GPII 1994 Insegnamenti - Il saluto del Papa ai soci del Centro Sportivo Italiano - Città del Vaticano

Il saluto del Papa ai soci del Centro Sportivo Italiano - Città del Vaticano

Titolo: Promotori di autentici valori umani contro la degenerazione dell'attività sportiva

Cari amici del Centro Sportivo Italiano! Benvenuti in Piazza San Pietro e, auguri per il cinquantesimo anniversario della vostra Associazione! Sono particolarmente lieto di accogliervi in questa significativa circostanza, convinto come sono che lo sport è davvero un'espressione di vita. E' così, pero, solo a certe condizioni. Bisogna, cioè, che lo sport non perda la sua dimensione umana, fatta di gioco, di libertà, di socialità e di contatto con la natura. Spesso invece assistiamo ad una degenerazione dell'attività sportiva, inquinata da interessi che le sono estranei e che a volte finiscono per prevalere sulla stessa salute morale, mentale, e paradossalmente, addirittura sulla vita delle persone. In tal caso non si tratta più di sport, ma sicuramente di qualcosa d'altro.

In questo contesto, la proposta educativa e sportiva del Centro Sportivo Italiano è più che mai attuale. Infatti, fin dal 1944 - e, prima ancora, nell'esperienza antecedente alla sua soppressione da parte del regime fascista - il Centro Sportivo Italiano intende lo sport come un'attività aperta a tutti e propositrice di autentici valori umani. Lo sport non deve escludere nessuno e l'odierna presenza tra voi di alcuni disabili sta proprio a dimostrare l'importanza di tali scelte.

Lo sport deve sempre rimanere un'occasione di festa e di sano divertimento in cui il concorrente va rispettato e considerato prima di tutto come un compagno di gioco.

Apprezzo poi, in modo particolare, il fatto da sottolineare la dimensione familiare dell'attività sportiva; è bello che la famiglia partecipi alla festa dello sport, come ad altri momenti di celebrazione cristiana e di impegno sociale. La mia parola, pertanto, vuol essere un forte incoraggiamento per i responsabili, per i soci e per gli amici del Centro Sportivo Italiano a proseguire nel cammino intrapreso.

Vi affido a Maria Santissima e imparto di cuore a tutti voi ed alle vostre famiglie la mia Benedizione.

Data: 1994-06-26 Data estesa: Domenica 26 Giugno 1994





Angelus: la preghiera mariana di Giovanni Paolo II con i numerosi fedeli di ogni parte del mondo - Piazza San Pietro, Città del Vaticano

Titolo: I rappresentanti delle Nazioni assumano al Cairo decisioni ispirate agli autentici valori umani

Carissimi Fratelli e Sorelle!


1. Anche quest'oggi vorrei proseguire nella riflessione sul matrimonio, la famiglia e la legge naturale. Alla base della famiglia c'è l'amore tra un uomo e una donna: un amore inteso come dono di sé, reciproco e profondo, espresso anche nell'unione sessuale, coniugale.

Alla Chiesa si rimprovera talvolta di fare del sesso un "tabù". La verità è ben altra! Nel corso della storia, in contrasto con le tendenze manichee, il pensiero cristiano ha sviluppato una visione armonica e positiva dell'essere umano, riconoscendo il ruolo significativo e prezioso che la mascolinità e la femminilità svolgono nella vita dell'uomo.

Del resto il messaggio biblico è inequivocabile: "Dio creo l'uomo a sua immagine... Maschio e femmina li creo" (Gn 1,27). In questa affermazione, è scolpita la dignità di ogni uomo e di ogni donna, nella loro uguaglianza di natura, ma anche nella loro diversità sessuale. Essa è un dato che tocca profondamente la costituzione dell'essere umano. "Dal sesso infatti la persona umana deriva le caratteristiche che sul piano biologico, psicologico e spirituale la fanno uomo o donna" (Persona humana, 1).

L'ho ribadito di recente nella Lettera alle famiglie: "L'uomo è creato "sin dal principio" come maschio e femmina: la vita dell'umana collettività - delle piccole comunità come dell'intera società - porta il segno di questa dualità originaria. Da essa derivano la "mascolinità" e la "femminilità" dei singoli individui, così come da essa ogni comunità attinge la propria caratteristica ricchezza nel reciproco completamento delle persone" (LF 6).


2. La sessualità appartiene dunque al disegno originario del Creatore, e la Chiesa non può fare a meno di averne una grande stima. Al tempo stesso, neppure può fare a meno di chiedere a ciascuno di rispettarla nella sua natura profonda.

