GPII 1993 Insegnamenti - Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace - Città del Vaticano (Roma)

Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dalla famiglia nasce la pace della famiglia umana




1. Il mondo anela alla pace, ha estremo bisogno di pace. Eppure guerre, conflitti, violenza dilagante, situazioni di instabilità sociale e di endemica povertà continuano a mietere vittime innocenti e a generare divisioni tra gli individui ed i popoli. La pace sembra a volte una meta davvero irraggiungibile! In un clima raggelato dall'indifferenza e talora avvelenato dall'odio, come sperare nell'avvento di un'era di pace, quale solo sentimenti di solidarietà e di amore possono propiziare? Non dobbiamo tuttavia rassegnarci. Sappiamo che la pace, nonostante tutto, è possibile, perché iscritta nell'originario progetto divino.

Dio volle per l'umanità una condizione di armonia e di pace, ponendone il fondamento nella natura stessa dell'essere umano, creato "a sua immagine". Tale immagine divina si realizza non soltanto nell'individuo, ma anche in quella singolare comunione di persone che è formata da un uomo e da una donna, uniti a tal punto nell'amore da divenire "una sola carne" (Gn 2,24). E' scritto infatti: "A immagine di Dio lo creo; maschio e femmina li creo" (Gn 1,27). A questa specifica comunità di persone il Signore ha affidato la missione di dare la vita e di prendersene cura formando una famiglia, e contribuendo così in modo decisivo al compito di amministrare la creazione e di provvedere al futuro stesso dell'umanità.

L'iniziale armonia fu spezzata dal peccato, ma l'originario piano di Dio permane. La famiglia resta, pertanto, il vero fondamento della società (GS 52), costituendone, come è detto nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, "il nucleo naturale e fondamentale" (art. 16,3).

Il contributo che essa può offrire anche per la salvaguardia e la promozione della pace è talmente determinante che vorrei cogliere l'occasione offertami dall'Anno Internazionale della Famiglia per dedicare questo messaggio, nella Giornata Mondiale della Pace, alla riflessione sullo stretto rapporto esistente tra la famiglia e la pace. Confido infatti che detto Anno costituisca per tutti coloro che intendono contribuire alla ricerca della vera pace - Chiese, Organismi religiosi, Associazioni, Governi, Istanze internazionali - un'utile occasione per studiare insieme come aiutare la famiglia ad adempiere appieno il suo insostituibile compito di costruttrice di pace.

La famiglia: comunità di vita e di amore


2. La famiglia, quale fondamentale e insostituibile comunità educante, è il veicolo privilegiato per la trasmissione di quei valori religiosi e culturali che aiutano la persona ad acquisire la propria identità, Fondata sull'amore e aperta al dono della vita, la famiglia porta in sé il futuro stesso della società; suo compito specialissimo è di contribuire efficacemente ad un avvenire di pace.

Ciò essa otterrà, innanzitutto, mediante il reciproco amore dei coniugi, chiamati alla piena e totale comunione di vita dal senso naturale del matrimonio e ancor più, se cristiani, dalla sua elevazione a sacramento; e, inoltre, attraverso l'adeguato svolgimento del compito educativo, che impegna i genitori a formare i figli al rispetto della dignità di ogni persona ed ai valori della pace. Tali valori, più che essere "insegnati", devono essere testimoniati in un ambiente familiare che viva al suo interno quell'amore oblativo capace di accogliere l'altro nella sua diversità, facendone propri i bisogni e le esigenze e rendendolo partecipe dei propri beni. Le virtù domestiche, basate sul rispetto profondo della vita e della dignità dell'essere umano, e concretizzate nella comprensione, nella pazienza, nell'incoraggiamento e nel perdono reciproco, danno alla comunità familiare la possibilità di vivere la prima e fondamentale esperienza di pace. Al di fuori di questo contesto di affettuose relazioni e di operosa e reciproca solidarietà, l'essere umano "rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l'amore, ... se non lo sperimenta e non lo fa proprio" (Enciclica RH 10). Un tale amore, peraltro, non è fuggevole emozione, ma intensa e durevole forza morale che ricerca il bene altrui, anche a costo del proprio sacrificio. L'amore vero, inoltre, si accompagna sempre alla giustizia, tanto necessaria alla pace. Esso si protende verso quanti si trovano in difficoltà: coloro che non hanno famiglia, i bambini privi di assistenza e di affetto, le persone sole ed emarginate.

