GPII 1994 Insegnamenti - Pressante appello al termine dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Pressante appello al termine dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Non sia impedito agli aiuti umanitari di giungere a destinazione"

In questo giorno dedicato in modo speciale alla preghiera per la pace nei Balcani, desidero rinnovare il mio pressante appello a tutti i Responsabili perché non sia impedito agli aiuti umanitari di giungere a destinazione. Si tratta di un impegno di solidarietà rivolto a tutti gli abitanti dell'ex Jugoslavia, indipendentemente dalla loro appartenenza etnica o dal loro credo religioso.

Le armi e la diffidenza non devono fermare quanti portano generi di prima necessità a chi muore di fame, medicinali ai malati ed ai feriti, concreto sostegno ai poveri! Sia reso possibile l'accesso alla città assediata di Sarajevo, all'enclave di Tuzla e alla zona di Mostar. Domandiamo al Dio della pace di condurre quanti sono coinvolti in così grande tragedia verso la tanto desiderata pace!

Data: 1994-01-23 Data estesa: Domenica 23 Gennaio 1994





Messaggio in occasione della XXVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

Titolo: "Televisione e famiglia: criteri per sane abitudini nel vedere"

Cari fratelli e sorelle, Negli ultimi decenni, la televisione ha rivoluzionato le comunicazioni influenzando profondamente la vita familiare. Oggi, la televisione è una fonte primaria di notizie, di informazioni e di svago per innumerevoli famiglie fino a modellare i loro atteggiamenti e le loro opinioni, i loro valori e i prototipi di comportamento.

La televisione può arricchire la vita familiare: può unire tra loro più strettamente i membri della famiglia e promuovere la loro solidarietà verso altre famiglie e verso la più vasta comunità umana; può accrescere in loro non solo la cultura generale, ma anche quella religiosa, permettendo ad essi di ascoltare la Parola di Dio, di rafforzare la propria identità religiosa e di nutrire la propria vita morale e spirituale.

La televisione può anche danneggiare la vita familiare: diffondendo valori e modelli di comportamento falsati e degradanti, mandando in onda pornografia e immagini di brutale violenza; inculcando il relativismo morale e lo scetticismo religioso; diffondendo resoconti distorti o informazioni manipolate sui fatti ed i problemi di attualità; trasmettendo pubblicità profittatrice, affidata ai più bassi istinti; esaltando false visioni della vita che ostacolano l'attuazione del reciproco rispetto, della giustizia e della pace.

La televisione può ancora avere effetti negativi sulla famiglia anche quando i programmi televisivi non sono di per se moralmente criticabili: essa può invogliare i membri della famiglia ad isolarsi nei loro mondi privati, tagliandoli fuori dagli autentici rapporti interpersonali, ed anche dividere la famiglia, allontanando i genitori dai figli e i figli dai genitori.

Poiché il rinnovamento morale e spirituale della famiglia umana nella sua interezza deve radicarsi nell'autentico rinnovamento delle singole famiglie, il tema della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1994 - "Televisione e famiglia: criteri per sane abitudini nel vedere" - è particolarmente appropriato, soprattutto in questo Anno Internazionale della Famiglia, durante il quale la comunità mondiale sta cercando come dare nuovo vigore alla vita familiare.

In questo messaggio, desidero in particolare sottolineare le responsabilità dei genitori, degli uomini e delle donne dell'industria televisiva, le responsabilità delle pubbliche autorità e di coloro che adempiono ai loro doveri pastorali e educativi all'interno della Chiesa. Nelle loro mani sta il potere di rendere la televisione un mezzo sempre più efficace per aiutare le famiglie a svolgere il proprio ruolo che è quello di costituire una forza di rinnovamento morale e sociale.

Dio ha investito i genitori della grave responsabilità di aiutare i figli a "cercare la verità ed a vivere in conformità ad essa, a cercare il bene e a promuoverlo" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1991, n. 3). Essi hanno quindi il dovere di portare i loro figli ad apprezzare "tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato" (Ph 4,8).

Quindi, oltre ad essere spettatori in grado di discernere per se stessi, i genitori dovrebbero attivamente contribuire a formare nei propri figli abitudini nel vedere la televisione che portino a un sano sviluppo umano, morale e religioso. I genitori dovrebbero anticipatamente informare i propri figli sul contenuto dei programmi e fare, di conseguenza, la scelta consapevole per il bene della famiglia se guardare o non guardare. A questo proposito possono essere di aiuto sia le recensioni ed i giudizi forniti da organismi religiosi e da altri gruppi responsabili, sia adeguati programmi educativi proposti dai mezzi di comunicazione sociale. I genitori dovrebbero anche discutere della televisione con i propri figli, mettendoli in grado di regolare la quantità e la qualità dei programmi che guardano e di percepire e giudicare i valori etici che stanno alla base di determinati programmi, poiché la famiglia è "il veicolo privilegiato per la trasmissione di quei valori religiosi e culturali che aiutano la persona ad acquisire la propria identità" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994, n. 2).

