GPII 1994 Insegnamenti - Udienza: il discorso ai membri della Penitenzieria Apostolica e ai Padri penitenzieri delle Basiliche Romane - Sala Clementina, Città del Vaticano (Roma)

Udienza: il discorso ai membri della Penitenzieria Apostolica e ai Padri penitenzieri delle Basiliche Romane - Sala Clementina, Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La divina istituzione e la legge della Chiesa obbligano il sacerdote al totale silenzio sui contenuti della Confessione "fino all'effusione del sangue"




1. Ringrazio il Signore, che anche quest'anno mi offre la gioia della vostra presenza: di Lei, Signor Cardinale Penitenziere Maggiore, che ringrazio per i sentimenti espressi nell'indirizzo rivoltomi; di voi, Prelati ed Officiali della Penitenzieria, Padri Penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche patriarcali dell'Urbe. Sono lieto di accogliere anche voi, giovani Sacerdoti o prossimi ordinandi al Presbiterato, che anticipate nel desiderio il vostro sacro ministero, e che perciò, in rapporto ad una delle più alte e delicate attuazioni di esso, vi siete voluti specificamente preparare profittando del corso sul foro interno, che ogni anno la Penitenzieria Apostolica organizza e svolge.

Questa gioia deriva, in primo luogo, dalla constatazione della vostra sincera devozione alla Cattedra di Pietro, la cui "potior principalitas" il Cardinale Baum ha ricordato rifacendosi alla veneranda testimonianza di Ireneo. E' una gioia che scaturisce poi dall'opportunità che il nostro incontro mi offre di tornare su temi attinenti al sacramento della Penitenza, sempre di vitale importanza per la Chiesa e oggi di speciale attualità.


2. Mentre apro il mio animo riconoscente ai Membri della Penitenzieria e ai Padri Penitenzieri, perché dedicano il meglio delle loro energie alla pastorale della Riconciliazione, sottolineo che l'esistenza di un Dicastero con tale specifico compito, e la destinazione a tempo pieno di tanti Sacerdoti, appartenenti a illustri Famiglie religiose, a questo ministero nelle principali Basiliche di Roma indicano il posto privilegiato che la Santa Sede attribuisce a questa funzione sacramentale.

Mi è caro specificare che il ringraziamento va, oltre che ai singoli Padri Penitenzieri, anche alle loro Famiglie religiose, perché esse, ben comprese di questa esigenza e del singolare frutto di bene che ne consegue, in armonica cooperazione con la Penitenzieria Apostolica e sulla base di secolari disposizioni emanate dai Sommi Pontefici, generosamente provvedono, a costo di sacrificio, i soggetti idonei, e con superiore spirito subordinano certe peculiarità delle loro consuetudini al preminente compito assegnato dalla Santa Sede.


3. Desidero ancora mettere in rilievo la vostra provenienza dai vari Continenti.

Questa circostanza corrisponde all'intenzione del Papa di far pervenire a tutti i confessori del mondo la sua meditazione, la sua raccomandazione, la sua speranza a proposito del ministero della Riconciliazione. Esso deve essere protetto nella sua sacralità, oltre che per i motivi teologici, giuridici, psicologici, sui quali mi sono intrattenuto nelle precedenti analoghe allocuzioni, anche per il rispetto amoroso dovuto al suo carattere di rapporto intimo tra il fedele e Dio. E' Dio infatti Colui che il peccato offende ed è ancora Dio che perdona il peccato, Lui che scruta "ciò che è nell'uomo", cioè la coscienza personale, e si degna di associarsi in questo colloquio risanatore e santificatore l'uomo Sacerdote, elevandolo alla ineffabile prerogativa di agire "in persona Christi".

Avendo Nostro Signore Gesù Cristo stabilito che il fedele accusi i suoi peccati al ministro della Chiesa, con ciò stesso ha sancito, l'incomunicabilità assoluta dei contenuti della confessione rispetto a qualunque altro uomo, a qualunque altra autorità terrena, in qualunque situazione. La disciplina canonica vigente regola questo diritto/dovere, fondato sulla divina istituzione, con i CIO 728, §1, n. 1, e CIO 1456, §1, del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, per le Chiese di quel Rito e, per la Chiesa di Rito Latino, con i CIC 983 CIC 1388 del Codice di Diritto Canonico. Ed è molto significativo che il nuovo Codice, pur avendo mitigato in quasi tutte le altre sfere del diritto penale le sanzioni contro i trasgressori, a questo proposito invece ha mantenuto in vigore le massime pene.


4. Al Sacerdote che riceve le confessioni sacramentali è fatto divieto, senza eccezione, di rivelare l'identità del penitente e le sue colpe; e precisamente, per quanto riguarda le colpe gravi, il Sacerdote non può farne parola nemmeno nei termini più generici; per quanto riguarda le colpe veniali, non può assolutamente manifestarne la specie, tanto meno l'atto singolare.

Non basta pero rispettare il silenzio per quanto attiene alla identificazione della persona e delle sue colpe: bisogna rispettarlo anche evitando qualunque manifestazione di fatti e circostanze, il cui ricordo, pur non trattandosi di peccati, può spiacere al penitente, specialmente se il farne parola gli comporta un inconveniente: si veda in proposito il Decreto del S. Uffizio (DS 2 DS 195) che condanna categoricamente non solo la violazione del sigillo, ma anche l'uso della scienza acquisita in confessione, quando ciò comporta comunque il "gravamen paenitentis". Tale assoluto segreto riguardo ai peccati e la doverosa rigida cautela per gli altri fattori qui ricordati legano il Sacerdote non solo vietando una ipotetica rivelazione a terze persone, ma anche l'accenno dei contenuti della confessione allo stesso penitente fuori del sacramento, salvo esplicito, e tanto meglio se non richiesto, consenso da parte di lui.


