GPII 1995 Insegnamenti 624

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1. Oggi, Domenica di Passione o "delle Palme", desideriamo salutare Te, Signore Gesù Cristo, come Pellegrino. Tu giungi a Gerusalemme; vieni per la festa di Pasqua, vieni circondato da molti altri pellegrini.

Nell'Antico Testamento, Israele conservo sempre inscritta nella propria memoria la peregrinazione attraverso il deserto, sotto la guida di Mosè. Fu un'esperienza costitutiva per Israele, il popolo condotto da Dio dalla schiavitù d'Egitto al servizio del Signore (cfr.
Dt 26,1-11). Mosè fece uscire la sua gente attraverso il Mar Rosso e, lungo un cammino durato quarant'anni, la guido alla Terra promessa. Quando poi gli Israeliti si furono stabiliti nella patria loro assegnata da Dio, il ricordo della peregrinazione nel deserto divenne parte viva e dinamica del loro culto.

Gli Ebrei erano soliti recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme in varie occasioni, ma soprattutto per la festa di Pasqua. Anche Gesù vi giunse come pellegrino nei giorni precedenti la Pasqua: Pellegrino della "Domenica delle Palme". E noi, riuniti qui in Piazza San Pietro, lo salutiamo come il Santissimo Pellegrino, che conferisce senso definitivo al nostro peregrinare.

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2. Il primo pellegrinaggio di Gesù dodicenne da Nazaret a Gerusalemme non annunciava già tale compimento? Allora, giunto alla Città santa con la Madre e Giuseppe, Gesù si senti chiamato a fermarsi nel Tempio, per "ascoltare e interrogare" (cfr.
Lc 2,46) i dottori riguardo alle cose di Dio. Quel primo pellegrinaggio lo coinvolse profondamente nella missione che avrebbe segnato tutta la sua vita. Niente di strano, dunque, che quando fu ritrovato da Maria e Giuseppe nel Tempio, Egli abbia risposto in modo significativo al rimprovero rivoltogli dalla Madre: "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49).

Negli anni che seguirono a quel misterioso avvenimento, Gesù, adolescente e poi uomo maturo, sali molte volte a Gerusalemme come pellegrino.

Finché, nel giorno che oggi celebriamo, vi si reco per l'ultima volta. Quello della Domenica delle Palme fu, pertanto, un pellegrinaggio messianico in senso pieno, nel quale si compirono gli oracoli dei profeti, in particolare quello di Zaccaria, preannunziante l'ingresso del Messia in Gerusalemme in groppa ad un puledro d'asina (cfr. Za 9,9), circondato da folle osannanti per aver riconosciuto in Lui l'Inviato del Signore. Proprio per questo, sulla strada che Gesù stava percorrendo, i discepoli e la gente stendevano i loro mantelli, gettavano rami di palma e d'ulivo e lo salutavano cantando con entusiasmo parole di fede e di speranza: "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore!" (Lc 19,38).

Ciò avvenne prima della festa di Pasqua. Pochi giorni dopo, le grida di esultanza, che avevano accompagnato l'ingresso del Cristo pellegrino nella Città santa, si sarebbero mutate in un urlo rabbioso: "Crocifiggilo, crocifiggilo!" (Lc 23,21).

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3. Abbiamo appena ascoltato il racconto della Passione del Signore secondo San Luca. Sappiamo che oggi Gesù di Nazaret sale a Gerusalemme per l'ultima volta.

Anche per questo lo salutiamo in modo particolare come Pellegrino.

E' un Pellegrino straordinario, unico! Il suo peregrinare non è misurabile con categorie geografiche. Egli stesso ne parla col suo misterioso linguaggio: "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre" (
Jn 16,28). Ecco la giusta dimensione del suo pellegrinaggio! E la Settimana Santa, che oggi iniziamo, rivela tutta "l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità" (Ep 3,18) del peregrinare di Cristo.

Egli sale a Gerusalemme, perché si compiano in Lui tutte le profezie.

Sale per abbassarsi e farsi obbediente fino alla morte e alla morte di croce, e per sperimentare, dopo lo spogliamento totale di se stesso, l'esaltazione da parte di Dio (cfr. Ph 2,8-9).

