GPII 1993 Insegnamenti - Al personale della Curia e del Vicariato di Roma - Città del Vaticano (Roma)


1. "Né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio" (Mt 16,17).

Il nome di Pietro è legato alla parola "pietra" ("Petrus-petra"). Cristo aveva dato questo nome a Simone già durante il primo incontro con lui, quando Andrea, suo fratello - erano ambedue figli di Giona - glielo aveva condotto (Cfr. Jn 1,42). Nei pressi di Cesarea di Filippo Gesù chiari questo nuovo nome pronunciando le parole sopra riportate.

In esse si trova racchiuso l'intero mistero di Pietro. Pietro è colui al quale il Padre ha voluto rivelare ed esprimere la verità sul proprio Figlio.

Soltanto il Padre conosce il Figlio, e soltanto il Figlio può rivelare la verità su di lui (come pure soltanto il Figlio conosce il Padre e soltanto il Figlio può rivelare la verità sulla paternità divina: Cfr. Mt 11,22).

Nei pressi di Cesarea di Filippo, Dio volle esprimere per mezzo di Simon Pietro questa verità, riguardo al Figlio e nello stesso tempo anche riguardo al Padre. Su questa verità è edificata la Chiesa. Di essa rende testimonianza lo Spirito Santo che il Padre manda nel nome del Figlio (Cfr. Jn 14,26). In virtù di essa rendono testimonianza anche Pietro e gli apostoli.

Ciò che aveva avuto il suo primo inizio nei pressi di Cesarea di Filippo assunse la forma di una piena testimonianza nel giorno di Pentecoste, quando Pietro parlo a nome dei Dodici (Cfr. Ac 2,14-36). In conseguenza della sua parola apostolica è emersa nella storia la Chiesa, come comunità del nuovo popolo di Dio nel quale sin dal primo giorno entrano i rappresentanti delle varie nazioni che sono sotto il cielo (Cfr. Ac 2,5).

Questa Chiesa è il nuovo Israele (Cfr. LG 9 AGD 5): il suo destino è di estendere i confini del regno al di fuori del popolo dell'antica alleanza. Il primo passo su questo cammino spetterà a Pietro, al quale lo Spirito Santo ordina di recarsi nella casa di Cornelio (Cfr. Ac 10,1-48). Nello stesso tempo, pero, Cristo stesso prepara l'uomo che - fra gli apostoli - doveva diventare uno "strumento eletto" (Cfr. Ac 9,15) dell'evangelizzazione "inter gentes": Paolo di Tarso.


2. "Né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio". Ciò che è opera di Dio nell'uomo, ciò che a sua volta diventa Ia parte dell'uomo, la sua missione fino all'effusione del sangue, è stato manifestato nella figura di Pietro in modo particolarmente chiaro. Forse nessuno tra i Dodici possiede una così precisa caratterizzazione come uomo quanto Simone figlio di Giona. Vediamo chiaramente che colui che è chiamato a divenire un particolare ministro "delle grandi opere di Dio" (Cfr. Ac 2,11), come uomo è debole e instabile. Accade anche che venga tentato sul terreno di questa sua debolezza umana. Satana vuole "vagliare come il grano" (Cfr. Lc 22,31) tutti coloro che sono stati chiamati da Cristo, specialmente nell'ora della passione e della croce: in modo particolare ciò riguarda Pietro. Forse che lo stesso Pietro, poco dopo aver udito a Cesarea di Filippo di dover essere la pietra della Chiesa (Cfr. Mt 16,18), non viene ammonito molto severamente? Cristo gli dice: Lungi da me, satana! Perché non sai distinguere ciò che è umano e ciò che è divino (Cfr. Mt 16,23).

Non sa distinguere! Poco prima, infatti, è stato detto di lui: Beato te... il Padre mio te l'ha rivelato (Cfr. Mt 16,17) e ha parlato per tuo tramite.

Egli ha pronunciato la verità sul Figlio: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Pero in seguito ha prevalso ciò che veniva "dalla carne e dal sangue", ciò che umanamente parlando sembrava essere perfino nobile. Non si nascondeva forse proprio questo nelle parole di Pietro: "Questo non ti accadrà mai, Signore" (Mt 16,22), quando Cristo annunciava la sua passione, la sua morte in croce? Le parole di Pietro non erano forse dettate "dall'amore umano"? Tuttavia questo amore non bastava. Anzi, andava in senso contrario: poteva diventare rigetto dell'Amore con il quale Dio aveva amato il mondo dando il Figlio suo (Cfr. Jn 3,16). Rigetto di quell'amore con il quale il Figlio amava il Padre dando se stesso per la salvezza del mondo (Cfr. Ep 5,2).