5. Direttamente questa totale riservatezza è a beneficio del penitente. Di conseguenza, non sussiste per lui né peccato né pena canonica, se spontaneamente e senza provocare danni a terzi rivela fuori confessione quanto ha accusato. Ma è evidente che, almeno per un patto implicito nelle cose, per un dovere di equità, e, vorrei dire, per un senso di nobiltà verso il Sacerdote confessore, egli deve a sua volta rispettare il silenzio su ciò che il confessore, confidando nella sua discrezione, gli manifesta all'interno della confessione sacramentale.

A questo riguardo, è mio dovere richiamare e confermare quanto, mediante Decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede (cfr. AAS 80, (1988) 1.367), è stato disposto per reprimere ed impedire l'oltraggio alla sacralità della confessione, perpetrato mediante i mezzi di comunicazione sociale.

Debbo inoltre deplorare alcuni disdicevoli e dannosi episodi di indiscrezione che, in questa materia, si sono verificati di recente con sconcerto e pena dei fedeli: "Ne transeant in exemplum!".


6. Considerino qui i Sacerdoti che le loro leggerezze ed imprudenze in questo campo, anche se non toccano gli estremi previsti dalla legge penale, producono scandalo, scoraggiano i fedeli dall'accostarsi al sacramento della Penitenza, oscurano una gloria due volte millenaria che ha avuto anche i suoi martiri: ricordo per tutti San Giovanni Nepomuceno.

Considerino a loro volta i fedeli che si accostano al sacramento della Penitenza, che, chiamando in causa il Sacerdote confessore, attaccano un uomo senza difesa: la divina istituzione e la legge della Chiesa lo obbligano infatti al totale silenzio "usque ad sanguinis effusionem".

Confido che per nessuno dei presenti valga, grazie a Dio, il rimprovero; ma per tutti vale il monito, e tutti dobbiamo con assidua preghiera implorare l'eroismo di una fedeltà incontaminata al sacro silenzio.

Per non rimanere solo con questa impressione negativa, vorrei aggiungere le cose positive che si vedono, soprattutto la grande affluenza dei penitenti che si confessano a Roma e altrove, specialmente nei Santuari. C'è una rinascita del Sacramento, soprattutto tra i giovani, come si è notato nelle Giornate Mondiali della Gioventù, specialmente a Denver.

Se non mancano i penitenti, non mancano nemmeno i confessori. Se una volta si poteva temere che il Sacramento della Riconciliazione stesse per essere dimenticato, oggi si assiste ad una sua rinascita.

Questo vuol dire che lo Spirito Santo è sempre presente ed opera attraverso di noi, opera sopra di noi, trova le sue strade e noi dobbiamo ricevere i frutti del suo lavoro.

Per questo mi rallegro. Vorrei che il nostro incontro di oggi fosse anche un incontro di gioia, fosse un incontro pre-pasquale, con i voti pasquali che sono sempre di grande gioia per la Risurrezione.

La Risurrezione è sempre presente nel Sacramento della Penitenza e tanti risorgono, anche i grandi peccatori. E' merito di molti movimenti che hanno suscitato la consapevolezza dell'importanza del Sacramento della Penitenza e del perdono anche nei criminali o nei brigatisti. Io ho parlato con queste persone.

Dobbiamo sempre ritornare alla sacra memoria dei grandi confessori della Chiesa come erano San Giovanni Nepomuceno, il Curato d'Ars, Jean-Marie Vianney, e come è stato Padre Pio nei nostri tempi. Anche a Roma si conoscono molti grandi confessori del passato e del presente fra i diversi Padri delle Congregazioni religiose. Ci sono veri martiri del confessionale in diverse chiese romane come nella Basilica di San Pietro.

Affido alla misericordia di Gesù, Sommo ed Eterno Sacerdote e alle preghiere di Maria SS.ma, Madre della Chiesa e Rifugio dei peccatori, queste esortazioni e questi voti, mentre, quale pegno di costante affetto, a tutti imparto la mia Benedizione.

Data: 1994-03-12 Data estesa: Sabato 12 Marzo 1994





Udienza: il discorso ad oltre 1.300 pellegrini provenienti dalla Slovacchia - Aula della Benedizione, Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Senza la fede delle famiglie cattoliche la Chiesa non può vivere: lo testimoniate voi che uscite da una lunga e dura persecuzione religiosa

Signori Cardinali, Venerati fratelli nell'Episcopato, Carissimi fratelli e sorelle della Slovacchia!


1. Benvenuti nella Casa di Pietro! Quattro anni or sono, salutando i fedeli slovacchi al termine della memorabile Celebrazione eucaristica all'Aeroporto di Vajnory (Bratislava), manifestai il desiderio che quello non fosse un "addio", ma un "arrivederci".

Ebbene, carissimi, oggi il Signore mi dona di incontrarmi nuovamente con la vostra amata gente, che voi ben rappresentate mediante questo pellegrinaggio così numeroso.

Quasi ogni settimana ho la gioia di accogliere in Udienza folti gruppi di pellegrini slovacchi, ma quello di oggi è un incontro speciale. Speciale è infatti il motivo che vi ha condotti qui, un motivo di gioia e di festa: le felici ricorrenze del settantesimo compleanno e del quarantacinquesimo di Sacerdozio del caro Cardinale Jozef Tomko, che saluto con fraterno affetto, porgendogli le mie fervide felicitazioni e rinnovandogli la riconoscenza per il prezioso servizio che svolge per l'edificazione della Chiesa, secondo quanto recita il motto del suo stemma episcopale: "ut Ecclesia aedificetur".

Sono lieto di salutare, con lui, il Cardinale Jan Chryzostom Korec, S.I.; come pure il Vescovo e i fedeli della Diocesi di Kosice e della Parrocchia di Udavské, comunità di origine del Cardinale Tomko. Saluto anche ciascuno dei Vescovi e dei Sacerdoti presenti, i Religiosi e le Religiose, primizie del Regno di Dio nella vostra terra; un benvenuto speciale va poi alle famiglie, in questo Anno a loro dedicato. Senza la fede delle famiglie cattoliche, la Chiesa non può vivere, e di questo siete testimoni tutti voi, che uscite da un lungo periodo di dura persecuzione religiosa.


