GPII 1995 Insegnamenti 734

Alle nuove generazioni: il testo del discorso preparato dal Santo Padre per il festoso incontro in Piazza della Fiera - Trento

Titolo: Guardando voi, vedo i giovani del Vaticano II

Carissimi giovani!

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1. E' grande la mia gioia di essere quest'oggi con voi. Vi ringrazio per essere venuti ad incontrarmi. Vi saluto tutti con affetto, insieme col vostro caro Arcivescovo e coi vostri sacerdoti. Saluto in particolare i "portavoce", che mi hanno rivolto il benvenuto dei giovani di Trento ponendomi anche alcune domande che sgorgano dalle vostre riflessioni. Ho ammirato le suggestive coreografie simboliche da voi realizzate, come pure mi ha colpito l'entusiasmo dei vostri canti. Vorrei tutti abbracciarvi ed esprimere a ciascuno il mio grazie più cordiale! La mia visita avviene a quattrocentocinquanta anni dal Concilio Tridentino, ma guardando voi vedo i giovani del Vaticano II, il Concilio che proietta la Chiesa verso il terzo millennio cristiano. Allora, la prima cosa che il Papa vi dice è questa: imparate bene il Vaticano II, e sarete fedeli anche al Tridentino!

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2. Ed ora veniamo alla parola che sta al centro di questo nostro incontro, una di quelle che esprimono le profondità del cuore di Cristo: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (
Jn 17,21). Questa invocazione appartiene alla grande preghiera che Gesù, secondo l'evangelista Giovanni, elevo al Padre prima della Passione.

Il Vangelo di Giovanni sta accompagnando i miei appuntamenti con i giovani. A Manila, nell'indimenticabile Incontro mondiale dello scorso gennaio - dove credo siano stati presenti anche alcuni di voi - sono risuonate le parole di Cristo Risorto: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" (Jn 20,21). Ecco, dunque: "Come tu, Padre, sei in me e io in te..."; "Come il Padre ha mandato me...". Accostando queste due espressioni, si vede che il termine di paragone è uguale: è il rapporto tra il Padre e il Figlio. E questo rapporto Cristo propone come esemplare per i suoi discepoli. Guardando a Dio noi comprendiamo di essere fatti per l'unità.

Proprio su tale argomento verte la prima domanda che mi avete rivolto: Che cosa significa per i giovani vivere l'unità e la riconciliazione, in un mondo frammentato e pieno di contraddizioni? La risposta ve la dà Gesù stesso: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola". Ecco la risposta: voi la potete scoprire contemplando la Trinità.

L'uomo è fatto a immagine di Dio: per conoscere se stesso deve conoscere Dio. E chi è Dio? Qual è il suo vero volto? "Dio è amore" (1Jn 4,8 1Jn 4,16), scrive ancora san Giovanni. Il Padre ama il Figlio, il Figlio ama il Padre, e il loro amore è lo Spirito Santo. Dio è uno, è l'Assoluto; ma è anche trino, è relazione, dono dell'una Persona all'altra, in un'apertura reciproca totale. Ogni Persona è se stessa ed è distinta dalle altre, eppure le tre Persone sono un unico Dio.

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3. Ecco il modello in cui rispecchiarsi! La Trinità, carissimi giovani, vi insegna innanzitutto che ciascuno deve cercare di essere se stesso. Un adolescente, un giovane è una persona che sta formando la propria identità. In questa nostra società dei consumi e dell'immagine si corre il rischio di perdersi facilmente, di finire "in frantumi". Uno specchio in frantumi non può più riflettere l'immagine intera. Va ricostruito. La persona ha dunque bisogno di un centro profondo e stabile, intorno al quale unificare le varie esperienze. Questo centro, come insegna sant'Agostino, non va cercato fuori di sé, ma nell'intimo del proprio cuore, dove l'uomo incontra Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Nel rapporto con Dio che è unità l'uomo può unificare se stesso.

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4. Approfondiamo ancor più la nostra riflessione: l'essere umano è pienamente se stesso solo quando incontra Dio e può abbandonarsi all'abbraccio della Trinità! L'adolescente che conosce l'amore di Dio e si affida a Lui diventa pienamente se stesso superando il forte rischio di essere "uno, nessuno e centomila" - come denunciava uno scrittore italiano a voi ben noto. Egli allora diventa capace di aprirsi agli altri: non solo di dare qualcosa, ma di donare se stesso.

Carissimi giovani! Se saprete seguire questa strada, non sarete mai dei numeri nella massa, copie dei volti senza nome della pubblicità. La società dei consumi, purtroppo, non di rado sembra volere proprio questo: che voi siate individui senza per-sonalità, che viviate seguendo le mode, alla ricerca di sempre nuove sensazioni, in balia degli impulsi momentanei, perché così diventerete dei "consumatori" ideali. Anche la cosiddetta "trasgressione", che una volta poteva essere sinonimo di anticonformismo, è ormai perfettamente funzionale alla cultura edonistica. Ma oggi, a pensarci bene, va controcorrente chi sa vivere con coerenza il Vangelo. Sta qui l'eroismo della vita quotidiana, che vive la santità in ogni attimo ed in ogni situazione. Dobbiamo veramente rendere grazie al Signore, che ci offre l'opportunità di testimoniare il Vangelo in modo semplice, diventando apostoli della fedeltà e della speranza per le strade di questo mondo.

