GPII 1993 Insegnamenti - Alla Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli - Città del Vaticano (Roma)

Alla Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Non siamo ancora arrivati a ritrovare la piena comunione tra noi

Cari fratelli, Vi do con tutto il cuore il benvenuto. Nell'accogliervi con un affetto profondo voglio innanzitutto ringraziare coloro che voi rappresentate: Sua Santità il Patriarca Bartolomeo I, insieme al Santo Sinodo della Chiesa di Costantinopoli.

Quest'anno hanno delegato presso di noi il Metropolita della Chiesa Greca-Ortodossa in Francia, Spagna e Portogallo, del quale conosco l'attività pastorale condotta in eccellente collaborazione con i Vescovi cattolici di questi paesi. La saluto molto cordialmente.

Come ogni anno, la presenza della delegazione del Patriarcato Eucumenico alla festa dei Santi Pietro e Paolo è motivo di gioia per me e per la Chiesa di Roma. Sono convinto che le strette relazioni intrattenute dai Pastori delle nostre Chiese sono - e dovranno essere sempre di più - un elemento decisivo per progredire nella nostra comune ricerca della piena unità: "Al di sopra di tutto vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. E la pace di Cristo regni nei nostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo" (Col 3,14-15).

L'uso che si è instaurato con reciproco assenso di celebrare in comune la festa dei patroni delle nostre rispettive Chiese, San Pietro e Paolo da una parte e Sant'Andrea dall'altra, si rivela, man mano che si rinsalda, più fecondo di quanto noi abbiamo sperato quando è stata presa questa decisione.

Pietro e Andrea erano fratelli. Dopo San Giovanni, Andrea fu chiamato per primo (Cfr. Jn 1,40-42). E i due fratelli ricevettero la stessa chiamata a seguire il Signore. Gli risposero immediatamente, lasciando le loro reti nel mare poiché erano pescatori (Cfr. Mt 4,18). Da quel momento, hanno seguito il Signore per tutta la loro vita. A suo esempio e per lui hanno realmente messo in pratica la sua parola: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Jn 15,13). Fino al loro ultimo giorno sono stati fedeli al compito ricevuto dal Signore risorto: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni..., insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19-20).

Entrambi hanno operato ciascuno secondo il dono suo proprio, a riunire l'unica famiglia di Cristo. Adesso che sono riuniti nella stessa gloria e nella stessa venerazione, siamo noi ad essere uniti per celebrarli e rendere grazie al Signore, poiché abbiamo ricevuto, tramite loro e i loro successori, il Vangelo della salvezza e il nome di cristiani, che siamo fieri di portare.

Ma l'unione ereditata dai due Santi fratelli, lo sappiamo, purtroppo non ha ancora portato l'unità completa che Cristo vuole per i suoi. Per quanto siano profondi i legami di comunione che uniscono le nostre Chiese, non siamo ancora arrivati a ritrovare la piena comunione tra noi.

Nella nostra celebrazione di questo giorno e nella preghiera che tutto l'anno facciamo salire al Signore, gli chiediamo di guidarci e di affrettare il nostro cammino verso quel fine che egli ci chiede di raggiungere.

Ma questi giorni che seguono la settima sessione plenaria della Commissione mista di dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa, abbiamo una ragione particolare per rendere grazie al Signore, poiché è stata assicurata una nuova tappa. Sappiamo che ciò è avvenuto in una atmosfera di profonda carità fraterna e di fiducia reciproca, frutti del dialogo della carità che bisogna continuare a sviluppare e ad approfondire per accompagnare il dialogo teologico e per permettere il suo progresso. I risultati della riunione di Balamand dovrebbero aiutare tutte le Chiese locali ortodosse e tutte le Chiese locali cattoliche, latine e orientali che vivono in una stessa regione ad impegnarsi maggiormente nel dialogo della carità e ad instaurare o a proseguire relazioni di collaborazione nel campo della loro azione pastorale.