2. La Chiesa che è in Slovacchia si è recentemente rialzata in piedi, ed ora riprende a camminare con nuovo vigore. E' questo dunque un tempo di risveglio, di rinascita, di rinnovamento spirituale - come anche ci suggerisce la Quaresima che stiamo vivendo: bisogna "rinascere dall'alto" (Jn 3,3 Jn 3,7), dall'alto dell'amore di Dio e della fedeltà alla sua grazia ed alla sua verità.

Bisogna rinascere tornando alle radici spirituali che il Regno di Dio ha affondato nella terra e nella storia degli uomini. Per voi, queste radici sono quelle poste dai Santi Cirillo e Metodio. La vostra odierna visita è un pellegrinaggio alla tomba di Pietro, qui a Roma, dove riposa anche il corpo di Cirillo; è un contraccambio per il pellegrinaggio che il Vescovo di Roma ha fatto ai luoghi legati alla vita di san Metodio. Quel giorno memorabile dissi quanto oggi qui vi ripeto: "Rimanete nella libertà per la quale vi ha liberati Cristo (cfr. Ga 5,1)".

Gesù Cristo sia sempre la luce, la vita e la vittoria del popolo slovacco. Cirillo e Metodio continuino ad essere i vostri maestri, in ogni epoca, in ogni situazione ecclesiale; guardate sempre a loro per riconoscere il primato della fede, della preghiera, della Parola di Dio; guardate a loro per discernere come il Vangelo può incontrare la vita, illuminarla, purificarla, elevarla.


3. Da queste medesime radici viene anche il vero rinnovamento morale del vostro popolo, a partire dalla coscienza di ciascun battezzato per fruttificare nella vita personale e in quella familiare, e per raggiungere poi l'intera società, promuovendo il bene comune nella concordia e nella solidarietà.

Seguo con partecipe attenzione questo cammino di rinnovamento, che si sviluppa nel quadro del programma pastorale decennale. Vi esorto a perseverare con slancio rinnovato "perché il valore della vostra fede... torni a vostra lode, gloria e onore" (1P 1,7) - come scriveva l'Apostolo Pietro "ai fedeli dispersi" (ivi 1,1) nell'Asia Minore -.

Esprimo il mio apprezzamento per la crescita delle vostre Comunità nella dimensione religiosa, grazie ad opportune iniziative pastorali, che incoraggio a proseguire con impegno. In particolare, penso al campo della pastorale familiare, coltivando il quale si pongono le basi anche per la formazione delle nuove generazioni. Al riguardo, prego affinché i seminari ed i noviziati siano sempre animati da intenso fervore spirituale ed apostolico, secondo la bella tradizione della vostra terra.

I movimenti laicali offrono un contributo indispensabile a questa crescita, promuovendo la spiritualità e l'attività nei diversi ambiti di vita, fra i quali si distinguono quelli della famiglia, dei malati e dei disabili.

Un frutto prezioso e significativo della collaborazione con la divina provvidenza è certamente la cooperazione missionaria, che le vostre Comunità vanno sviluppando, dimostrando ancora una volta che, quando una Chiesa ha sofferto per la fede, diventa capace di trasfondere energia al Corpo mistico di Cristo.


4. Proprio ai fedeli laici desidero rivolgere una speciale parola di incoraggiamento, anche in consonanza con quanto vado esponendo in queste settimane durante l'ordinaria Catechesi del mercoledi.

Cari fratelli e sorelle, vi esorto ad assumervi con generosità le responsabilità che a voi competono nei diversi ambiti della vita pubblica: della cultura, dell'economia, della politica, dei mezzi di comunicazione sociale. Non si tratta naturalmente di occupare spazi per interessi egoistici, e nemmeno di utilizzare mezzi illeciti per fini buoni: tutto ciò anzi rappresenta una tentazione da cui guardarsi. Si tratta invece di obbedire alla ben diversa logica evangelica del lievito, che dall'interno fa fermentare tutta la massa. E' la logica del Regno di Dio, il quale fa appello alla disponibilità ed anche al coraggio dei laici, sia come singoli, sia come gruppi.

La situazione attuale, dopo l'entusiasmo della liberazione, si presenta con alcune difficoltà, quali la disoccupazione e la svalutazione, che richiedono impegno e rigore da parte di tutti. E' importante non perdersi d'animo, non lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento, non reagire in modo individualistico, cercando ciascuno di difendere il proprio interesse, bensi aiutarsi vicendevolmente, facendo di queste difficoltà un'occasione per crescere insieme, uniti.

Voi, membri della Chiesa, siete chiamati in tale contesto a diffondere nel corpo sociale uno spirito di rispetto reciproco tra le sue diverse componenti, affinché esse possano convivere in modo costruttivo. Il Signore vi manda come suoi messaggeri: ora che la libertà religiosa è stata riaffermata, è l'epoca di una nuova evangelizzazione, che comincia dalla coraggiosa testimonianza dei credenti nella vita di ogni giorno. Grazie a Dio, è passato il tempo della persecuzione, ma non è passato e non passerà mai il tempo di "rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1P 3,15).


5. Ecco, carissimi, i pensieri che volevo lasciarvi. Affidiamoli alla materna intercessione di Maria Santissima e dei Santi Cirillo e Metodio, insieme con tutti i propositi e le preghiere che le vostre Comunità e le vostre famiglie portano in sé.

Rinnovo la mia viva riconoscenza per questa visita che avete voluto rendere al Successore di Pietro, insieme con i voti più fervidi per il Cardinale Jozef Tomko, a cui auguro di proseguire a lungo e con frutto il suo prezioso ministero. A tutti voi domando un costante ricordo nella preghiera per le intenzioni del Papa ed imparto di cuore la Benedizione Apostolica, che estendo ai vostri cari - in modo speciale ai malati, agli anziani, ai bambini - ed all'intero popolo slovacco.