Formare le abitudini dei figli, a volte può semplicemente voler dire spegnere il televisore perché ci sono cose migliori da fare, o perché la considerazione verso altri membri della famiglia lo richiede o perché la visione indiscriminata della televisione può essere dannosa. I genitori che si servono abitualmente ed a lungo della televisione come di una specie di bambinaia elettronica, abdicano al loro ruolo di primari educatori dei propri figli. Tale dipendenza dalla televisione può privare i membri della famiglia dell'opportunità di interagire l'uno con l'altro attraverso la conversazione, le attività e la preghiera comuni. I genitori saggi sono inoltre consapevoli del fatto che anche i buoni programmi debbono essere integrati da altre fonti di informazione, intrattenimento, educazione e cultura.

Per garantire che l'industria televisiva tuteli i diritti delle famiglie, i genitori dovrebbero esprimere le loro legittime preoccupazioni ai produttori e ai responsabili dei mezzi di comunicazione sociale. A volte, sarà utile unirsi ad altri, formando associazioni che rappresentino i loro interessi, in relazione ai mezzi di comunicazione, ai finanziatori, agli "sponsors" e alle autorità pubbliche.

Coloro che lavorano per la televisione - "managers" e funzionari, produttori e direttori, autori e ricercatori, giornalisti, personaggi dello schermo e tecnici - tutti hanno gravi responsabilità morali verso le famiglie, che costituiscono la gran parte del loro pubblico. Nella loro vita professionale e personale, coloro che lavorano nell'ambito televisivo dovrebbero porre ogni impegno nei confronti della famiglia in quanto fondamentale comunità sociale di vita, amore e solidarietà. Riconoscendo la capacità di persuasione della struttura presso la quale lavorano, dovrebbero farsi promotori di autentici valori spirituali e morali ed evitare "tutto ciò che può ledere la famiglia nella sua esistenza, nella sua stabilità, nel suo equilibrio e nella sua felicità... che si tratti di erotismo o violenza, di apologia del divorzio o di atteggiamenti antisociali fra i giovani" (Paolo VI, Messaggio per Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1969, n. 2).

La televisione si trova spesso a trattare argomenti seri: la umana debolezza ed il peccato e le loro conseguenze per gli individui e la società; le debolezze delle istituzioni sociali, inclusi i governi e la religione; i fondamentali interrogativi circa il significato della vita. Essa dovrebbe trattare questi temi im maniera responsabile, senza sensazionalismi, con una sincera sollecitudine verso il bene della società ed uno scrupoloso rispetto per la verità. "La verità vi farà liberi" (Jn 8,32), ha detto Gesù; e tutta la verità ha il suo fondamento in Dio, che è anche la fonte della nostra libertà e della nostra capacità creativa.

Nell'adempiere alle proprie responsabilità, l'industria televisiva dovrebbe sviluppare e osservare un codice etico che includa l'impegno a soddisfare le necessità delle famiglie e a promuovere valori a sostegno della vita familiare.

Anche i Consigli, formati sia da membri dell'industria televisiva sia da rappresentanti dei fruitori dei mezzi di comunicazione di massa, sono un modo auspicabile per rendere la televisione più reattiva ai bisogni e ai valori degli utenti.

I canali della televisione, siano essi gestiti dall'industria televisiva pubblica o privata, sono uno strumento pubblico al servizio del bene comune; essi non sono solamente un "terreno" privato per interessi commerciali o uno strumento di potere o di propaganda per determinati gruppi sociali, economici o politici; essi esistono per servire il benessere della società nella sua totalità.

In quanto "cellula" fondamentale della società, la famiglia merita quindi di essere assistita e difesa con appropriate misure da parte dello Stato e delle altre istituzioni (cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994, n. 5). Ciò sottolinea la responsabilità che incombe sulle autorità pubbliche nei confronti della televisione.

Riconoscendo l'importanza di un libero scambio di idee e di informazioni, la Chiesa sostiene la libertà di parola e di stampa (cfr. GS 59). Allo stesso tempo, insiste sul fatto che "deve essere rispettato il diritto di ciascuno, delle famiglie e della società, alla "privacy", alla pubblica decenza e alla protezione dei valori fondamentali della vita" (Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione: una risposta pastorale, n. 21). Le autorità pubbliche sono invitate a fissare e a far rispettare ragionevoli modelli etici per la programmazione, che promuovano i valori umani e religiosi su cui si basa la vita familiare e che scoraggino tutto ciò che le è dannoso; esse dovrebbero, inoltre, promuovere il dialogo fra l'industria televisiva e il pubblico, fornendo strutture e occasioni perché ciò possa avvenire.