E' vero che il nostro cammino in avanti non può essere facile, perché si tratta di ledere vecchie abitudini e, come ha detto il Concilio Vaticano II, questo cambiamento può essere solo il frutto di una profonda conversione del cuore e di un impegno continuo di rinnovamento della nostra Chiesa per una fedeltà sempre più esigente alla volontà del loro Signore. Sappiamo anche che l'Avversario (Cfr. 2Tm 2,4) farà tutto ciò che è in suo potere per impedirci di progredire verso il nostro scopo. Ma noi sappiamo e crediamo che "colui che è in [noi] è più grande di colui che è nel mondo" (Jn 1,4). Questa convinzione deve intensificare la nostra preghiera e, da parte mia, ho chiesto a tutti i cattolici di implorare il Signore affinché questo dialogo dia frutto, poiché il Maestro della vigna è il solo che può donare la crescita.

E' con questi sentimenti di gioia, di carità fraterna e di azione di grazia che oggi vi accolgo. Vi chiedo di portare i miei più fraterni saluti a Sua Santità il Patriarca Bartolomeo I e al Santo Sinodo. I Santi Apostoli Pietro e Andrea, ne siamo sicuri, ci sostengono con la loro costante intercessione.

Seguendo immediatamente il Signore (Cfr. Mt 4,20), ci hanno mostrato l'esempio.

Non tardiamo a porci ancora di più all'ascolto della parola del Signore: questa e un fattore decisivo nel nostro cammino verso la piena unità.

[Traduzione dal francese]

Data: 1993-06-29 Data estesa: Martedi 29 Giugno 1993



Al Centro di Studi per la Conciliazione Internazionale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il vero progresso del genere umano

Illustri Signori e Gentili Signore,


1. Sono lieto di darvi oggi il benvenuto in questa Udienza che avete desiderato per testimoniare la vostra devozione al Successore di Pietro. Son passati cinquant'anni da quando il "Centro Italiano di Studi per la Conciliazione Internazionale" fu ideato. La vostra Associazione nacque durante l'ultima fase della seconda guerra mondiale, negli anni in cui brillava come faro nella notte il Magistero di Pio XII, al quale i fondatori del "Centro" si volsero come a prima, impareggiabile guida.

Rimane memorabile, in particolare, il discorso che il venerato Pontefice pronuncio davanti ai Membri del vostro Centro ricevuti in Udienza nell'ottobre 1955. In quella circostanza, riferendosi alla prima metà del secolo XX, egli osservava come "l'elemento internazionale, per la crescente mutua interdipendenza dei popoli fosse venuto 'in sempre maggiore risalto', e che 'in pari tempo pero il sentimento nazionale' si era 'ridestato'" (Cfr. Discorsi e Radiomessaggi, XVII, 308). E concludeva: "Nonostante il... sempre più vasto sforzo per il conseguimento di ampie relazioni... internazionali..., sorgono dall'intimo degli uomini e dei popoli... contrasti, tensioni, urti e, finalmente, conflitti bellici" (ivi, 311).


2. Ebbene, carissimi, anche oggi, al termine ormai di questo ultimo secolo del secondo millennio, non mancano purtroppo motivi di forte preoccupazione nel senso allora indicato dal grande Pontefice. Qualcuno potrebbe anche sentirsi tentato di scoraggiamento. Ma lo Spirito di Cristo risorto, Principe della pace, anima la Chiesa a servire con immutato vigore il vero progresso del genere umano, senza mai dubitare del finale trionfo del bene.

Si celebra quest'anno il trentennale dell'Enciclica Pacem in terris, mentre è ancor viva l'eco dei recenti anniversari della Populorum progressio e della Rerum novarum. Possiamo ben dire che lo Spirito Santo educa il Popolo di Dio, mediante il servizio del Magistero, a sentirsi e ad essere sempre più un Popolo consacrato alla pace ed alla riconciliazione universale; e ciò - si badi - non secondo i tempi e le logiche del mondo, bensi secondo gli insegnamenti della Rivelazione e con incrollabile fiducia nella Provvidenza divina.


3. Quali, dunque, gli aspetti che oggi è necessario particolarmente sottolineare? Anzitutto lo sviluppo e l'evoluzione delle organizzazioni internazionali e l'emergere di ciò che ormai comunemente si chiama la "comunità internazionale".