Pietro doveva maturare nella partecipazione a questo amore. Maturo quando, dopo la risurrezione, alla domanda di Cristo, rispose tre volte: "Signore, tu lo sai..." (Cfr. Jn 21,15-17). L'amore capace di confessare, il nuovo amore, quello a misura della vocazione apostolica a misura della missione pastorale, nacque in Pietro non "dalla carne e dal sangue", ma dalla preghiera redentrice di Cristo stesso: "Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32).


3. Nell'imminenza dell'annuale solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, deve essere consegnato e messo a disposizione della Chiesa che è in Roma il frutto del lavoro di sette anni del Sinodo pastorale. Occorre farlo alla presenza di quel Pietro che la divina Provvidenza - a motivo delle persecuzioni della Chiesa in Gerusalemme - guido dapprima ad Antiochia e poi a Roma. Qui egli ha collocato la sua realtà di "pietra", di fondamento apostolico della Chiesa: qui, nella capitale dell'Impero, al centro del mondo di allora. Umanamente parlando questo era un compito sproporzionato: la Roma dei Cesari e il pescatore di Galilea. Ora in quest'opera contano altre proporzioni.

Ecco, giungeva a Roma "Cefa", il testimone, uno dei Dodici, e nello stesso tempo "il primo" tra loro. Dava il suo contributo alla comunità romana - già in quel tempo "Comunità della Città e del Mondo" ("Urbis et Orbis") -, portava la sua particolare "storia della vita apostolica", la sua vocazione e la elezione.

Portava tutto ciò che in lui avevano operato il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, malgrado le debolezze umane, e in un certo senso quasi servendosi di esse.

Durante gli ultimi anni di servizio alla Chiesa in Roma insieme con Pietro c'era Paolo, "prigioniero di Cesare". La volontà di Cristo era che ambedue imprimessero il sigillo del martirio su questa Chiesa che perfino attraverso la sua caratteristica umana unisce in sé queste due dimensioni: "Urbis et Orbis".

Si è soliti chiamare il Vescovo di Roma, oltre che "Vicarius Christi", anche "Vicarius Petri". Bisogna che venga ora proclamato a nome di Pietro il documento finale del Sinodo solennemente concluso durante la celebrazione della veglia di Pentecoste. Occorre che questo documento porti il sigillo dei due apostoli - Pietro e Paolo - perché è piaciuto il Signore della Chiesa che tale sigillo venisse impresso dal loro comune martirio in Roma ai tempi di Nerone.


4. Il Sinodo della Chiesa che è in Roma possiede una particolare eloquenza sullo sfondo della consapevolezza risvegliata nelle "Chiese sorelle" dal Concilio. Ecco, la nostra Chiesa ha intrapreso durante il suo Sinodo un lavoro analogo a quello di tante altre Chiese locali, lavoro indirizzato, come in ogni altra diocesi, al rinnovamento della comunità cristiana locale. Ciò che il Concilio ha fatto per la comunità universale delle Chiese "sorelle", ciascuno dei sinodi diocesani - anche il nostro, romano - cerca di trasferirlo nella propria dimensione: si sforza cioè di attuare in questa dimensione un adeguato "aggiornamento". Lo fa insieme con le altre Chiese e in modo simile, nella solidarietà "fraterna" con tutte e con ciascuna di esse.

Si deve sottolineare questo fatto. La Chiesa manifesta l'unità universale del corpo di Cristo proprio mediante questa "fraterna" collaborazione di ciascuno e di tutti. La Chiesa che è in Roma possiede poi particolari ragioni per una tale collaborazione a favore del bene comune, nella dimensione "cattolica" e nella dimensione "ecumenica". Una particolare testimonianza di ciò si avrà nei giorni dei santi apostoli Pietro e Paolo con la presenza di tanti metropoliti che riceveranno il pallio; e, soprattutto, con la presenza, per noi tanto importante, della delegazione del Patriarcato di Costantinopoli.


5. Il documento finale del Sinodo romano è un "Libro". In questa forma esso si aggiunge a molti altri documenti riguardanti la Chiesa che è in Roma e, particolarmente, alla conclusione del Sinodo precedente, legato al pontificato del servo di Dio Giovanni XXIII, nell'anno 1960.