Data: 1994-03-12 Data estesa: Sabato 12 Marzo 1994





Angelus: verso la prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Chiesa che è in Africa sente urgentemente l'esigenza dell'ecumenismo e del dialogo inter-religioso

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Tra un mese circa inizierà l'Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi dedicata all'evangelizzazione in Africa, continente ricco di valori culturali e religiosi.

I cristiani, pur essendo numerosi, rappresentano solo una parte della società africana; i cattolici sono circa il 13% della popolazione totale.

A contatto con l'Islam, con le religioni tradizionali e con i credenti di altre confessioni cristiane, la Chiesa sente fortemente, in quel continente, l'urgenza dell'ecumenismo e del dialogo inter-religioso.

Non si tratta di una semplice esigenza pratica o di una opportunità dettata dalle circostanze. Oggi, in realtà, sarebbe inconcepibile una vita ecclesiale non dialogica e non ecumenica. A ricordarcelo, cade provvidenzialmente, in quest'anno, la ricorrenza del trentesimo anniversario dell'Enciclica Ecclesiam suam di Paolo VI, che, nel 1964, volle appunto disegnare una teologia del dialogo, articolandola nell'ampio orizzonte di tre "cerchi" concentrici: quello fondamentale e globale, comprendente tutto il vasto raggio dell'umano, al cui interno si pone il cerchio più specifico del rapporto con le diverse esperienze religiose, e quello poi propriamente ecumenico del dialogo con i cristiani di altre confessioni. Il tutto animato dalla profonda esperienza del dialogo di Dio con l'uomo e da un cordiale atteggiamento di apertura all'interno stesso della Chiesa (cfr. Enchiridion Vaticanum, 2/189-210).


2. Il cattolicesimo africano si trova nelle condizioni più stimolanti per sviluppare tale programma apostolico e pastorale. Certamente, non si tratta di un impegno facile. Soprattutto, esso non può essere autentico e fruttuoso, se non si radica in una forte consapevolezza dell'identità cristiana. Sono per lo più molto giovani le comunità ecclesiali dell'Africa e si proiettano generosamente verso il futuro. E' la loro originalità e la loro forza! Esse sanno bene, tuttavia, che il futuro cristiano affonda le radici in quella giovinezza antica e sempre nuova che è propria del Vangelo. L'anima del cammino della Chiesa nella storia è sempre la fedeltà a Cristo, nel rispetto della viva tradizione ecclesiale.

Tale fedeltà è tuttavia ben lontana da un sentimento di orgogliosa autosufficienza, giacché proprio il Vangelo ci ricorda che lo Spirito di Dio "soffia dove vuole" (Jn 3,8). A Lui occorre tendere l'orecchio, per discernere quanto di autentico, di giusto, di vero, si trova nella storia e nella esperienza degli uomini. Raccogliere tutto ciò e saperlo valorizzare è necessario anche per una profonda inculturazione della fede.


3. Carissimi fratelli e sorelle, chiediamo alla Vergine Santa di guidare con mano sicura, su questi temi così delicati, la riflessione della prossima Assemblea sinodale. Si aprono in Africa provvidenziali vie di evangelizzazione: vie promettenti, ma talora non prive di insidie! Ci ottenga Maria, Regina dell'Africa, il dono della sapienza e un atteggiamento di docile ascolto dello Spirito di Dio.

(Dopo la recita della preghiera mariana, Giovanni Paolo II ha così salutato alcuni gruppi presenti:) Rivolgo ora un saluto affettuoso ai giovani del Movimento Missionario d'Abruzzo e Molise, presenti oggi in Piazza San Pietro ed al gruppo di cresimandi della parrocchia "Santa Maria del Popolo", di Villalba di Guidonia.

Vi incoraggio, cari ragazzi e ragazze, a non perdervi mai d'animo nel quotidiano impegno di annunciare e condividere la fede con quanti non hanno ancora incontrato o conosciuto Cristo. Ricordate: "Il Signore è fedele. Egli vi confermerà e vi custodirà dal maligno" (2Th 3,3). Sono parole dell'apostolo Paolo, che il Papa oggi vi ripete, accompagnandole con la sua Benedizione.

Data: 1994-03-13 Data estesa: Domenica 13 Marzo 1994





Visita pastorale: l'omelia durante la Santa Messa nella parrocchia di San Francesco di Sales - Roma

Titolo: Guardiamo a Cristo Crocifisso per guarire dal peccato e camminare nella luce


1. La parola chiave nella Liturgia della Parola di oggi è questa: "Dives in misericordia" - Dio ricco di misericordia. E' stata per me una parola chiave dall'inizio del Pontificato, del mio Ministero qui a Roma. Questa ispirazione è stata portata nella mia Patria, a Cracovia, attraverso una suora semplice che si chiamava Faustina, probabilmente conosciuta anche a Roma, conosciuta in tutto il mondo, benché vivesse molto nascosta in Cristo. Ha vissuto tra le due guerre mondiali. E' una grande mistica, una delle più grandi nella storia della Chiesa. Aveva una vicinanza stupenda a Gesù. E Gesù si è rivelato a lei come misericordioso. Esistono quadri, immagini di Gesù misericordioso con il cuore trafitto.

Venendo da questo ambiente ho portato qui una ispirazione, quasi un dovere: tu non puoi non scrivere sulla misericordia. così è nata la seconda Enciclica del Pontificato: "Dives in misericordia" - Dio ricco di misericordia.


2. Chi è questo Dio "ricco di misericordia"? Ce lo spiega Gesù parlando in una conversazione notturna con Nicodemo. Dice così: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Jn 3,16-17). Queste parole profondissime, che costituiscono quasi il nucleo della Rivelazione cristiana, vengono poi illustrate da un esempio, una parabola particolare della vita di Mosè.