La famiglia che vive, anche se in modo imperfetto, questo amore, aprendosi generosamente al resto della società, costituisce l'agente primario di un futuro di pace. Una civiltà di pace non è possibile se manca l'amore.

La famiglia: vittima dell'assenza di pace


3. In contrasto con la sua originaria vocazione di pace, la famiglia si rivela purtroppo, e non di rado, luogo di tensione e di sopraffazione, oppure vittima inerme delle numerose forme di violenza che segnano l'odierna società.

Tensioni si ritrovano, talora, nei rapporti al suo interno. Spesso sono dovute alla fatica di armonizzare la vita familiare quando il lavoro tiene i coniugi lontano l'uno dall'altro o la sua mancanza e precarietà li sottopone all'assillo della sopravvivenza e all'incubo di un incerto futuro. Non mancano tensioni originate da modelli di comportamento ispirati all'edonismo e al consumismo, che spingono i membri della famiglia alla ricerca di personali gratificazioni piuttosto che di una serena e operosa vita comune. Frequenti liti fra i genitori, rifiuto della prole, abbandono e maltrattamenti di minori sono i tristi sintomi di una pace familiare già seriamente compromessa, e che non può certo essere restituita dalla dolorosa soluzione della separazione tra i coniugi, meno che mai dal ricorso al divorzio, vera "piaga" dell'odierna società (Cfr. GS 47).

In molte parti del mondo, poi, nazioni intere sono prese nella spirale di cruenti conflitti, di cui spesso le famiglie sono le prime vittime: o sono private del principale, quando non unico, componente che guadagna, o sono costrette ad abbandonare casa, terra e beni per fuggire verso l'ignoto; o sono comunque sottoposte a traversie penose che pongono in forse ogni certezza. Come non ricordare, a tal proposito, il sanguinoso conflitto tra gruppi etnici ancora perdurante nella Bosnia-Erzegovina? E non è che un solo caso, tra i tanti scenari di guerra disseminati nel mondo! Di fronte a tali dolorose realtà, la società si mostra spesso impari ad offrire un valido aiuto, o persino colpevolmente indifferente. I bisogni spirituali e psicologici di chi ha subito gli effetti di un conflitto armato sono urgenti e gravi quanto la necessità di cibo o di un tetto. Occorrerebbero specifiche strutture predisposte per svolgere un'azione di sostegno verso le famiglie colpite da improvvise e laceranti sventure, così che, nonostante tutto, esse non cedano alla tentazione dello scoraggiamento e della vendetta, ma siano capaci di ispirare i loro comportamenti al perdono ed alla riconciliazione. Quanto spesso, purtroppo, di tutto ciò non v'è alcuna traccia!


4. Non si deve poi dimenticare che la guerra e la violenza non costituiscono soltanto forze disgregatrici atte ad indebolire e distruggere le strutture familiari; esse esercitano anche un influsso nefasto sugli animi, giungendo a proporre e quasi ad imporre modelli di comportamento diametralmente opposti alla pace. A questo proposito, occorre denunciare un dato ben triste: oggi purtroppo ragazzi e ragazze, e persino bambini, prendono effettivamente parte, in numero crescente, a conflitti armati. Sono costretti ad arruolarsi nelle milizie armate e debbono combattere per cause che non sempre comprendono. In altri casi, vengono coinvolti in una vera e propria cultura della violenza, secondo la quale la vita conta ben poco ed uccidere non sembra immorale. E' nell'interesse di tutta la società far si che questi giovani rinuncino alla violenza e s'incamminino sulla via della pace, ma questo presuppone una paziente educazione condotta da persone che alla pace credano sinceramente.