Quale dimensione inscritta nella totalità della persona, la sessualità costituisce un "linguaggio" a servizio dell'amore, e non può dunque essere vissuta come pura istintualità. Essa va governata dall'uomo quale essere intelligente e libero.

Ciò non vuol dire, tuttavia, che essa possa essere manipolata ad arbitrio. Essa possiede infatti una sua tipica struttura psicologica e biologica, finalizzata sia alla comunione tra uomo e donna che alla nascita di nuove persone.

Rispettare tale struttura e tale inscindibile connessione non è "biologismo" o "moralismo", è l'attenzione alla verità dell'essere uomo, dell'essere persona. E' in forza di tale verità, percepibile anche alla luce della ragione, che sono moralmente inaccettabili il cosiddetto "libero amore", l'omosessualità, la contraccezione. Si tratta infatti di comportamenti che stravolgono il significato profondo della sessualità, impedendole di porsi al servizio della persona, della comunione e della vita.


3. La Vergine Santa, modello di femminilità, di tenerezza e di dominio di sé, aiuti gli uomini e le donne del nostro tempo a non banalizzare il sesso, in nome di una falsa modernità. A Lei guardino i giovani, le donne, le famiglie. Voglia Maria, Madre castissima, illuminare i rappresentanti delle nazioni perché nella prossima riunione a Il Cairo assumano decisioni ispirate agli autentici valori umani, che sono alla base dell'auspicata civiltà dell'amore.

(Il Santo Padre ha poi ricordato la prossima solennità dei Santi Pietro e Paolo:) Mercoledi prossimo ricorre la solennità dei Santi Pietro e Paolo: è festa grande per tutta la Chiesa, perché i due Apostoli sono le colonne della fede cristiana.

Pietro è l'Apostolo scelto da Gesù per essere fondamento della Chiesa, garanzia di verità, di fedeltà e di unità a servizio del gregge di Cristo.

Paolo, convertito da Gesù sulla via di Damasco, è l'araldo infaticabile del Vangelo fra le genti.

Se tutta la Chiesa gioisce per la memoria dei Santi Apostoli, particolare festa celebra la città di Roma dove essi versarono il loro sangue per Cristo. Guardando alle gloriose figure dei due grandi Apostoli, sentiamoci stimolati a rimanere fermi nella professione della fede da essi predicata, ed imploriamone l'aiuto per essere, sul loro esempio, testimoni coraggiosi del Vangelo in ogni circostanza della vita.

E' quanto auguro a tutti i presenti: romani, italiani, ospiti di lingue duverse, provenienti da diverse Nazioni. Vorrei anche dire una parola ai miei connazionali.

(Dopo aver salutato alcuni pellegrini polacchi, il Santo Padre ha così proseguito:) Ringrazio tutti per questa visita "ad limina Apostolorum". Vengono qui, in questi giorni, numerosi Vescovi per la loro visita "ad limina Apostolorum".

Nella scorsa settimana sono venuti i Vescovi di Cuba. Noi sappiamo che cosa vuol dire e come si deve pregare per questa comunità cubana, per questa Chiesa di Cuba.

Sono venuti anche i Vescovi africani provenienti dal Ciad, e poi tanti altri, specialmente i Vescovi messicani, che devono ancora continuare la loro visita "ad limina". Arrivederci a mercoledi prossimo in Basilica. Il Papa non può mancare in questo giorno solenne, solennissimo per la Città e per la Chiesa di Roma, nella Basilica di San Pietro. Speriamo bene. Arrivederci!

Data: 1994-06-26 Data estesa: Domenica 26 Giugno 1994





Visita "ad limina": la traduzione del discorso del Papa ai Presuli della Conferenza Episcopale del Ciad - Città del Vaticano

Titolo: Il modello di "Chiesa-famiglia" proposto dal Sinodo per l'Africa insegna ad esercitare l'autorità come servizio nell'amore

Cari Fratelli nell'Episcopato,


1. E' con gioia che vi accolgo in questi luoghi in occasione della vostra visita ad Limina, e rivolgo un saluto particolare a coloro che stanno partecipando per la prima volta a questo incontro quinquennale: Mons. Michele Russo, primo Vescovo di Doba e Mons. Edmond Djitangar, nuovo Vescovo di Sarh.

Ringrazio vivamente Mons. Charles Vandame, Arcivescovo di N'Djiaména e Presidente della Conferenza Episcopale del Ciad per essersi fatto molto cortesemente vostro portavoce. Mi congratulo con lui per essere stato eletto nuovamente a capo della Conferenza e formulo i miei migliori auguri affinché svolga felicemente il suo nuovo mandato.