Sappiamo bene che Mosè era un grande condottiero, un grande profeta del suo popolo. Ha condotto gli ebrei dall'Egitto, dalla schiavitù alla Terra Promessa attraverso il deserto per quarant'anni. In questo cammino, in questo itinerario c'è stata una tappa molto difficile: i serpenti attaccavano gli ebrei e questi dovevano morire. Allora, in quel momento, Mosè riceve da Dio, da Javhé, un comando: "Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita" (Num 21,8).

E' un simbolo, è più di un simbolo: è la profezia della Croce. Chi guarda a Gesù Crocifisso sarà guarito fisicamente ma soprattutto guarito spiritualmente, salvato dai suoi peccati.

E' questo il messaggio centrale, costitutivo del Vangelo.


3. Dopo queste parole Gesù, nel Vangelo di San Giovanni, aggiunge altre parole che sono molto significative, molto quaresimali. Gesù parla di camminare nelle tenebre o camminare nella luce. Dice: dobbiamo camminare nella luce. Chi cammina nella luce, chi si avvicina alla luce, compie buone opere. Se le sue opere sono buone, egli vuole essere nella luce. Se le sue opere non sono buone, sono cattive, vergognose, allora non vuole apparire, non vuole trovarsi nella luce, vuole rimanere nelle tenebre.

Queste parole sono quasi un'indicazione classica di quanto dobbiamo fare durante la Quaresima. Dobbiamo avvicinarci alla luce della nostra coscienza, alla luce del Sacramento della Riconciliazione, della Penitenza. Dobbiamo avvicinarci per camminare nella luce.


4. Questo è il terzo elemento della Parola di Dio di oggi. Rimane ancora un elemento, il quarto, che vorrei sottolineare per una circostanza particolare.

Dopodomani, il 15 marzo, dobbiamo incominciare quello a cui ho già invitato tante volte l'Italia, la Chiesa che è in questo Paese: una grande preghiera per l'Italia. Dobbiamo incominciare questa preghiera nella Basilica di San Pietro, vicino al sepolcro di San Pietro, alle sue reliquie, là dove è incominciata la storia del vostro Paese, della Chiesa nel vostro Paese: le due cose vanno insieme. Dobbiamo incominciare là questa preghiera con i Vescovi italiani, con il nostro Cardinale, con tutti i Vescovi. Dobbiamo incominciare nel nome della Alleanza che Dio ha sancito una volta col vostro popolo.

Oggi la prima Lettura ci ricorda l'antica Alleanza che Dio ha sancito con il suo popolo Israele. Dio era fedele a questa Alleanza. Quando Israele era infedele, Egli puniva Israele. Dopo sessanta anni in Babilonia, Dio dette ordine a Ciro, re di Persia, di lasciare liberi gli israeliti per ricostruire il tempio, perché Dio è liberatore, Dio è fedele alle sue promesse, alle sue alleanze.

Io sono convinto - e tutti i Vescovi, tutti i cristiani in Italia ne sono convinti - che Dio ha sancito questa Alleanza con tutta l'umanità, con tutti i popoli, con tutte le Nazioni, anche con il vostro popolo, con la Nazione italiana, da duemila anni. Adesso dobbiamo invocare questa fedeltà di Dio, dobbiamo renderci fedeli a lui, come Italiani, come Popolo che è stato oggetto di una grande scelta, che ha ricevuto i più grandi Apostoli, Pietro e Paolo.

Ci saranno diverse tappe di questa preghiera durante tutto l'anno, cominciando dal 15 marzo sino alla festa della Madonna di Loreto, il 10 dicembre.


5. Queste sono le cose che volevo dirvi. Ancora una volta saluto tutti i presenti, come ho fatto prima della Messa. Saluto anche tutti i componenti della vostra comunità. Non avete ancora la chiesa, tempio edificato dalle pietre. Ma voi siete "pietre vive". E abbiamo speranza, insieme con il vostro parroco, che un giorno avrete anche la chiesa.

Sia lodato Gesù Cristo!

Data: 1994-03-13 Data estesa: Domenica 13 Marzo 1994





Lettera ai sacerdoti per il Giovedi Santo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Vi consegno la "Lettera alle Famiglie"

Cari fratelli nel sacerdozio!


1. Ci incontriamo oggi intorno all'Eucaristia, nella quale, come ricorda il Concilio Vaticano II, "è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa" (PO 5). Quando nella liturgia del Giovedi Santo facciamo memoria dell'istituzione dell'Eucaristia, ci è ben chiaro quello che Cristo ci ha lasciato in così sublime Sacramento. "Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amo sino alla fine" (Jn 13,1).

Quest'espressione di San Giovanni racchiude, in un certo senso, l'intera verità sull'Eucaristia: verità che costituisce contemporaneamente il cuore della verità sulla Chiesa. E', infatti, come se la Chiesa nascesse quotidianamente dall'Eucaristia, celebrata in molti luoghi della terra in condizioni tanto varie e fra culture così diverse, da far si che il rinnovarsi del mistero eucaristico diventi quasi una giornaliera "creazione". Grazie alla celebrazione dell'Eucaristia, matura sempre più la coscienza evangelica del popolo di Dio, sia nelle nazioni di secolare tradizione cristiana, sia nei popoli da poco entrati nella dimensione nuova che sempre e dappertutto viene conferita alla cultura degli uomini dal mistero dell'incarnazione del Verbo e dalla redenzione mediante la sua morte in croce e la sua resurrezione. Il "Triduo Sacro" ci introduce in questo mistero in modo unico per tutto l'anno liturgico. La liturgia dell'istituzione dell'Eucaristia costituisce una singolare anticipazione della Pasqua, che si sviluppa attraverso il Venerdi Santo e la Veglia pasquale fino alla Domenica e all'Ottava della Risurrezione.

Alla soglia della celebrazione di questo grande mistero della fede, cari fratelli nel Sacerdozio, voi vi incontrate, oggi, intorno ai vostri rispettivi Vescovi, nelle cattedrali delle Chiese diocesane, per rivivere l'istituzione del Sacramento del Sacerdozio insieme con quello dell'Eucaristia. Il Vescovo di Roma celebra tale liturgia circondato dal Presbiterio della sua Chiesa, così come fanno i miei Fratelli nell'episcopato insieme con i presbiteri delle loro Comunità diocesane.