Come "Libro", questo documento deve essere letto, interpretato, commentato, attuato nella vita. Intraprendendo il lavoro di questa molteplice esegesi, non possiamo dimenticare che tra il I e il II Sinodo romano ha avuto luogo il Concilio Vaticano II. Il presente "Libro" riflette in se stesso ciò che tale Concilio ha elaborato per contribuire alla vita della Chiesa, sul finire del secondo millennio. Si tratta in questo caso non soltanto dei contenuti dottrinali, ma anche - e più ancora - di ciò che bisognerebbe chiamare il "procedimento conciliare", procedimento "determinato" dall'intera visione della Chiesa donataci dal Vaticano II. Nel Concilio si è manifestata la consapevolezza che la Chiesa come "cammino" e come "missio" è, nella sua totalità, il popolo messianico e che in questo popolo ogni battezzato prende parte al triplice ufficio ("munus") di Cristo, l'ufficio profetico, sacerdotale e regale. Nel Concilio si è manifestata la coscienza che la Chiesa partecipa con umiltà alla preghiera di Cristo per l'unità di tutti i discepoli, la coscienza ecumenica. Si è manifestata infine la consapevolezza che la Chiesa, pellegrina nel mondo, sta in esso compiendo la sua missione basandosi sui "cerchi del dialogo", come ha indicato il servo di Dio Paolo VI nell'enciclica "Ecclesiam Suam".

"Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre" (He 13,8) Consegnando il "Libro del Sinodo" nelle mani della Chiesa che è in Roma, desidero che risuonino nuovamente attraverso di esso le parole della confessione di Pietro fatta nei pressi di Cesarea di Filippo: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente", e che su questa confessione si edifichi la Chiesa contro cui le porte degli inferi non prevarranno (Cfr. Mt 16,18); la Chiesa, che ha "le chiavi del regno dei cieli" (Mt 16,19), in ogni tempo e in ogni millennio.


6. Affido al cardinale vicario il compito di guidare l'opera dell'attuazione del Sinodo, assicurandogli la mia costante vicinanza e sollecitudine di Pastore.

Saranno al suo fianco, in questo grande impegno, il vicegerente e i vescovi ausiliari, i sacerdoti e i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fratelli e le sorelle della Chiesa di Dio che è in Roma. Essi potranno contare sulla generosa collaborazione dei padri cardinali, degli altri membri della Curia e di quanti vivono a Roma per prestare il loro servizio al ministero universale del successore di Pietro.

Come nei sette anni del cammino del Sinodo, così ora, nel tempo della sua concreta realizzazione, la risorsa più preziosa a cui non ci stancheremo di fare ricorso è la preghiera: mi affido per questo in modo speciale alle Comunità di vita contemplativa, ma chiedo a ogni parrocchia, a ogni aggregazione ecclesiale, a ogni membro del popolo di Dio che è in Roma di perseverare nell'orazione insieme con Maria, la Madre del Signore.

Per sostenere e accompagnare l'opera di attuazione del Sinodo è poi opportuno dar vita a un'apposita Commissione postsinodale che, curando l'approfondimento degli indirizzi pastorali contenuti nel "Libro del Sinodo", promuova la convergenza intorno ad essi delle molteplici componenti della diocesi e programmi, in dialogo con ciascuna di queste, la loro graduale e ordinata realizzazione. La Commissione lavorerà alle dipendenze del cardinale vicario e in costante riferimento al Consiglio episcopale e sarà coordinata da mons. Cesare Nosiglia, che già ha assolto felicemente il compito di relatore generale del Sinodo. Si provvederà poi a nominare gli altri suoi membri.

Voglia il Signore, principio e fonte di ogni bene, concedere a questa diletta Chiesa di Roma la grazia di crescere, attraverso l'impegno di attuare il Sinodo, nella fedeltà a Cristo, il Figlio del Dio vivente, come pure nella comunione e nella concreta collaborazione, in vista della nuova evangelizzazione di questa Città e del mondo intero, alle soglie del terzo millennio cristiano.


7. Con tali auspici, accompagnati dall'assicurazione della mia costante preghiera, saluto cordialmente tutti voi qui presenti. In particolare, rivolgo il mio grato pensiero al card. vicario Camillo Ruini e ai vescovi ausiliari, al card. Ugo Poletti che ha guidato una parte dei lavori del Sinodo, ai membri sinodali e a quanti hanno attivamente collaborato allo svolgimento di quest'importante assemblea diocesana.

Saluto i capi dei Dicasteri e il Personale della Curia Romana, del vicariato di Roma, del Governatorato dello Stato Città del Vaticano, qui convenuti con i propri familiari. Vada il mio deferente ringraziamento alle rappresentanze degli Ordini e delle Congregazioni religiose, dei Movimenti e dei Gruppi ecclesiali, come pure a tutti i fedeli della diocesi, che hanno voluto con la loro presenza rendere l'odierno incontro solenne e familiare.


8. Pentecoste, veglia di preghiera e giorno della chiusura del Sinodo romano: ci sono singolari tratti di rassomiglianza con il Concilio Vaticano II. Tale Concilio è diventato come "un nuovo invio" degli apostoli, nella potenza dello Spirito Santo, alle soglie del terzo millennio. La Chiesa esce dal Cenacolo diventando sempre più se stessa per rinnovare, con la forza che le è data dallo Spirito, "la faccia della terra". La "Lumen Gentium" e la "Gaudium et Spes", sono come i due assi portanti del compito che, oggi, il nostro Sinodo riceve dal Concilio per questa Chiesa che è in Roma.