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5. Ma come realizzare questo ideale di vita? Come non lasciarsi distrarre e distogliere dalle difficoltà che s'incontrano? Qui si inserisce la vostra seconda domanda, che chiede come rendere stabile e duratura l'esperienza dell'unità e della comunione. Possiamo in proposito ricordare un'altra parola di Gesù riportata da san Giovanni: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (
Jn 15,9).

Sottolineate il verbo: "rimanere"! Se volete che la vostra unità sia duratura e non solo legata all'entusiasmo di un momento particolare, dovete "rimanere" nell'amore di Gesù, come il tralcio resta attaccato alla vite. Chi "rimane" nel suo amore "porta molto frutto" (cfr. Jn 15,5). Il primo "frutto" che recano i discepoli è proprio l'essere una cosa sola, amandosi gli uni gli altri come Gesù li ha amati (cfr. Jn 15,12). Non è questo un prodigio di fede e di santità che parla in modo eloquente all'umanità del nostro tempo inquieto, lacerato da tensioni e lotte fratricide? Dove pero attingere forza per "rimanere" nel Signore? Carissimi ragazzi e ragazze, la Chiesa vi propone anzitutto l'Eucaristia, che costituisce il vero "centro di attrazione" della Comunità cristiana. San Paolo scriveva ai Corinzi: "Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo" (1Co 10,17). Imparate a mettere l'Eucaristia al centro della vostra vita. Mediante la meditazione del Vangelo approfonditene il significato. Questo vi aiuterà a riscoprire il valore e la bellezza dell'assemblea eucaristica domenicale, la gioia di far parte di un Popolo che porta nel suo cuore Cristo Crocifisso e Risorto.

Provate poi a comportarvi verso Gesù Eucaristia così come Lui si comporta con noi: egli dona se stesso gratuitamente. Fermatevi presso il Tabernacolo da soli, senza motivi particolari, magari senza dir nulla, semplicemente rimanendo alla sua presenza, contemplando il gesto supremo d'amore racchiuso nel Pane consacrato. Imparate a rimanere con Lui, per saper amare come Lui. Quando potete, durante la settimana, partecipate alla Santa Messa. La fedeltà all'Eucaristia feriale aiuta a seguire Cristo nel quotidiano, infonde luce e forza al cammino vocazionale. Nell'Eucaristia Cristo si fa tutto a tutti, per farci uno in Lui, e ci invia poi a testimoniare il suo amore ai fratelli. Si realizzano in questo modo le parole rivolte al Padre da Gesù nel Cenacolo: "Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me" (Jn 17,23). I fratelli che pregano insieme diventano "un cuore solo e un'anima sola" (Ac 4,32), e possono attuare una vera comunione anche nelle iniziative e nelle attività. E' molto importante che la Comunità cristiana si presenti come corpo organico, diversificato nelle funzioni e nei servizi, nei gruppi e nei movimenti, ma unito nelle motivazioni, negli obiettivi e nello stile evangelico. E' la lezione della Trinità che continua ed ispira il comportamento tanto dei singoli quanto della comunità.

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6. Veniamo ora alla terza domanda: Qual è la strada per vivere e comunicare senza paura la verità e la gioia di Cristo? La strada, carissimi, è la stessa di Gesù: quella del servizio, della condivisione, del dono della propria vita. Qui riprendiamo la parola del Risorto: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" (
Jn 20,21). Il Padre ha inviato Gesù a donare la vita e a donarla in abbondanza (cfr. Jn 10,10), e Gesù manda i discepoli a fare altrettanto. "Dare la vita": ecco l'unico ideale degno di essere vissuto sino in fondo, costi quel che costi. Ecco anche la strada della gioia, come dice Gesù: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere" (Ac 20,35).

Non bisogna confondere questa strada con l'attivismo. Chi infatti si preoccupa e si agita troppo per le cose da fare non è più in grado di comunicare il valore che in quel fare è contenuto, cioè l'amore di Dio. Siate piuttosto strumenti umili, semplici, distaccati anche da voi stessi e dalle vostre attività.

Siate attaccati saldamente solo a Cristo e alla sua Parola. così potrete spargere semi di unità, di riconciliazione e di dialogo, nei vari ambienti in cui vivete e operate. A cominciare dalla famiglia, che, come sapete per esperienza, è un luogo in cui spesso costa fatica testimoniare il Vangelo nei rapporti quotidiani. Poi nella scuola, nel lavoro, nello sport, nel sano divertimento: diffondete dappertutto la pace e la gioia che Gesù dona ai suoi amici.

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7. Cari giovani trentini, guardate a Maria! Ella ha accolto nella sua persona e nella sua esistenza il mistero infinito dell'amore di Dio Uno e Trino. Maria ha vissuto come un'Eucaristia continua: è rimasta sempre intimamente unita a Gesù e lo ha seguito fedelmente da quando si è incarnato nel suo grembo verginale fino al Calvario. Dopo la Risurrezione, gli apostoli rimasero con Lei "assidui e concordi nella preghiera" (
Ac 1,14). così Ella è diventata la Madre dell'unità: modello della Chiesa, che è "segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1).

A Lei, cari giovani, vorrei affidarvi, alla Vergine Santa, sicuro che con la sua guida crescerete nell'unità e porterete a tutti l'immenso amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore (cfr. Jn 17,23).