Ecco il motivo dell'odierno appuntamento. Desidero che in questa circostanza giunga a voi una mia speciale parola, affinché tutti insieme possiamo vivere appieno il grande dono che Cristo ci ha elargito. Per noi presbiteri, infatti, il Sacerdozio costituisce il dono supremo, una particolare chiamata a partecipare al mistero di Cristo, che ci conferisce la sublime possibilità di parlare e di agire a suo nome. Ogni volta che celebriamo l'Eucaristia, questa possibilità diventa realtà. Operiamo "in persona Christi" quando, nel momento della consacrazione, pronunciamo le parole: "Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi (...). Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me". Facciamo proprio questo: con umiltà grande e profonda gratitudine.

Questo atto sommo ed allo stesso tempo semplice della nostra missione quotidiana di sacerdoti allarga, si potrebbe dire, la nostra umanità fino agli estremi confini.

Partecipiamo al mistero dell'incarnazione del Verbo, "generato prima di ogni creatura" (Col 1,15), che nell'Eucaristia restituisce al Padre tutto il creato, il mondo del passato e quello del futuro, e prima di tutto il mondo contemporaneo, nel quale egli vive insieme con noi, è presente per mezzo nostro e proprio per nostro mezzo offre al Padre il sacrificio redentore. Partecipiamo al mistero di Cristo, "il primogenito di coloro che risuscitano dai morti" (Col 1,18), che nella sua Pasqua trasforma incessantemente il mondo facendolo progredire verso "la rivelazione dei figli di Dio" (Rm 8,19). così, dunque, l'intera realtà, in ogni suo ambito, si fa presente nel nostro ministero eucaristico, che si apre contemporaneamente ad ogni concreta esigenza personale, ad ogni sofferenza, attesa, gioia o tristezza, a seconda delle intenzioni che i fedeli presentano per la Santa Messa. Noi riceviamo tali intenzioni in spirito di carità, introducendo così ogni problema umano nella dimensione della redenzione universale.

Cari fratelli nel Sacerdozio! Questo ministero forma una nuova vita in noi ed intorno a noi. L'Eucaristia evangelizza gli ambienti umani e ci rafforza nella speranza che le parole di Cristo non passano (cfr. Lc 21,33). Non passano, le sue parole, radicate come sono nel sacrificio della Croce: della perpetuità di questa verità e del divino amore noi siamo testimoni particolari e ministri privilegiati. Possiamo allora gioire insieme, se gli uomini sentono il bisogno del nuovo Catechismo, se prendono nelle mani l'Enciclica Veritatis splendor. Tutto ciò ci conferma nella convinzione che il nostro ministero del Vangelo diventa fruttuoso in virtù dell'Eucaristia. Nel corso dell'ultima Cena, del resto, Cristo disse agli Apostoli: "Non vi chiamo più servi (...); ma vi ho chiamati amici (...). Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Jn 15,15-16).

Quale immensa ricchezza di contenuti la Chiesa ci offre durante il Triduo Sacro, e specialmente il Giovedi Santo, nella liturgia crismale! Queste mie parole sono soltanto un parziale riflesso dei sentimenti che ognuno di voi certamente porta nel cuore. E forse questa Lettera per il Giovedi Santo servirà a far si che le molteplici manifestazioni del dono di Cristo, sparse nel cuore di tanti, confluiscano davanti alla maestà del grande "mistero della fede" in una significativa condivisione di ciò che il Sacerdozio è, e per sempre rimarrà, nella Chiesa. Possa allora la nostra unione intorno all'altare comprendere quanti portano in sé il segno indelebile di questo Sacramento, nel ricordo anche di quei nostri fratelli che in qualche modo si sono allontanati dal sacro ministero.

Confido che tale ricordo conduca ciascuno di noi a vivere ancora più profondamente la sublimità del dono costituito dal Sacerdozio di Cristo.


2. Oggi desidero consegnarvi idealmente, cari Fratelli, la Lettera che ho indirizzato alle Famiglie nell'Anno ad esse dedicato. Ritengo circostanza provvidenziale che l'Organizzazione delle Nazioni Unite abbia proclamato il 1994 Anno Internazionale della Famiglia. La Chiesa, fissando lo sguardo sul mistero della Santa Famiglia di Nazaret, partecipa a tale iniziativa, trovandovi una speciale occasione per annunziare il "vangelo della famiglia". Cristo lo ha proclamato con la sua vita nascosta a Nazaret nel seno della Santa Famiglia.

Questo vangelo è stato poi annunziato dalla Chiesa apostolica, come ben emerge dal Nuovo Testamento e, più tardi, è stato testimoniato dalla Chiesa postapostolica, dalla quale abbiamo ereditato la consuetudine di considerare la famiglia come ecclesia domestica.

Nel nostro secolo il "vangelo della famiglia" è presentato dalla Chiesa con la voce di tanti sacerdoti, parroci, confessori, Vescovi; in particolare, con la voce del Successore di Pietro. Quasi tutti i miei Predecessori hanno dedicato alla famiglia una significativa parte del loro "magistero petrino". Il Concilio Vaticano II ha, inoltre, espresso il suo amore per l'istituto familiare attraverso la Costituzione pastorale Gaudium et spes, nella quale ha ribadito la necessità di sostenere la dignità del matrimonio e della famiglia nel mondo contemporaneo.