La vocazione dell'uomo assume, nelle indicazioni della costituzione pastorale, un significato centrale e fondamentale. Nello stesso tempo, questa vocazione si realizza mediante la molteplicità dei doni che servono per il bene di tutti. Per questo le suddette costituzioni del Concilio pongono in nuova evidenza come questa vocazione dell'uomo sia importante dal punto di vista della comunità matrimoniale e familiare, come sia importante dal punto di vista della vita sociale, economica e internazionale.

Il Concilio ricorda anche ciò che è importante dal punto di vista della comunità politica. La chiusura del Sinodo romano coincide con le tappe di rilevanti trasformazioni sociali, il cui contesto le rende particolarmente significative per la Chiesa di Roma, città che è, nello stesso tempo, capitale dell'intera comunità politica italiana. L'unità dell'Italia contemporanea ha un legame molto stretto proprio con Roma.

Per questa ragione un'attenta rilettura del messaggio conciliare e di quello sinodale sul tema della comunità politica può e deve aiutare in questo momento di ricerca e trasformazione. La sana critica si esprime in modo da non rompere con le esperienze del passato. Non c'è bisogno di cominciare da capo. E' necessario infatti un risanamento e un rinnovamento a favore dell'unità non soltanto dei cattolici, ma di tutti i cittadini. La ragione della comunità politica è sempre il bene comune come garanzia del bene di ciascuno nella società democratica.

Insieme con i miei confratelli nell'episcopato in Roma e anche in tutta Italia non cesso di raccomandare a Dio questo rilevante problema invocando l'intercessione della Madre di Dio e quella dei santi patroni che accompagnano tutti noi sulle vie del pellegrinaggio terreno.

"Sinodo" significa "unità delle vie". Supplichiamo Dio affinché l'impegno per simile unità sia fatto proprio da tutti coloro ai quali è cara l'Italia come comunità di cultura e di storia. Sia fatto proprio soprattutto da quanti, figli e figlie di questa Patria. sono, al tempo stesso, seguaci di Cristo e apostoli del suo Vangelo.

Data: 1993-06-26 Data estesa: Sabato 26 Giugno 1993

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: I cattolici sparsi nel mondo guardano a Roma

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Con la promulgazione del "Libro del Sinodo", ho avuto ieri la gioia di coronare il lungo cammino del Sinodo pastorale diocesano di Roma, iniziato sette anni fa.

Come tante altre diocesi del mondo, anche la Chiesa che è in Roma, a trent'anni dal suo primo Sinodo, ha voluto ridisegnare la sua vita e il suo impegno alla luce delle prospettive teologiche e pastorali offerte dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Ora si apre il cammino non meno impegnativo delle realizzazioni: le indicazioni emerse dalla riflessione sinodale devono diventare prassi e vita dell'intera Comunità ecclesiale.

La Diocesi di Roma non può dimenticare di avere un particolare dovere di esemplarità.

E' la Chiesa evangelizzata da Pietro e Paolo.

E' la Chiesa il cui Vescovo è il successore di Pietro, Pastore, in quanto tale, della Chiesa universale.

E' la Chiesa a cui spetta di "presiedere alla carità", come scriveva sant'Ignazio di Antiochia, venendo in questa Città a versare il sangue per Cristo (Lettera ai Romani, 1,1). I cattolici sparsi nel mondo guardano giustamente a Roma.

Fratelli e sorelle della Comunità cristiana di questa Città abbiate piena consapevolezza di tale vostro privilegio e siate sempre all'altezza della vostra peculiare missione, che domanda un amoroso e costante sforzo apostolico e missionario.


2. Ripercorrendo gli anni della preparazione e della celebrazione del Sinodo, viene spontaneo chiedersi: che cosa è stata questa Assemblea sinodale per ciascuno di noi? Senza dubbio, prima di ogni altra cosa, essa è stata un grande dono di Dio. E' Dio, infatti, che con il suo Spirito costantemente sollecita la Chiesa a rinnovarsi e la spinge a una sempre maggiore fedeltà.

Al tempo stesso, il Sinodo è stato un atto di amore della nostra Comunità ecclesiale per Cristo. Obbedendo alla voce dello Spirito, la Diocesi di Roma si è interrogata sulla sua fede e sulla sua testimonianza, per individuare, alla luce dei segni dei tempi, nuovi percorsi di impegno.