Ed io vi accompagno con la mia preghiera, mentre di cuore tutti vi benedico.

Data: 1995-04-30 Data estesa: Domenica 30 Aprile 1995

Ad un gruppo di fedeli di Baltimora - Città del Vaticano

Titolo: Rafforzate l'unità e la carità nella Chiesa

Caro Cardinale Keeler, Cari amici in Cristo, Rivolgo a voi il mio saluto nella pace e nella gioia del Signore Risorto! Siete venuti qui a Roma per accompagnare il Card. Keeler che ieri ha preso possesso della sua chiesa titolare, la basilica di Santa Maria degli Angeli.

Sapete bene che questa antica tradizione vuole significare il particolare legame che unisce il vostro Cardinale a questa Sede di Roma. Sono personalmente riconoscente a Sua Eminenza per il suo impegno, sapiente e generoso, nell'alimentare tutto ciò che possa rafforzare l'unità e la carità nella Chiesa.

Ed è proprio questo l'invito che rivolgo a voi tutti con le parole di San Paolo: "Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo" (Ep 4,15). E questo il messaggio che dovete far conoscere, con parole e opere, a casa, al lavoro, nelle vostre comunità, ovunque.

La zona di Baltimora è un importante centro di ricerca accademica e scientifica degli Stati Uniti, soprattutto nel vasto campo della medicina. Vi esorto a tener sempre presenti come criteri assoluti di ogni vostro impegno l'eccezionale valore di ogni vita umana in quanto bene del Signore e la dignità di ogni essere umano. In tal modo costruirete una civiltà consacrata alla vita, in contrasto con tutto ciò che minaccia, l'essenza stessa della vita umana, segnata da un destino trascendentale.

Attendo con ansia ottobre quando, con l'aiuto del Signore, avro l'opportunità di visitare la vostra città e ricambiare così la vostra visita di oggi. In questo periodo pasquale chiedo al Nostro Signore Gesù Cristo di mandare la sua pace su voi e le vostre famiglie, e con gioia vi imparto la mia Benedizione Apostolica.

(Traduzione dall'inglese]

Data: 1995-05-01 Data estesa: Lunedi 1 Maggio 1995

Udienza: il Papa ai componenti delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani ricevuti in occasione del 50° di fondazione - Città del Vaticano

Titolo: "Contribuite ad elaborare una nuova cultura del lavoro attenta alle esigenze integrali dell'uomo e rispettosa dei diritti delle persone"



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1. Cari Fratelli e Sorelle, vi porgo un cordiale benvenuto.

Saluto il vostro Presidente nazionale e lo ringrazio per le calorose espressioni che mi ha indirizzato manifestando, a nome dei presenti, fedeltà al Magistero sociale della Chiesa e volontà di rendere il servizio della testimonianza cristiana di fronte alle sfide della società contemporanea. Grazie per questo dichiarato impegno ad operare nella Chiesa e nel mondo del lavoro alla luce del Vangelo della speranza e della solidarietà.

Saluto il Cardinale Ruini, Presidente della Conferenza Episcopale e gli altri Presuli; saluto altresi l'Onorevole Presidente della Camera dei Deputati con le Autorità politiche intervenute; saluto il Sindaco di Roma; infine saluto tutti i presenti e ciascun membro della vostra Associazione che oggi rende grazie al Signore nel cinquantesimo anniversario della sua fondazione.

E' un giubileo importante che ci ricorda l'impegno profuso per difendere e promuovere la dignità del lavoro e la qualità della vita, spirituale e materiale, di tanti lavoratori.

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2. Si tratta di una ricorrenza ricca di significati, che costituisce un'occasione privilegiata per riflettere sulla vocazione originaria da cui prese avvio, cinquant'anni or sono, la vita delle ACLI. Sono inoltre lieto che questo nostro appuntamento abbia luogo oggi, primo maggio, giorno dedicato alla festa del lavoro e consacrato proprio quarant'anni fa dal Papa Pio XII a San Giuseppe Lavoratore, in adempimento di una precisa richiesta avanzata dalla vostra Associazione. In quello stesso giorno del 1955, come ha opportunamente ricordato il vostro Presidente, le ACLI vollero definirsi come una nuova forza nel mondo del lavoro, caratterizzata da una triplice fedeltà: ai lavoratori, alla democrazia, alla Chiesa. Proprio la fedeltà alla Chiesa garantisce l'identità cattolica della vostra Associazione e l'interpretazione genuinamente evangelica dell'impegno per i lavoratori e per la democrazia.

Così, nel conflitto aperto e duro tra le due concezioni del lavoro e dell'uomo ispirate rispettivamente al liberalismo capitalista ed al collettivismo marxista, le ACLI si assunsero l'impegnativo compito di testimoniare il Vangelo e di incarnare la dottrina sociale della Chiesa, rifiutando le opposte prospettive di un mercato senza regole, a danno dei più deboli, o di una giustizia senza libertà, e sostenendo invece la necessità di coniugare insieme giustizia e libertà alla luce della centralità della persona e della famiglia, al servizio del bene comune.

Non sono mancati, in seguito, momenti di incertezza, nei quali è stata forte la tentazione di allontanarsi da questa linea sotto la pressione dell'ideologia di sinistra allora dominante, ma la stessa vostra presenza qui oggi testimonia della volontà di mantenere ferma e integra la vostra fisionomia cristiana.