Gli organismi religiosi, da parte loro, possono rendere un eccellente servizio alle famiglie istruendole sui mezzi di comunicazione sociale e offrendo loro giudizi su films e programmi. Dove le risorse lo permettono, le organizzazioni ecclesiali di comunicazione sociale possono anche aiutare le famiglie, producendo e trasmettendo programmi per la famiglia o promuovendo questo tipo di programmazione. Le Conferenze Episcopali e le Diocesi dovrebbero con forza inserire nel loro programma pastorale per le comunicazioni sociali la "dimensione familiare" della televisione (cfr. Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Aetatis Novae, 21 e 23).

Poiché lavorano per presentare una visione della vita ad un ampio pubblico che comprende bambini e adolescenti, i professionisti della televisione hanno la possibilità di avvalersi del ministero pastorale della Chiesa, che può aiutarli ad apprezzare quei principi etici e religiosi che conferiscono pieno significato alla vita umana e familiare: "programmi pastorali in grado di garantire una formazione permanente, capace di aiutare questi uomini e queste donne - molti dei quali sono sinceramente desiderosi di sapere e di praticare ciò che è giusto in campo etico e morale - ad essere sempre più compenetrati da criteri morali tanto nella loro vita professionale che in quella privata" (GS 19).

La famiglia, basata sul matrimonio, è una comunione unica di persone, costituita da Dio come "nucleo naturale e fondamentale della società" (Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, art. 16, 3). La televisione e gli altri mezzi di comunicazione sociale hanno un potere immenso per sostenere e rafforzare tale comunione all'interno della famiglia, così come la solidarietà verso le altre famiglie e lo spirito di servizio verso la società.

Grata per il contributo che la televisione, in quanto mezzo di comunicazione, ha dato e può dare a tale comunione all'interno della famiglia e tra le famiglie, la Chiesa - essa stessa comunione nella verità e nell'amore di Gesù Cristo, Parola di Dio - coglie l'occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali per incoraggiare le famiglie stesse, coloro che lavorano nell'ambito dei mezzi di comunicazione sociale e le autorità pubbliche, a realizzare appieno il nobile mandato di sostenere e rafforzare la prima e più vitale "cellula" della società: la famiglia.

Dal Vaticano, 24 gennaio 1994

Data: 1994-01-24 Data estesa: Lunedi 24 Gennaio 1994





Udienza ai giornalisti accreditati durante la visita alla Sala Stampa della Santa Sede - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Siamo compagni di uno stesso pellegrinaggio: spettatori di situazioni drammatiche ma testimoni di incoraggianti segni di speranza

Signor Direttore della Sala Stampa, Signore e Signori Giornalisti, Fratelli e sorelle!


1. Sono contento di incontrarmi con voi in questo vostro ambiente di lavoro, la Sala Stampa della Santa Sede, completamente rinnovata e dotata di moderni strumenti tecnologici per la comunicazione sociale.

In questa sala-conferenze, nella quale incontrate per il vostro lavoro personalità ecclesiastiche ed esperti, ho oggi la gioia di parlare io stesso con voi. E' un'opportunità che mi è offerta di ricambiare le vostre molteplici attenzioni. Colgo pertanto subito l'occasione per salutare tutti e ciascuno con affetto. In particolare, vorrei rivolgermi con gratitudine al direttore, dottor Navarro-Valls, ed ai suoi solerti collaboratori e collaboratrici. Saluto, inoltre, ciascuno di voi giornalisti e fotoreporters accreditati, e attraverso di voi invio un cordiale pensiero alle vostre famiglie. Come non profittare di questa circostanza per scusarmi con voi delle fatiche supplementari che non di rado aggiungo al vostro lavoro, e con i vostri cari del tempo, che loro sottraete dovendolo dedicare alla vostra attività professionale? Oltre alla quotidiana presenza in questo Ufficio, voi mi accompagnate, infatti, nel corso delle visite pastorali nelle parrocchie di Roma, nei viaggi apostolici in Italia, e fuori del territorio italiano. So bene quanto ciò sia arduo e talora causa di non pochi disagi: richiede, infatti, da parte vostra, dedizione, competenza, spirito di adattamento e costante aggiornamento.

Il vostro compito è quello di seguire da vicino l'attività del Successore di Pietro e della Santa Sede. In qualche modo, siete tra le persone più vicine, impegnate a farne conoscere il servizio pastorale alla pubblica opinione, mediante gli strumenti della comunicazione sociale.

Ma non soltanto del Papa voi vi occupate; il vostro interesse si estende all'intera e variegata azione della Sede Apostolica e della Chiesa universale.


2. Certo, carissimi, non si può oggi non riconoscere l'importanza dei mass-media, divenuti "principali sorgenti d'informazione e di educazione, di guida e d'ispirazione, a livello di comportamento individuale, familiare e sociale" (cfr. Discorso del 1 marzo 1991 alla Plenaria del Pont. Cons. delle Comunicazioni Sociali, Insegnamenti XIV, 1P 437). Il messaggio di vita e di speranza che la Chiesa proclama è antico e sempre nuovo: "Noi predichiamo Cristo crocifisso - scriveva san Paolo ai Corinzi - scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio" (1Co 1,23-24).