Non posso, a questo punto, non menzionare un altro serio ostacolo allo sviluppo della pace nella nostra società: molti, troppi bambini sono privi del calore di una famiglia. A volte essa è, di fatto, assente: presi da altri interessi, i genitori abbandonano i figli a se stessi. Altre volte la famiglia è addirittura inesistente: ci sono così migliaia di bambini che non hanno altra casa che la strada e non possono contare su alcuna risorsa all'infuori di se stessi.

Alcuni di questi bambini di strada trovano la morte in modo tragico. Altri vengono avviati all'uso e persino allo spaccio della droga, alla prostituzione e non di rado finiscono nelle organizzazioni del crimine. Non è possibile ignorare situazioni tanto scandalose e pur così diffuse! E' in gioco il futuro stesso della società. Una comunità che rifiuta i bambini, o li emargina, o li riduce in situazioni senza speranza, non potrà mai conoscere la pace.

Per poter contare su di un futuro di pace, occorre che ogni piccolo essere umano sperimenti il calore di un affetto premuroso e costante, non il tradimento o lo sfruttamento. E se molto può fare lo Stato fornendo mezzi e strutture di sostegno, insostituibile resta l'apporto della famiglia per garantire quel clima di sicurezza e di fiducia che tanto rilievo ha nell'indurre i piccoli a guardare con serenità verso l'avvenire e nel prepararli a partecipare responsabilmente, divenuti grandi, all'edificazione di una società di autentico progresso e di pace. I bambini sono il futuro già presente in mezzo a noi; è necessario che possano sperimentare che cosa vuol dire pace per essere in grado di creare un futuro di pace.

La famiglia: protagonista della pace


5. Un ordine durevole di pace abbisogna di istituzioni che esprimano e consolidino i valori della pace. L'istituzione rispondente nel modo più immediato alla natura dell'essere umano è la famiglia. Essa soltanto assicura la continuità e il futuro della società. La famiglia è quindi chiamata a diventare attiva protagonista della pace grazie ai valori che esprime e trasmette al proprio interno e mediante la partecipazione di ogni suo membro alla vita della società.

Nucleo originario della società, la famiglia ha diritto a tutto il sostegno dello Stato per svolgere appieno la propria peculiare missione. Le leggi statali, pertanto, debbono essere orientate a promuoverne il benessere, aiutandola a realizzare i compiti che le spettano. Di fronte alla tendenza oggi sempre più incalzante a legittimare, quali surrogati dell'unione coniugale, forme di unione che per loro intrinseca natura o per la loro intenzionale transitorietà non possono in alcun modo esprimere il senso e assicurare il bene della famiglia, è dovere dello Stato incoraggiare e proteggere l'autentica istituzione familiare, rispettandone la naturale fisionomia e i diritti innati ed inalienabili. Tra questi, fondamentale è il diritto dei genitori a decidere liberamente e responsabilmente, in base alle loro convinzioni morali e religiose e alla loro coscienza adeguatamente formata, quando dare vita ad un figlio, per poi educarlo conformemente a tali convinzioni.

Un ruolo rilevante riveste inoltre lo Stato nel creare le condizioni per le quali le famiglie possano provvedere ai loro bisogni primari in maniera conforme alla dignità umana. La povertà, anzi la miseria - minaccia perenne alla stabilità sociale, allo sviluppo dei popoli, alla pace - colpisce oggi troppe famiglie. Avviene talvolta che, per mancanza di mezzi, le giovani coppie tardino a costituire una famiglia o ne vengano addirittura impedite, mentre le famiglie, segnate dal bisogno, non possono partecipare pienamente alla vita sociale, o sono costrette ad una condizione di totale emarginazione.

Il dovere dello Stato non disimpegna, tuttavia, i singoli cittadini: la vera risposta alle domande più gravi di ogni società è infatti assicurata dalla concorde solidarietà di tutti. In effetti, nessuno può sentirsi tranquillo finché il problema della povertà, che colpisce famiglie ed individui, non abbia trovato un'adeguata soluzione. L'indigenza è sempre una minaccia per la stabilità sociale, per lo sviluppo economico e quindi, ultimamente, per la pace. La pace sarà sempre insidiata, finché persone e famiglie si vedranno costrette a combattere per la loro stessa sopravvivenza.