Nel raduno sinodale, inoltre, attraverso il coinvolgimento di Sacerdoti, Religiosi e Laici, delle Comunità parrocchiali, dei vari Gruppi ecclesiali, la Diocesi ha sperimentato con particolare intensità la realtà di comunione che caratterizza profondamente la Chiesa, "popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (S. Cipriano, De Orat. Dom. 23).

In tale rinnovata esperienza di fraternità, i cristiani di Roma hanno anche ravvivato la loro tensione missionaria, aprendosi ai problemi del territorio, e lanciando un ponte verso tutti gli uomini che vivono in questa Città. Dalla celebrazione del Sinodo è dunque lecito attendersi un nuovo impulso all'evangelizzazione e alla testimonianza della carità.


3. Benedica la Vergine Santa questo grande sforzo di rinnovamento. Ella era fra gli Apostoli quando, a Pentecoste, lo Spirito scese sulla Chiesa nascente.

Accompagni ora con la sua guida materna la Chiesa che vive in Roma, perché sulle orme di Pietro e Paolo, che l'hanno fecondata col loro sangue, divenga una comunità modello, sempre più ricca di eloquenti testimonianze di fede e di carità.

[Al termine della preghiera mariana il Santo Padre ha salutato con queste parole alcuni dei gruppi di fedeli presenti in Piazza San Pietro:] Rivolgo un cordiale saluto ai numerosi pellegrini presenti in piazza ed a quanti sono uniti alla nostra preghiera attraverso la radio e la televisione.

Dirigo un particolare ricordo al gruppo parrocchiale di San Mauro Torinese che in questi giorni sta effettuando un pellegrinaggio ai luoghi sacri della città di Roma.

A tutti auguro cordialmente di trascorrere una buona domenica e di ben prepararsi spiritualmente alla prossima festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.

Data: 1993-06-27 Data estesa: Domenica 27 Giugno 1993

Messa nella chiesa di Santa Susanna - Roma

Titolo: Le parole di Cristo si adempirono negli Apostoli

"Chi accoglie Cristo accoglie colui che lo ha mandato, il Padre" (Cfr. Mt 10,40).

Cari fratelli e sorelle,


1. Esprimiamo la gioia di accogliere Cristo. Rallegriamoci del fatto che dai tempi apostolici Roma, la capitale dell'antico Impero, ha accettato Cristo. Cantiamo la nostra gioia perché i nomi degli apostoli Pietro e Paolo sono indelebilmente legati a questa città. Essi vennero qui mandati dal Signore. Dopo la risurrezione, Cristo disse agli apostoli: "Come il Padre ha mandato me... ricevete lo Spirito Santo" (Jn 20,21-22). E così noi crediamo che fu lo Spirito Santo a dirigere i passi di Pietro, il pescatore di Galilea, e di Paolo, il discepolo di Tarso, verso questa Città di Roma. Altraverso il loro ministero apostolico e, infine, attraverso il loro martirio essi hanno confermato le parole del loro Signore e Maestro.

Cristo ha detto: "Chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me" (Mt 10,38). E qui a Roma Pietro prese la sua croce su cui offri la sua vita. Cristo ha detto anche: "Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la ritroverà" (Mt 10,39). E così Paolo - come Pietro - qui a Roma perse la sua vita per la salvezza di Cristo, "Sanguis martyrum semen christianorum" (Cfr. Tertulliano, "Apologeticus", 50): la Chiesa cresce saldamente sull'esempio dei martiri. così le parole di Cristo si adempirono negli apostoli: "Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato" (Mt 10,40). Tutto questo è successo a Roma.


2. Sono passati cinquecento anni da quando gli abitanti del vecchio mondo scoprirono il nuovo mondo. Scoprendo quel continente aprirono tutta una nuova area di missione e apostolato. L'evangelizzazione dell'America si diffuse gradualmente da una regione all'altra di quel grande continente, nel sud, nel nord. Il comando di Cristo di predicare il Vangelo ai confini del mondo è stato adempiuto.

L'eredità di Pietro e Paolo continuo a vivere nella Chiesa sul Nuovo Continente, e alla fine una parte di essa da li ritorno a Roma, alle tombe degli apostoli.

La comunità americana di Santa Susanna, che oggi ho la gioia di visitare, è, come è stata, un simbolo vivente dell'unicità della fede nella diversità dei discepoli di Cristo.

Desiderando di provvedere meglio alla cura pastorale per i residenti e i pellegrini americani a Roma, il 10 gennaio 1922, Papa Benedetto XV designo la chiesa di Santa Susanna come la Chiesa nazionale americana affidando questo apostolato ai Paulist Fathers. Saluto con attetto Padre Joseph Gallagher, Presidente dei Paulist Fathers, come pure il rettore, padre John Foley, e gli altri sacerdoti che attualmente servono la comunità. Essi stanno seguendo le orme dei sacerdoti che per più di settant'anni hanno fatto di questa chiesa una casa spirituale per coloro che sono lontani dal proprio paese. Per tanta gente Santa Susanna è stata un luogo di amicizia e solidarietà, una comunità credente nutrita dalla vita sacramentale della Chiesa, una vita che mostra la sua vitalità in abbondanti opere di fede e servizio.


