GPII 1995 Insegnamenti 788

Il Santo Padre alla recita del Rosario - Città del Vaticano

Titolo: "Insieme abbiamo pregato la Regina della Pace in un momento particolarmente difficile per le popolazioni dei Balcani"

Rivolgo un pensiero riconoscente a tutti voi, carissimi Fratelli e Sorelle, che avete preso parte alla recita del Santo Rosario in questo primo sabato del mese dedicato alla Madonna.

In particolare, saluto il folto gruppo della Milizia dell'Immacolata di Roma e del Lazio, la corale "Maria Immacolata" della parrocchia di San Vincenzo de' Paoli in Villa Castelli (diocesi di Oria), i ragazzi e le ragazze di San Pancrazio in Roma, coi loro genitori, e i fedeli di Roviano, presso Roma.

Sono lieto della presenza di un gruppo di Croati residenti a Roma, tra i quali l'Ambasciatore presso la Santa Sede. Insieme abbiamo pregato per la Regina della Pace, in un momento particolarmente difficile per le popolazioni dei Balcani. Il Signore sia vicino a quanti lo invocano nella prova e doni ad essi la pace.

A tutti auguro un mese di maggio vissuto in intima comunione spirituale con Maria Santissima e con tutta la Chiesa, in orante attesa della Pentecoste.

Data: 1995-05-06 Data estesa: Sabato 6 Maggio 1995




Nella Domenica del Buon Pastore il Papa proclama cinque nuovi Beati, tra i quali per la prima volta una donna del Venezuela - Piazza S.Pietro, Città del Vaticano

Titolo: L'amore trinitario si dimostra portatore di frutti nella santità dell'uomo



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1. "Io do loro la vita eterna" (
Jn 10,28).

Le parole di Cristo, Buon Pastore, che abbiamo ascoltato nell'odierno brano evangelico, costituiscono una meravigliosa introduzione alla solenne liturgia che la Chiesa celebra oggi a Roma, in Piazza San Pietro: la beatificazione di cinque Servi di Dio, figli di diversi Paesi e Continenti. Essi sono: Agostino Roscelli (Italia), Maria de San José Alvarado Cardozo (Venezuela), Maria Helena Stollenwerk (Germania), Maria Domenica Brun Barbantini e Giuseppina Gabriella Bonino (Italia).

Saluto con gioia tutti voi, carissimi Fratelli e Sorelle, qui presenti.

Un saluto del tutto speciale va al Presidente della Repubblica e ai rappresentanti dell'Episcopato e della Chiesa del Venezuela. La Beata Maria di San Giuseppe, al secolo Laura Alvarado Cardozo, che oggi viene elevata agli onori degli altari, è infatti la prima Beata della Chiesa di quel grande Paese, che vanta una lunga tradizione cattolica. Questo evento di enorme importanza rappresenta quasi un nuovo inizio nella vita di quella Chiesa particolare. I santi e i beati confermano in un certo senso la maturità della Comunità cristiana. In essi la Chiesa si esprime in modo definitivo, come Popolo di Dio unito dall'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Proprio questo amore trinitario si dimostra portatore di frutti nella santità dell'uomo.

Come Vescovo di Roma, che prende parte alle sofferenze ed alle gioie delle varie Comunità ecclesiali del mondo intero, saluto i Fratelli nell'Episcopato, che ad esse presiedono. Specialmente saluto i Pastori delle diocesi dalle quali provengono i servi di Dio che oggi abbiamo la gioia di vedere elevati alla gloria degli altari.

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2. "Acclamate al Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza.

Riconoscete che il Signore è Dio; egli ci ha fatti" (Ps 99(100],2-3).

L'invito alla lode del Salmo responsoriale esprime bene l'atmosfera del tempo pasquale. La Chiesa gioisce per la creazione. Gioisce perché Dio è il Creatore di tutta la terra, è il Creatore della natura inanimata e di quella animata. Gioisce perché Dio è il Creatore dell'uomo, che ha formato a sua immagine e somiglianza, dandogli un'anima immortale e predisponendolo a partecipare della propria vita divina.

"Egli ci ha fatti e noi siamo suoi" (Ps 99(100], 3). La Chiesa confessa questa verità nel periodo pasquale, quando tutta la creazione sembra partecipare al mistero della morte e risurrezione di Cristo. Il Dio che ci ha creati, in Cristo ci ha anche resi creature nuove. Se siamo sua proprietà a motivo della prima creazione, - Colui che ci ha creato ha infatti potere su di noi, un potere che i teologi chiamano "dominium altum" - tale proprietà diviene ancor più profonda e manifesta nel mistero della Redenzione.

Proprio questo mistero della Redenzione viene illustrato dalla liturgia dell'odierna quarta domenica di Pasqua, mediante l'immagine del Buon Pastore: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola" (
Jn 10,27-30). Sullo sfondo di tale splendido condensato della verità rivelata, ci soffermiamo ora a riflettere sulla spiritualità dei servi di Dio, che oggi vengono proclamati Beati.

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3. Tratto spirituale caratteristico del beato Agostino Roscelli, fondatore delle Suore dell'Immacolata, fu lavorare al servizio dei fratelli senza mai venir meno all'unione interiore con il Signore. Il vero contemplativo è colui che è in grado di operare con maggiore forza ed incisività per la salvezza delle anime e per il bene della Chiesa.