A voi, giornalisti incaricati dell'informazione religiosa, è affidato il delicato e difficile compito di far eco al messaggio del Vangelo così come in questi nostri tempi esso risuona nel mondo. La vostra opera è, perciò, sempre delicata e non facile, giacché siete chiamati a non fermarvi a valutazioni superficiali giudicando gli eventi religiosi come fossero avvenimenti semplicemente umani. A voi è richiesto ben di più: comunicare un patrimonio che è spirituale ed al tempo stesso temporale, una verità eterna che cammina nella storia. Voi, insomma, dovete contribuire ad "incarnare" il Vangelo nella civiltà e nella "nuova cultura" creata dalle comunicazioni moderne, per superare quella frattura tra annuncio evangelico e cultura che Paolo VI aveva indicato come la "tragedia del nostro tempo" (cfr. EN 20).

Come san Francesco di Sales, vostro santo Patrono, di cui oggi ricorre la festa, voi siete chiamati a porre la vostra perizia nell'uso della parola a servizio della Verità, per la costruzione di una società fraterna e solidale, che si ispiri ai valori della "civiltà dell'amore".


3. Carissimi giornalisti, molti di voi, come poc'anzi ho ricordato, mi hanno accompagnato in questi anni nel mio pellegrinare per le strade del mondo. Vorrei soffermarmi, a questo punto, a ricordare almeno i viaggi del 1993: sono stati nove in Italia e cinque in Paesi europei, africani e americani; ad essi dobbiamo aggiungere alcune visite alle parrocchie di Roma, e ad altre strutture, come ad esempio, ospedali, seminari, scuole e istituti religiosi. Anche chi non ha vissuto con me queste interessanti esperienze spirituali, mi è comunque stato vicino con la sua solerte operosità. così, durante lo scorso anno, abbiamo percorso insieme chilometri e chilometri, visitando le Nazioni africane del Benin, dell'Uganda, e del Sudan; in Europa l'Albania, la Spagna ed i Paesi Baltici, sino a poco tempo fa sottoposti, come l'Albania, a regimi comunisti duri ed oppressivi; in America, la Giamaica, le amate genti dello Yucatan, in Messico, e quindi, a Denver per l'emozionante incontro con migliaia di giovani in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. Dovunque mi sono preoccupato di ripetere l'annuncio con il quale ho aperto il mio ministero petrino: Aprite le porte a Cristo!


4. Un servizio che ho reso e continuo a rendere guardando costantemente al grande appuntamento del 2000, al quale la Chiesa intera si sta preparando con la preghiera, la riflessione e un rinnovato slancio missionario. L'inizio del terzo Millennio cristiano costituisce una tappa senza dubbio importante non solo per la comunità ecclesiale, ma per la città di Roma, per l'Europa, per l'umanità tutta intera. Non dico questo quasi rispondendo ad una logica millenarista, ma perché sono persuaso che il 2000 renderà nuovamente presente il "grande mistero" della fede. In questi sei anni di preparazione l'intera comunità ecclesiale è invitata a guardare nel profondo della storia dell'uomo per cogliervi i segni di quel rinnovamento autentico che scaturisce dall'incontro con Cristo.

Dal tempo del Concilio Vaticano II siamo, si può ben dire, incamminati verso questo ormai prossimo evento storico e cristiano. Un cammino che avvicina ed unisce. Gli uomini, i giovani in particolare, sono presi da un interiore anelito di verità e di giustizia, di solidarietà e di riconciliazione. Aspirano all'unità, alla concordia e alla vera pace fra gli individui e i popoli. E' proprio grazie alla perenne presenza di Cristo nella storia che ci è dato realmente di sperare in una rinascita morale e religiosa e in un avvenire migliore per tutti. Il Giubileo del 2000 è allora annuncio di gioia interiore ed esteriore, annuncio importante per i credenti e per i non credenti. Non è infatti solo il ricordo della nascita di Gesù nella notte di Betlemme, ma richiamo a rendere più efficacemente presente l'evento della salvezza divina operata da Cristo, "il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1Tm 2,4).


5. Carissimi amici giornalisti! Compagni di uno stesso pellegrinaggio, siamo spettatori di situazioni talora drammatiche, ma siamo anche testimoni di incoraggianti segni di speranza per l'odierna umanità. Tutto ciò coinvolge e responsabilizza.

Vi aiuti Iddio ad essere sempre strumenti di fedele trasmissione della verità.

Siatene persuasi: il vostro lavoro, se compiuto con costante e attento rispetto dell'obiettività e del bene comune, riceverà una adeguata ricompensa dal Signore che su ciascuno vigila con amore di Padre.