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3. Le profonde trasformazioni che, in positivo ed in negativo, hanno segnato l'epoca contemporanea hanno aperto nuove frontiere all'azione della vostra Associazione.

Il crollo dell'ideologia comunista, i radicali cambiamenti delle stesse economie di mercato, il malessere profondo che pervade le cosiddette "società del benessere", creano scenari inediti per il lavoro umano. Superato lo scontro tra socialismo e liberalismo, nuovi pericoli investono il mondo del lavoro e la stessa vita umana. Basti pensare alla tendenza a separare le dinamiche della crescita economica dalle esigenze dello sviluppo sociale e in particolare dell'occupazione; alle nuove ingiustizie e alle violazioni della dignità trascendente della persona e dei suoi diritti più basilari.

A ciò si aggiungono i rischi di una cultura edonistica che trascura le esigenze di sviluppo integrale delle persone e delle famiglie, favorendo un individualismo che può eclissare nelle coscienze i grandi valori della solidarietà, della giustizia e del bene comune. In questo contesto la stessa vita umana, dal concepimento fino al suo termine naturale, non è più compresa come un valore sacro e intangibile, ed è invece insidiata da una falsa concezione della libertà, che, con argomenti speciosi, nei fatti non riconosce a tutti gli uomini i più fondamentali diritti.

Questa situazione, più volte richiamata nelle recenti Encicliche, dalla "Laborem exercens" alla "Sollicitudo rei socialis", dalla "Centesimus annus" alla "Evangelium vitae", deve essere colta dai cristiani come sfida ed appello a ripensare i propri compiti per riproporre con lineare coraggio la luce del Vangelo che salva e rende realmente libero l'uomo.

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4. Per voi, cari Fratelli e Sorelle delle ACLI, che vi apprestate a celebrare a fine anno il XX Congresso della vostra Associazione, si apre ora, dopo cinquant'anni di vita, una nuova fase, che deve inaugurare un serio processo di cambiamento attento al nuovo, ma pienamente in sintonia con i valori che hanno caratterizzato le vostre origini e la vostra vocazione di lavoratori e di credenti.

Solo il Vangelo fa nuove le ACLI. La "rifondazione" della vostra Associazione non può non essere affidata soprattutto alla capacità di mettere al centro la fede nel Dio rivelato in Cristo, dandone testimonianza chiara e trasparente.

La piena accettazione del Vangelo, tanto nell'esistenza personale quanto nell'impegno associativo e nell'azione sociale, darà forza e originalità alla vostra presenza nel mondo del lavoro.

La conversione al Vangelo vi spronerà a recuperare, all'interno ed all'esterno dell'Associazione, gli autentici valori della vita nuova che inizia col Battesimo: lo slancio missionario, l'ascolto, il dialogo, il servizio, lo spirito di povertà evangelica, la compassione, il coraggio di andare contro corrente per tutelare e promuovere i "diritti" di Dio e dei fratelli, specie dei piccoli e degli ultimi.

Essa vi porterà, altresi, a ricercare quotidianamente le vie per proporre nel mondo del lavoro e della produzione i principi e i contenuti della dottrina sociale della Chiesa.

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5. E' necessario a tal fine recuperare l'impegno per la formazione: uno degli elementi che ha costituito, sin dagli inizi, la vera forza delle ACLI.

Cuore di ogni itinerario educativo, cristianamente motivato, è la maturazione di un'autentica spiritualità. Come non preoccuparsi allora di sviluppare in ogni aclista una spiritualità che, scaturendo dalla scoperta della vocazione battesimale, sostenga e dia senso al suo impegno nel mondo del lavoro, abilitandolo così a scelte sempre più coerenti con il Vangelo? Formazione significa pure cura delle persone, della loro identità ed originalità di uomini, di donne, di giovani e di adulti. Esiti di tale sforzo educativo saranno la formazione integrale delle persone, attraverso la crescita in una fede consapevole e capace di testimonianza missionaria, l'acquisizione di conoscenze e di competenze, l'abilitazione alla ricerca, al discernimento, alle scelte responsabili, alla progettazione sociale, alla cittadinanza attiva e solidale, alla coerenza e al dono di sé per il bene comune.

6. Cari Fratelli e Sorelle, nella scia della Dottrina sociale della Chiesa, contribuite con la vostra opera ad elaborare una nuova cultura del lavoro, attenta alle esigenze integrali dell'uomo e rispettosa dei diritti delle persone, solidale verso i piccoli e deboli.

I mutamenti culturali del momento attuale presentano non di rado risvolti problematici. Voi delle ACLI siate costantemente accanto e a difesa d'ogni essere umano, operando per la costruzione d'una società più giusta, libera e fraterna.

Fedeli alla vostra identità, coltivate un dialogo sincero con gli altri protagonisti del mondo del lavoro e della produzione, e in particolare con quelle realtà che, accomunate dalle stesse radici, si ispirano agli stessi ideali ed ai medesimi valori cristiani. Tale dialogo sia animato unicamente dal desiderio di servire con più forza la dignità dell'uomo e di offrire al mondo, alle soglie del terzo Millennio, una testimonianza nuova di unità e di carità nel nome di Cristo.