L'azione apostolica del novello Beato fu veramente feconda, perché scaturiva da un'autentica vita mistica e contemplativa. L'ardente amore per Dio, arricchito dal dono della sapienza, gli permetteva di darsi al limite del possibile al servizio del prossimo, senza mai distaccarsi dal Signore. Nelle opere di carità verso i bisognosi e gli abbandonati, come nelle lunghe ore trascorse al confessionale e nella direzione spirituale, Egli ha potuto realizzare l'immagine del Buon Pastore, che si prende cura del gregge a lui affidato, che va in cerca della pecorella smarrita, che consuma la propria vita per la salvezza di tutti.

(Il Santo Padre ha poi proseguito l'omelia in lingua spagnola e tedesca. Di questi passi diamo qui di seguito la traduzione italiana:]

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4. La Beata Maria de San José Alvarado Cardozo scopri fin da bambina l'amore per l'Eucaristia, in cui trovo il carisma distintivo della sua spiritualità. Passava lunghe ore del giorno e della notte dinanzi al sacrario. Durante tutta la sua vita preparo con le sue proprie mani migliaia di ostie per distribuirle gratuitamente ai sacerdoti. Questo esempio è tuttora seguito dalle sue Figlie, che offrono oggi le ostie per questa Santa Messa.

Il suo amore illimitato per Cristo Eucaristia la porto a dedicarsi al servizio dei più bisognosi, nei quali vedeva Gesù sofferente. Per questo fondo a Maracay la Congregazione delle Agostiniane Recollette del Cuore di Gesù, dedita all'assistenza degli anziani e dei bambini orfani e abbandonati. La carità, virtù nella quale più si distinse Madre Maria de San José, la porto a ripetere continuamente alle sue Figlie: "Gli esclusi da tutti sono nostri; quelli che nessuno vuole ricevere sono nostri". La sua profonda pietà, radicata nell'Eucaristia e nella preghiera, era arricchita da una tenera devozione alla Vergine Maria, dalla quale prese il nome e che imitava dicendo: "Vorrei vivere e morire cantando il Magnificat".

La testimonianza di questa donna semplice del nostro tempo invita tutti, e in particolare gli amati figli e le amate figlie del Venezuela, a vivere fedelmente il Vangelo.

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5. Se pensiamo a Madre Maria Stollenwerk, ci troviamo di fronte a una grande personalità femminile e ad una pioniera della missione, sebbene non abbia potuto realizzare il suo più grande desiderio, quello di essere inviata essa stessa in una missione. Riassumendo possiamo affermare che tutta la sua vita è stata un segno del suo essere stata toccata da Dio. Fin dalla sua infanzia la vita di preghiera della nuova beata fu ispirata dalla Pontificia Opera dell'Infanzia Missionaria. Soprattutto si commosse di fronte alla perdita dei bambini che venivano privati del diritto alla vita.

Grazie all'incontro con il beato Arnold Janssen credette di poter realizzare il suo desiderio di divenire suora missionaria. Con lui riusci infine a fondare la Congregazione delle Missionaria Serve dello Spirito Santo. Già il nome della Congregazione evidenzia come a Madre Maria Stollenwerk stesse a cuore l'adorazione dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo era l'incentivo ad annunciare il Vangelo e, come afferma San Paolo, a farsi tutto a tutti (cfr.
1Co 9-16).

La nuova beata individuo nello Spirito Santo la forza trainante dell'attività missionaria. Grazie a questo fondamentale atteggiamento di fiducia nella potenza dello Spirito di Dio e grazie alla fede, scaturita dall'adorazione eucaristica, nella costante vicinanza del Signore, dal quale essa si sentiva inviata, Madre Maria Stollenwerk poté affermare: "Solo Dio può riempire il nostro cuore. E' troppo grande e troppo vasto per poter essere compreso dalle creature".

Che la nuova beata possa anche oggi donare alle giovani donne, orientate verso l'attività missionaria, un cuore così grande e una fede così salda, affinché la vita eterna, che solo il Signore può dare (cfr. Jn 10,28), possa e crescere e maturare nel cuore degli uomini.

(Quindi il Papa ha così proseguito in lingua italiana:]

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6. Ritroviamo l'immagine vigile e premurosa del Buon Pastore nella nuova Beata Madre Maria Domenica Brun Barbantini che, cosciente di essere divenuta "creatura nuova" nel sacrificio di Cristo, non ha esitato a rispondere alla Grazia divina con l'amore, tradotto in quotidiano servizio ai fratelli e alle sorelle bisognose.

Essa ha lasciato alle sue figlie spirituali un'eredità ed una missione quanto mai attuale e preziosa. Un amore evangelico concreto per gli ultimi, gli emarginati, i piagati; un amore fatto di gesti di attenzione e di cristiana consolazione, di generosa dedizione e di instancabile vicinanza nei confronti degli ammalati e dei sofferenti.

In tale compito apostolico e missionario brillano la forza e la verità della parola di Gesù che chiede di essere amato e servito nei fratelli affamati, assetati, nudi, forestieri, malati e in carcere.

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7. L'amore di Cristo Buon Pastore ha trovato una singolare espressione anche nella vita di Giuseppina Gabriella Bonino, Fondatrice delle Suore della Sacra Famiglia di Savigliano. Il suo carisma è stato la carità familiare, appresa e praticata anzitutto vivendo con i genitori fino all'età adulta, e poi seguendo la chiamata del Signore nella vita consacrata. Dalla famiglia come chiesa domestica alla comunità religiosa come famiglia spirituale: così si può sintetizzare il suo itinerario umile, nascosto ma portatore di un valore inestimabile: quello della famiglia, ambiente dell'amore straordinario nelle cose ordinarie.