Nella vostra diuturna attività, che si serve di parole e di immagini, vi guidi l'amore della Madre di Gesù Cristo - il Verbo di Dio, Immagine perfetta del Padre (cfr. 2Co 4,4) - e vi protegga S. Francesco di Sales maestro di comunicazione chiara e veritiera. Vi accompagni inoltre la Benedizione Apostolica, che offro a voi qui presenti come a tutti i vostri familiari.

Data: 1994-01-24 Data estesa: Lunedi 24 Gennaio 1994





La Santa Messa per la Comunità dell'Almo Collegio Capranica

Titolo: Il sacerdote è ministro dello splendore della Verità

Carissimi fratelli, Il Sacrificio eucaristico, che ci apprestiamo a celebrare nella festa della Conversione di s. Paolo Apostolo, ci dona il coraggio della operosa fedeltà al Figlio di Dio, che chiama in ogni tempo alla sua sequela. Offerto dalla Chiesa su comando del Maestro, esso è l'oblazione gradita a Dio, sorgente di purificazione e di santificazione. Noi doniamo a Lui ciò che Egli stesso ci ha dato per la nostra salvezza, perché possa restare salda quella comunione che ci lega a lui e che ci rende solidali tra noi.

Nel contemplare il mistero, chiediamo di poter imitare l'esempio di Cristo che, "pur essendo Figlio, imparo tuttavia l'obbedienza dalle cose che pati" (He 5,8). E' questa una delle caratteristiche fondamentali del sacerdote, il quale, fedele alla Parola del Signore ed all'insegnamento della Chiesa, non deve mai scordare il suo compito di ministro dello splendore della Verità fra le tenebre del mondo.

Carissimi Educatori e Seminaristi del Capranica! Vi saluto con affetto da questo altare su cui si renderà presente il mistero della morte e risurrezione del nostro Salvatore. Nel porgervi i miei auguri più cordiali per l'anno da poco iniziato, vi invito a tenere fisso il vostro sguardo su Cristo, autore e perfezionatore della fede (cfr. He 12,2), così che, nella "carità, che è il vincolo della perfezione" (Col 3,14), possiate far maturare il vostro amore in docile obbedienza allo Spirito Santo.

Vi sia di modello la vostra patrona sant'Agnese, che, nonostante la giovane età, scelse per suo tesoro la perla preziosa del Regno (cfr. Vangelo della Messa di s. Agnese), rendendo la suprema testimonianza del martirio. Sostenuti dalla forza di Cristo, anche noi, pur tra le difficoltà e gli imprevisti di ogni giorno, sappiamo di poter procedere sicuri.

Ci accompagni la Vergine Madre, perché sull'esempio dei testimoni della fede, possiamo produrre frutti abbondanti di opere buone, a lode di Dio e per il bene della sua santa Chiesa.

Data: 1994-01-25 Data estesa: Martedi 25 Gennaio 1994






Udienza a membri della Banca d'Italia in occasione del primo centenario della fondazione dell'Istituto - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'Italia saprà trovare nella sua preziosa eredità la forza di un nuovo risorgimento ideale e morale

Signor Governatore, Signori membri del Direttorio, del Consiglio Superiore, e del Collegio Sindacale della Banca d'Italia.


1. Grazie di questa vostra visita, con la quale avete inteso ricordare il primo centenario di fondazione della Banca d'Italia. Ringrazio in particolare il Signor Governatore delle gentili parole che ha voluto rivolgermi. A tutti il mio cordiale benvenuto.

L'odierno nostro incontro cade in un momento delicato e difficile nella storia dell'Italia; ma nei suoi cento anni di vita il vostro Istituto bancario è stato testimone di momenti non meno burrascosi e della capacità dimostrata dalla Nazione nel superarli. A questo popolo generoso ho voluto rivolgere poche settimane fa, nella Lettera indirizzata ai suoi Vescovi, il mio cordiale pensiero, non solo per chiedere ai cattolici di assumere le proprie responsabilità nel campo sociale, economico e politico, ma per esprimere a tutti gli italiani la mia stima e il mio affetto. Ho intima fiducia che l'Italia, nonostante i problemi che attualmente la attanagliano, saprà trovare, nella preziosa eredità della sua cultura e della sua fede, la forza di un nuovo "risorgimento" innanzitutto ideale e morale.


2. Da quando ha raggiunto, nel secolo scorso, la sua unità politica, l'Italia ha compiuto enormi progressi, degni della sua storia; progressi che, a giusto titolo, la accreditano alla stima del consesso internazionale. In tale cammino ha giocato un ruolo non trascurabile l'Istituto che voi rappresentate. Esso è stato espressione e strumento della progressiva unificazione nazionale. Alla vigilia della sua costituzione, infatti, ben sei erano gli enti che svolgevano le funzioni di Istituti di emissione. Gradualmente alla Banca d'Italia venne dato l'attuale assetto, fino a farne un Istituto di diritto pubblico, con potere esclusivo di emissione. In tal modo essa è venuta a trovarsi al centro del sistema monetario, con il compito fondamentale di presidiare il valore della moneta, affinché l'attività economica del Paese potesse godere di un ordinato sviluppo.