La mia visita pastorale nel Ciad, quattro anni fa, era stata l'occasione per rafforzare i vincoli di comunione tra noi. Sono lieto di sentirvi dire che essa ha permesso ai cattolici delle vostre diocesi di sviluppare il loro senso di appartenenza a una sola e stessa Chiesa presente in tutto il mondo, e si sa quanto sia importante per un africano far parte di un grande insieme! Il vostro tradizionale pellegrinaggio presso le tombe dei Santi Apostoli, Pietro e Paolo, così come i diversi incontri romani che lo completano, costituiscono altrettanti momenti privilegiati della nostra vita di comunione e sono volti a rafforzarla. Rendiamo grazie a Dio per questi molteplici scambi fra noi e per queste celebrazioni vivificanti della nostra fede comune nel Ciad e a Roma.

Permettetemi di ringraziarvi nuovamente per avermi consentito di fare, nella vostra terra, la conoscenza delle vostre attive comunità diocesane di cui conservo un vivo ricordo: penso a quelle di N'Djaména, di Moundou e di Sarh. Vi prego di trasmettere loro, così come a quelle di Pala e di Doba, i saluti affettuosi del Papa, che le ricorda tutte nella sue preghiere.


2. Dalla lettura dei vostri resoconti quinquennali si può constatare che una buona intesa regna tra voi così come tra i Pastori e gli operatori apostolici diocesani.

Questa armonia contribuisce a sviluppare un sentimento di solidarietà ecclesiale che conquista i cattolici di tutto il Paese. E' ancora più incoraggiante per il vostro apostolato il fatto che il Ciad sperimenti una diversità etnica, linguistica e anche religiosa che può essere fonte di tensione sociale o creare un clima difficile per l'azione della Chiesa.

Grazie all'adozione di piani pastorali precisi e grazie anche ai vostri scambi fraterni sui problemi della Chiesa e della società, la vostra azione diocesana presenta un'omogeneità benefica per tutta la Chiesa nel Ciad. Siatene lieti! Siate anche lieti di guidare e di accompagnare il vostro popolo lungo "i cammini della verità, della giustizia e della pace", nel suo viaggio verso la democrazia offrendogli "quel potente fermento di cambiamento" che è il Vangelo, per riprendere le parole di Mons. Vandame.

Vi invito a proseguire nell'edificazione di questa "Chiesa-Famiglia" di Dio, di cui ha parlato la recente Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, riprendendo un tema molto importante per gli abitanti del vostro continente. In effetti, la "Chiesa-Famiglia" pone l'accento sull'attenzione verso l'altro, sull'aiuto reciproco, sul calore dei rapporti umani, sull'accoglienza, sul dialogo e sulla fiducia; essa indica anche in che modo l'autorità debba esercitarsi come un servizio nell'amore.


3. Per edificare questa "Chiesa-Famiglia", avete bisogno di un numero sufficiente di collaboratori. Sebbene le vocazioni sacerdotali siano in aumento, il numero di sacerdoti di cui disponete è ancora esiguo, tenendo conto che fra gli abitanti del Ciad si sta assistendo a un forte movimento di conversione al cristianesimo.

Per affrontare questa situazione state pertanto bussando a numerose porte: auspico vivamente che i vostri appelli vengano ascoltati. Siete una Chiesa giovane, in crescita nel cuore del continente africano. Nel vostro Paese la grande epopea dell'annuncio missionario è iniziata solo sessantacinque anni fa; è dunque necessario che essa continui, se non altro per il posto importante che il Ciad occupa nella geografia religiosa dell'Africa: esso si trova infatti sulla linea strategica di incontro fra l'islam e il cristianesimo.

Per aiutare i sacerdoti ancora poco numerosi del Ciad, dovete anche continuare a rivolgervi ai missionari stranieri affinché aiutino la Chiesa locale ad aprirsi all'universale e a colmare i divari etnici.

Per quanto concerne la preparazione dei candidati al sacerdozio e la formazione permanente dei sacerdoti, sono certo che presterete loro la dovuta attenzione e che cercherete di gestire al meglio l'eredità delle strutture create dalle congregazioni missionarie. Per orientarvi in questo ambito, disponete ora del "", pubblicato lo scorso marzo dalla Congregazione per il Clero.


4. In vista delle future assise sinodali sulla vita religiosa vorrei salutare attraverso di voi i membri dei diversi istituti di vita consacrata e di vita apostolica che operano nel Ciad. Esprimo loro la mia gratitudine per la loro preziosa testimonianza evangelica e per il loro operato.