Giuseppina Gabriella, figlia esemplare - assistette il padre e la madre fino alla loro morte - divenne madre per numerose bambine e ragazze senza famiglia. La sua proposta di vita, prolungata nell'Istituto, costituisce un messaggio attualissimo per la società di oggi: ogni uomo che viene al mondo ha fame di amore più che del pane e ha diritto ad una famiglia e la Comunità cristiana è chiamata a venire incontro alle situazioni di bisogno che inevitabilmente si presentano.

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8. "Varcate le sue porte con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode... poiché buono è il Signore, eterna la sua misericordia" (Ps 99(100],4-5).

Questa esortazione è rivolta a noi tutti. In modo particolare essa sembra riferita a coloro che la Chiesa da oggi chiama Beati: Agostino Roscelli, Maria de San José Alvarado Cardozo, Maria Helena Stollenwerk, Maria Domenica Brun Barbantini e Giuseppina Gabriella Bonino.

A loro si possono applicare le parole del Libro dell'Apocalisse, proclamate nella seconda lettura, che descrive una moltitudine immensa, proveniente da ogni nazione, da tutte le generazioni, da ogni popolo e lingua.

"Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione ed hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario" (
Ap 7,14-15).

Nella visione apocalittica di San Giovanni, Cristo, il Buon Pastore, appare anche come Agnello. Egli è dunque il Pastore che pasce il gregge di Dio e l'Agnello destinato al sacrificio. Si, Cristo è il Pastore proprio perché si è fatto Agnello di Dio, Vittima di espiazione per cancellare i peccati del mondo.

"Victimae paschali laudes immolant Christiani. Agnus redemit oves: Christus innocens Patri reconciliavit peccatores".

"L'Agnello che sta in mezzo al trono - scrive l'apostolo Giovanni - sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi" (Ap 7,17).

L'eredità dei beati è la felicità eterna, poiché essi sono definitivamente uniti a Cristo nella gloria. L'Agnello "sta in mezzo al trono", nella gloria del Padre, e coloro che egli guida alle "fonti delle acque della vita" partecipano all'ineffabile gloria di Dio, che è vita e amore.

Amen!

Data: 1995-05-07 Data estesa: Domenica 7 Maggio 1995

Regina Caeli: Giovanni Paolo II ai pellegrini presenti in Piazza San Pietro - Città del Vaticano

Titolo: Mai più la guerra!

Carissimi Fratelli e Sorelle!

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1. Siamo al termine di questa solenne Celebrazione Eucaristica, durante la quale ho avuto la gioia di elevare agli onori degli altari cinque nuovi Beati. Essi, con fedeltà e costanza, hanno imitato Cristo, Buon Pastore, che dà la vita per il suo gregge.

La figura del Buon Pastore fa da significativo sfondo alla Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni che proprio oggi, quarta Domenica di Pasqua, tutta la Chiesa celebra. Interceda la Vergine Santa presso il Buon Pastore, suo divin Figlio, perché non manchino nella Chiesa santi sacerdoti e perché si diffonda sempre più fra gli uomini il Vangelo dell'amore e della pace.

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2. E proprio alla pace che va ora il mio pensiero, ricordando il cinquantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale in Europa.

Per tale storica occasione, che ricorre domani 8 maggio, intendo inviare a tutti gli uomini di buona volontà una Lettera che sarà resa nota nei prossimi giorni. In essa ribadisco che non si edifica una società umana e giusta sulla violenza e sulla forza delle armi. Occorre pertanto che, ripensando ai terribili sei anni dell'ultima guerra mondiale, l'umanità rifletta sulle drammatiche conseguenze da essa derivate.

Mai più la guerra! Faccio mio l'auspicio del venerato predecessore Paolo VI nella speranza che esso divenga impegno di tutti. Impegno a costruire l'autentica pace nella verità e nella libertà, impegno a superare i contrasti e le difficoltà mediante il dialogo e la reciproca comprensione.

La pace è dono di Dio! Perché essa trionfi nel mondo c'è bisogno innanzitutto di cuori nuovi. Solo il Buon Pastore può donare questa novità di vita ed Egli l'accorda a quanti ascoltano la sua voce e lo seguono.

La pace è la nostra missione! La terribile pagina storica della seconda guerra mondiale è per tutti un severo monito a rigettare la "cultura della guerra" ed a ricercare ogni mezzo legittimo ed opportuno per porre fine ai conflitti che ancora insanguinano parecchie regioni del mondo.

Chiediamo a Dio la luce e la forza necessarie per questo ed affidiamo il nostro impegno sincero all'intercessione di Maria, Regina della pace.

(Al termine del "Regina Caeli" il Santo Padre si è così rivolto ai fedeli presenti:] Saluto tutti i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro in occasione delle beatificazioni. Rivolgo un particolare pensiero ai promotori ed ai numerosi partecipanti alla quindicesima edizione della Maratona di Primavera organizzata dalle Scuole cattoliche di Roma, del Lazio e di altre città italiane. Rinnovo l'auspicio che la ricca tradizione dell'insegnamento cattolico venga sempre più sostenuta e valorizzata, in modo che possa continuare ad offrire anche nel nostro tempo un importante contributo nella formazione culturale e morale della nuove generazioni.