3. Viene da tutti sottolineata l'importanza di una appropriata regolazione del sistema economico, specialmente nelle condizioni di complessità ed interdipendenza che caratterizzano l'odierna società a livello nazionale e internazionale. Proprio per questo anche la dottrina sociale della Chiesa, pur esimendosi da valutazioni di carattere tecnico, che esulano dalla sua competenza, sottolinea il ruolo dello Stato nel settore dell'economia, giacché è evidente - come ho scritto nell'Enciclica "Centesimus Annus" - che "l'attività economica, in particolare quella dell'economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie della libertà individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire questa sicurezza, di modo che chi lavora e produce possa godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e onestà (CA 48).


4. Il vostro Istituto rappresenta sicuramente uno dei gangli vitali nella regolazione della vita economica, e da questo suo ruolo determinante derivano non piccole implicazioni di carattere etico. La posta in gioco, infatti, è il bene comune, e in particolare gli interessi delle classi più umili, che altro non hanno su cui contare se non sul proprio lavoro, rischiando di pagare i costi più alti delle disfunzioni e delle crisi dell'economia. Occorre un'economia ben regolata, ma proprio per questo occorre un'economia attenta ai dettami dell'etica e alle esigenze della solidarietà; un'economia consapevole dell'intrinseca priorità del lavoro rispetto al capitale (cfr. LE 12) e della inalienabilità del "diritto al lavoro" per tutti gli esseri umani (LE 18); una economia che assecondi le esigenze di una crescente "mondializzazione" delle dinamiche finanziarie, senza mai dimenticare, e meno che mai calpestare, in nome delle leggi del mercato, i diritti dei più poveri.


5. La Banca d'Italia ha svolto in questo secolo un ruolo di primo piano per lo sviluppo e il bene comune dell'Italia. Ora, davanti ad un futuro gravido di nuove urgenze, è ad essa richiesta non solo competenza tecnica all'altezza dei tempi, ma anche forte consapevolezza di ideali e di valori.

Iddio vi doni per questo sapienza e luce. Una provvidenziale coincidenza fa si che questo incontro avvenga contemporaneamente ad un altro centenario, che mi sembra opportuno richiamare, parlando ad operatori tanto qualificati dell'attività economica. Proprio cento anni fa, nel gennaio del 1894, un economista del quale è in corso la causa di Beatificazione, il venerabile Servo di Dio Giuseppe Toniolo, riuniva a Milano altri insigni cattolici, per redigere un celebre "programma", che voleva essere la concreta mediazione per l'Italia dei principi enunciati dalla Rerum novarum. Egli si faceva così promotore di una economia a servizio dell'uomo, un'economia illuminata dalla sapienza del Vangelo.

Oggi, gentili Signori, è necessaria più che mai la stessa inventiva, la stessa competenza, la stessa idealità.

Con tali sentimenti ed auspici, mentre invoco su tutti voi e sul vostro lavoro, sui collaboratori e sulle rispettive famiglie il conforto della celeste protezione, imparto a ciascuno la mia Benedizione.

Data: 1994-01-27 Data estesa: Giovedi 27 Gennaio 1994





Udienza ai membri del Tribunale della Rota Romana in occasione dell'apertura dell'Anno Giudiziario - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nell'Anno della Famiglia emergono con sempre maggiore chiarezza i rischi a cui una malintesa "comprensione" espone l'istituto familiare




1. Le sono vivamente grato, Monsignor Decano, per i nobili sentimenti espressi a nome di tutti i presenti. Saluto cordialmente, insieme con Lei, il Collegio dei Prelati Uditori, gli Officiali e quanti prestano la loro opera nel Tribunale della Rota Romana, come pure i componenti dello Studio Rotale e gli Avvocati Rotali. A tutti vadano i miei più fervidi voti di ogni bene nel Signore! Un particolare augurio di sereno e proficuo lavoro desidero, poi, rivolgere personalmente a Lei, Monsignor Decano, che ha da poco assunto l'onore e l'onere della direzione del Tribunale, succedendo a Mons. Ernesto Fiore, che ricordo con affetto. La Madre del Buon Consiglio, Sede della Sapienza, L'assista ogni giorno nell'adempimento del suo importante servizio ecclesiale.


2. Ho ascoltato con vivo interesse le profonde riflessioni da Lei svolte sulle radici umane ed evangeliche che alimentano l'attività del Tribunale e ne sorreggono l'impegno a servizio della giustizia. Vari sarebbero i temi meritevoli di essere ripresi e sviluppati. Ma lo specifico riferimento che Ella ha fatto alla recente Enciclica Veritatis Splendor mi induce a trattenermi stamane con voi sul suggestivo rapporto che intercorre tra lo splendore della verità e quello della giustizia. Come partecipazione alla verità, anche la giustizia possiede un suo splendore, capace di evocare nel soggetto una risposta libera, non puramente esterna, ma nascente dall'intimo della coscienza.