Certo, sono realtà ancora in embrione, ma di esse già è possibile rilevare un tratto comune: il progressivo delinearsi di un ordinamento internazionale fondato sul riconoscimento dei diritti dell'uomo. Banco di prova di questo decisivo avanzamento nel cammino della civiltà è il riconoscimento del diritto-dovere della comunità mondiale di intervenire nelle crisi in cui sono sistematicamente violate esigenze fondamentali dell'umanità. Come ho affermato nel dicembre scorso, parlando alla Conferenza Internazionale sulla Nutrizione, "la coscienza dell'umanità, ormai sostenuta dalle disposizioni del diritto internazionale umanitario, chiede che sia reso obbligatorio l'intervento umanitario nelle istituzioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli e di interi gruppi etnici" (n. 3).

Il secondo aspetto, a voi senz'altro ben presente e meritevole del vostro qualificato impegno, è quello educativo.

Qui può valere da base comune per credenti e non credenti la cosiddetta "regola aurea": fai all'altro ciò che vuoi sia fatto a te (Cfr. Mt 7,12). Un autentico ordine mondiale infatti non può progredire se ciascuno rivendica il proprio diritto, dimenticando che ad esso corrisponde sempre un dovere, richiesto dall'equivalente diritto dell'altro. Non vi può essere vera pace, se la logica del diritto non si armonizza con quella della solidarietà.


4. Ecco, carissimi, quanto avevo in animo di dirvi, sia per onorare la celebrazione di questo mezzo secolo del vostro cammino, sia per guardare insieme con voi al presente nella prospettiva del futuro, nella prospettiva cioè del terzo millennio.

Auspico che la vostra Associazione possa proseguire nei suoi nobili obiettivi, e per questo invoco abbondante su di voi e su tutti i membri l'aiuto divino, in pegno del quale vi imparto di cuore la mia Benedizione.

Data: 1993-07-01 Data estesa: Giovedi 1 Luglio 1993

Udienza al Centro di Studi per la Conciliazione Internazionale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il vero progresso del genere umano

Illustri Signori e gentili Signore,


1. Sono lieto di darvi oggi il benvenuto in questa udienza che avete desiderato per testimoniare la vostra devozione al Successore di Pietro. Son passati cinquant'anni da quando il "Centro Italiano di Studi per la Conciliazione Internazionale" fu ideato. La vostra Associazione nacque durante l'ultima fase della seconda guerra mondiale, negli anni in cui brillava come faro nella notte il Magistero di Pio XII, al quale i fondatori del "Centro" si volsero come a prima, impareggiabile guida.

Rimane memorabile, in particolare, il discorso che il venerato Pontefice pronuncio davanti ai Membri del vostro Centro ricevuti in udienza nell'ottobre 1955. In quella circostanza, riferendosi alla prima metà del secolo XX, egli osservava come "l'elemento internazionale, per la crescente mutua interdipendenza dei popoli fosse venuto "in sempre maggiore risalto", e che "in pari tempo pero il sentimento nazionale" si era "ridestato"" (Cfr. Discorsi e Radiomessaggi, X-VII, 308). E concludeva: "Nonostante il... sempre più vasto sforzo per il conseguimento di ampie relazioni... internazionali..., sorgono dall'intimo degli uomini e dei popoli... contrasti, tensioni, urti e, finalmente, conflitti bellici" (ivi, 311).


2. Ebbene, carissimi, anche oggi, al termine ormai di questo ultimo secolo del secondo millennio, non mancano purtroppo motivi di forte preoccupazione nel senso allora indicato dal grande Pontefice. Qualcuno potrebbe anche sentirsi tentato di scoraggiamento. Ma lo Spirito di Cristo risorto, Principe della pace, anima la Chiesa a servire con immutato vigore il vero progresso del genere umano, senza mai dubitare del finale trionfo del bene.

Si celebra quest'anno il trentennale dell'Enciclica Pacem in Terris, mentre è ancora viva l'eco dei recenti anniversari della Populorum Progressio e della Rerum Novarum. Possiamo ben dire che lo Spirito Santo educa il Popolo di Dio, mediante il servizio del Magistero, a sentirsi sempre più un Popolo consacrato alla pace ed alla riconciliazione universale; e ciò- si badi- non secondo i tempi e le logiche del mondo, bensi secondo gli insegnamenti della Rivelazione e con incrollabile fiducia nella Provvidenza divina.