(In spagnolo:] Saluto con affetto tutti i pellegrini di lingua spagnola, in modo particolare quelli provenienti dal caro Venezuela: la Beata Maria di San José visse intensamente la devozione alla Santissima Vergine. Imitatela anche in questo e fate vostra quella massima che essa ripeteva spesso: "A Maria attraverso l'Eucaristia e all'Eucaristia attraverso Maria".

(In tedesco:] Un cordiale benvenuto a voi, pellegrini di lingua tedesca, che avete preso parte alla cerimonia di beatificazione di Madre Maria Stollenwerk. Possa la Serva di Dio, attraverso la sua intercessione, impetrare per voi,, anche in futuro, fervore missionario, e rafforzare la vostra fede nell'ulteriore cammino della vita.

(In polacco:] Desidero rivolgermi a tutti i polacchi qui presenti ed anche a tutti compatrioti nel nostro Paese e specialmente ai concittadini di Cracovia.

La grande processione con le reliquie di San Stanislao che dal Wawel giunge a Skalka riempie ed orienta tutta la nostra storia. Anch'io vi partecipo spiritualmente.

San Stanislao, Patrono nostro prega, prega per noi, insieme a Maria Regina della Polonia e a San Adalberto.

Data: 1995-05-07 Data estesa: Domenica 7 Maggio 1995




Udienza: il Santo Padre ai pellegrini che hanno partecipato al rito per la Beatificazione dei cinque fondatori - Città del Vaticano

Titolo: Un ulteriore inno di gloria che sale a Dio dai consacrati ed avvalora i frutti del recente Sinodo a loro dedicato

Carissimi Fratelli e Sorelle!

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1. Accolgo con gioia tutti voi, venuti in pellegrinaggio a Roma per prendere parte alla celebrazione durante la quale ieri, in Piazza San Pietro, ho proclamato cinque nuovi Beati: Don Agostino Roscelli, Suor Maria Domenica Brun Barbantini, Suor Giuseppina Gabriella Bonino, Suor Maria di San Giuseppe e Suor Maria Helena Stollenwerk. Provenite dall'Italia, dalla Germania e dal Venezuela e da altri Paesi in cui la testimonianza dei Beati ha portato frutti abbondanti di bene.

Saluto i venerati Fratelli Vescovi presenti, insieme con i sacerdoti.

Saluto i religiosi e le numerose religiose: le Suore dell'Immacolata di Genova, le Suore della Sacra Famiglia di Savigliano, le Suore Ministre degli Infermi di San Camillo. Questa beatificazione è un ulteriore inno di gloria che sale a Dio dalla vita consacrata, ed avvalora i frutti del recente Sinodo ad essa dedicato.

Sono lieto, in questo momento che prolunga la gioia dell'assemblea liturgica, di ammirare nuovamente insieme con voi le figure dei nuovi Beati, cogliendo gli aspetti salienti della loro vita e della loro testimonianza.

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2. Il beato Agostino Roscelli, animato dalla forza di una continua preghiera, seppe comprendere in profondità i bisogni del suo tempo, offrendo risposte che, senza cercare il clamore di effimeri successi, portarono frutti di bene spirituale e sociale durevoli nel tempo. La sua sensibilità ed il suo amore per l'uomo concreto, fondati sulla parola del Vangelo, lo portarono ad intuizioni ed a realizzazioni che in un certo senso anticiparono le stesse indicazioni scaturite dal Concilio Vaticano II.

Alla Vergine Santa il beato Agostino Roscelli affido l'Istituto delle Suore dell'Immacolata di Genova da lui fondato e l'intera sua Opera spirituale e caritativa, scaturita dal suo cuore di apostolo. La sua testimonianza di profondo contemplativo e di attivo pastore costituisce un esempio per tutti i sacerdoti e per quanti il Signore continua a chiamare come operai nella sua messe.

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3. Per la beata Maria Domenica Brun Barbantini, originaria di Lucca, la crudeltà e la durezza della vita furono veicolo attraverso il quale il Padre celeste le fece comprendere che la voleva per sempre sposa del suo Figlio e madre spirituale di tanti sofferenti.

Gesù Crocifisso divenne così "il suo bene... il suo unico e solo amore" che cerco, amo e servi nelle persone inferme della sua città, per le quali mise a disposizione le sue doti di coraggio, intelligenza ed intraprendenza.

Questo dono totale e gratuito di sé costitui la base sicura del progetto di amore che, scaturito dal cuore della Beata Maria Domenica nel gennaio 1823, anche oggi continua fecondo e attuale nella Chiesa e nel mondo attraverso le sue figlie spirituali. Ad esse la Beata Maria Domenica sempre raccomandava di andare all'assitenza delle povere inferme e moribonde con "cuore modellato su quello di Gesù Cristo e tutto avvampante della di lui carità" con la consapevolezza di "servire un Dio umanato, agonizzante nell'orto o spirante sopra una croce. E' lo stesso Gesù che esse vanno a servire".

Fede eroica e amore generoso per il prossimo: ecco gli insegnamenti che la beata Madre Maria Domenica tramanda con la sua esistenza. Il suo esempio sia d'incoraggiamento per le sue figlie spirituali e per tutti a camminare fedelmente nel sentiero della santità.

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4. Nel Piemonte del secondo Ottocento, terra feconda di santità, incontriamo una giovane donna, Giuseppina Gabriella Bonino, figlia unica di genitori benestanti, tutta dedita al Signore e al bene della famiglia.