Già il mio grande Predecessore Pio XII, rivolgendosi alla Rota, autorevolmente ammoniva: "Il mondo ha bisogno della verità che è giustizia, e di quella giustizia che è verità" (AAS 1942, 34,342). Giustizia di Dio e legge di Dio sono il riflesso della vita divina. Ma anche la giustizia umana deve sforzarsi di riflettere la verità, partecipando del suo splendore. "Quandoque iustitia veritas vocatur", ricorda san Tommaso (II-II 58,4 ad 1), vedendo il motivo di ciò nell'esigenza che la giustizia pone di essere attuata secondo la retta ragione, cioè secondo verità. E' legittimo, pertanto, parlare dello "splendor iustitiae" ed anche dello "splendor legis": compito di ogni ordinamento giuridico, infatti, è il servizio della verità, "unico fondamento saldo su cui può reggersi la vita personale, coniugale e sociale" (Allocuzione alla Rota: AAS, 1990, 82,875). E' doveroso, quindi, che le leggi umane aspirino a rispecchiare in sé lo splendore della verità. Ovviamente, ciò vale anche della applicazione concreta di esse, che è pure affidata ad operatori umani.

L'amore per la verità non può non tradursi in amore per la giustizia e nel conseguente impegno di stabilire la verità nelle relazioni all'interno della società umana; né può mancare da parte dei sudditi, l'amore per la legge e per il sistema giudiziario, che rappresentano lo sforzo umano per offrire norme concrete nella risoluzione dei casi pratici.


3. E' necessario, per questo, che quanti, nella Chiesa, amministrano la giustizia giungano, grazie all'assiduo colloquio con Dio nella preghiera, ad intravederne la bellezza. Ciò li disporrà, tra l'altro, ad apprezzare la ricchezza di verità del nuovo Codice di Diritto Canonico, riconoscendone la fonte ispiratrice nel Concilio Vaticano II, le cui direttive altro scopo non hanno se non quello di promuovere la vitale comunione di ciascun fedele con Cristo e con i fratelli.

La legge ecclesiastica si preoccupa di proteggere i diritti di ciascuno nel contesto dei doveri di tutti verso il bene comune. Osserva, al riguardo, il Catechismo della Chiesa Cattolica: "...la giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l'armonia che promuove l'equità nei confronti delle persone e del bene comune" (CEC 1807).

Quando i Pastori e i Ministri della giustizia incoraggiano i fedeli, non soltanto ad esercitare i diritti ecclesiali, ma a prendere anche coscienza dei propri doveri per adempierli fedelmente, proprio a questo vogliamo indurli: a fare esperienza personale ed immediata dello "splendor legis". Infatti il fedele che "riconosce, sotto l'impulso dello Spirito, la necessità di una profonda conversione ecclesiologica, trasformerà l'affermazione e l'esercizio dei suoi diritti in assunzione dei doveri di unità e di solidarietà per l'attuazione dei valori superiori del bene comune" (Allocuzione alla Rota, AAS 1979, 71, 425s).

Per contro, la strumentalizzazione della giustizia al servizio di interessi individuali o di forme pastorali, sincere forse, ma non basate sulla verità, avrà come conseguenza il crearsi di situazioni sociali ed ecclesiali di sfiducia e di sospetto, in cui i fedeli saranno esposti alla tentazione di vedere soltanto una lotta di interessi rivali, e non uno sforzo comune per vivere secondo diritto e giustizia.


4. Tutta l'attività del Giudice ecclesiastico, come ebbe ad esprimersi il mio venerato predecessore Giovanni XXIII, consiste nell'esercizio del "ministerium veritatis" (Allocuzione alla Rota, AAS 1961, 53, 819). In questa prospettiva è facile capire come il Giudice non possa fare a meno di invocare il "lumen Domini" per poter distinguere la verità in ogni singolo caso. A loro volta, pero, le parti interessate non dovrebbero mancare di chiedere per sé nella preghiera la disposizione di accettazione radicale della decisione definitiva, pur dopo aver esaurito ogni mezzo legittimo per contestare ciò che in coscienza ritengono non corrispondente alla verità o alla giustizia del caso.

Se gli amministratori della legge si sforzeranno di osservare un atteggiamento di piena disponibilità alle esigenze della verità, nel rigoroso rispetto delle norme procedurali, i fedeli potranno conservare la certezza che la società ecclesiale sviluppa la sua vita sotto il regime della legge; che i diritti ecclesiali sono protetti dalla legge; che la legge, in ultima analisi, è occasione di una risposta amorosa alla volontà di Dio.