Soltanto questa Settimana, in tutto l'anno liturgico, a buon diritto viene chiamata "Santa": in essa è contenuto il compimento del mistero di Cristo, Santissimo Pellegrino "unito in qualche modo ad ogni uomo" (GS 22), pellegrino che cammina nella nostra storia. Che cosa, infatti, si può dire di più illuminante di questo sul senso del peregrinare dell'uomo: "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre"? Non è proprio questa, in Cristo, la piena e definitiva dimensione di ogni umano peregrinare?

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4. Per questa ragione la Domenica delle Palme è diventata, dieci anni or sono, il punto di riferimento centrale del grande e articolato pellegrinaggio dei giovani cristiani nel mondo intero. Esistono importanti motivi perché la Chiesa riconosca questa Domenica come la "Giornata dei giovani". Furono i giovani a correre incontro a Gesù che veniva a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Furono loro a stendere mantelli e rami sulla strada e a cantarGli: "Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!" (
Mt 21,9).

I giovani manifestarono così l'entusiasmo della loro giovanile scoperta, una scoperta che fino ad oggi, di generazione in generazione, essi continuano a sperimentare: Gesù è "la via, la verità e la vita" (Jn 14,6). Egli è Colui che conferisce il senso definitivo al pellegrinaggio terreno dell'uomo. Dice infatti: "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo", e con queste parole indica l'inizio di tale itinerario. Soggiunge poi: "Lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre", mostrando con ciò il termine del nostro camminare dietro a Lui.

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5. Ecco perché, o Cristo, Santissimo Pellegrino della storia degli uomini, i giovani guardano a Te, che sei Via, Verità e Vita. Sul finire del secondo millennio cristiano, essi hanno intrapreso un grande pellegrinaggio, che, sotto il segno della Croce itinerante, li conduce lungo i sentieri della civiltà dell'amore. E' un pellegrinaggio che si articola in molteplici livelli: parrocchiale, diocesano, nazionale, continentale e mondiale. Quest'oggi, in Piazza San Pietro, ci sono soprattutto i giovani della diocesi di Roma. Carissimi, vi saluto tutti. E insieme a voi saluto i giovani di ogni parte del mondo, che in tanti angoli della terra celebrano quest'oggi, in comunione con noi, la Giornata Mondiale dei Giovani.

Guardando a voi qui presenti, come non evocare l'esperienza straordinaria dell'Incontro mondiale della gioventù svoltosi tre mesi fa a Manila, nelle Filippine? Il nostro sguardo corre anche al pellegrinaggio della gioventù europea a Loreto, in programma per il prossimo settembre; e più in là ancora, ci attende la celebrazione della Dodicesima Giornata Mondiale, a Parigi, nel 1997.

Ti salutiamo, o Cristo, Figlio del Dio vivente, che ti sei fatto uomo e, come uomo, cammini con noi in pellegrinaggio attraverso la storia. Ti salutiamo, Divino Pellegrino, sulle strade del mondo! Davanti a Te stendiamo rami di palma e d'ulivo, come fecero un giorno a Gerusalemme i figli e le figlie d'Israele.

Coinvolti da un medesimo slancio di fede e di speranza, anche noi esclamiamo: "Gloria a Te, Re dei secoli!".

Data: 1995-04-09 Data estesa: Domenica 9 Aprile 1995

Udienza: il discorso di Giovanni Paolo II al Congresso Universitario Internazionale "Univ '95" - Città del Vaticano

Titolo: Cristo è mistero sempre vivo ed attuale nel quale ciascun uomo si trova personalmente inserito

Carissimi,

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1. Anche quest'anno è una gioia per me darvi il benvenuto a Roma, dove vi siete riuniti per il vostro Congresso Universitario Internazionale. Vi saluto tutti con affetto. A voi, professori e studenti, provenienti da 300 Università di ben 60 Paesi, auguro di trarre il massimo profitto dallo scambio di idee e di esperienze che scandirà queste giornate. Non è certamente casuale la scelta della Settimana Santa come cornice dei lavori di questo incontro. perciò il mio principale auspicio è che sappiate approfondire l'argomento del Congresso in modo veramente coerente con lo spirito di questo significativo tempo liturgico.

La commemorazione della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo è mistero sempre vivo ed attuale, nel quale ciascun uomo si trova personalmente inserito secondo tutte le dimensioni della propria vita.