In una "Chiesa-Famiglia" la vita consacrata svolge un ruolo particolare per rivolgere concretamente a tutti l'appello alla santità e per testimoniare la fraternità comunitaria. Inoltre, essendo stata l'Africa fin dai primi secoli del cristianesimo la culla della vita monastica, è opportuno, in segno di fedeltà a questa eredità, promuovere e sostenere le vocazioni religiose, attive o contemplative, per il bene delle Chiese locali e della Chiesa universale. Che le vocazioni siano oggetto di un discernimento adeguato visto che la qualità è più importante della quantità!


5. Seguendo i voti formulati dai Padri Sinodali nel corso della loro assemblea di aprile-maggio, state aiutando i fedeli laici a prendere sempre più coscienza del loro ruolo e del loro posto nella Chiesa. A ragione lo state facendo mediante la promozione di comunità ecclesiali di base. Tra le altre accolgo in particolare l'iniziativa del "Centro di Formazione per i laici" a Sarh, iniziativa posta sotto la protezione della Beata Bakhita, degna figura africana.

Essendo la testimonianza di una vita vissuta nella fede un atto di evangelizzazione di grande valore, è opportuno assicurare a tutti i battezzati, in particolare ai responsabili cristiani, una sollecita iniziazione alla dottrina sociale della Chiesa. Ciò è ancor più necessario nel vostro Paese poiché una delle caratteristiche della vostra Chiesa è proprio quella di essere molto impegnata nel compito dello sviluppo.

Le vostre popolazioni cittadine o rurali sono dinamiche: i numerosi eventi tragici che il Ciad ha sperimentato hanno avuto, fra le altre conseguenze, quella di obbligarle a organizzarsi e a creare gruppi che rappresentino una grande forza di crescita. Vi esorto a incoraggiare sempre più i fedeli affinché siano realmente portatori di speranza per il vostro Paese. Continuate ad aiutarli a illuminare con la luce del Vangelo i diversi campi delle loro attività: la sanità, l'educazione, la promozione della donna, l'assistenza sociale, la tutela dell'ambiente e soprattutto le istituzioni familiari. In effetti, è opportuno che la famiglia si rafforzi sotto la vostra guida pastorale, tenendo indubbiamente conto dei valori del matrimonio propri degli africani purché essi siano compatibili con i principi cristiani.


6. La situazione dei diritti dell'uomo nel Ciad è anch'essa oggetto della vostra attenzione. Sono numerosi i cristiani che partecipano attivamente alle leghe e alle associazioni di difesa di questi diritti, così come, a livello ecclesiale, lo fanno le commissioni diocesane "Giustizia e Pace" o i comitati parrocchiali con lo stesso nome. Promuovendo una cultura della pace, voi apportate un contributo positivo alla ricostruzione del Paese, sconvolto da lunghi anni di guerra e di conflitti socio-religiosi. Gli avvenimenti recenti sono segni di speranza per l'impegno degli abitanti del Ciad sulla via della cooperazione e della pace.


7. Il ruolo dei catechisti è stato e continua ad essere determinante per l'edificazione e la diffusione della Chiesa in Africa. Vi esorto a prestare sempre, come già state facendo, un'attenzione particolare alla loro formazione, alle loro condizioni di vita e di lavoro e al loro ritorno alle origini. Avete del resto scuole per catechisti di cui potete essere orgogliosi e che permettono di suscitare buone speranze per il futuro della Chiesa.

E' parimenti incoraggiante constatare che le donne si stanno impegnando sempre più nell'apostolato. Auspico che le "madri catechiste" soddisfino sempre meglio il bisogno di un'educazione cristiana dell'attuale gioventù che è quella che ha più sofferto a causa della guerra. Esse non solo contribuiscono a risvegliare i propri i figli alla fede, ma aiutano anche gli adolescenti a soddisfare le esigenze della vita cristiana.


8. Per quanto riguarda le risorse economiche e la loro gestione, la Chiesa nel vostro Paese dipende molto dall'aiuto esterno e, vivendo così essenzialmente di sussidi che non ha dovuto essa stessa raccogliere, rischia di perdere il senso della realtà. Normalmente la vita materiale di una Chiesa particolare dovrebbe essere assicurata dalla generosità dei suoi fedeli: è opportuno quindi, nonostante le difficoltà economiche attuali, formare in tal senso le mentalità e i comportamenti.