Dopo la morte del padre e della madre, la signorina Bonino si dedica ad accogliere le bambine orfane e ad assistere gli anziani poveri, mentre matura in lei, grazie all'assidua preghiera, alla guida spirituale e ad esperienze di vita claustrale, la vocazione alla vita consacrata. Nella sintesi di questi due elementi: la dedizione alla famiglia e la consacrazione a Dio, si manifesta il suo carisma, che dà origine a una Comunità religiosa ispirata alla Sacra Famiglia.

Alle sue Suore va oggi l'abbraccio della Chiesa intera, con l'augurio di un semplice gioioso e fecondo cammino, per servire l'uomo "in stile di famiglia".

(In spagnolo:]

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5. Ho il piacere di salutare i cari pellegrini del Venezuela, venuti a Roma con il loro Vescovo e le Alte Autorità, per assistere alla Beatificazione di Madre Maria de San José Alvarado Cardozo, la prima venezuelana innalzata agli onori degli altari.

Come hanno detto i vostri Vescovi, questo è un avvenimento importante per il popolo e per la Chiesa del Venezuela che deve essere celebrato con grande giubilo, come riconoscimento delle numerose testimonianze di santità nel corso di cinque secoli di evangelizzazione di questa nobile terra così vicina al cuore del Papa.

La prima Beata venezuelana era una donna di umili condizioni, ma di una carità illimitata, che trovava nell'Eucaristia una solida base per consacrarsi totalmente a coloro che soffrono. La sua instancabile "dedizione agli orfani e agli anziani abbandonati" attrasse altre donne e fu fondata la Congregazione delle Agostiniane Recollette del Cuore di Gesù che diffuse in tutto il paese l'amore per Cristo Eucaristia e la sua incrollabile fedeltà alla Chiesa.

La vita di Madre Maria de San José interroga tutti come esempio di fiducia in Dio e di aiuto ai bisognosi. La nuova Beata è, per la "donna venezuelana", un richiamo a sviluppare con autentica dedizione la sua specifica missione all'interno della Chiesa e della società. Alle soglie del terzo millennio cristiano, affido a questa gloriosa figlia della Chiesa i compiti della Nuova Evangelizzazione in Venezuela e in tutto il continente latinoamericano.

(In tedesco:]

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6. Rivolgo ora, il mio cordiale benvenuto ai pellegrini giunti qui a Roma per la Beatificazione di Helena Stollenwerk. Il mio particolare saluto è indirizzato alle qui presenti Religiose dei fedeli delle diocesi di Aachen e Roermond. Insieme a voi, e a molti altri Fratelli e Sorelle, che si riconoscono legati ai diversi rami dei missionari e delle missionarie di Steyl, divido la gioia di questi giorni, che rendono onore a tutta la Chiesa, soprattutto a quei settori che hanno particolari rapporti con la ricca eredità delle Fondazioni degli Ordini di Steyl.

Sin dalla sua prima infanzia, Helena si è dimostrata un'ottima testimone della Fede. Con semplicità, chiarezza e forza di persuasione poté parlare della sua profonda fede, e guadagnare altri ad essa. Di questo suo dono ha sempre dato prova, in modo nuovo, come madre superiora. In virtù della sua aspirazione alla retta via nella propria vita, poté, scoprire, guidare, promuovere le vocazioni negli altri. Forse, una simile disposizione all'incoraggiamento delle vocazioni spirituali, soprattutto al giorno d'oggi, in cui dovrebbe concretizzarsi, la fusione del quotidiano con la fede nel Signore sofferente e risorto, è estremamente significativa.

Non si può certo analizzare pienamente l'opera di tutta la vita di Helena Stollenwerk, senza prendere visione del suo fervido rapporto con il Signore eucaristico. Dalla certezza della Sua reale presenza nel Santissimo Sacramento dell'Eucaristia, ella poté attingere la forza per le sue attività missionarie e per l'opera svolta alla guida della sua Congregazione.

Questi tratti della personalità spirituale della nostra nuova beata, vorrei, oggi, raccomandare in particolar modo a voi, cari Fratelli e Sorelle.

(Successivamente, riprendendo in italiano, ha detto:]

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7. Carissimi Fratelli e Sorelle, di fronte a tali e tanti segni della potenza dell'amore di Dio, sorge spontanea nel cuore e sulle labbra l'acclamazione tipica di questo tempo pasquale. Alleluia! E' vero: ogni santo e beato nella Chiesa è testimone del mistero pasquale, della inesauribile efficacia della morte e risurrezione di Cristo.

Il nostro "alleluia" tuttavia è tanto più autentico, quanto più lo esprimiamo nella personale imitazione degli ideali di fede e di carità che i nuovi Beati hanno incarnato. Sappiamo di poter contare sulla loro celeste intercessione.

Invochiamoli, seguiamo le loro orme e pregustiamo in terra quella gloria di cui essi godono pienamente in cielo. Con questo auspicio, che si fa preghiera, imparto ora a voi tutti ed a quanti si sono spiritualmente uniti a questo devoto pellegrinaggio, specie agli ammalati e agli anziani, l'Apostolica Benedizione.

Data: 1995-05-08 Data estesa: Lunedi 8 Maggio 1995





Messaggio di Giovanni Paolo II - Città del Vaticano

Titolo: Per il 50° anniversario della fine in Europa della Seconda Guerra Mondiale



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1. Cinquant'anni fa, l'8 maggio 1945, si concludeva sul suolo europeo la seconda guerra mondiale. La fine di quel terribile flagello, mentre ravvivava nei cuori l'attesa del ritorno dei prigionieri, dei deportati e dei rifugiati, vi suscitava il desiderio di costruire un'Europa migliore. Il Continente poteva ricominciare a sperare in un futuro di pace e di democrazia.