La famiglia al servizio della pace


6. Vorrei ora rivolgermi direttamente alle famiglie; in particolare, a quelle cristiane.

"Famiglia diventa ciò che sei!", ho scritto nella Esortazione Apostolica Familiaris Consortio (FC 17). Diventa cioè "intima comunità di vita e d'amore coniugale" (GS 48), chiamata a donare amore e a trasmettere la vita! Famiglia, tu hai una missione di primaria importanza: quella di contribuire alla costruzione della pace, bene indispensabile per il rispetto e lo sviluppo della stessa vita umana (Cfr. CEC 2304). Consapevole che la pace non si ottiene una volta per tutte (Cfr. GS 78) mai devi stancarti di cercarla! Gesù, con la sua morte in croce, ha lasciato all'umanità la sua pace, assicurando la sua perenne presenza (Cfr. Jn 14,27 Jn 20,19-21 Mt 28,20). Chiedi questa pace, prega per questa pace, lavora per questa pace! A voi, genitori, incombe la responsabilità di formare ed educare i figli ad essere persone di pace: a tal fine, siate voi, per primi, operatori di pace.

Voi, figli, proiettati verso il futuro con l'ardore della vostra giovane età, carica di progetti e di sogni, apprezzate il dono della famiglia, preparatevi alla responsabilità di costruirla o di promuoverla, a seconda delle rispettive vocazioni, nel domani che Dio vi concederà. Coltivate aspirazioni di bene e pensieri di pace.

Voi, nonni, che con gli altri membri della parentela rappresentate nella famiglia insostituibili e preziosi legami tra le generazioni, date generosamente il vostro contributo di esperienza e di testimonianza per saldare il passato al futuro in un presente di pace.

Famiglia, vivi concordemente ed appieno la tua missione! Come dimenticare infine le molte persone che, per vari motivi, si sentono senza famiglia? Ad esse vorrei dire che una famiglia c'è anche per loro: la Chiesa è casa e famiglia per tutti (Cfr. FC 85). Essa spalanca le porte ed accoglie quanti sono soli o abbandonati; in essi vede i figli prediletti di Dio, qualunque età abbiano, quali che siano le loro aspirazioni, difficoltà e speranze.

Possa la famiglia vivere in pace così che da essa scaturisca la pace per l'intera famiglia umana! Ecco la preghiera che per intercessione di Maria, Madre di Cristo e della Chiesa, elevo a Colui "dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome" (Ep 3,15), all'alba dell'Anno Internazionale della Famiglia.

Dal Vaticano, 8 dicembre dell'anno 1993.

Data: 1993-12-08 Data estesa: Mercoledi 8 Dicembre 1993



Udienza ai realizzatori della trasposizione televisiva dell'Antico Testamento - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La vostra opera susciti nell'opinione pubblica un rinnovato interesse per il testo sacro e sia un opportuno strumento di evangelizzazione

Gentili Signori, siate i benvenuti!


1. Voi avete voluto incontrarmi per mettermi a parte di un progetto di notevole significato per la presenza cristiana nella cultura e nei mass media: la trasposizione televisiva dell'Antico Testamento.

Vi sono veramente grato per questo segno di cortesia e di comunione ecclesiale. Saluto cordialmente ciascuno di voi.

A nessuno sfugge il ruolo decisivo che oggi svolge la televisione, tra gli altri mezzi di comunicazione sociale, nell'informazione e nella stessa formazione della mentalità e delle coscienze. In diverse occasioni, a partire dal decreto del Concilio Vaticano II "Inter mirifica", la Chiesa non ha mancato di sollecitare i credenti a rendersi presenti in modo efficace anche in tale settore.

Va perciò lodato l'intento della società LUX, costituita appunto per produrre programmi televisivi ispirati ad una concezione cristiana della vita.


2. Un particolare interesse riveste la realizzazione di cui oggi mi presentate, per così dire, le primizie. Si tratta, infatti, di un progetto che non riguarda una qualunque tematica della cultura cristiana, bensi ciò che ne costituisce la fonte e il cuore: la Parola di Dio.