Camminate sempre alla sequela di Gesù, "egli stesso uomo del lavoro" (
LE 26) e al contempo unico Redentore dell'uomo. Affido i vostri propositi, le vostre gioie e le vostre attese a Maria, l'umile donna di Nazareth, e al suo sposo San Giuseppe di cui oggi facciamo memoria: siano essi la vostra guida e il vostro modello nel tendere alle mete a cui il Signore vi chiama.

Con tali auspici tutti di cuore vi benedico ringraziando per questa grande visita.

Data: 1995-05-01 Data estesa: Lunedi 1 Maggio 1995




Lettera al dott. Pavel Smetana - E ormai prossima la mia visita nella Repubblica Ceca

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Al Dott. Pavel Smetana, Synodal Senior of the Evangelical Church of the Czech Brethren and President of the Ecumenical Council of Churches in the Czech Republic

E ormai prossima la mia visita nella Repubblica Ceca, terra a me sempre cara per la coraggiosa testimonianza offerta dai seguaci di Cristo negli anni dell'oppressione ateistica che colpi indiscriminatamente cattolici e protestanti.

Da tempo attendo con ansia la gioia di questa visita e, cosa per me importantissima, l'incontro in spirito di fratellanza con i rappresentanti delle varie Chiese e denominazioni cristiane.

Sono oltremodo consapevole dell'apprensione e della preoccupazione in voi, cari fratelli, e in molti altri, suscitate dalla prevista canonizzazione del beato Jan Sarkander a Olomuc, in Moravia. Spero vi sarà di conforto sapere che ho deciso di intraprendere questo passo non soltanto perché invitato dai Vescovi della Repubblica Ceca, ma anche perché vi scorgo una possibilità provvidenziale per poter fare, in un luogo che riveste un così grande significato, una valutazione critica delle guerre religiose del XVII secolo con le loro numerose vittime sia protestanti che cattoliche. Lo stesso beato Jan Sarkander fu vittima di quei tragici conflitti che all'epoca furono motivo di grande sofferenza per la vostra comunità.

Se ho voluto accettare l'invito dei Vescovi è perché vedo questa come un'occasione per tutti noi di esprimere l'impegno a far si che contro l'amore cristiano non si perpetrino mai più peccati così gravi.

Ho avuto più volte modo di visitare nazioni dove il ricordo di conflitti tra cattolici e protestanti è ancora oggi vivo e ho sempre rivolto pressanti appelli ai membri delle varie Chiese e comunità ecclesiali, in particolar modo ai membri della Chiesa cattolica, perché non permettano che le ingiustizie di ieri condizionino i rapporti di oggi. E mia profonda convinzione, soprattutto con l'approssimarsi del Terzo Millennio dell'era cristiana, che questa sia per tutti noi un'epoca di grazia, un'epoca che permette di chiedere e offrire perdono, di guardare oltre le sofferenze del passato e di lavorare insieme per offrire una più chiara testimonianza del Vangelo di Gesù Cristo, "perché il mondo creda" (
Jn 17,21). E un'epoca in cui la Chiesa deve "rammaricarsi profondamente per le debolezze di tanti suoi figli, che ne hanno deturpato il volto, impedendole di riflettere pienamente l'immagine del suo Signore crocifisso, testimone insuperabile di amore paziente e di umile mitezza" (TMA 35).

In questo spirito, la canonizzazione di Jan Sarkander non vuole assolutamente giustificare o approvare le trascorse violenze, ma solo riconoscere i meriti personali di questo figlio della Moravia: in quella terra è da sempre amato e venerato sia dal clero che dai laici cattolici, i quali senza dubbio alcuno guardano a lui non come vittima di quell'odio religioso destinato a riaprire ferite che il tempo avrebbe dovuto ormai aver guarito, ma come umile e saldo esempio di sincero amore per Cristo, di consacrazione alla cura delle anime, di fedeltà al suo ministero pastorale, in particolar modo al sacramento della Riconciliazione e agli impegni che questo impone.

Sono fiducioso del fatto che i nuovi rapporti felicemente sviluppatisi negli ultimi anni tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese cristiane e le comunità ecclesiali della Repubblica Ceca continueranno a crescere e a rafforzarsi.

Mi auguro e prego ardentemente che la mia visita contribuisca ad alimentare ulteriormente questo spirito di unità cristiana, secondo il preciso impegno preso dal Concilio Vaticano II, un impegno che rappresenta una delle priorità della mia personale attività pastorale.

Per tale motivo, ho chiesto al cardinale Edward Idris Cassidy, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, di voler consegnare questa mia lettera ed esprimerLe il mio rammarico per non averLe scritto prima, e, in particolar modo, di presentarLe i sensi del mio rispetto e della mia stima in Gesù Cristo, il solo Pastore e Guardiano delle nostre anime (cfr. 1P 2,25).

Dal Vaticano, 2 maggio 1995.

IOANNES PAULUS PP. II (Traduzione dall'inglese]

Data: 1995-05-02 Data estesa: Martedi 2 Maggio 1995



Lettera Apostolica "Orientale Lumen" - Città del Vaticano

Titolo: Per la ricorrenza centenaria della "Orientalium Dignitas" di Papa Leone XIII

Lettera Apostolica "Orientale Lumen" del Sommo Pontefive Giovanni Paolo II all'Episcopato, al clero e ai fedeli per la ricorrenza centenaria della "Orientalium Dignitas" di Papa Leone XIII Venerati Fratelli, Carissimi Figli e Figlie della Chiesa

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1. La luce dell'Oriente ha illuminato la Chiesa universale, sin da quando è apparso su di noi "un sole che sorge" (
Lc 1,78), Gesù Cristo, nostro Signore, che tutti i cristiani invocano quale Redentore dell'uomo e speranza del mondo.