Auspicando che le Chiese con più anni di vita continuino a svolgere il loro dovere di solidarietà nei confronti di quelle più giovani, bisogna incoraggiare i cattolici del Ciad affinché diventino sempre più autosufficienti e si orientino maggiormente verso l'edificazione di comunità ecclesiali più parsimoniose.


9. Tra le vostre preoccupazioni pastorali bisogna citare anche il risveglio islamico che si manifesta mediante la presenza attiva di predicatori stranieri e che assume a volte aspetti violenti. I cattolici sono turbati dalla presenza massiccia dell'Islam nel Ciad e da ciò che sta accadendo nei Paesi vicini. In un contesto così difficile come il vostro e tenendo conto del proselitismo di alcuni militanti islamici, fautori di un diverso progetto di società, vi invito a continuare le sessioni di formazione per la conoscenza dell'Islam. In tal modo, da un lato i cristiani supereranno alcuni pregiudizi generati dall'ignoranza e dall'altro comprenderanno meglio le ricchezze della propria fede, ne saranno fieri e, grazie alle solide basi così acquisite, si sentiranno più sicuri nel dialogo con i loro fratelli musulmani. Auspico che, laddove è possibile, e facendo attenzione ad alcune pratiche sleali, il "dialogo della vita" tra cristiani e musulmani continui e progredisca, così come il "dialogo delle opere di misericordia". Si può così formulare l'augurio che il volontariato contribuisca a una maggiore solidarietà e a un dialogo sincero con coloro fra i musulmani che sono più aperti e generosi.


10. Nel concludere, formulo l'augurio che le vostre giovani Chiese proseguano la loro opera missionaria e che continuino ad assumersi le loro responsabilità evangeliche per la difesa dei diritti dell'uomo e per rimanere nell'unità, per un annuncio sempre più efficace della Buona Novella (cfr. Jn 17,21).

Chiedo a Dio di concedere a tutti gli abitanti del Ciad un reale benessere fisico e spirituale nella dignità propria delle persone amate da Dio e redente dal sangue di Cristo. Li benedico di tutto cuore, in particolare coloro che soffrono. Infine a voi, collaboratori nell'edificazione della Chiesa nel Ciad, imparto un'affettuosa Benedizione Apostolica.

Data: 1994-06-27 Data estesa: Lunedi 27 Giugno 1994





Alla delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli - Città del Vaticano

Titolo: Le nostre tradizioni, orientale e latina, al servizio di un'unica missione

Amatissimi Fratelli in Cristo, Per me è sempre una gioia accogliere la delegazione mandata dal mio carissimo Fratello il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, per partecipare alla festa dei Santi patroni della Chiesa di Roma, Pietro e Paolo. Vi chiedo di portare a Sua Santità, e insieme ai membri del Santo Sinodo, il mio affetto sincero e fedele.


1. Che sia fervente l'intercessione presso gli Apostoli che sono la colonna della Chiesa di Roma, affinché noi imitiamo il loro esempio! Pietro e Paolo, senza mai cessare di essere fratelli, erano molto diversi tra loro. Erano diversi di origine: l'uno, modesto pescatore di Israele; l'altro, fariseo e cittadino romano. Erano ancora più diversi per la loro storia spirituale: Pietro, il fratello di Andrea - il primo chiamato -, è un discepolo della prima ora; Paolo, fin dalla prima ora, è persecutore della Chiesa. Pietro ama e rinnega prima di essere creato, con il triplo perdono, pastore del gregge; Paolo, dopo aver odiato e distrutto, è incaricato di annunciare il Vangelo tra i pagani (cfr. Ga 1,13-16). Ma malgrado le diverse strade e talvolta delle rudi opposizioni, la loro "ambizione" è la stessa "essere graditi al Signore" (cfr.

2Co 5,9). Illuminato dal Padre, Pietro afferma: "Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16); e se si interroga è solo per meglio affermare: "Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna" (Jn 6,68). Avvolto da una luce venuta dal cielo, Paolo chiede: "Chi sei tu Signore?" (Ac 9,3-5); e, se afferma la sua fede: "in ogni occasione opportuna e non opportuna" (2Tm 4,2), è per interrogare ed esplorare sempre soprattutto l'insondabile mistero della salvezza portata da Cristo ai popoli.

La loro origine li divide, la loro missione li unisce: Pietro e Paolo "piaceranno" al Signore con la loro comune testimonianza.