3. Un particolare ringraziamento desidero anche rivolegere al Ministero per i beni culturali della Repubblica Italiana, qui rappresentato dal direttore generale, prof. Francesco Sisinni, per l'assistenza fornita durante il restauro di questa bella chiesa. Possano tutti coloro che hanno contribuito a tale opera essere ricompensati spiritualmente per la loro generosità (Cfr. 2Co 9,11)! Vorrei, altresi, manifestare il mio apprezzamento alle Monache cistercensi, la cui vita consacrata alla preghiera contemplativa e alla penitenza silenziosa assicura spirituale sostegno per l'autentica vita cristiana della comunità. Auspico che questa lieta circostanza porti ad apprezzare sempre più intensamente la profonda comunione che unisce fra loro i "battezzati in Cristo Gesù". A tutte rivolgo un incoraggiamento perché nei vostri rapporti con i residenti in Roma, i visitatori e i pellegrini di lingua inglese, continuiate a manifestare l'universalità e la cattolicità della nostra fede.


4. Il ministero dei Paulist Fathers è caratterizzato dalla loro triplice missione di evangelizzazione, riconciliazione ed ecumenismo. Questi tre compiti provvedono a una solida struttura per la vita e la missione cristiana della comunità di Santa Susanna. Il Sinodo romano recentemente conclusosi ha affidato a tutti i fedeli di questa "grandissima e antichissima Chiesa" (Cfr. Sant'Ireneo, "Adversus Haereses", III.3,3) la missione della nuova evangelizzazione. Il fatto che la maggior parte di voi hanno le loro origini in un paese diverso e in una cultura diversa non vi esclude dalla vita ecclesiale di questa Città. Piuttosto, la testimonianza del Vangelo e l'esempio dei veri dicsepoli non conoscono confini. Il compito di un cristiano è sempre portare la luce di Cristo e il potere della sua risurrezione (Cfr. Ph 3,10) al mondo assetato dell'acqua della Verità e della Vita divina.

Roma, come qualsiasi altra città, è un luogo dove la fede e l'indifferenza, la grazia e il peccato, la santità e la miseria umana esistono fianco a fianco. Nel cuore della metropoli moderna uomini e donne sono assetati di Dio, cercano di trovare il significato della vita, della sofferenza e della morte (Cfr. PDV 46). La comunità americana nella chiesa di Santa Susanna ha un suo proprio ruolo da ricoprire nel diffondere "la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza" (Ep 1,13). Il Vangelo è sempre nuovo, sempre pertinente, sempre provocativo, sempre liberante: "più tagliente di una spada a doppio taglio" (He 4,12). Il mondo intorno a voi, nelle vostre famiglie, nelle scuole, negli appartamenti e negli uffici, ha bisogno della testimonianza della vostra fedeltà di fronte alle prove, della vostra fede ferma e della carità ardente, della vostra solidarietà con coloro che sono nel bisogno. E' dal sacrificio eucaristico che, fortificati dal Pane di vita, come individui e come comunità, deriverete la forza necessaria per impegnarvi nella parola e nell'azione in questa nuova evangelizzazione.


5. La riconciliazione, in tutte le sue forme, è un elemento essenziale della vita cristiana, e costituisce un capitolo essenziale della nuova evangelizzazione.

Penso soprattutto alla riconciliazione di cattolici che per una ragione o un'altra non prendono piena parte nella vita della Chiesa. Sono consapevole che il senso della conmunità che voi avete creato qui a Santa Susanna ha aiutato molte persone a ritornare alla pratica della fede. Nella chiesa di Santa Susanna voi siete tutti ambasciatori per Cristo. Molte persone che vengono a Roma sono spinte dalla storia, dall'arte e dalla tradizione della Città per riconsiderare la direzione che ha preso la loro vita. A coloro che sono stati allontanati una comunità vivente come questa offre "la destra in segno di comunione" (Ga 2,9). Attraverso la vostra testimonianza è adempiuta la missione della Chiesa di riconciliare le persone con Dio, con se stesse e con il loro prossimo (Cfr. RP 8).