3. Quali, dunque, gli aspetti che oggi è necessario particolarmente sottolineare? Anzitutto lo sviluppo e l'evoluzione delle organizzazioni internazionali e l'emergere di ciò che ormai comunemente si chiama la "comunità internazionale".

Certo, sono realtà ancora in embrione, ma di esse già è possibile rilevare un tratto comune: il progressivo delinearsi di un ordinamento internazionale fondato sul riconoscimento dei diritti dell'uomo. Banco di prova di questo decisivo avanzamento nel cammino della civiltà è il riconoscimento del diritto-dovere della comunità mondiale di intervenire nelle crisi in cui sono sistematicamente violate esigenze fondamentali dell'umanità. Come ho affermato nel dicembre scorso, parlando alla Conferenza Internazionale sulla Nutrizione, "la coscienza dell'umanità, ormai sostenuta dalle disposizioni del diritto internazionale umanitario, chiede che sia reso obbligatorio l'intervento umanitario nelle situazioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli e di interi gruppi etnici".

Il secondo aspetto, a voi senz'altro ben presente e meritevole del vostro qualificato impegno, è quello educativo.

Qui può valere da base comune per credenti e non credenti la cosiddetta "regola aurea": fai all'altro ciò che vuoi sia fatto a te (Cfr. Mt 7,12). Un autentico ordine mondiale infatti non può progredire se ciascuno rivendica il proprio diritto, dimenticando che ad esso corrisponde sempre un dovere, richiesto dall'equivalente diritto dell'altro. Non vi può essere vera pace, se la logica del diritto non si armonizza con quella della solidarietà.


4. Ecco, carissimi, quanto avevo in animo di dirvi, sia per onorare la celebrazione di questo mezzo secolo del vostro cammino, sia per guardare insieme con voi al presente nella prospettiva del futuro, nella prospettiva cioè del terzo millennio.

Auspico che la vostra Associazione possa proseguire nei suoi nobili obiettivi, e per questo invoco abbondante su di voi e su tutti i membri l'aiuto divino, in pegno del quale vi imparto di cuore la mia Benedizione.

Data: 1993-07-01 Data estesa: Giovedi 1 Luglio 1993

Ai partecipanti ad un pellegrinaggio a Gerusalemme - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La sorgente ultima della violenza è la corruzione del cuore umano

Cari amici, Estendo un cordiale benvenuto ai membri della Young Leadership Section of the International Council of Christians and Jews, e ringrazio il vostro presidente per le benevole parole espresse a vostro favore. Vi siete posti uno scopo meritevole: contribuire alla creazione di un mondo in cui vi sia una maggiore comprensione promuovendo e incoraggiando il dialogo ebraico-cristiano, mettendo insieme giovani di fedi monoteistiche, e affrontando le sfide del razzismo, del pregiudizio, dell'intolleranza e di tutte le forme di xenofobia. Vi porgo i miei cordiali e devoti auguri affinché il vostro pellegrinaggio a Roma e Gerusalemme vi dia la forza per questa opera.

E' giusto che dei giovani cristiani ed ebrei siano uniti in un compito così grande. Il nostro "comune patrimonio spirituale" di cui parlano i padri del Concilio Vaticano II (NAE 4) include due principi fondamentali che dovrebbero guidare le vostre attività. Il primo è la cognizione che l'ordine secondo cui Dio creo il mondo e i suoi abitanti è la base certa e sicura per la pace tra gli individui e le nazioni. La legge del Dio degli Eserciti è la legge di pace (Cfr. Ps 37,37), ed è attraverso l'obbedienza alla volontà di Dio che l'umanità raggiungerà quell'armonia che tutti i popoli desiderano ardentemente. Il secondo principio è la convinzione che la sorgente ultima della violenza è la corruzione del cuore umano. Ne consegue che il modo per raggiungere una vittoria duratura sulla discordia passa attraverso un cambiamento del cuore (Cfr. Jr 32,33), attraverso una conversione morale. Queste verità, predicate dai profeti molto tempo fa e proclamate nella Chiesa e nella Sinagoga, sono le eredità affidate a voi giovani dai predecessori. Esse sono la saggezza che voi potete donare al mondo attraverso i vostri sforzi congiunti.