A mezzo secolo di distanza, i singoli, le famiglie, i popoli custodiscono ancora il ricordo di quei sei terribili anni: memorie di paure, di violenze, di penuria estrema, di morte; esperienze drammatiche di separazioni dolorose, vissute nella privazione di ogni sicurezza e libertà; traumi incancellabili dovuti a stermini senza fine.

Col trascorrere del tempo si comprende meglio il senso

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2. Non fu facile allora comprendere appieno le dimensioni molteplici e tragiche del conflitto. Ma, col passare degli anni, è andata crescendo la consapevolezza dell'incidenza che quell'evento ha avuto sul secolo XX e sull'avvenire del mondo.

La seconda guerra mondiale non è stata soltanto un episodio storico di primo piano; essa ha segnato una svolta per l'umanità contemporanea. Col trascorrere del tempo, i ricordi non devono impallidire; devono piuttosto farsi lezione severa per la nostra e per le future generazioni.

Che cosa quella guerra abbia significato per l'Europa e per il mondo lo si è compreso in questi cinque decenni grazie all'acquisizione di nuovi dati che hanno consentito una migliore conoscenza delle sofferenze da essa causate. La tragica esperienza compiuta tra il 1939 ed il 1945 rappresenta oggi come un punto di riferimento necessario per chi vuole riflettere sul presente e sul futuro dell'umanità.

Nel 1989, in occasione del cinquantesimo anniversario dell'inizio della guerra, scrivevo: "Cinquant'anni dopo, abbiamo il dovere di ricordarci davanti a Dio di quei fatti drammatici, per onorare i morti e per compiangere tutti quelli che questo dilagare di crudeltà ha ferito nel cuore e nel corpo, completamente perdonando le offese" (Messaggio nel 50 anniversario dell'inizio del secondo conflitto mondiale (27 agosto 1989), 2: AAS 82 (1990), 51].

Occorre mantenere viva la memoria di quanto è accaduto: è un nostro preciso dovere. Sei anni orsono, in coincidenza con l'anniversario ora ricordato, nell'Est europeo si andavano delineando inediti scenari sociali e politici con la rapida caduta dei regimi comunisti. Era un rivolgimento sociale profondo che consentiva di eliminare alcune tragiche conseguenze della guerra mondiale, la cui fine non aveva di fatto significato per molte Nazioni europee l'inizio del pieno godimento della pace e della democrazia, come sarebbe stato logico attendersi il 9 maggio 1945. Alcuni popoli infatti avevano perso il potere di disporre di se stessi, ed erano stati chiusi nei confini soffocanti di un impero, mentre si cercava di distruggere, oltre che le tradizioni religiose, la loro memoria storica e la secolare radice della loro cultura. E' quanto ho voluto sottolineare nella Lettera enciclica Centesimus annus (cfr.
CA 18: AAS 83 (1991), 815]. Per tali popoli, in un certo senso, solo nel 1989 la seconda guerra mondiale ha avuto fine.

Una guerra dalle incredibili proporzioni distruttive

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3. Le conseguenze della seconda guerra mondiale per la vita delle nazioni e dei continenti sono state immani. I cimiteri militari accomunano nel ricordo cristiani e credenti di altre religioni, militari e civili d'Europa e di altre regioni del mondo. Anche soldati di paesi non europei vennero infatti a combattere sul suolo del vecchio continente: molti caddero sul campo, per altri l'8 maggio segno la fine di un incubo spaventoso.

Decine di milioni furono gli uomini e le donne uccisi; non si contano i feriti e i dispersi. Masse enormi di famiglie si sono viste costrette ad abbandonare terre a cui erano legate da secolare attaccamento; ambienti umani e monumenti carichi di storia sono stati devastati, città e paesi sconvolti e ridotti in macerie. Mai le popolazioni civili, in particolare donne e bambini, hanno pagato in un conflitto un prezzo così alto di morti.

La mobilitazione dell'odio

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4. Ancor più grave è stato il diffondersi della "cultura della guerra" con il suo triste seguito di morte, di odio e di violenza. "La seconda guerra mondiale, - scrivevo all'episcopato polacco nel 1989 - ha reso tutti consapevoli della dimensione, fino allora sconosciuta, a cui può giungere il disprezzo dell'uomo e la violazione dei suoi diritti. Essa ha compiuto una mobilitazione inaudita dell'odio, che ha calpestato l'uomo e tutto ciò che è umano nel nome di un'ideologia imperialistica" (Lettera ai Vescovi della Polonia nel 50 anniversario dell'inizio del secondo conflitto mondiale (26 agosto 1989), 3: AAS 82 (1990), 46].

Mai sufficientemente si ribadirà che la seconda guerra mondiale ha dolorosamente trasformato la vita di tanti uomini e di tanti popoli. Si è giunti a costruire infernali campi di sterminio dove hanno trovato la morte, in condizioni drammatiche, milioni di Ebrei, centinaia di migliaia di zingari e di altri esseri umani, colpevoli solo di appartenere a popoli diversi.

Auschwitz: monumento alle conseguenze del totalitarismo

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5. Auschwitz, accanto a tanti altri lager, resta il simbolo drammaticamente eloquente delle conseguenze del totalitarismo. Il pellegrinaggio a quei luoghi con la memoria e con il cuore, in questo cinquantesimo anniversario, è doveroso. "Mi inginocchio - dissi nel 1979 durante la S. Messa celebrata a Brzezinka, poco lontano da Auschwitz - su questo Golgota del mondo contemporaneo" (Omelia al campo di concentramento di Brzezinka (7 giugno 1979), 2: Insegnamenti II (1979), 1484].