"Lavoro: inventare il futuro": il tema del Congresso chiama in causa una sfera essenziale dell'esistenza umana. Il lavoro, inteso nel senso ampio di attività caratteristica dell'uomo, abbraccia l'intero nostro agire (cfr. Laborem exercens, Proemio
LE 1) e, in tal senso, può essere assunto come chiave interpretativa dell'antropologia. Anche la concezione cristiana dell'uomo, dunque, ha nel lavoro uno degli indici più tangibili della propria identità. Nella verifica della rispondenza della propria vita all'ideale evangelico, il cristiano è chiamato a rispondere a questa domanda decisiva: nel mio lavoro è davvero presente lo Spirito di Cristo? Faccio in modo che in esso viva il mistero pasquale? Si possono sviluppare, in questa prospettiva, interessanti considerazioni sull'etica del lavoro, soprattutto nel suo versante soggettivo, quello cioè per cui l'uomo è soggetto del lavoro, primo fondamento del suo valore, sicché tutti gli atti da lui posti nell'attività lavorativa debbono servire "al compimento della vocazione ad essere persona" (LE 4).

(In spagnolo:]

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2. Il lavoro tende a realizzare in noi la "vocazione a essere persona". In questo senso appare come un supporto alla lotta per la santità. Quello che ci rende santi "non è il lavoro", ma "l'azione della grazia in noi"; infatti, è lungo tutto l'arco della vita e, quindi, nell'orizzonte specifico dell'operare quotidiano, che si realizza il nostro corrispondere alla grazia. Possiamo dire che il lavoro ci offre il luogo, l'ambito, il mezzo o, se preferite, gli strumenti e il linguaggio della nostra risposta alle sollecitazioni dell'amore di Dio. Il lavoro - con gli interessi positivi che suscita, gli stimoli che produce nei suoi protagonisti, la ricchezza delle sue motivazioni, la sua durezza e la sua fatica, così come con la monotonia che a volte lo accompagna - vede dilatarsi in questo modo i significati che gli sono propri: "non è solo espressione della dignità dell'uomo", fattore di sviluppo della sua personalità, vincolo di unione con gli altri uomini, fonte di sostentamento per la famiglia e mezzo per contribuire al progresso della società; ma soprattutto, e prima ancora di tutto questo, "è un compito che ci è stato affidato da Dio", segno della sua fiducia nell'uomo e testimonianza dell'amore della creatura per il suo Creatore.

In questa prospettiva vi invito a coltivare, durante gli anni fecondi degli studi universitari, la giusta "passione professionale" e ad arricchirla con un alto anelito di santità. "Dio vi parla nel lavoro" e il lavoro quotidiano contiene tutto il lessico della vostra risposta. Si, il lavoro, come vi esorta a fare il Beato Josemaria Escriva, "deve convertirsi in preghiera": implorazione di aiuto, atto sincero di offerta al Signore, accettazione serena del sacrificio, dono spesso difficile ma sempre generoso, terreno di crescita nelle virtù.

(In francese:]

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3. Cari amici di lingua francese, con queste parole desidero rivolgervi il mio incoraggiamento alla vostra formazione umana e cristiana. Il tema delle vostre riflessioni vi invita proprio a dare un senso di pienezza ai vostri studi e al vostro lavoro futuro. La Settimana Santa vi esorta in particolare ad affidare al Signore i vostri progetti e a fargli dono di voi stessi. Con il sacrificio della Croce, Cristo Redentore dona la propria vita e presenta le offerte degli uomini al Padre di ogni misericordia e di ogni amore. E la sua Risurrezione illumina tutta la nostra storia. Che la celebrazione del Mistero pasquale sia per voi una tappa decisiva sul vostro cammino di giovani cristiani impegnati nella Chiesa! Cari universitari di lingua portoghese: mi auguro che l'"UNIV 95" sia lo strumento del quale la Divina Provvidenza ha voluto servirsi per illuminare i vostri nobili ideali di santità nel lavoro e di pace nelle vostre famiglie. Felice permanenza a Roma e che Dio vi benedica! (In inglese:] Cari giovani, sono certo che la vostra visita a Roma durante la settimana Santa e la vostra riflessione sui temi del congresso dell'UNIV di quest'anno vi saranno di sicuro aiuto a maturare ancor più nel vostro impegno a evangelizzare la società attraverso l'esempio e l'amore. Il mondo ha bisogno di giovani cattolici in grado di "rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro" (
1P 3,15). Il che vale soprattutto nel mondo del lavoro e dell'attività professionale. Vi esorto a continuare a dare testimonianza della vostra fede nella fedeltà alle domande etiche e spirituali dei vostri doveri professionali.