Il Sinodo dei Vescovi del 1980 è all'origine dell'Esortazione Apostolica Familiaris consortio, che può considerarsi la magna charta della pastorale della famiglia. Le difficoltà del mondo contemporaneo, e specialmente della famiglia, affrontate con coraggio da Paolo VI nell'Enciclica Humanae vitae, esigevano uno sguardo globale sulla famiglia umana e sull'ecclesia domestica nella società attuale. L'Esortazione Apostolica proprio questo si è proposta. E' stato necessario elaborare nuovi metodi di azione pastorale secondo le esigenze della famiglia contemporanea. In sintesi, si potrebbe dire che la sollecitudine per la famiglia e in particolare per i coniugi, per i bambini, i giovani e gli adulti, richiede da noi, sacerdoti e confessori, prima di tutto la scoperta e la costante promozione dell'apostolato dei laici in tale ambito. La pastorale familiare - lo so per mia esperienza personale - costituisce in un certo senso la quintessenza dell'attività dei sacerdoti ad ogni livello. Di tutto questo parla la Familiaris consortio. La Lettera alle Famiglie null'altro fa che riprendere ed attualizzare tale patrimonio della Chiesa postconciliare.

Desidero che questa Lettera risulti utile alle famiglie nella Chiesa e fuori della Chiesa; che serva a voi, cari sacerdoti, nel vostro ministero pastorale dedicato alle famiglie. E' un po' come la Lettera ai Giovani del 1985, che diede inizio ad una grande animazione apostolica e pastorale dei giovani in ogni parte del mondo. Di questo movimento sono manifestazione le Giornate Mondiali della Gioventù, celebrate nelle parrocchie, nelle Diocesi ed a livello di tutta la Chiesa - come quella svoltasi recentemente a Denver, negli Stati Uniti.

Questa Lettera alle Famiglie è più ampia. Più complessa ed universale è, infatti, la problematica della famiglia. Preparandone il testo, mi sono convinto ancora una volta che il magistero del Concilio Vaticano II e, in particolare, la Costituzione pastorale Gaudium et spes, è veramente una ricca fonte di pensiero e di vita cristiana. Spero che questa Lettera, ispirata all'insegnamento conciliare, possa costituire per voi un aiuto non minore che per tutte le famiglie di buona volontà, alle quali essa è indirizzata.

Per un corretto approccio a questo testo converrà tornare a quel passaggio degli Atti degli Apostoli, dove si legge che le prime Comunità erano assidue "nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (Ac 2,42). La Lettera alle Famiglie non è tanto un trattato dottrinale quanto, piuttosto, una preparazione ed un'esortazione alla preghiera con le famiglie e per le famiglie.

E' questo il primo compito attraverso il quale voi, cari Fratelli, potete iniziare o sviluppare la pastorale e l'apostolato delle famiglie nelle vostre comunità parrocchiali. Se vi trovate davanti all'interrogativo: come realizzare i compiti dell'Anno della Famiglia?, l'esortazione alla preghiera, contenuta nella Lettera, vi indica in un certo senso la direzione più semplice da intraprendere. Gesù ha detto agli Apostoli: "Senza di me non potete far nulla" (Jn 15,5). E', dunque, chiaro che dobbiamo "fare con Lui"; cioè in ginocchio e in preghiera. "Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). Queste parole di Cristo vanno tradotte in concrete iniziative in ogni Comunità. Da esse si può ricavare un bel programma pastorale, un programma ricco, pur con grande povertà di mezzi.

Quante famiglie nel mondo pregano! Pregano i bambini, ai quali, in primo luogo, appartiene il Regno dei cieli (cfr. Mt 18,2-5); grazie a loro pregano non soltanto le madri, ma anche i padri, ritrovando a volte la pratica religiosa da cui si erano allontanati. Non lo si sperimenta forse in occasione della Prima Comunione? E non si avverte forse come sale la "temperatura spirituale" dei giovani, e non dei giovani soltanto, in occasione di pellegrinaggi nei santuari? Gli antichissimi percorsi di pellegrinaggi nell'Oriente e nell'Occidente, cominciando da quelli per Gerusalemme, per Roma e per San Giacomo di Compostella, fino a quelli verso i santuari mariani di Lourdes, Fatima, Jasna Gora e molti altri, sono divenuti nel corso dei secoli occasione di scoperta della Chiesa da parte di moltitudini di credenti e certamente anche di numerose famiglie. L'Anno della Famiglia deve confermare, ampliare ed arricchire questa esperienza. Veglino su ciò tutti i pastori e tutte le istanze responsabili della pastorale familiare, di concerto con il Pontificio Consiglio per la Famiglia, al quale è affidato questo ambito nella dimensione della Chiesa universale. Com'è noto, il Presidente di questo Consiglio ha inaugurato, a Nazaret, l'Anno della Famiglia nella solennità della Santa Famiglia il 26 dicembre 1993.


3. "Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (Ac 2,42). Secondo la Costituzione Lumen gentium la Chiesa è la "casa di Dio (cfr. 1Tm 3,15), nella quale abita la sua famiglia, la dimora di Dio nello Spirito (cfr. Ep 2,19-22), "la dimora di Dio con gli uomini" (Ap 21,3)" (LG 6). così l'immagine della "casa di Dio", tra le tante altre immagini bibliche, è ricordata dal Concilio per descrivere la Chiesa. Tale immagine, del resto, è racchiusa in qualche modo in ogni altra; entra anche nell'analogia paolina del Corpo di Cristo (cfr. 1Co 12,13 1Co 12,27 Rm 12,5), alla quale si riferiva Pio XII nella sua storica enciclica Mystici Corporis; entra nelle dimensioni del Popolo di Dio, secondo i riferimenti del Concilio. L'Anno della Famiglia è per noi tutti un appello a rendere la Chiesa più ancora "casa in cui abita la famiglia di Dio".

E' una chiamata, è un invito che può rivelarsi straordinariamente fecondo per l'evangelizzazione del mondo contemporaneo. Come ho scritto nella Lettera alle Famiglie, la fondamentale dimensione dell'esistenza umana, costituita dalla famiglia, è seriamente minacciata nella civiltà contemporanea da varie parti (cfr. LF 13). Eppure quest'"essere famiglia" della vita umana rappresenta un grande bene dell'uomo. La Chiesa desidera servirlo. L'Anno della Famiglia costituisce allora un'occasione significativa per rinnovare l'"essere famiglia" della Chiesa nei suoi vari ambiti.