Insieme andrete a Gerusalemme, la "Città della pace", un "simbolo di incontro, di unione e di pace per tutta la famiglia umana" ("Lettera apostolica alla Città di Gerusalemme", 20 aprile 1984). Il vostro pellegrinaggio è il segno di cooperazione più piena di speranza di cui il mondo odierno ha così disperatamente bisogno da parte dei credenti (Cfr. "Messaggio per la Giornata mondiale della pace" 1992). Attraverso tali azioni di solidarietà possa la potenza del Signore di ogni giustizia trionfare sull'antagonismo del passato e sui conflitti del presente, cosicché in futuro tutti gli uomini e tutte le donne vivranno in reciproca concordia e rispetto.

[Traduzione dall'inglese]

Data: 1993-07-02 Data estesa: Venerdi 2 Luglio 1993

Ad un gruppo di Vescovi statunitensi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nel Regno di Dio i più grandi sono i santi

Cari fratelli in Cristo,


1. E' per me una gioia accogliere voi, Pastori delle Chiese particolari nelle Diocesi di Baltimora, Washington, Atlanta e Miami. Questo incontro svolto nel nome di "Gesù Cristo nostro Signore, il quale ci dà il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio per la fede in Lui" (Ep 3,12), intende manifestare e rafforzare la comunione che ci unisce nella grazia dello Spirito Santo, fonte viva e duratura di tutta la vita della Chiesa. La vostra "visita a Pietro" (Cfr. Ga 1,18) coincide con la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, fondatori di questa "grandissima e antichissima Chiesa" (Sant'Ireneo, Adv. Haer., III. 3.2). Uniti nel testimoniare la loro fede attraverso un crudele martirio, questi gloriosi martiri hanno operato insieme per la salvezza del Vangelo.

Essi si scambiarono la "mano destra in segno di comunione" (koinonia) (Ga 2,9), riconoscendo che il Signore Gesù Cristo stesso aveva reso Pietro Pastore universale del suo gregge (Cfr. Jn 21,15-17) e fondamento visibile dell'unità della Chiesa (Cfr. Mt 16,18). In questo stesso spirito di collaborazione, condivido queste riflessioni con voi su alcuni aspetti della sollecitudine verso l'amato popolo di Dio.

Trenta anni fa, il giorno della Festa della Commemorazione di San Paolo, il mio predecessore Papa Paolo VI inizio solennemente il suo pontificato.

Compiendo pienamente la missione affidatagli, Paolo VI espresse in quell'occasione un'intenzione che anche io approvo completamente e per la cui realizzazione egli ha costituito un costante modello e esempio: "Noi difenderemo la Santa Chiesa dagli errori di dottrina e di costume, che dentro e fuori dei suoi confini ne minacciano l'integrità e ne velano la bellezza; Noi cercheremo di conservare e di accrescere la virtù pastorale della Chiesa" (Omelia, 30 giugno 1963). Cari Fratelli Vescovi, questo è l'obiettivo che anche voi condividete. A tale proposito abbiamo un compito pastorale che appartiene al fulcro essenziale del nostro ministero, e che si impone con urgenza evangelica. In quanto Pastori, abbiamo la responsabilità di "dispensare scrupolosamente la parola della verità" (Cfr. 2Tm 2,15), proclamando in un modo chiaro e inequivocabile e tuttavia incoraggiante e bello, "lo splendore del glorioso vangelo di Cristo" (2Co 4,4). Le mie riflessioni con i vari gruppi di Vescovi provenienti dagli Stati Uniti sono ispirate dalla preoccupazione per l'adempimento di questo compito primordiale.


2. Uno dei punti di forza della Chiesa negli Stati Uniti è sempre stato il ruolo della parrocchia come punto focale non solo della vita sacramentale, ma anche della formazione e dell'educazione cattolica, dell'attività caritativa e sociale.