(In tedesco:] Con il tema dell'incontro da voi realizzato fate vostro il significato emergente del lavoro, che deve sempre corrispondere ad una visione dell'uomo che sia conforme al senso di giustizia e che sia portatrice di significato in se stessa, e mai deve essere subordinata ad un terzo fine. Possano le vostre preghiere e il vostro lavoro qui a Roma essere produttivi per il vostro impegno cristiano a casa, nelle vostre parrocchie ed episcopati.

perciò, valga per voi tutti la mia particolare Benedizione.

(In portoghese:] Cari universitari di lingua portoghese: mi auguro che l'"UNIV '95" sia lo strumento del quale la Divina Provvidenza ha voluto servirsi per illuminare i vostri nobili ideali di santità nel lavoro e di pace nelle vostre famiglie. Felice permanenza a Roma e che Dio vi benedica! (Il Papa ha poi proseguito in italiano:]

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4. Carissimi giovani, vivete sempre il lavoro nello spirito di Cristo; parteciperete così all'opera della Redenzione. La garanzia che il lavoro viene eseguito in autentica coerenza con lo spirito di Cristo sta proprio nel servizio specificamente cristiano che, attraverso il lavoro, rendiamo ai fratelli: i vincoli di amicizia e di collaborazione che si consolidano, operando gomito a gomito con i colleghi, vanno trasformati - con la preghiera e la penitenza, con la parola e con l'esempio - in occasioni di evangelizzazione. E non dimenticate che l'atto culminante della Redenzione, come meditiamo in questi giorni, è stato consumato da Gesù sul Calvario. Domandatevi pertanto: il mio lavoro è riflesso della Croce? In tutte le prove che nascono dall'attività lavorativa, nella fatica che essa genera, so sorridere a Cristo che mi viene incontro porgendomi la Croce? Carissimi, affido i vostri ideali ed i vostri progetti a Maria, silenziosa e dolente ai piedi della Croce, a Maria testimone prima della gloria della Risurrezione. Vi auguro di tutto cuore di trascorrere una felice e santa Pasqua, mentre imparto a voi, ai vostri familiari, ai promotori del vostro Congresso l'Apostolica Benedizione.

Data: 1995-04-11 Data estesa: Martedi 11 Aprile 1995


Giovedi Santo: l'omelia di Giovanni Paolo II durante la Messa del Crisma celebrata insieme con oltre 1200 presbiteri - Città del Vaticano

Titolo: La festa del sacerdozio



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1. "Ave sanctum Chrisma!" Siamo qui convenuti, cari Fratelli nel Sacerdozio, per la liturgia mattutina del Giovedi Santo, celebrata di solito soltanto nelle Chiese cattedrali, quando intorno al Pastore della diocesi si radunano i sacerdoti che ne costituiscono il Presbiterio. Il Giovedi Santo è la festa del sacerdozio, avendo Cristo istituito tale sacramento proprio in questo giorno, durante l'Ultima Cena.

Io celebrero questa sera la liturgia della "Cena del Signore" nella Basilica di San Giovanni in Laterano, Chiesa cattedrale del Vescovo di Roma.

Ora invece eccoci qui riuniti, per anticipare, in un certo senso, la liturgia vespertina e mettere in rilievo la realtà del sacerdozio del nostro numeroso Presbiterio, come sacramento della comunità ecclesiale romana.

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2. "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione" (
Is 61,1-2).

Le parole del profeta Isaia, che abbiamo udito nella prima lettura, sono riportate anche nel brano evangelico (cfr. Lc 4,18). Luca ricorda il momento in cui Gesù, ormai trentenne, si reco un sabato alla sinagoga e, come voleva la tradizione, si presento per la prima volta davanti alla comunità per leggere la parola di Dio. Gli fu dato il Libro del profeta Isaia. Aperto il rotolo, trovo il passo dove era scritto: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,18-19). Dopo aver letto queste parole, - annota l'Evangelista - Gesù restitui il rotolo all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di Lui. Attendevano infatti un suo commento che, in verità, fu molto breve. Disse: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito" (Lc 4,21). Le parole della Scrittura si sono adempiute perché in mezzo a voi sta l'Unto, il Messia, Colui che viene in virtù dello Spirito del Signore: l'Unto e il Mandato da Dio.