E' un'impresa veramente ardua non solo per la sua ampiezza, ma anche per la complessità della sua attuazione. Voi non volete limitarvi a tradurre nel linguaggio delle immagini una serie di avvenimenti storici; è infatti vostro desiderio far emergere il loro senso profondo, quel "mistero" che attraversa tutte le vicende narrate dalla Bibbia, facendone una storia di salvezza. In tale trama di eventi divini ed umani il protagonista è Dio stesso, che instaura un dialogo con l'uomo e lo invita a partecipare alla sua stessa vita, in una esperienza profonda di comunione. Nella Bibbia è svelato il volto di Dio, ed insieme è svelato pure il volto vero dell'uomo, nella sua origine e nel suo eterno destino.

E' una rivelazione progressiva, in cui il Creatore si adatta al passo della sua creatura, fino a quella pienezza di luce che rifulge nel mistero del Verbo incarnato.

E' evidente che non è facile rendere in modo adeguato, con gli strumenti dell'arte televisiva e cinematografica, questo impatto del soprannaturale nella storia. Ad ogni passo c'è il rischio della banalizzazione. E, purtroppo, non mancano, nel panorama attuale della cinematografia, realizzazioni che attingono al testo biblico senza il dovuto rispetto del suo messaggio e della stessa verità storica.


3. Gentili Signori! Mi compiaccio, dunque, con voi per i vostri propositi e mi auguro che lo sforzo da voi dispiegato e che è stato avviato già con buone credenziali, grazie alle consulenze di cui vi siete avvalsi, venga coronato da meritato successo. Sia, questa vostra realizzazione, esemplare sotto ogni profilo, coniugando la migliore espressività artistica con la più rigorosa sensibilità religiosa, storica e morale. E possa essa suscitare nell'opinione pubblica un rinnovato interesse per il testo sacro, costituendo in tal modo non soltanto un apprezzato avvenimento culturale, ma un aiuto alla stessa consapevolezza di fede dei credenti ed un opportuno strumento di evangelizzazione.

Implorando sul vostro lavoro la costante assistenza di Dio e della Vergine Santa, vi assicuro un particolare ricordo nella preghiera, mentre di cuore a tutti imparto l'Apostolica Benedizione.

Data: 1993-12-09 Data estesa: Giovedi 9 Dicembre 1993

Udienza ai partecipanti al IX Colloquio Internazionale Romanistico Canonistico organizzato dalla Lateranense - Città del Vaticano (Roma)


Titolo: Nell'Oriente Mediterraneo appartenere alle minoranze cristiane non può costituire motivo di discriminazione

Reverendissimo Padre Rettore, Illustri Professori, Signore e Signori,


1. Sono lieto che abbiate voluto concludere il IX Colloquio Giuridico Internazionale, promosso dall' "Institutum Utriusque Iuris" della Pontificia Università Lateranense, con questo incontro. La vostra presenza conferma l'attaccamento alla cattedra di Pietro e la fedeltà al suo Magistero, che caratterizzano la lunga tradizione di questa istituzione della Santa Sede, chiamata a formare giuristi in entrambi i diritti, quello della Chiesa e quello della Comunità civile, in una prospettiva che è insieme storica e moderna.

A tutti il mio saluto cordiale. Rivolgo un vivo ringraziamento al P. Umberto Betti, ofm, Rettore Magnifico dell'Università Lateranense, che ha voluto cordialmente manifestarmi i sentimenti e l'augurio di voi tutti. Un grato pensiero va anche ai Decani delle Facoltà di Diritto Canonico e di Diritto Civile, i Professori Domingo Andrés Gutierrez e Gian Luigi Falchi, che di questo Colloquio hanno curato l'organizzazione e la direzione.


2. Durante i lavori del Convegno voi avete richiamato il valore attuale della radice romano-canonica di quel diritto che è proprio delle Comunità cristiane del Mediterraneo orientale. Ne è testimonianza la presenza numerosa di studiosi provenienti da Paesi e culture differenti, che con competenza e impegno hanno dato il loro contributo per l'approfondimento del tema.