6. Anche l'impegno per l'ecumenismo è caratteristica della vostra comunità. Quando Papa Pio IX approvo i Paulist Fathers, egli affido loro le incomprensioni sul Cattolicesimo in America del Nord. Da allora essi hanno proseguito i loro sforzi per migliorare la comprensione reciproca tra i cristiani, e hanno incoraggiato progetti di dialogo e di mutua cooperazione con i membri di altre Chiese e Comunità ecclesiali. E' appropriato quindi che la comunità di Santa Susanna debba cooperare attivamente con le altre Chiese e Comunità ecclesiali di Roma in opere di carità e nel pregare insieme per l'unità dei cristiani.


7. "Chi accoglie un Apostolo accoglie Cristo" (Cfr. Mt 10,40). Gli Apostoli, e in particolare Pietro e Paolo, hanno trasmesso il Vangelo nella forma di una consapevolezza di Vita Nuova. Questa è la Vita Nuova che scaturisce dalla morte redentrice di Cristo: "noi crediamo che essendo morti con Cristo risorgeremo con lui: Cristo, come sappiamo, essendo risorto dalla morte non morrà mai più. La morte non ha più alcun potere su di lui... la sua vita ora è la vita con Dio; e in questo modo, anche noi dobbiamo considerarci morti al peccato ma vivi per Dio in Cristo Gesù" (Cfr. Rm 6,8-11).

Tutti voi, membri della comunità americana di Roma, siete contati, anche se solo per una volta, tra "gli amati di Dio in Roma" (Rm 1,7). Il primo scrittore cristiano Tertulliano ha descritto la Chiesa di Roma come "una chiesa felice, su cui gli Apostoli versarono tutta la loro dottrina insieme con il loro sangue: dove Pietro ebbe una passione simile al Signore; dove Paolo fu coronato della morte di Giovanni" (De Praescriptione, 31). Prego affinché la comunità di Santa Susanna continui a sforzarsi per assicurare che l'antica tradizione di solida fede, la costante speranza e la generosità illimitata segnino la vita della Chiesa nella Roma di oggi non meno che nel passato.

Affidiamo queste intenzioni a Maria, Madre del Redentore, affinché portino frutti in abbondanza (Cfr. Jn 15,16). A Lei raccomando voi e le vostre famiglie, e tutta la comunità americana di Roma. L'Onnipotente Dio benedica con armonia e pace la vostra Nazione. Amen.[Traduzione dall'inglese]

Data: 1993-06-27 Data estesa: Domenica 27 Giugno 1993

Messa per la solennità dei Santi Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede"




1. "Una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui" (Ac 12,5).

Una preghiera continua elevava la Chiesa per Pietro, che Erode aveva fatto imprigionare con l'intenzione di ucciderlo.

La solenne liturgia dei Santi Pietro e Paolo ripropone ogni anno questo passo degli Atti degli Apostoli, che parla delle prime persecuzioni subite dalla Chiesa, in Gerusalemme. La Provvidenza divina strappo Pietro dalle mani dei persecutori (Cfr. Ac 12,11), concedendogli il tempo necessario per compiere la missione che aveva ricevuto da Cristo.

Ciò che non accadde in Gerusalemme - doveva accadere anni dopo a Roma.

Secondo la tradizione il martirio, al tempo dell'imperatore Nerone, raggiunse nello stesso anno ambedue gli apostoli, Pietro e Paolo, le cui vie si ricongiungevano così nell'estrema testimonianza, imprimendo un sigillo indelebile nella storia della Chiesa di tutti i tempi.


2. Una preghiera saliva dalla Chiesa per Pietro...

Questa preghiera costituisce il riflesso ecclesiale della preghiera di Cristo stesso per Pietro, una particolare partecipazione ad essa: "Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede" (Lc 22,31-32).

Enorme è il peso di queste parole. Ed enorme è la potenza di questa preghiera. Cristo ne parla nel momento decisivo - quando già è giunta la "sua ora" (Jn 13,1): l'ora messianica del Getsemani, della passione e della morte in croce.

Questa "ora" è stata la prova della fede: la più grande prova della fede di Pietro.

Satana "cercava" (Cfr. Lc 22,31) di infrangere questa fede, confessata vicino a Cesarea di Filippo (Cfr. Mt 16,16). "Cercava" di infrangere questa fede su cui, come sulla pietra, è edificata per sempre la Chiesa. Satana lo "cercava" tantissimo. E contava sulla debolezza di Pietro, per il quale era difficile conciliare la verità sul Figlio del Dio vivente con la realtà del Servo di Jahvè crocifisso (Cfr. Mt 16,22).

Per questo Cristo dice: "ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede". Questa preghiera non è forse il suo stesso martirio e la sua morte sulla croce?


3. "...che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32).

Se la Chiesa intera prega per Pietro, non è quindi soltanto perché la minacciano pericoli dalle mani dei diversi "Erode" di questo mondo. Essa prega per Pietro perché il Signore si è compiaciuto di legare proprio a lui, in modo particolare, la fede del Popolo cristiano.