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3. "Ave sanctum Chrisma!" Nel giorno della festa del nostro sacerdozio ci ricordiamo l'unzione ricevuta al momento dell'ordinazione sacerdotale. Quel giorno il Vescovo ci unse con olio le palme delle mani e nella consacrazione episcopale la fronte. L'unzione significa la potenza dello Spirito Santo, che ogni sacerdote riceve per celebrare l'Eucaristia. Il Vescovo riceve la potenza dello Spirito Santo, per presiedere alla Chiesa di Dio, per vigilare sulla celebrazione dell'Eucaristia, per insegnare e confortare, per curare nel sacramento della riconciliazione, per edificare la Chiesa come comunità d'amore, nella quale la Buona Novella viene annunciata e attuata mediante il molteplice ministero. A ragione, dunque, il Salmo responsoriale ricorda la consacrazione di Davide con l'olio. Davide non fu sacerdote, ma profeta e re. La tradizione dell'unzione dei profeti e dei re si era consolidata nell'Antico Testamento, e tale usanza nei riguardi dei re cristiani accompagno per lungo tempo anche la storia di nazioni cristiane.

Cristo ci appare nell'odierna liturgia nella sua triplice Unzione: di Profeta, Sacerdote e Re messianico. Noi tutti abbiamo parte alla sua unzione. E perciò salutiamo con fede profonda questi Oli Santi, che serviranno all'unzione dei catecumeni nel Battesimo, dei battezzati in occasione della Confermazione, dei candidati al Sacerdozio ed all'Episcopato al momento della loro Ordinazione e, infine, degli infermi nella loro malattia.

"Ave sanctum Oleum! Ave sanctum Chrisma!"

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4. Il nostro saluto non va tanto ai Santi Oli, quanto all'Unto stesso, Cristo Signore. Sappiamo infatti che, mediante l'unzione, abbiamo preso parte al Sacerdozio di Cristo, che in noi si esplica nel sacerdozio ministeriale. E oggi con lo sguardo fisso sul divino Messia, desideriamo rinnovare le promesse fatte al Signore il giorno dell'ordinazione. Esse devono consolidarci sulla strada scelta per opera dello Spirito Santo; devono riaccendere in noi il desiderio del servizio sacerdotale verso l'intero Popolo di Dio, ovunque lo Spirito Santo ci manderà a compiere il nostro ministero.

I fedeli riuniti in questa Basilica attendono il rinnovamento delle nostre promesse. Dopo la benedizione del Crisma e degli Oli Santi, desiderano portarli nelle loro parrocchie, affinché li possano servire alla celebrazione dei santi sacramenti. Mentre ci ascoltano rinnovare le promesse formulate nel sacramento dell'Ordine, i nostri fratelli e sorelle nella fede pregano per noi, sacerdoti, perché siamo fedeli alla vocazione, ricevuta da Cristo per il bene della Chiesa.

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5. Su questo sfondo acquista un'eloquenza particolare la seconda lettura dell'Apocalisse di S. Giovanni. L'Apostolo si rivolge a noi e a tutta la Chiesa: "Grazia a voi e pace (...) da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra " (
Ap 1,4-5). San Giovanni prima saluta Cristo, il Testimone fedele dei misteri della divinità, e poi si rivolge a lui nella prospettiva del misterium altum sulla cui soglia ci troviamo. Parla a Cristo, il quale ci ama e ci ha liberato dai nostri peccati mediante il suo sangue; parla a Cristo che ha fatto di noi un regno e sacerdoti per Dio Padre suo; parla a quel Cristo che è già nella gloria del Padre, ma che è sempre presente nella storia della Chiesa e dell'umanità, portando in sé le ferite della crocifissione: "Ognuno lo vedrà; anche quelli che lo trafissero e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto" (Ap 1,7). Le parole di San Giovanni ci introducono così negli eventi del Venerdi Santo, eventi immediatamente superati dalla luce della risurrezione. Nella risurrezione Cristo si manifesterà, infatti, come il Figlio consostanziale al Padre, il Primo e l'Ultimo, il Primogenito di tutta la creazione. Egli dirà: ' 'Io sono l'Alfa e l'Omega, colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente" (cfr. Ap 1,8).

"Lode a te o Cristo, Re di eterna gloria!" Amen!