Come è noto, il cristianesimo ha riconosciuto fin dalle sue origini una sana laicità delle strutture della società civile, favorendo la fondamentale distinzione tra l'ordine temporale e l'ordine spirituale. Da questo atteggiamento, a partire dall'Editto di Tolleranza, è scaturito il riconoscimento della libertà di religione.

La consapevolezza della distinzione tra i compiti dello Stato e la missione evangelizzatrice della Chiesa ha consentito alle Comunità cristiane d'Oriente di conservare la loro specifica identità nel corso dei secoli. Fu preservata l'autonomia del diritto proprio, che si era già formato dall'epoca dei primi Concili strutturandosi secondo la tradizione giuridica di Bisanzio, e che attribuiva un rinnovato e più incisivo valore agli ordinamenti giuridici locali.

Questa peculiarità si è conservata fino ai nostri giorni, nonostante le alterne vicende storiche, religiose e politiche, che hanno interessato quelle regioni, soprattutto a partire dal settimo secolo in poi. Ne sono testimonianza i molteplici riti che contraddistinguono la vita liturgica delle diverse Comunità cristiane dell'area, con riflessi nella disciplina ecclesiastica, come pure nel diritto di famiglia e matrimoniale.

I vostri lavori hanno messo in evidenza come le Comunità cristiane, perseverando nella fede e nell'adesione alle proprie tradizioni e alla propria cultura, abbiano saputo far fronte anche alle circostanze più difficili, reggendo alla scomparsa di regimi politici o al succedersi di differenti forme di governo.

In presenza anche di turbamenti assai rilevanti, i cristiani dell'Oriente Mediterraneo hanno sempre mostrato leale disponibilità nel favorire la convivenza tra le diverse componenti sociali, culturali e religiose della popolazione. Ne sono esempio le traduzioni degli antichi testi legislativi del periodo bizantino o, più ampiamente, il tentativo di comporre con altre tradizioni giuridiche il diritto romano-canonico quanto agli istituti patrimoniali, successori e processuali. La sola tendenza che appare costante nel variare dei tempi e delle circostanze è quella di proteggere rigorosamente gli istituti fondamentali del diritto matrimoniale e della famiglia, nonché le norme relative all'organizzazione ecclesiale. Si nota cioè la consapevole difesa sia della famiglia, cellula fondamentale della società, che della Chiesa, comunità di salvezza.


3. Dalla storia si trae quindi l'insegnamento che ogni Comunità ha il diritto naturale e primario di vivere collettivamente ed in forma organizzata la propria dimensione religiosa nei suoi vari momenti. Quello alla libertà religiosa è, infatti, diritto che sta alla radice di ogni altro diritto e di ogni altra libertà, poiché si fonda nella dignità dell'essere umano, che è, per sua natura, un essere sociale, bisognoso di rapporti con gli altri per esplicare appieno le proprie doti (Cfr. GS 12).

Questo particolare rapporto dell'uomo con il suo Creatore gli consente di realizzarsi pienamente nella sua natura spirituale e razionale; di essere cioè parte di quell'ordine naturale di cui la Rivelazione cristiana ha riconosciuto l'autonomia. Come ha affermato San Tommaso, "Jus divinum, quod est ex gratia, non tollit jus humanum, quod est ex naturali ratione" (Sum.Theol., II-II 10,10).

E' nella maturata coscienza di questa realtà che le Comunità cristiane dell'Oriente Mediterraneo affermano anche oggi la propria autonomia. Pur vivendo in un'area in cui esistono progetti di società ispirati a credenze religiose diverse, esse sono consapevoli che la dignità dell'uomo è unica, indivisibile, irripetibile, e come tale da rispettare e garantire con ferma coerenza.

La Chiesa, da parte sua, ha sempre affermato che, nell'impegno per l'arricchimento del bene comune della società civile, è necessario il concorso di quanti ne sono parte, anche se di credenze diverse. L'appartenenza ad una religione non può mai essere motivo di discriminazione; né alcuno deve sentirsi semplicemente ospite nel proprio Paese. E' in questa prospettiva che si collocano anche gli accordi conclusi dalla Santa Sede con alcuni Paesi dell'area del Mediterraneo orientale, per consentire il pieno rispetto dell'identità delle Comunità cristiane e l'autonomia della missione della Chiesa che vive e opera in quei Paesi.