Quella luce ispirava al mio Predecessore Papa Leone XIII la Lettera Apostolica Orientalium Dignitas con la quale egli volle difendere il significato delle tradizioni orientali per tutta la Chiesa (cfr. Leonis XIII Acta, 14 (1894), 358-370. Il Pontefice richiama la stima e l'aiuto concreto che la Santa Sede ha riservato alle Chiese Orientali e la volontà di tutelarne le specificità; inoltre Lett. ap.Praeclara gratulationis (20 giugno 1894), 1.c.,195-214; Lett. enc. Christi nomen (24 dicembre 1894), 1.c., 405-409].

Ricorrendo il centenario di quell'avvenimento e delle iniziative contemporanee con le quali questo Pontefice intendeva favorire la ricomposizione dell'unità con tutti i cristiani d'Oriente, ho voluto che un appello simile, arricchito dalle tante esperienze di conoscenza e d'incontro realizzatesi in quest'ultimo secolo, fosse rivolto alla Chiesa cattolica.

Poiché infatti crediamo che la venerabile e antica tradizione delle Chiese orientali sia parte integrante del patrimonio della Chiesa di Cristo, la prima necessità per i cattolici e di conoscerla per potersene nutrire e favorire, nel modo possibile a ciascuno, il processo dell'unità.

I nostri fratelli orientali cattolici sono ben coscienti di essere i portatori viventi, insieme con i fratelli ortodossi, di questa tradizione. E necessario che anche i figli della Chiesa cattolica di tradizione latina possano conoscere in pienezza questo tesoro e sentire così, insieme con il Papa, la passione perché sia restituita alla Chiesa e al mondo la piena manifestazione della cattolicità della Chiesa, espressa non da una sola tradizione, né tanto meno da una comunità contro l'altra; e perché anche a noi tutti sia concesso di gustare in pieno quel patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sulle Chiese Orientali Cattoliche OE 1; Decr. sull'ecumenismo UR 17] che si conserva e cresce nella vita delle Chiese d'Oriente come in quelle d'Occidente.

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2. Il mio sguardo si rivolge all'Orientale Lumen che risplende da Gerusalemme (cfr.
Is 60,1 Ap 21,10), la città nella quale il Verbo di Dio, fatto uomo per la nostra salvezza, ebreo "nato dalla stirpe di Davide" (Rm 1,3 2Tm 2,8), mori e fu risuscitato. In quella città santa, mentre si compiva il giorno di Pentecoste e "si trovavano tutti insieme nello stesso luogo" (Ac 2,1), lo Spirito Paraclito fu inviato su Maria e i discepoli. Di li il Buon Annuncio si irradio nel mondo perché, ripieni dello Spirito Santo, "annunziavano la Parola di Dio con franchezza" (Ac 4,31). Di li dalla madre di tutte le Chiese (S. Agostino, al riguardo, osserva: "Da dove la Chiesa ha avuto inizio? Da Gerusalemme", In Epistulam Ioannis, II, 2: PL 35,1990] il Vangelo fu predicato a tutte le nazioni, molte delle quali si gloriano di aver avuto in uno degli apostoli il primo testimone del Signore (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa LG 23; Decr. sull'ecumenismo UR 14]. In quella città le culture e le tradizioni più varie ebbero ospitalità nel nome dell'unico Dio (cfr. Ac 2,9-11). Nel volgerci ad essa con nostalgia e gratitudine ritroviamo la forza e l'entusiasmo per intensificare la ricerca dell'armonia in quell'autenticità e pluriformità che rimane l'ideale della Chiesa (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo UR 4].

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3. Un Papa, figlio di un popolo slavo, sente particolarmente nel cuore il richiamo di quei popoli verso i quali si volsero i due santi fratelli Cirillo e Metodio, esempio glorioso di apostoli dell'unità che seppero annunziare Cristo nella ricerca della comunione tra Oriente ed Occidente, pur tra le difficoltà che già talvolta contrapponevano i due mondi. Più volte mi sono soffermato sull'esempio del loro operato (cfr. Lett. ap. Egregiae virtutis (31 dicembre 1980): AAS 73 (1981), 258-262; Lett. enc. Slavorum Apostoli (2 giugno 1985), 12-14: AAS 77 (1985), 792-796], anche rivolgendomi a quanti ne sono i figli nella fede e nella cultura.

Queste considerazioni vogliono ora allargarsi per abbracciare tutte le Chiese orientali, nella varietà delle loro diverse tradizioni. Ai fratelli delle Chiese d'Oriente va il mio pensiero, nel desiderio di ricercare insieme la forza di una risposta agli interrogativi che l'uomo oggi si pone, ad ogni latitudine del mondo. Al loro patrimonio di fede e di vita intendo rivolgermi, nella coscienza che il cammino dell'unità non può conoscere ripensamenti ma è irreversibile come l'appello del Signore all'unità. "Carissimi, abbiamo questo compito comune, dobbiamo dire insieme fra Oriente e Occidente: Ne evacuetur Crux! (cfr.
1Co 1,17). Non sia svuotata la Croce di Cristo, perché se si svuota la Croce di Cristo, l'uomo non ha più radici, non ha più prospettive: è distrutto! Questo è il grido alla fine del secolo ventesimo. E il grido di Roma, il grido di Costantinopoli, il grido di Mosca. E il grido di tutta la cristianità: delle Americhe, dell'Africa, dell'Asia, di tutti. E il grido della nuova evangelizzazione" (Discorso dopo la Via Crucis del Venerdi Santo (1° aprile 1994), 3: AAS 87 (1995), 88].