Data: 1995-04-13 Data estesa: Giovedi 13 Aprile 1995

Giovedi Santo: l'omelia del Papa durante la Messa "nella Cena del Signore" celebrata a S. Giovanni in Laterano - Roma

Titolo: Dal giorno dell'Ultima Cena l'"oggi eucaristico" della Chiesa



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1. "Tantum ergo Sacramentum veneremur cernui...".

"Adoriamo il Sacramento che Dio Padre ci dono.

Nuovo patto, nuovo rito nella fede si compi.

Al mistero è fondamento la parola di Gesù".

Le parole dell'inno di san Tommaso d'Aquino ben riassumono la liturgia dell'odierna Eucaristia vespertina. La stiamo celebrando con la viva consapevolezza che quanto la Chiesa rivive quotidianamente nella Santa Messa in tanti luoghi del mondo si è compiuto il Giovedi Santo. Proprio oggi viviamo in modo particolare quello che si potrebbe chiamare l'"oggi" eucaristico. Nella liturgia il celebrante lo sottolinea chiaramente: "Alla vigilia della sua passione, sofferta per la salvezza nostra e del mondo intero, cioè oggi, egli prese il pane nelle sue mani sante e venerabili, e alzando gli occhi al cielo a te Dio Padre suo onnipotente, rese grazie con la preghiera di benedizione, spezzo il pane, lo diede ai suoi discepoli e disse: "Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi". Consapevoli che proprio oggi ha avuto luogo l'Ultima Cena, ci chiniamo sopra il pane che la comunità porta quotidianamente all'altare. Oggi, Giovedi Santo, giorno qualificato dalla liturgia come l'"eucaristico oggi", Cristo prese il pane nelle sue mani, lo spezzo e lo distribui ai discepoli dicendo: "Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi".

Con la stessa consapevolezza dell'"eucaristico oggi", ci chiniamo pure sopra il calice del vino ripetendo le parole che il Signore pronuncio durante l'Ultima Cena: "Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me".

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2. In virtù delle parole di Cristo: "Fate questo in memoria di me", i sacerdoti agiscono "in persona Christi". E' Cristo a pronunciare le parole della consacrazione; è Lui a celebrare l'Eucaristia, ad offrire il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino. E noi, che indegnamente partecipiamo del suo sacerdozio ministeriale, compiamo tutto ciò "in persona Christi", non soltanto rappresentandolo, ma, in certo modo, identificandoci con Lui, unico Sacerdote della Nuova ed eterna Alleanza.

Di questo ci parla la seconda Lettura, il più antico scritto a noi giunto sull'istituzione dell'Eucaristia. In esso san Paolo afferma che l'Eucaristia è il memoriale dell'Ultima Cena ed è, allo stesso tempo, l'annuncio della venuta escatologica di Cristo: "Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore finché egli venga" (
1Co 11,26).

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3. "Tantum ergo Sacramentum veneremur cernui, et antiquum documentum novo cedat ritui; praestet fides supplementum sensuum defectui".

Al termine della Santa Messa ci muoveremo in processione portando il Santissimo Sacramento in una cappella laterale, che, nella tradizione liturgica, spesso porta il nome di "luogo buio". Tale processione eucaristica ricorda quel particolare momento in cui Cristo, insieme agli Apostoli, usci dal Cenacolo dopo aver consumato la cena pasquale. La notte aveva ormai sommerso la Città santa, Gerusalemme.

Gli Apostoli avevano udito poco prima che l'Antica Alleanza aveva ceduto il posto ad una Nuova ed eterna Alleanza. Il contenuto dell'Antica Alleanza viene ricordato dalla prima Lettura, tratta dal Libro dell'Esodo. Si descrive la notte nella quale avvenne per gli Israeliti la liberazione dall'Egitto attraverso il sangue dell'agnello pasquale, col quale i figli di Israele avevano segnato gli stipiti e gli architravi delle loro case. L'angelo della morte, che quella notte passo per l'Egitto, colpi tutti i primogeniti degli Egiziani, risparmiando quelli degli Ebrei, le cui abitazioni avevano gli stipiti e gli architravi contrassegnati dal sangue dell'agnello. Questa, che fu l'ultima tra le cosiddette piaghe d'Egitto, determino la liberazione d'Israele dalla schiavitù del faraone. Gli Israeliti furono liberati a prezzo del sangue dell'agnello. Proprio questo evento avevano nella memoria i figli e le figlie di Israele quando annualmente si trovavano per celebrare la Pasqua.