Per i cristiani che vivono in queste situazioni, i profondi mutamenti sociali rendono ormai insufficienti le sole garanzie tradizionalmente riconosciute alle situazioni personali o agli aspetti del culto individualmente intesi. La libertà di religione non può, infatti, ridursi alla sola libertà di culto, ma comporta anche il diritto alla non discriminazione nell'esercizio degli altri diritti e della libertà propri di ogni persona umana, considerata sia nella sua dimensione individuale che comunitaria.

Tale prospettiva è stata ribadita autorevolmente anche di recente a livello internazionale, con conseguente richiamo agli Stati perché modifichino eventuali ordinamenti interni di senso contrario (Cfr. ONU-Comité des Droits de l'Homme, Observation générale No. 22 (48), art. 18, Doc. CCPR/C/CRP.1/ Add. 26, 22 juillet 1993).


4. Va rilevato che in alcuni Paesi l'esercizio della libertà religiosa è accordato ai membri della religione maggioritaria e riconosciuto con molte limitazioni ad altri cittadini di credenza diversa. Una matura concezione dello Stato e del suo ordinamento giuridico, ispirata a quanto la coscienza comune dell'umanità ha espresso nelle regole della Comunità internazionale, richiede lo sforzo di assicurare parità di trattamento ad ogni persona, indipendentemente dalla sua origine etnica, linguistica, culturale e religiosa (Cfr. Discorso nella "Friendship Hall" di Khartoum, in Oss. Rm 11 febbraio 1993).

Pertanto, pur nello status di minoranze, i cristiani dell'Oriente Mediterraneo hanno diritto al rispetto della loro identità anche sotto il profilo giuridico, e ciò non può essere considerato come una concessione, né come la risultante di interventi esterni. Una effettiva reciprocità passa oggi necessariamente attraverso il rispetto delle norme maturate a livello internazionale quanto ai diritti della persona umana, e non più in via preferenziale attraverso accordi particolari tra Stati, come è avvenuto nel corso della storia.

Gli sforzi sinceri degli uomini che credono in Dio, insieme all'interdipendenza degli interessi, delle situazioni e delle culture, sono una efficace garanzia per porre termine a discriminazioni e restrizioni e per favorire, in un clima di tolleranza, un dialogo che sia ad un tempo inter-religioso e inter-culturale. Si potrà così garantire sempre meglio anche ai cristiani dell'Oriente Mediterraneo un futuro che preservi la loro peculiare identità, e sia rispettoso della persona umana e dei suoi diritti fondamentali.

Con questo auspicio, illustri professori e cari fratelli, invoco la benedizione dell'Onnipotente sul vostro importante lavoro di studiosi e di docenti, e chiedo copiose grazie sull'attività dell'"Institutum Utriusque Iuris".

Data: 1993-12-11 Data estesa: Sabato 11 Dicembre 1993

Angelus, terza domenica di Avvento - Città del Vaticano (Roma)


Titolo: Di fronte ai fallimenti delle strategie politiche suscitare una grande "strategia" di preghiera

Carissimi fratelli e sorelle!


1. La liturgia di questa terza domenica di Avvento ci presenta Giovanni Battista, il precursore, come testimone della luce (Cfr. Jn 1,7-8). Egli addita agli uomini il Cristo, "la luce vera che illumina ogni uomo" (Jn 1,9).

La missione del Battista continua, ed anzi si approfondisce, nella Chiesa chiamata ad annunciare Cristo ad ogni generazione. Nell'imminenza dell'Anno della Famiglia, mi piace sottolineare che tale compito è affidato, a titolo specialissimo, alla "famiglia cristiana". Essa - come scrivevo nella Familiaris consortio - "soprattutto oggi, ha una speciale vocazione ad essere testimone dell'alleanza pasquale di Cristo, mediante la costante irradiazione della gioia dell'amore e della sicurezza della speranza, della quale deve rendere ragione" (FC 52).