Come allora, rinnovo idealmente il mio pellegrinaggio a quei campi di sterminio.

Sosto anzitutto "davanti alla lapide con l'iscrizione in lingua ebraica", per ricordare il popolo "i cui figli e figlie erano destinati allo sterminio totale" e per ribadire che "non è lecito a nessuno passare oltre con indifferenza" (Ibid.].

Come allora, mi soffermo davanti alla lapide in lingua russa, dopo i cambiamenti avvenuti nell'ex Unione Sovietica, e ricordo "la parte avuta da questo Paese nell'ultima terribile guerra per la libertà dei popoli" (Ibid. l.c., 1485]. Mi soffermo poi davanti alla lapide in lingua polacca e ripenso al sacrificio di tanta parte della nazione, che segna "un doloroso conto sulla coscienza dell'umanità". Come dissi nel 1979, ripeto quest'oggi: "Ho scelto tre lapidi.

Bisognerebbe fermarsi davanti ad ognuna di quelle esistenti" (Ibid.]. Si, in questo cinquantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, avverto l'intimo bisogno di sostare presso tutte le lapidi, anche quelle che ricordano il sacrificio di vittime meno note o addirittura dimenticate.

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6. Da tale meditazione sgorgano interrogativi che l'umanità non può non porsi.

Perché si giunse ad un simile grado di annientamento dell'uomo e dei popoli? Perché, finita la guerra, non si sono tratte dalla sua amara lezione le dovute conseguenze per l'insieme del continente Europeo? Il mondo, e in particolare l'Europa, s'avviarono verso quell'immane catastrofe perché avevano perso l'energia morale necessaria per contrastare quanto li spingeva nel vortice della guerra. In effetti il totalitarismo distrugge le libertà fondamentali dell'uomo e ne conculca i diritti. Manipolando l'opinione pubblica con il martellamento incessante della propaganda, spinge facilmente a cedere al richiamo della violenza e delle armi e finisce per demolire il senso di responsabilità dell'essere umano.

Allora, purtroppo, non ci si rese conto che quando s'arriva a calpestare la libertà, si pongono le premesse d'un pericoloso slittamento nella violenza e nell'odio, forieri della "cultura della guerra". Proprio questo si verifico: non fu difficile ai capi indurre le masse alla scelta fatale, mediante l'affermazione del mito dell'uomo superiore, l'applicazione di politiche razziste o antisemite, il disprezzo della vita di quanti erano considerati inutili perché malati o asociali, la persecuzione religiosa o la discriminazione politica, il soffocamento progressivo di ogni libertà attraverso il controllo poliziesco e il condizionamento psicologico derivante dall'uso unilaterale dei mezzi di comunicazione. Proprio a tali trame si riferiva il Papa Pio XI di v.m. quando, nella Lettera enciclica Mit brennender Sorge del 14 marzo 1937, parlava di "tetri disegni" che apparivano all'orizzonte (N. 11: AAS 29 (1937), 186].

Non si edifica una società umana sulla violenza

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7. La seconda guerra mondiale è stata il frutto diretto di questo processo degenerativo: ma se ne sono tratte le dovute conseguenze nei decenni successivi? Purtroppo la fine della guerra non ha portato alla scomparsa delle politiche e delle ideologie che l'avevano generata o favorita. Sotto altra veste, sono continuati i regimi totalitari e si sono anzi estesi, soprattutto nell'Est europeo. Dopo quell'8 maggio, sul suolo del Continente e altrove sono rimasti aperti non pochi campi di concentramento, mentre tante persone hanno continuato ad essere imprigionate in spregio di ogni elementare diritto umano. Non si è capito che non si edifica una società degna della persona sulla sua distruzione, sulla repressione e sulla discriminazione. Questa lezione della seconda guerra mondiale non è stata ancora recepita pienamente e dappertutto. Eppure essa resta e deve restare come monito per il prossimo millennio.

In particolare, negli anni precedenti la seconda guerra mondiale, il culto della nazione, spinto sino a diventare quasi una nuova idolatria, provoco in quei sei terribili anni un'immane catastrofe. Pio XI, fin dal dicembre 1930, così ammoniva: "Più difficile, per non dire impossibile, che duri la pace fra i popoli e fra gli Stati, se in luogo del vero e genuino amor patrio regni ed imperversi un egoistico e duro nazionalismo, che è dire odio e invidia in luogo del mutuo desiderio di bene, diffidenza e sospetto in luogo di fraterna fiducia, concorrenza e lotta in luogo di concorde cooperazione, ambizione di egemonia, di predominio in luogo del rispetto e della tutela di tutti i diritti, siano pur quelli dei deboli e dei piccoli" (Discorso alla Curia romana (24 dicembre 1930): AAS 22 (1930), 535-536].

Non è un caso se alcuni illuminati statisti dell'Europa occidentale vollero, partendo proprio dalla meditazione sui disastri causati dal secondo conflitto mondiale, creare un vincolo comunitario tra i loro Paesi. Quel patto si è sviluppato nei decenni successivi, concretizzando la volontà delle nazioni entrate a farne parte di non essere più sole di fronte al proprio destino. Essi avevano capito che, oltre a quello dei singoli popoli, esiste un bene comune dell'umanità, violentemente calpestato dalla guerra. Tale riflessione sulla drammatica esperienza li indusse a ritenere che gli interessi di una nazione non potevano essere convenientemente perseguiti se non nel contesto della solidale interdipendenza con gli altri popoli.