2. Quale è stato il loro dialogo durante i 15 giorni di intimità del loro primo incontro (cfr. Ga 1,18): hanno imparato a conoscersi. Ma il testimone appassionato di Gesù vivente e colui che ha fatto la sconvolgente esperienza della gloria del Risorto hanno probabilmente parlato insieme della missione affidata per la salvezza di tutti dal Signore comune degli ebrei e dei pagani. Una analoga complementarità esiste nelle nostre tradizioni orientale e latina, ma, come Pietro e Paolo, al servizio della stessa ed unica missione. E grande anche la mia speranza che il mio prossimo incontro con il capo della Chiesa sorella di Costantinopoli piaccia allo stesso modo al Signore.


3. Bella è la nostra abitudine, ispirata dallo Spirito Santo, di celebrare insieme i primi testimoni che ci portarono la fede fino a donare il loro sangue.

Sicuramente uno dei momenti essenziali di questi incontri gioiosi e solenni tra le nostre Chiese è quello della preghiera. Raggiungiamo allora il Padre infinitamente misericordioso che, nel dono dello Spirito Santo, fa di noi dei figli, ad immagine e somiglianza dell'Unico. Ecco perché non posso dimenticare, in questo istante, la bellissima e profonda meditazione della Via Crucis che ci è stata offerta dal Patriarca Bartolomeo I durante la cerimonia del Venerdi Santo al Colosseo di Roma.

Tramite voi, come ho appena fatto davanti al Collegio Cardinalizio riunito in Concistoro, voglio esprimergli ancora una volta i miei sentimenti di vivissima gratitudine per questo "scambio di doni".


4. In questo contesto delle nostre relazioni ecclesiali, desidero ricordare il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme.

L'anno scorso, la Commissione mista internazionale ha compiuto un passo significativo. Ha gettalo le basi per una soluzione su una questione delicata. Il lavoro deve essere continuato, ma fin d'ora si deve constatare una pacificazione degli animi.

Per creare legami sempre più stretti tra noi, sono convinto che noi dobbiamo fare di tutto per risolvere le difficoltà concrete che possono insorgere e portare avanti il dialogo teologico.

Certo, il dialogo della carità e il cambiamento delle abitudini aiutano il dialogo teologico.

L'esperienza mostra anche che il dialogo teologico pone le fondamenta di una nuova vita comune e può permettere di superare gli ostacoli pratici che ancora sussistono. E la ragione per cui io spero ardentemente che la Commissione mista riprenda il dialogo teologico al più presto, nello spirito di fiducia che ha ispirato Sua Santità il Patriarca Dimitrios I e anche me durante l'annuncio della sua creazione, nel novembre 1979, in occasione della festa di S. Andrea.

Ecco il mio voto più caro. Ne affido la realizzazione al Padre di ogni grazia e al suo amatissimo Figlio Gesù Cristo. In questo tempo di Pentecoste nella Chiesa ortodossa, imploro lo Spirito Santo perché dispensi abbondantemente la sua forza e la sua saggezza sui responsabili della Sede Apostolica di Roma, del Venerabile Patriarcato di Costantinopoli, degli altri Patriarcati e di tutta l'ortodossia.

Benedicendovi e ringraziandovi di essere venuti, vi ripeto, cari Fratelli, la mia profonda stima e i miei sentimenti di carità fraterna.

Data: 1994-06-28 Data estesa: Martedi 28 Giugno 1994





Giovanni Paolo II presiede la concelebrazione eucaristica e impone il Pallio a venti Arcivescovi Metropoliti di varie parti del mondo - Basilica Vaticana, Città del Vaticano

Titolo: La festa di Pietro e Paolo rafforzi la fede, la missione, l'unità




1. "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16) parole di Pietro. "Io sono Gesù, che tu perseguiti" (Ac 9,5) parole di Gesù a Saulo.

Queste due frasi offrono una chiave interpretativa dell'odierna solennità. La prima fu pronunciata nei pressi di Cesarea di Filippo da Simone, figlio di Giona, il futuro apostolo Pietro. La professione di fede nella sua divina figliolanza divenne la pietra sulla quale Cristo edifico la sua Chiesa.

Proprio per questo Simone, fin dal suo primo incontro col Maestro, fu da Lui chiamato "Pietro": "ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)" (Jn 1,42), cioè Roccia, Pietra. Nei pressi di Cesarea di Filippo, dopo la confessione di fede, Gesù ripete la stessa cosa: "Tu sei Pietro (cioè Pietra) e su questa pietra edifichero la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16,18). "Beato te, perché né la carne né il sangue ti hanno rivelato la mia divinità, ma il Padre mio che sta nei cieli" (cfr. Mt 16,17). Soltanto Dio poteva rivelare il Cristo, perché solo il Padre conosce il Figlio (cfr. Mt 11,27).