Alle Chiese d'Oriente si dirige il mio pensiero, come numerosi altri Papi fecero nel passato, sentendo rivolto anzitutto a sé il mandato di mantenere l'unità della Chiesa e di cercare instancabilmente l'unione dei cristiani dove fosse stata lacerata. Un legame particolarmente stretto già ci unisce. Abbiamo in comune quasi tutto (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo UR 14-18]; e abbiamo in comune soprattutto l'anelito sincero all'unità.

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4. Giunge a tutte le Chiese, d'Oriente e d'Occidente, il grido degli uomini d'oggi che chiedono un senso per la loro vita. Noi vi percepiamo l'invocazione di chi cerca il Padre dimenticato e perduto (cfr.
Lc 15,18-20 Jn 14,8). Le donne e gli uomini di oggi ci chiedono di indicare loro Cristo, che conosce il Padre e ce lo ha rivelato (cfr. Jn 8,55 Jn 14,8-11). Lasciandoci interpellare dalle domande del mondo, ascoltandole con umiltà e tenerezza, in piena solidarietà con chi le esprime, noi siamo chiamati a mostrare con parole e gesti di oggi le immense ricchezze che le nostre Chiese conservano nei forzieri delle loro tradizioni.

Impariamo dal Signore stesso che lungo il cammino si fermava tra la gente, l'ascoltava, si commuoveva quando li vedeva "come pecore senza pastore" (Mt 9,36 cfr. Mc 6,34). Da lui dobbiamo apprendere quello sguardo d'amore con il quale riconciliava gli uomini con il Padre e con se stessi, comunicando loro quella forza che sola è in grado di sanare tutto l'uomo.

Di fronte a questo appello le Chiese d'Oriente e di Occidente sono chiamate a concentrarsi sull'essenziale: "Non possiamo presentarci davanti a Cristo, Signore della storia, così divisi come ci siamo purtroppo ritrovati nel corso del secondo millennio. Queste divisioni devono cedere il passo al riavvicinamento e alla concordia; debbono essere rimarginate le ferite sul cammino dell'unità dei cristiani" (Discorso al Concistoro straordinario, 13 giugno 1994].

Al di là delle nostre fragilità dobbiamo volgerci a Lui, unico Maestro, partecipando alla sua morte, in modo da purificarci da quel geloso attaccamento ai sentimenti e alle memorie non delle grandi cose che Dio ha fatto per noi, ma delle vicende umane di un passato che pesa ancora fortemente sui nostri cuori. Lo Spirito renda limpido il nostro sguardo, perché insieme possiamo camminare verso l'uomo contemporaneo che attende il lieto annuncio. Se di fronte alle attese e alle sofferenze del mondo daremo una risposta concorde, illuminante, vivificante, contribuiremo davvero a un annuncio più efficace del Vangelo tra gli uomini del nostro tempo.

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5. "Nell'indagare la verità rivelata in oriente e in occidente furono usati metodi e prospettive diversi per giungere alla conoscenza e alla proclamazione delle cose divine. Non fa quindi meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall'uno che non dall'altro, cosicché si può dire allora che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi" (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo
UR 17].

Portando nel cuore le domande, le aspirazioni e le esperienze a cui ho accennato, la mia mente si volge al patrimonio cristiano dell'Oriente. Non intendo descriverlo né interpretarlo: mi metto in ascolto delle Chiese d'Oriente che so essere interpreti viventi del tesoro tradizionale da esse custodito. Nel contemplarlo appaiono ai miei occhi elementi di grande significato per una più piena ed integrale comprensione dell'esperienza cristiana e, quindi, per dare una più completa risposta cristiana alle attese degli uomini e delle donne di oggi.

Rispetto a qualsiasi altra cultura, l'Oriente cristiano ha infatti un ruolo unico e privilegiato, in quanto contesto originario della Chiesa nascente.

La tradizione orientale cristiana implica un modo di accogliere, di comprendere e di vivere la fede nel Signore Gesù. In questo senso essa è vicinissima alla tradizione cristiana d'Occidente che nasce e si nutre della stessa fede. Eppure se ne differenzia, legittimamente e mirabilmente, in quanto il cristiano orientale ha un proprio modo di sentire e di comprendere, e quindi anche un modo originale di vivere il suo rapporto con il Salvatore. Voglio qui avvicinarmi con rispetto e trepidazione all'atto di adorazione che esprimono queste Chiese, piuttosto che individuare questo o quel punto teologico specifico, emerso nei secoli in contrapposizione polemica nel dibattito tra Occidentali e Orientali.