La frammentazione che caratterizza la vita moderna ha causato un certo indebolimento del senso di appartenenza alla comunità parrocchiale, in particolare laddove c'è stata polarizzazione su temi riguardanti la dottrina e la liturgia. I sacerdoti e i laici devono compiere un grande sforzo per rinnovare la vita parrocchiale nell'immagine della Chiesa stessa, come una comunione che beneficia dei doni e dei carismi complementari di tutti i suoi membri. La comunione è una realtà che implica uno scambio costante di doni e servizi fra tutti i membri del popolo di Dio. La vitalità della parrocchia dipende dalla capacità di fondere le diverse vocazioni e i diversi doni dei suoi membri in una unità che manifesta la comunione di tutti e di ciascuno con Dio Padre attraverso Cristo, costantemente rinnovata dalla grazia dello Spirito Santo.

Il punto di partenza è la consapevolezza da parte dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici del fatto che i loro doni, - gerarchici e carismatici (Cfr. LG 4) - sebbene complementari, sono diversi; e del fatto che essi sono tutti necessari per "edificare il corpo di Cristo" (Ep 4,12). Durante i nostri colloqui, alcuni Vescovi hanno sottolineato che, a volte, l'enfasi posta sull'uguaglianza battesimale - una verità profondamente radicata nella tradizione della Chiesa - porta a sminuire la reale distinzione esistente tra il sacerdozio regale di tutti i credenti e il sacerdozio ministeriale conferito dall'ordinazione sacramentale. E' necessario insistere sul fatto che la differenza "nell'essenza" (LG 10) fra di essi non ha nulla a che fare con il "potere" inteso in termini di privilegio o dominio. Entrambi derivano dall'unico sacerdozio di Cristo e si completano l'un l'altro essendo ordinati per aiutarsi vicendevolmente. (PDV 17).

La comunione autentica implica un amore reciproco (Cfr. 1Jn 4,12-13) che assicura che il clero e i laici si aiutino rispettando l'identità di ognuno. Ciò che chiamate "ministero collaborativo", quando è completamente fedele alla sacra dottrina della Chiesa, fornisce un saldo fondamento per la costruzione di comunità che sono internamente riconciliate, e le cui energie spirituali vengono impegnate positivamente per la nuova evangelizzazione (Cfr. RMi 3).


3. E' una benedizione per la Chiesa il fatto che in molte parrocchie i fedeli laici assistano i sacerdoti in vari modi: nell'educazione religiosa, nella consulenza pastorale, nelle attività di servizio sociale, nell'amministrazione ecc. Questa crescente partecipazione è indubbiamente un'opera dello Spirito che rinnova il vigore della Chiesa. In alcuni casi, dove una temporanea scarsità di sacerdoti lo renda necessario, i membri del laicato possono essere resi responsabili dell'amministrazione di una parrocchia secondo le norme canoniche (CIC 517,2 Cfr. CL 23). Quando si verificano queste situazioni, i Vescovi hanno il delicato compito di provvedere affinché i fedeli non confondano queste responsabilità "ministeriali" con la specifica sacra potestà propria del sacerdozio ordinato. Non è una strategia pastorale saggia quella di adottare piani che assumono come normale per non dire desiderabile, una comunità parrocchiale senza sacerdote. Interpretare il calo di sacerdoti attivi - una situazione che ci auguriamo termini al più presto - come un segno provvidenziale del fatto che i laici devono prendere il posto dei sacerdoti è inconciliabile con il pensiero di Cristo e della Chiesa. Il sacerdozio regale dei laici non deve venir incoraggiato oscurando il sacerdozio ministeriale degli ordinati, grazie al quale i sacerdoti non solo celebrano l'Eucaristia, ma sono anche padri spirituali, guide e maestri dei fedeli che sono stati loro affidati.