5. La verità tuttavia non è sempre facile: la sua affermazione risulta a volte assai esigente. Ciò non toglie che essa debba essere sempre rispettata nella comunicazione e nelle relazioni fra gli uomini. Altrettanto vale per la giustizia e per la legge: anch'esse non sempre si presentano facili. Il compito del legislatore - universale o locale - non è agevole. Dovendo la legge riguardare il bene comune - "omnis lex ad bonum commune ordinatur" (I-II, q. 90, art. 2) - è ben comprensibile che il legislatore chieda, se necessario, sacrifici anche gravosi ai singoli. Questi, per parte loro, vi corrisponderanno con l'adesione libera e generosa di chi sa riconoscere, accanto ai propri, anche i diritti degli altri. Ne seguirà una risposta forte, sostenuta da spirito di sincera apertura alle esigenze del bene comune, nella consapevolezza dei vantaggi che da esso derivano, in definitiva, al singolo stesso.

E' a voi ben nota la tentazione di ridurre, in nome di una concezione non retta della compassione e della misericordia, le esigenze pesanti poste dall'osservanza della legge. Al riguardo occorre ribadire che, se si tratta di una violazione che tocca soltanto la persona, è sufficiente rifarsi all'ingiunzione: "Va' e d'ora in poi non peccare più" (Jn 8,11). Ma se entrano in gioco i diritti altrui, la misericordia non può essere data o accolta senza far fronte agli obblighi che corrispondono a questi diritti.

Doverosa è pure la messa in guardia nei confronti della tentazione di strumentalizzare le prove e le norme processuali, per raggiungere un fine "pratico" che forse viene considerato "pastorale", con detrimento pero della verità e della giustizia. Rivolgendomi a voi alcuni anni addietro, facevo riferimento ad una "distorsione" nella visione della pastoralità del diritto ecclesiale: essa "consiste nell'attribuire portata ed intenti pastorali unicamente a quegli aspetti di moderazione e di umanità che sono immediatamente collegabili con l'aequitas canonica; ritenere cioè che solo le eccezioni alle leggi, l'eventuale non ricorso ai processi ed alle sanzioni canoniche, lo snellimento delle formalità giuridiche abbiano vera rilevanza pastorale". Ma ammonivo che, in tal modo, facilmente si dimentica che "anche la giustizia e lo stretto diritto - e di conseguenza le norme generali, i processi, le sanzioni e le altre manifestazioni tipiche della giuridicità, qualora si rendano necessarie - sono richiesti nella Chiesa per il bene delle anime e sono pertanto realtà intrinsecamente pastorali" (Allocuzione alla Rota - AAS 1990, 82,873). E' pur vero che non sempre è facile risolvere il caso pratico secondo giustizia. Ma la carità o la misericordia - ricordavo nella stessa occasione - "non possono prescindere dalle esigenze della verità. Un matrimonio valido, anche se segnato da gravi difficoltà, non potrebbe essere considerato invalido, se non facendo violenza alla verità e minando, in tal modo, l'unico fondamento saldo su cui può reggersi la vita pastorale, coniugale e sociale" (Jn 875). Sono principi, questi, che sento il dovere di ribadire con particolare fermezza nell'Anno della Famiglia, mentre ci s'avvede con sempre maggior chiarezza dei rischi a cui una malintesa "comprensione" espone l'istituto familiare.


6. Un giusto atteggiamento verso la legge, infine, tiene conto anche della sua funzione di strumento a servizio del buon funzionamento della società umana e, per quella ecclesiale, dell'affermazione in essa della "communio".

Per alimentare l'autentica "communio", quale il Concilio Vaticano II la descrive, è assolutamente necessario fomentare un retto senso della giustizia e delle sue ragionevoli esigenze.

Proprio per questo, preoccupazione del legislatore e degli amministratori della legge sarà, rispettivamente, di creare ed applicare norme basate sulla verità di ciò che è doveroso nelle relazioni sociali e personali.

L'autorità legittima dovrà poi impegnarsi e promuovere la retta formazione della coscienza personale (VS 75), perché, se ben formata, la coscienza aderisce naturalmente alla verità ed avverte in se stessa un principio di obbedienza che la spinge ad adeguarsi alla direttiva della legge (cfr. ibid. VS 60; DEV 43).

7. In tal modo, sia nell'ambito individuale come in quello sociale e specificamente ecclesiale, verità e giustizia potranno sprigionare il loro splendore: di esso ha oggi bisogno come non mai l'umanità intera per trovare la retta via e la sua meta finale in Dio.

Quale importanza ha dunque il vostro lavoro, illustri Prelati Uditori e cari componenti della Rota Romana. Confido che le considerazioni ora svolte vi siano di stimolo e di sostegno nello svolgimento della vostra attività, per la quale vi esprimo il mio augurio più cordiale ed insieme l'assicurazione di uno speciale ricordo nella preghiera.

A conferma di questi sentimenti volentieri vi imparto la mia Benedizione, con la quale intendo abbracciare anche tutti coloro che nella Chiesa attendono al delicato compito dell'amministrazione della giustizia.

Data: 1994-01-28 Data estesa: Venerdi 28 Gennaio 1994






GPII 1994 Insegnamenti - Pressante appello al termine dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)