L'Oriente cristiano fin dalle origini si mostra multiforme al proprio interno, capace di assumere i tratti caratteristici di ogni singola cultura e con un sommo rispetto di ogni comunità particolare. Non possiamo che ringraziare Dio, con profonda commozione, per la mirabile varietà con cui ha consentito di comporre, con tessere diverse, un mosaico così ricco e composito.

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6. Vi sono alcuni tratti della tradizione spirituale e teologica, comuni alle diverse Chiese d'Oriente, che ne distinguono la sensibilità rispetto alle forme assolute della trasmissione del Vangelo nelle terre d'Occidente. così li sintetizza il Vaticano II: "E noto a tutti con quanto amore i cristiani orientali compiano le sacre azioni liturgiche, soprattutto la celebrazione eucaristica, fonte della vita della Chiesa e pegno della gloria futura, con la quale i fedeli uniti col Vescovo hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo Incarnato, morto e glorificato, nell'effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la santissima Trinità, fatti "partecipi della natura divina" (
2P 1,4)" (Ibidem, UR 15].

In questi tratti si delinea la visione orientale del cristiano, il cui fine è la partecipazione alla natura divina mediante la comunione al mistero della santa Trinità. Vi si tratteggiano la "monarchia" del Padre e la concezione della salvezza secondo l'economia, quale la presenta la teologia orientale dopo Sant'Ireneo di Lione e quale si diffonde presso i Padri cappadoci (cfr. S. Ireneo, Contro le eresie, V,36,2: SCh 153/2,461; S. Basilio, Trattato sullo Spirito Santo, XV,36: PG 32,132; XVII,43, I.c., 148; XVIII, 47, I.c., 153].

La partecipazione alla vita trinitaria si realizza attraverso la liturgia e in modo particolare l'Eucaristia, mistero di comunione con il corpo glorificato di Cristo, seme di immortalità (cfr. S. Gregorio di Nissa, Discorso catechetico XXXVII: PG 45,97]. Nella divinizzazione e soprattutto nei sacramenti la teologia orientale attribuisce un ruolo tutto particolare allo Spirito Santo: per la potenza dello Spirito che dimora nell'uomo la deificazione comincia già sulla terra, la creatura è trasfigurata e il Regno di Dio è inaugurato.

L'insegnamento dei Padri cappadoci sulla divinizzazione è passato nella tradizione di tutte le Chiese orientali e costituisce parte del loro patrimonio comune. Ciò si può riassumere nel pensiero già espresso da Sant'Ireneo alla fine del II secolo: Dio si è fatto figlio dell'uomo, affinché l'uomo potesse divenire figlio di Dio (cfr. Contro le eresie, III,10,2: SCh 211/2,121; III,18,7, I.c., 365; III,19,1, I.c., 375; IV,20,4: SCh 100/2,635; IV 33,4, I.c., 811; V, Pref., SCh 153/2,15]. Questa teologia della divinizzazione resta una delle acquisizioni particolarmente care al pensiero cristiano orientale (Innestati in Cristo "gli uomini diventano dei e figli di Dio, ... la polvere e innalzata ad un tale grado di gloria da essere ormai uguale in onore e deità alla natura divina", Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, I: PG 150,505].

In questo cammino di divinizzazione ci precedono coloro che la grazia e l'impegno nella via del bene ha reso "somigliantissimi" al Cristo: i martiri e i santi (cfr. S.Giovanni Damasceno, Sulle immagini, I,19: PG 94,1249]. E tra questi un posto tutto particolare occupa la Vergine Maria, dalla quale è germogliato il Virgulto di Jesse (cfr. Is 11,1). La sua figura è non solo la Madre che ci attende ma la Purissima che - realizzazione di tante prefigurazioni veterotestamentarie - è icona della Chiesa, simbolo e anticipo dell'umanità trasfigurata dalla grazia, modello e sicura speranza per quanti muovono i loro passi verso la Gerusalemme del cielo (cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987) RMA 31-34: AAS 79 (1987), 402-406; Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo UR 15].

Pur accentuando fortemente il realismo trinitario e la sua implicazione nella vita sacramentale l'Oriente associa la fede nell'unità della natura divina alla inconoscibilità della divina essenza. I Padri orientali affermano sempre che è impossibile sapere ciò che Dio è, si può solo sapere che Egli è, poiché si è rivelato nella storia della salvezza come Padre, Figlio e Spirito Santo (cfr. S.

Ireneo, Contro le eresie, II,28,3-6: SCh 294,274-284; S. Gregorio di Nissa, Vita di Mosè: PG 44,377; S. Gregorio di Nazianzo, Sulla santa Pasqua, or. XLV, 3s: PG 36,625-630].

Questo senso della indicibile realtà divina si riflette nella celebrazione liturgica, dove il senso del mistero è colto così fortemente da parte di tutti i fedeli dell'Oriente cristiano.

"In oriente si trovano pure le ricchezze di quelle tradizioni spirituali, che sono state espresse specialmente dal monachesimo. Ivi infatti fin dai gloriosi tempi dei santi padri fiori quella spiritualità monastica, che si estese poi all'occidente e dalla quale, come da sua fonte trasse origine la regola monastica dei latini e in seguito ricevette ripetutamente nuovo vigore. perciò caldamente si raccomanda che i cattolici con maggior frequenza accedano a queste ricchezze dei padri orientali, le quali trasportano tutto l'uomo alla contemplazione delle cose divine" (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'ecumenismo UR 15].


GPII 1995 Insegnamenti 734