Confessando la divinità di Cristo, Pietro partecipa all'eterna conoscenza che il Padre celeste ha del Figlio suo. In tale partecipazione sta l'essenza della fede: la fede di Pietro e la fede della Chiesa. La Chiesa si edifica costantemente su questa fede, come su una pietra.


2. Anche la fede di Paolo proviene da Cristo. Saulo di Tarso, discepolo del grande Gamaliele, fariseo, non aveva conosciuto Cristo durante la sua vita terrena, ma aveva su di Lui le stesse opinioni dei membri del Sinedrio, che lo avevano condannato a morte e consegnato nelle mani di Pilato: per loro Gesù di Nazaret era un ingannatore. Saulo pensava allo stesso modo e perseguitava i discepoli e i confessori di Gesù di Nazaret con grande convinzione.

Gamaliele, per parte sua, era favorevole ad una posizione moderata: era stato, infatti, uno di coloro che avrebbero voluto impedire la condanna a morte di Gesù. S'era pronunciato anche in difesa degli Apostoli, e in particolare di Pietro, per evitare la loro condanna. Era stato lui a dire ai membri del Sinedrio: "Se... questa dottrina o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio!" (Ac 5,38-39).

Ma Saulo non condivideva su questo la posizione del suo maestro Gamaliele. Non ammetteva che fosse d'origine divina la dottrina predicata dagli Apostoli di Cristo. Fariseo, "irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della legge" (Ph 3,6), egli era deciso a perseguitare i cristiani, a gettarli in prigione e a punirli perfino con la morte, come nel caso di Stefano, il primo diacono martire, alla cui lapidazione era stato presente (cfr. Ac 7,58).

Per lo stesso scopo, Paolo era partito da Gerusalemme per Damasco, sapendo che anche in quella città la dottrina degli Apostoli aveva dei seguaci. Ed ecco, ormai presso le mura della città, abbagliato da una grande luce, cadde da cavallo, e in quel bagliore che lo accecava udi le parole: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" (Ac 9,4). Egli, che non vedeva nulla, domando: "Chi sei, o Signore?". E la voce: "Io sono Gesù, che tu perseguiti" (Ac 9,5). Saulo perseguitava Gesù nei suoi discepoli: era persecutore della Chiesa nascente. Gli fu rivelato che, facendo così, perseguitava Gesù stesso e che non era leggenda né invenzione la risurrezione del Signore dopo la sua crocifissione e sepoltura. Il Risorto in persona gli apparve sulla strada di Damasco, gli parlo, vivo e presente, ordinandogli: "Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare" (Ac 9,6). E davvero, a Damasco fu comunicato a Saulo ciò che doveva fare. Ricevette il battesimo nel nome di Gesù Cristo, che lo chiamo "uno strumento eletto": Colui che aveva chiamato Simone "Pietra", chiamo Paolo "strumento eletto" per portare il suo nome dinanzi ai popoli e alle nazioni di tutta la terra (cfr. Ac 9,15).


3. Oggi carissimi riflettiamo sul cammino percorso da entrambi gli Apostoli, un cammino terminato proprio qui, a Roma. Fu un itinerario che condusse Pietro dapprima in prigione a Gerusalemme, dove fu gettato da Erode, e da dove il Signore lo strappo miracolosamente; quell'itinerario condusse poi Pietro attraverso Antiochia, fino a Roma, come leggiamo negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere di san Paolo.

Il cammino di Paolo invece fu diverso: si sviluppo lungo la rotta dei quattro memorabili viaggi apostolici. In precedenza egli si era preparato ad annunziare Cristo con un periodo di solitudine: prima nella città natale di Tarso, poi nel deserto arabo, prendendo quindi contatto con Pietro e altri Apostoli, per verificare se la sua comprensione del Vangelo era giusta (cfr. Ga 2,2). Questo fariseo, illuminato dallo Spirito sulle ricchezze del mistero di Cristo, giunse a conclusioni profonde e decisive, anzitutto circa la giustificazione. Non la sola obbedienza alla Legge, come prima riteneva, ma la fede in Cristo è fonte della giustificazione; e come prima era stato pronto a combattere per difendere ogni prescrizione pur minima dell'Antica Legge, così ora si opponeva a coloro che tentavano di imporne l'osservanza ai cristiani convertiti dal paganesimo. Per sostenere questo fondamentale principio egli non rifuggi dall'opporsi allo stesso Pietro, che si era mostrato troppo condiscendente nei riguardi dei giudaizzanti.