4. Lo sviluppo negli Stati Uniti di ciò che viene comunemente definito "ministero dei laici" è certamente un risultato positivo e fecondo del rinnovamento avviato dal Concilio Vaticano Secondo. Particolare attenzione deve essere accordata alla formazione spirituale e dottrinale di tutti i ministri laici. In ogni caso essi dovrebbero essere uomini e donne di fede, esemplari nella vita personale e familiare, che con amore abbracciano "il pieno e integrale annuncio della Buona Novella" (RP 9) trasmessa dalla Chiesa. Sono necessarie delle chiare direttive diocesane per la formazione iniziale e permanente dei laici che sono ufficialmente coinvolti nella vita parrocchiale e diocesana. Ma le direttive devono essere correttamente applicate, e questo costituisce una sfida per la vostra autorità.

Come vi ho detto durante la mia ultima visita pastorale negli Stati Uniti, una corretta ecclesiologia deve sforzarsi di evitare di "laicizzare" il clero o di "clericalizzare" il laicato (Discorso ai fedeli laici, 18 settembre 1987, n. 5). I laici dovrebbero essere consapevoli della propria posizione all'interno della Chiesa, che non è quella di semplici destinatari della dottrina e della grazia dei sacramenti, ma di attivi e responsabili operatori della missione della Chiesa nell'evangelizzare e santificare il mondo. E' compito in particolare dei fedeli laici portare la verità del Vangelo per influire sulle realtà della vita sociale, economica, politica e culturale. Essi hanno lo specifico compito della santificazione del mondo dall'interno impegnandosi nella dimensione secolare (Cfr. LG 31 CL 15). Il loro compito è di ordinare la società alla pienezza che dimora in Cristo (Cfr. Col 1,19), sempre in comunione di fede e in accordo con i Vescovi che "presiedono in luogo di Dio al gregge... quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo" (LG 20). Probabilmente, come sottolinea l'esortazione Christifideles laici, dovrebbe essere prestata un'attenzione maggiore nella catechesi e nella predicazione all'"inserimento profondo e alla partecipazione piena dei fedeli laici nella terra, nel mondo, nella comunità umana" (CL 15), in modo che i laici possano meglio comprendere che questo è il loro apostolato primario all'interno della Chiesa. Essi necessitano del vostro costante incoraggiamento. Si aspettano dai loro vescovi che li rafforzino nella santità e li guidino con un autentico insegnamento, lasciando loro nello stesso tempo lo spazio per iniziative e la libertà di azione nel mondo (Cfr. AA 7).


5. Una questione strettamente legata al discorso che stiamo ora facendo, è quella relativa al ruolo delle donne nella vita della Chiesa, un problema che deve essere affrontato con la nitida consapevolezza della sua importanza. Allo stesso tempo la questione, così come interessa la Chiesa, è influenzata dal fatto che la posizione e il ruolo delle donne nella società in generale stanno subendo profonde trasformazioni. Il rispetto dei diritti delle donne è senza dubbio un passo essenziale verso una società più giusta e matura, e la Chiesa non può mancare nel fare proprio questo prezioso obiettivo.

La vostra Conferenza Episcopale ha prestato molta attenzione alla posizione delle donne nella società e nella Chiesa e voi continuerete ad agire in tal senso. Altre Conferenze Episcopali ed io stesso, abbiamo parlato e scritto ampiamente sull'argomento. Tuttavia, in alcuni ambienti sussiste ancora un clima di insoddisfazione nei confronti della posizione della Chiesa, in particolare laddove la distinzione fra diritti umani e civili di una persona e i diritti, i doveri, i ministeri e le funzioni che gli individui hanno o dei quali usufruiscono all'interno della Chiesa non è chiaramente compresa. Un'ecclesiologia erronea può facilmente condurre a presentare false necessità e suscitare false speranze.

Ciò che è certo è che la questione non può essere risolta attraverso un compromesso con un femminismo che si polarizza su posizioni ideologiche intransigenti. Non si tratta semplicemente del fatto che alcune persone rivendicano per le donne il diritto di essere ammesse al sacerdozio ordinato.

Nella sua forma estrema, è la stessa fede cristiana che rischia di essere minata.