In certo senso, pero, ogni famiglia del mondo è chiamata ad essere "testimonianza di luce", in forza del disegno di Dio che ne fa il santuario della vita, luogo di accoglienza, di speranza e di solidarietà.


2. Evocando la sublime missione della famiglia, come non pensare con viva apprensione ai tanti nuclei familiari dilaniati dalla guerra nei Paesi della ex Jugoslavia, dove il conflitto ancora imperversa e non sembra purtroppo vicina una giusta ed equa sua composizione? Mentre scongiuro i responsabili di quei popoli a far tacere finalmente la voce delle armi ed invito le autorità internazionali a fare ogni ulteriore sforzo possibile di pacifica ed efficace mediazione, vorrei chiedere ai credenti del mondo intero di implorare da Dio il dono inestimabile della pace. Dobbiamo continuare a farlo senza mai cedere allo scoraggiamento.

Anche la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, che si svolgerà dal 18 al 25 del prossimo gennaio, deve costituire per i cattolici ed i fratelli delle altre confessioni cristiane un'importante occasione per essere spiritualmente vicini alle popolazioni provate della Bosnia-Erzegovina. A tal fine ho indetto per Domenica 23 gennaio una speciale giornata di preghiera per implorare da Dio la pace. Celebrero in quel giorno, qui a Roma, la Santa Eucaristia, ed invito fin d'ora tutta la Chiesa ad unirsi con me, facendo precedere questo momento di profonda orazione comunitaria da una giornata di digiuno. Estendo questo invito ad ogni altro credente ed a tutte le persone di buona volontà. Il Signore, che ci esorta a invocarlo con fede, sostenuta dall'impegno di conversione e di comunione fraterna, voglia esaudire i nostri desideri e conceda finalmente la pace a quella martoriata regione, come pure ad ogni altro popolo coinvolto nel dramma della guerra.


3. Carissimi fratelli e sorelle! Guardiamo a Maria, Regina della pace.

Contempliamo le traversie che angustiarono la famiglia di Nazareth, incalzata dalla persecuzione e dalla violenza.

Vergine Santa, tu che hai vissuto nella fede i momenti duri della vita familiare, ottieni la pace per le nazioni in guerra ed aiuta le famiglie del mondo a svolgere la loro insostituibile missione di pace.

Data: 1993-12-12 Data estesa: Domenica 12 Dicembre 1993

La benedizione dei "Bambinelli", al termine dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Rinnovate davanti a Gesù il vostro impegno di bontà e di generosità"

Rivolgo un particolare benvenuto a tutti voi, cari bambini e cari ragazzi, che siete convenuti questa mattina in Piazza san Pietro, in occasione della tradizionale benedizione dei "Bambinelli" e delle altre figure del presepe.

Saluto cordialmente i ragazzi di Roma che sono la maggioranza, ma anche quelli che vengono da più lontano con le statuette di Gesù Bambino, e rivolgo un pensiero anche agli alunni dell'Istituto Ravasco di Pescara.

Il ricordo della nascita del Salvatore, molto vivo in questi giorni nelle nostre case, sia per tutti un intimo richiamo a creare quel clima spirituale adatto alla celebrazione delle Feste natalizie. Carissimi fanciulli, fermatevi con le vostre famiglie accanto al presepe ed insieme rinnovate davanti a Gesù Bambino il vostro impegno di bontà e di generosità. Domandategli il dono della pace per il mondo e la protezione per tutti coloro che si trovano nel bisogno. Auguro di cuore a voi e a tutti i vostri familiari un sereno e santo Natale, mentre con affetto vi benedico, insieme con le statuette che collocherete nei vostri presepi: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1993-12-12 Data estesa: Domenica 12 Dicembre 1993

Visita pastorale: il discorso alla comunità del Pontificio Istituto Orientale - Roma

Titolo: "Lasciamoci condurre dallo Spirito ad immaginare nuove prospettive ecumeniche con quella creatività che è propria dei Santi"




GPII 1993 Insegnamenti - Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace - Città del Vaticano (Roma)