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4. Anche gli Apostoli, nel mangiare la Pasqua insieme con Cristo, conservavano vivo nella mente il ricordo di quegli eventi. Essi sapevano, pero, che l'Antica Alleanza doveva ormai cedere il posto alla Nuova. Lo avevano appreso dalle labbra del Maestro, il quale, lasciando il Cenacolo ed avviandosi verso la Passione, era consapevole di condurre i suoi discepoli verso la Nuova Alleanza che si sarebbe compiuta, come la prima, mediante il sangue: questa volta, pero, il sangue sarebbe stato quello dell'Agnello di Dio. Un tempo, Gesù non era stato chiamato proprio così da Giovanni Battista, sul Giordano? "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo" (
Jn 1,29).

Con tale consapevolezza Cristo, uscendo dal Cenacolo, si dirige dapprima verso il luogo della cattura: il Getsemani. Li inizia per lui la notte della passione scandita, prima, dal giudizio davanti ad Anna e da quello di fronte a Caifa; successivamente, dalla sentenza di condanna a morte emessa dai capi del popolo; ed infine, ecco il "luogo del buio". Gesù arrestato attende fino al mattino la decisione del sinedrio, di consegnarlo nelle mani di Pilato, per la condanna a morte in croce. In questo modo si compirà la Nuova Alleanza, sancita nel sangue dell'Agnello. Ecco perché, durante l'Ultima Cena, Gesù dona separatamente agli Apostoli il suo Corpo sotto la specie del pane e il suo Sangue sotto la specie del vino, dicendo: "Questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna Alleanza, versato per voi e per tutti".

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5. Eucaristia significa ringraziamento. Cristo, istituendo questo sacramento, ha racchiuso il grande ed universale ringraziamento di tutto il creato. "Che cosa rendero al Signore per quanto mi ha dato?", domanda il Salmista nell'odierna liturgia (Ps 115(116],12). Cristo restituisce all'umanità, che l'aveva persa a causa del peccato, la capacità di rendere grazie a Dio per tutti i beni della natura e della grazia, elargiti all'uomo sin dalla creazione; c'è bisogno del Sacrificio offerto sul Calvario in modo cruento. C'è bisogno dell'Eucaristia, che in modo incruento rende presente lo stesso Sacrificio, affinché l'uomo possa rendere grazie a Dio e rimanere nel ringraziamento. Il ringraziamento che è parola essenziale della Nuova ed eterna Alleanza, sancita nel Sangue di Cristo all'inizio del Triduo pasquale. L'Ultima Cena è la prima parola di questo Triduum - la parola sacramentale, che deve nuovamente penetrare nella storia del creato e dell'uomo.

In tutti i tempi.

Amen!

Data: 1995-04-13 Data estesa: Giovedi 13 Aprile 1995

Meditazione per la Via Crucis, il testo della riflessione preparata dal Santo Padre - Città del Vaticano

Titolo: "Madre di Cristo, conduci i nostri cuori attraverso tutti i Colossei della storia dell'uomo"



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1. "Ecce lignum Crucis!" Queste parole risuonano al centro della liturgia del Venerdi Santo. Come in tanti altri luoghi del mondo, anche nella Basilica di San Pietro, in mezzo all'assemblea, oggi ho innalzato il Crocifisso e, scoprendo gradualmente l'immagine del Redentore morto sulla croce, per tre volte ho proclamato: "Ecce lignum Crucis!" - "Ecco il legno della Croce, a cui fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo!" "Venite, adoremus!" - "Venite, adoriamo!". E tutta l'assemblea è caduta in ginocchio, rimanendo per un certo tempo in un raccolto silenzio.

Il Venerdi Santo la Chiesa non celebra l'Eucaristia: è interamente immersa nella meditazione della Passione del Signore, che culmina nell'adorazione della Croce. Poi distribuisce la Santa Comunione, con le specie consacrate il Giovedi Santo, durante la celebrazione della Cena del Signore (Missa praesanctificatorum). In questo modo il Triduum Sacrum, iniziato con la liturgia dell'Ultima Cena celebrata ieri, raggiunge oggi il suo apice come Sacramentum passionis. Occorre che quest'oggi ci lasciamo scuotere dalla realtà della passione e della morte di Cristo per comprendere ancor più profondamente la piena eloquenza dell'Eucaristia.