Cari fratelli nel Sacerdozio! Ciascuno di voi troverà di sicuro nella preghiera la luce necessaria per sapere come attuare tutto ciò: voi, nelle vostre parrocchie e nei vari campi di lavoro evangelico; i Vescovi nelle loro Diocesi; la Sede Apostolica nei riguardi della Curia Romana, seguendo la Costituzione Apostolica Pastor bonus.

La Chiesa, conformemente alla volontà di Cristo, si sforza di diventare sempre più "famiglia", e l'impegno della Sede Apostolica è volto a favorire una tale crescita. Lo sanno bene i Vescovi, che qui giungono in visita ad limina Apostolorum. Le loro visite, sia al Papa che ai singoli Dicasteri, pur conservando quanto è prescritto dalla legge canonica, perdono sempre più l'antico sapore giuridico-amministrativo. Si assiste in modo crescente ad un clima di "scambio di doni", secondo l'insegnamento della Costituzione Lumen gentium (cfr. LG 13). I Fratelli nell'episcopato spesso ne rendono testimonianza durante i nostri incontri.

Desidero in questa circostanza far cenno al preparato dalla Congregazione per il Clero, che verrà consegnato ai Vescovi, ai Consigli Presbiterali e a tutti i sacerdoti. Esso non mancherà di recare un provvido contributo al rinnovamento della loro vita e del loro ministero.


4. L'appello alla preghiera con le famiglie e per le famiglie riguarda, cari Fratelli, ciascuno di voi in modo quanto mai personale. Dobbiamo la vita ai nostri genitori ed abbiamo nei loro riguardi costanti debiti di gratitudine. Con loro, ancora vivi o già passati all'eternità, siamo uniti da uno stretto vincolo che il tempo non distrugge. Se a Dio dobbiamo la nostra vocazione, in essa una parte significativa va riconosciuta anche a loro. La decisione di un figlio di dedicarsi al ministero sacerdotale, specialmente in terra di missione, costituisce un sacrificio non piccolo per i genitori. così è stato anche per i nostri cari, i quali tuttavia hanno presentato a Dio l'offerta dei loro sentimenti, lasciandosi guidare da fede profonda, e ci hanno poi seguito con la preghiera, come fece Maria nei confronti di Gesù, quando egli lascio la casa di Nazaret per recarsi a svolgere la sua missione messianica.

Quale esperienza fu per ciascuno di noi e, allo stesso tempo, per i nostri genitori, per i nostri fratelli e sorelle e per le persone care il giorno della prima S. Messa! Che cosa sono diventate quelle primizie per le nostre parrocchie e gli ambienti in cui eravamo cresciuti! Ogni nuova vocazione rende la parrocchia consapevole della fecondità della sua maternità spirituale: più spesso ciò avviene, più grande è l'incoraggiamento che ne deriva per gli altri! Ciascun sacerdote può dire di sé: "Sono diventato debitore a Dio e agli uomini". Numerose sono le persone che ci hanno accompagnato con il pensiero e con la preghiera, così come numerose sono quelle che accompagnano con il pensiero e la preghiera il mio ministero sulla Sede di Pietro. Questa grande solidarietà orante è per me fonte di forza. Si, gli uomini ripongono la loro fiducia nella nostra vocazione al servizio di Dio. La Chiesa prega costantemente per le nuove vocazioni sacerdotali, gioisce del loro aumento, si rattrista per la loro mancanza là dove ciò accade, così come si addolora per la scarsa generosità di molte persone.

In questo giorno rinnoviamo ogni anno le nostre promesse legate al Sacramento del Sacerdozio. E' grande la portata di tali promesse. Si tratta della parola data a Cristo stesso. La fedeltà alla vocazione edifica la Chiesa, ogni infedeltà, invece, diventa una dolorosa ferita nel Corpo mistico di Cristo.

Mentre, dunque, contempliamo, riuniti insieme, il mistero dell'Eucaristia e del Sacerdozio, imploriamo il Sommo Sacerdote che - come dice la Sacra Scrittura - si dimostro fedele (cfr. He 2,17), affinché sia dato anche a noi di mantenerci fedeli. Nello spirito di questa "sacramentale fratellanza" preghiamo vicendevolmente - i sacerdoti per i sacerdoti! Che il Giovedi Santo diventi per noi una rinnovata chiamata a cooperare alla grazia del Sacramento del Sacerdozio! Preghiamo per le nostre famiglie spirituali, per le persone affidate al nostro ministero; preghiamo specialmente per coloro che attendono in modo particolare la nostra preghiera e ne hanno bisogno: la fedeltà alla preghiera faccia si che Cristo diventi sempre più vita delle nostre anime.

O grande Sacramento della Fede, o santo Sacerdozio del Redentore del mondo! Quanto ti siamo grati, Cristo, che ci hai ammessi alla comunione con te, che ci hai resi una sola comunità intorno a te, che ci permetti di celebrare il tuo sacrificio incruento e di essere ministri dei misteri divini dappertutto: all'altare, nel confessionale, sul pulpito, in occasione delle visite agli ammalati e ai carcerati nelle aule scolastiche, sulle cattedre universitarie, negli uffici in cui lavoriamo. Sii lodata, Santissima Eucaristia! Ti saluto, Chiesa di Dio, che sei il popolo sacerdotale (cfr. 1P 2,9), redento in virtù del preziosissimo Sangue di Cristo! Dal Vaticano, il 13 marzo - quarta Domenica di Quaresima - dell'anno 1994, decimosesto di Pontificato.

Data: 1994-03-13 Data estesa: Domenica 13 Marzo 1994






GPII 1994 Insegnamenti - Udienza: il discorso ai membri della Penitenzieria Apostolica e ai Padri penitenzieri delle Basiliche Romane - Sala Clementina, Città del Vaticano (Roma)