Talvolta, forme di culto della natura e la celebrazione di miti e simboli prendono il posto del culto del Dio rivelato in Gesù Cristo. Sfortunatamente questo tipo di femminismo viene incoraggiato da alcune persone all'interno della Chiesa, comprese alcune religiose, le cui convinzioni, atteggiamenti e comportamento non corrispondono più a quanto viene insegnato dal Vangelo e dalla Chiesa. Come pastori dobbiamo opporci a individui e gruppi che possiedono tali convinzioni e chiamarli ad un dialogo onesto e sincero che deve continuare all'interno della Chiesa, in relazione alle aspettative delle donne.


6. Quanto al non ammettere le donne al sacerdozio ministeriale, questa "è una disposizione che la Chiesa ha sempre ritrovato nella precisa volontà, totalmente libera e sovrana di Gesù Cristo" (CL 51). La Chiesa insegna e opera confidando nella presenza dello Spirito Santo e nella promessa del Signore di essere sempre con essa (Mt 28-20). "Quando essa ritiene di non poter accettare certi cambiamenti, è perché sa di essere legata al modo di agire di Cristo. Il suo atteggiamento... è quello della fedeltà" (Inter Insigniores, n. 4). L'eguaglianza dei battezzati, che è una delle grandi affermazioni del Cristianesimo, esiste in un corpo differenziato, nel quale uomini e donne hanno ruoli che non sono puramente funzionali ma sono profondamente radicati nell'antropologia e nella sacramentaria cristiane. La distinzione dei ruoli in nessun modo favorisce la superiorità degli uni sugli altri; il dono migliore di tutti, che può e deve essere desiderato, è la carità (Cfr. 1Co 12-13). Nel Regno di Dio i più grandi non sono i ministri, ma i santi (Cfr. 1Co 6).

Sono consapevole della grande attenzione e della riflessione animata dalla preghiera che continuerete a rivolgere a queste difficili questioni e invoco su di voi i doni dello Spirito Santo mentre operate per presentare una concezione antropologica ed ecclesiologica pienamente cristiana del ruolo delle donne, sia per il rinnovamento e l'umanizzazione della società, sia per la riscoperta da parte dei credenti del vero volto della Chiesa (Cfr. ). Come Vescovi, siamo chiamati ad offrire a uomini e donne allo stesso modo l'insegnamento della Chiesa nella sua pienezza in relazione al sacerdozio ordinato. Sarebbe un tradimento nei loro confronti se non lo facessimo. Dobbiamo aiutare coloro che non comprendono o non accettano l'insegnamento della Chiesa ad aprire i loro cuori e le loro menti alla sfida della fede. Dobbiamo confermare e rafforzare la comunità intera reagendo, quando è necessario, alla confusione e all'errore.


7. Presto contraccambiero la vostra visita a Roma, con la mia personale a Denver.

Già da ora desidero unirmi ai giovani di tutto il mondo che compiranno questo pellegrinaggio spirituale per trovare Cristo nel cuore della "metropoli moderna".

Questi raduni biennali sono indubbiamente occasioni di grazia per la Chiesa Universale. Essi generano anche le energie per il rinnovamento spirituale nei paesi dove vengono celebrati. Con gratitudine notiamo, dall'esperienza delle passate giornate mondiali della Gioventù, che i giovani sono una potente forza di evangelizzazione! La loro incessante ricerca di senso e di verità, il loro desiderio di una stretta comunione con Dio e con la comunità ecclesiale ed il loro entusiasmo nel servire fratelli e sorelle sono una sfida per tutti noi.

Con fiducia filiale raccomando ognuna delle vostre Chiese particolari all'amorevole intercessione di Maria Immacolata, Madre del Redentore e Patrona della vostra nazione. Possa Dio benedire con abbondanza "il vostro impegno nella fede, la vostra operosità nella carità e la vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo" (Cfr. 1Th 1,2-3). Possa il Suo amore riversarsi sui sacerdoti, i religiosi e i laici delle vostre diocesi.

Data: 1993-07-02 Data estesa: Venerdi 2 Luglio 1993

Ad un gruppo di Vescovi statunitensi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nel Regno di Dio i più grandi sono i santi

Cari fratelli in Cristo,


GPII 1993 Insegnamenti - Alla Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli - Città del Vaticano (Roma)