Credere significa accogliere la Verità divina che si partecipa. Tale verità non la rivelano "la carne e il sangue". La rivela all'uomo soltanto "il Padre che sta nei cieli" (Cfr. Mt 16,17). E proprio questa è la "pietra" su cui è edificata la Chiesa (Cfr. Mt 16,18). Per questo la preghiera di Cristo prima di tutto - e la preghiera della Chiesa insieme con Cristo - si leva incessante.

Cristo dice a Pietro: "Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli".

L'incessante preghiera della Chiesa è proprio in ordine a questo ravvedimento, affinché Pietro intenda ciò che è divino e non soltanto ciò che è umano - affinché la visione umana delle cose non offuschi la luce del Verbo Eterno. Perché in Dio è la fonte della "confermazione" dei fratelli.


4. Nel giorno in cui Pietro ha reso la definitiva testimonianza alla Verità su cui si edifica la Chiesa, la preghiera di Cristo è stata esaudita. Esso è pertanto un giorno di grande gratitudine in tutta la Chiesa per la gioia di tale compimento, nel quale riecheggiano le parole di Cristo presso Cesarea di Filippo: "Beato te, Simone figlio di Giona" (Mt 16,17).

A conferma di questo mirabile mistero di fedeltà, abbiamo ascoltato le espressioni dell'apostolo Paolo a Timoteo: "Il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele... Il Signore pero mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili" (2Tm 4,6 2Tm 4,17).


5. In questo giorno in cui la Chiesa in festa rende grazie per la fede degli Apostoli, è particolarmente significativa la vostra presenza, venerati Fratelli, che ricevete oggi il Sacro Pallio: voi rappresentate le Chiese metropolitane, unite con la Sede di Pietro da uno speciale legame di comunione e di collaborazione, di cui il Pallio è antico ed espressivo segno. Sono in special modo lieto che ad aprire la serie dei ventisette Presuli provenienti da diverse Nazioni vi sia Lei, Signor Cardinale Bernardin Gantin, a cui imporro il Pallio nella sua qualità di Decano del Collegio cardinalizio.

Il tradizionale rito della consegna di tale simbolo liturgico richiama alla mente l'immagine della Chiesa come Corpo organico, il cui sangue è la carità di Cristo, che circola nelle membra e fa si che esse, pur distanti e molteplici, manifestino l'unico amore in una coerente armonia pastorale e dottrinale. E' il sangue della testimonianza, che irriga e purifica il mondo intero. Qui, dove Pietro e Paolo versarono il loro sangue, vi è come il cuore, da cui tutto l'organismo trae impulso ed energia.

Carissimi, i frutti della preghiera di Cristo e della Chiesa per Pietro ridondino copiosi su di voi, strettamente legati al suo Successore, e sulle Comunità a voi affidate: frutti di fede e di opere, perché il mondo creda e renda lode al Padre che è nei cieli.


6. L'esultanza dell'odierna Assemblea s'accresce ancor più per la presenza tra noi della delegazione che il Patriarca ecumenico, Sua Santità Bartolomeo I, assieme al Santo Sinodo, con sentimento di solidarietà fraterna ha inviato a prender parte alla celebrazione dei Santi Pietro e Paolo. Ringrazio di cuore il Metropolita di Francia, Sua Eminenza Jeremias, che la presiede, e coloro che lo accompagnano, per aver voluto unirsi a noi nell'invocare il dono della piena comunione tra le Chiese nella fraternità apostolica.

Carissimi, vi accogliamo con gioia ed acclamiamo: "Celebrate insieme con noi il Signore, esaltiamo insieme il suo nome" (Cfr. Ps 33/34,4).

Con la vostra partecipazione all'odierna solenne celebrazione voi date testimonianza del desiderio di unità che anima tutti i fedeli di Cristo. Questa unità, alla fine del secondo Millennio, appare sempre più come un particolare imperativo della fede. Sia questo desiderio più grande di ogni passata esperienza negativa, causata da umane debolezze.

Cristo dice: "Io ho pregato per te", Io prego per voi.

Tale preghiera si è manifestata più forte della debolezza di Simon Pietro. Siamo pertanto fiduciosi che il tempo presente di conversione ecumenica, grazie alla potenza della preghiera di Cristo e grazie anche alla preghiera di tutta la Chiesa, vedrà avvicinarsi l'ora dell'unità! Non per merito nostro, ma per la potenza dello Spirito di Cristo.

Amen!

Data: 1993-06-29 Data estesa: Martedi 29 Giugno 1993


GPII 1993 Insegnamenti - Al personale della Curia e del Vicariato di Roma - Città del Vaticano (Roma)