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2. Ed eccoci raccolti presso il Colosseo, per la "Via Crucis". Che cosa significa celebrare la Via Crucis proprio in questo luogo? Per rispondere a tale domanda occorre fare attenzione ad un dettaglio significativo. Per la Via Crucis abbiamo utilizzato una croce di legno priva del Crocifisso: "Ecce lignum crucis!".

La croce "nuda" si è così innalzata sulle rovine del Colosseo, che ci toccano l'animo nel profondo.

Tutto questo non ci dice forse che il legno della Croce, al quale il Venerdi Santo fu inchiodato il corpo di Cristo, permane sempre pronto ad accogliere quanti, nel corso dei secoli, sono chiamati ad essere partecipi delle sofferenze di Cristo? Avvenne così per coloro che qui, ed in tanti altri luoghi della terra, offrirono la vita per Cristo.

Gesù di Nazaret dice: "Se qualcuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (
Mt 16,24).

Ed ancora: "Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me" (Mt 10,38). Disse questo quando era difficile immaginare la sua crocifissione, poiché tutti riconoscevano in lui un grande profeta e taumaturgo.

Pietro allora protesto: "Questo non ti accadrà mai!" (Mt 16,22). Ma Cristo conosceva quello che sarebbe accaduto il Venerdi Santo, quando sarebbe stato condannato alla morte di croce. Sapeva che gli abitanti di Gerusalemme avrebbero gridato: "Crocifiggilo!" (Jn 19,15) e che Pilato, cedendo alla pressione dei capi dei giudei, avrebbe emanato la sentenza di morte. Cristo sapeva di dover portare la croce lungo le vie di Gerusalemme per essere ad essa inchiodato e di dover su di essa immolare la propria vita.

"Ecce lignum crucis, in quo salus mundi pependit!". Cristo sapeva che la sua morte in croce era necessaria per la salvezza del mondo.

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3. "Ecco il legno della Croce!".

"O Croce di nostra salvezza, albero tanto glorioso, un altro non v'è nella selva di rami e di fronde a te uguale! Per noi dolce legno, che porti appeso il Signore del mondo" (Inno Crux fidelis).

Proclamando la grandezza della Croce su cui si è compiuta la salvezza del mondo, la Chiesa il Venerdi Santo ci conduce al centro della storia dell'uomo: tra "l'albero della conoscenza del bene e del male" e "l'albero della vita" (cfr.
Gn 2,9). Nel Libro della Genesi la trasgressione del divieto divino di mangiare dell'"al- bero della conoscenza del bene e del male" costituisce quel peccato che è all'origine della peccaminosità ereditata dall'umanità (cfr. Gn 2,16-17).

Il testo del Libro della Genesi, pur conciso e denso, se letto fino in fondo, è sconvolgente. L'uomo perse l'originale stato di felicità a causa del peccato. Ma non perse di vista il secondo albero. Il peccato allontano l'uomo dall'"albero della vita", ma non poté sradicare dal suo animo il desiderio della vita da esso simboleggiata. Conformemente al primo annuncio contenuto nel Libro della Genesi, l'Unto di Dio, il Figlio di Donna, avrebbe nuovamente indicato agli uomini la via che porta alla vita. Egli dice di sé: "Io sono la via, la verità e la vita" (Jn 14,6). Ecco, questa via passa attraverso la Croce.

Per questo oggi adoriamo il legno della Croce, su cui fu appeso il martoriato corpo del Redentore: Croce che è divenuta per noi via che porta alla vita. Accanto alla Croce, presso il Colosseo, concludiamo dunque la nostra liturgia del Venerdi Santo, che è liturgia passionis. La concludiamo con un profondo sentimento di speranza. Non aveva Cristo già annunciato che sarebbe risorto? così dunque il mysterium passionis dovrà rivelarsi come mysterium paschale.

Madre di Cristo, Tu che hai accompagnato il tuo Figlio sulla via dolorosa, Tu che stavi sotto la Croce nell'ora della sua morte, conduci i nostri cuori attraverso tutti i Colossei della storia dell'uomo. Guidali attraverso il vasto e molteplice mysterium passionis della famiglia umana, verso il mysterium paschale, verso, cioè, quella luce, che si rivelerà nella resurrezione di Cristo, e mostrerà la definitiva vittoria della vita sulla morte.

Data: 1995-04-14 Data estesa: Venerdi 14 Aprile 1995


GPII 1995 Insegnamenti 624