive, ricche di comunione e di tensione missionaria ed è necessario che tutto ciò rifluisca in ogni campo dell'umana attività, grazie alla testimonianza autentica dei discepoli di Cristo. Un compito certamente arduo, ma affascinante.


5. Non siamo soli, carissimi Fratelli e Sorelle, il divin Maestro ci assicura: "Faro entrare in voi il mio spirito e rivivrete!" (Ez 37,14). Vorrei che così consolante certezza spirituale sostenesse la fede dell'intera vostra Comunità parrocchiale, dedicata a S. Crispino, un francescano dei Frati Minori Cappuccini, vissuto nel XVIII secolo e da me canonizzato il 20 giugno del 1982. La sua caratteristica peculiare fu la gioia, che gli riempiva il cuore e traspariva dal suo volto. Siamo tutti invitati a vivere questa gioia, che nasce da uno spirito riconciliato con Dio e in pace con i fratelli. Il cristianesimo è novità di vita, e perciò gioia dello spirito pur fra sofferenze e prove. Ecco l'annuncio e la testimonianza che la vostra Parrocchia da circa dieci anni non cessa di rinnovare nella complessa situazione sociale, che caratterizza il vostro quartiere, dove grandi insediamenti popolari hanno aggregato famiglie provenienti da diverse regioni del Sud dell'Italia, alla ricerca del lavoro e di una casa. La popolazione è andata in questo decennio rapidamente crescendo ed oggi supera le 2300 famiglie.

Purtroppo, pero, la maggior parte dei residenti, per le quotidiane esigenze lavorative è costretta a vivere molte ore della giornata lontano da casa, e ciò rende non facile un costante e proficuo riferimento alla Comunità parrocchiale. La nuova costruzione della Chiesa e dell'edificio parrocchiale sta, tuttavia, favorendo l'allargarsi dei contatti fra i gruppi d'impegno apostolico e fra le famiglie della zona. E' sicuramente nella ricerca di un'autentica comunione che deve intensificarsi il vostro impegno pastorale e missionario. Sforzatevi, carissimi Fratelli e Sorelle, di diventare sempre di più, intorno alla mensa della Parola e dell'Eucaristia, una vera famiglia, la famiglia dei figli di Dio.


6. A costruire una comunità viva e solidale mira lodevolmente l'intera attività della Parrocchia, che si avvale della collaborazione di diverse realtà ecclesiali, quali la Comunità di S. Egidio, il gruppo Vincenziano e gli Scout facenti capo alla parrocchia di S. Chiara, le Comunità neocatecumenali, il gruppo "Comunità Maria", i giovani incaricati dell'animazione liturgica. Essa si inserisce, così, nel vostro progetto diocesano che il Sinodo, ormai vicino alla conclusione, sta mettendo in luce con sempre crescente chiarezza. Auguro di cuore che le sue indicazioni trovino pure nella vostra Comunità una pronta e operosa rispondenza.

Con tali sentimenti vi saluto tutti, carissimi Fratelli e Sorelle. Saluto il Cardinale Vicario, Camillo Ruini, il Vescovo del Settore, Mons. Enzo Dieci, il vostro parroco, don Vincenzo Lauretti, e i sacerdoti collaboratori. Saluto i Religiosi e le Religiose, come pure i laici attivamente impegnati al servizio dei fratelli. Un pensiero speciale non posso non riservare agli ammalati, ai bambini, agli anziani, a chi soffre per mancanza di lavoro e di casa, come pure ai giovani.

Ricordo con particolare affetto gli ospiti di Casa Luciana, assistiti con amore e dedizione dalle Suore di S. Vincenzo de' Paoli. A ciascuno rinnovo la mia esortazione a proseguire con fiducia e generosità nel cammino di comunione ecclesiale intrapreso e specialmente nell'impegno di solidarietà verso i più disagiati e sofferenti.


7. "Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo" (Jn 11,27). Questa professione di fede di Marta, sorella di Lazzaro, richiamato in vita da Gesù, è anche la nostra.

"Io sono la risurrezione e la vita", ci ripete ancor oggi il nostro Redentore. "Chi crede in me non morirà in eterno". La sua assicurazione colma l'attesa del nostro spirito, risponde all'aspirazione intima di ogni uomo.

Si, Signore, io credo in te! Credo nella tua parola e nel tuo amore.

La tua gloria è l'uomo vivente.

Amen!

Data: 1993-03-28 Data estesa: Domenica 28 Marzo 1993


GPII 1993 Insegnamenti - Per l'unione del Consiglio della Cultura con il Consiglio per i non credenti - Città del Vaticano (Roma)