Il Vangelo di Cristo costituisce una novità assoluta. La Nuova Alleanza, pur essendo stata preparata nell'Antica e pur costituendo la diretta eredità di Abramo e di Mosè, è tuttavia qualcosa di radicalmente nuovo. Dio, che aveva parlato nell'Antico Testamento per mezzo dei Patriarchi e dei Profeti, alla fine ha parlato per mezzo del Figlio ed ora il Verbo di Dio-Figlio è la fonte della verità salvifica (cfr. He 1,1-2). così insegnava Paolo in tutti i suoi viaggi.

Così insegnava visitando le sinagoghe dell'Asia Minore; così insegnava percorrendo le città greche; così in particolare parlo all'Areopago di Atene. Per questo fu perseguitato e flagellato dai suoi ex fratelli nella fede; per questo su di lui incombeva la pena di morte, quando torno a Gerusalemme e si reco sulla soglia del tempio. Ma, dovunque, il Signore gli stava vicino infondendogli forza, affinché per suo mezzo si compisse l'annuncio del Vangelo e lo potessero ascoltare tutte le nazioni (cfr. 2Tm 4,17).


4. Paolo, maestro delle nazioni, e Pietro, al quale il Signore affido le chiavi del Regno dei cieli, si incontrarono finalmente a Roma. Cristo aveva legato i destini di questi due Apostoli, giunti a Lui per vie così diverse. Entrambi furono condotti da Cristo alla capitale dell'Impero, che diverrà il centro della sua Chiesa. Qui giunse per l'uno e per l'altro il giorno in cui il loro sangue doveva essere sparso in sacrificio. E così, da allora, Roma è rimasta la città della testimonianza definitiva degli Apostoli Pietro e Paolo, il luogo del loro martirio: una morte che - grazie a quella di Cristo - genera nuova vita.

Ogni anno, in questo giorno, la Chiesa diffusa su tutta la terra fa memoria di tali eventi. Sono qui convenuti venti Metropoliti di varie parti del mondo, per ricevere il pallio, segno dell'unione con la Sede di Pietro nella stessa fede della Chiesa. Nell'accoglierli con un abbraccio fraterno, saluto con affetto le Chiese ad essi affidate. E' bene che questa solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo sia divenuta in tal modo espressione dell'universale unità della Chiesa, edificata sulla roccia della loro fede, confermata con la testimonianza suprema del sangue.

Tutti noi riceviamo oggi con gioia la Delegazione ortodossa guidata dal Metropolita di Helioupolis e Theira, Athanasios, che il Patriarca ecumenico, Sua Santità Bartolomeo I, ha fraternamente inviato a questa Chiesa di Roma per unirsi a noi nella celebrazione dei Santi Pietro e Paolo dopo averci guidato quest'anno nella Via Crucis al Colosseo con le sue meditazioni sul mistero della morte e della risurrezione di Gesù. Nel rivolgere a ciascuno dei Delegati un cordiale saluto, esprimo l'auspicio d'incontrare personalmente il Patriarca ecumenico in questa stessa Basilica, per pregare insieme con lui il Signore affinché, per l'intercessione dei Santi Pietro e Paolo, ci conceda di raggiungere presto la piena comunione.

Con venerazione ricordiamo oggi anche l'Apostolo Andrea, fratello di san Pietro, la cui tradizione è singolarmente viva nella Chiesa di Costantinopoli.

Andrea condusse Simone da Gesù. Fu lui a dirgli: "Abbiamo trovato il Messia" (Jn 1,41) e Pietro lo segui. Proprio allora Cristo gli disse: "Ti chiamerai Cefa" (Jn 1,42).

Cefa-Pietro è sempre disposto ad andare da Cristo seguendo suo fratello Andrea; è pronto ad andare da Cristo seguendo tutti i fratelli nel ministero apostolico. Il Signore gli ha manifestato che, se egli deve guidare e confermare gli altri, deve anche essere pronto ad ascoltarli.


5. Crediamo che oggi Cristo prega per Pietro in modo particolare, come gli aveva promesso nell'ora della prova suprema: prega per Pietro, perché non venga meno la sua fede (cfr. Lc 22,32). Questa festa, che accomuna gli apostoli Pietro e Paolo, serva a consolidare la fede della Chiesa. Serva a proclamare la gloria del Signore, il Cristo crocifisso e risorto. Poiché "Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché (...) ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre" (Ph 2,9-11).

Amen!

Data: 1994-06-29 17/01/19102Data estesa: Mercoledi 29 Giugno 1994 Pag. 20348






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