La Chiesa ascolta il grido delle vittime

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8. Molteplici sono le voci che si levano nel cinquantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, cercando di superare le divisioni tra vincitori e vinti. Vengono commemorati il coraggio e il sacrificio di milioni di uomini e di donne. Per parte sua, la Chiesa si pone in ascolto soprattutto del grido di tutte le vittime. E' un grido che aiuta a comprendere meglio lo scandalo di quel conflitto durato sei anni. E' un grido che invita a riflettere su ciò che esso ha comportato per l'umanità intera. E' un grido che costituisce una denuncia delle ideologie che portarono all'immane catastrofe. Di fronte ad ogni guerra siamo tutti chiamati a meditare sulle nostre responsabilità, chiedendo perdono e perdonando. Si resta amaramente colpiti, in quanto cristiani, nel considerare che "le mostruosità di quella guerra si manifestarono in un continente, che si vantava di una particolare fioritura di cultura e di civiltà; nel continente rimasto più a lungo nel raggio del Vangelo e della Chiesa" (Giovanni Paolo II, Lettera ai Vescovi della Polonia nel 50 anniversario dell'inizio del secondo conflitto mondiale (26 agosto 1989), 3: AAS 82 (1990), 46]. Per questo i cristiani d'Europa devono chiedere perdono, pur riconoscendo che diverse furono le responsabilità nella costruzione della macchina bellica.

La guerra è incapace di dare la giustizia

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9. Le divisioni causate dalla seconda guerra mondiale ci richiamano al fatto che la forza al servizio della "volontà di potenza" è uno strumento inadeguato per costruire la vera giustizia. Essa anzi avvia un processo nefasto dalle conseguenze imprevedibili per uomini, donne, popoli che rischiano di smarrirvi ogni dignità insieme con i loro beni e la loro stessa vita. Risuona ancora forte l'ammonimento che il Papa Pio XII di v.m. elevo nell'agosto 1939, proprio alla vigilia di quel tragico conflitto, nell'estremo tentativo di scongiurare il ricorso alle armi: "Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare" (Radiomessaggio "Un'ora grave" (24 agosto 1939): AAS 31 (1939), 334].

Pio XII ricalcava in ciò le orme di Papa Benedetto XV il quale, dopo avere esperito tutte le vie per scongiurare il primo conflitto mondiale, non esitava a bollarlo, con l'appellativo di "inutile strage" (Esortazione ai Capi delle Nazioni in guerra (1 agosto 1917): AAS 9 (1917), 420]. Io stesso non mi sono allontanato da quella linea quando, il 20 gennaio 1991, di fronte alla guerra del Golfo, ebbi a dire: "La tragica realtà di questi giorni rende ancor più evidente che, con le armi, non si risolvono i problemi, ma si creano nuove e maggiori tensioni tra i popoli" (Appello dopo la preghiera dell'Angelus: Insegnamenti XIV, 1 (1991), 156].

E', questa, una constatazione che lo scorrere degli anni arricchisce di sempre nuove conferme, benché in alcune regioni d'Europa e in altre parti del mondo continuino ad accendersi dolorosi focolai di guerra. Papa Giovanni XXIII, nella Lettera enciclica Pacem in terris, collocava tra i segni dei tempi la diffusione della persuasione che "le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte con il ricorso alle armi, ma invece attraverso il negoziato" (PT 3: AAS 55 (1963), 291]. Nonostante gli umani insuccessi, non mancano eventi, anche recenti, atti a dimostrare che il negoziato onesto, paziente e rispettoso dei diritti e delle aspirazioni delle parti può aprire la via ad una risoluzione pacifica delle situazioni più complesse. In questo spirito dirigo il mio vivo riconoscimento e sostegno a tutti i moderni costruttori di pace.

Ciò faccio, spinto in particolare dall'incancellabile ricordo delle esplosioni atomiche, che colpirono prima Hiroshima e poi Nagasaki nell'agosto 1945. Esse testimoniano in misura sconvolgente l'orrore e la sofferenza prodotti dalla guerra: il bilancio definitivo di quella tragedia - come ebbi a ricordare nel corso della mia visita ad Hiroshima - non è stato ancora interamente steso né è stato ancora calcolato il suo costo umano complessivo, soprattutto considerando ciò che la guerra nucleare ha arrecato e potrebbe ancora arrecare alle nostre idee, ai nostri atteggiamenti e alla nostra civiltà. "Ricordare il passato è impegnarsi per il futuro. Ricordare Hiroshima è aborrire la guerra nucleare.

Ricordare Hiroshima è impegnarsi per la pace.

Ricordare ciò che la gente di questa città ha sofferto è rinnovare la nostra fede nell'uomo, nella sua capacità di fare ciò che è buono, nella sua libertà di scegliere ciò che è giusto nella sua determinazione di tradurre un disastro in un nuovo inizio" (Giovanni Paolo II, Discorso al "Peace Memorial Park", Hiroshima (25 febbraio 1981), 4: AAS 73 (1981), 417].

A cinquant'anni da quel tragico conflitto, conclusosi qualche mese dopo anche nel Pacifico con le drammatiche vicende di Hiroshima e Nagasaki e a seguito della resa del Giappone, esso appare con sempre maggiore chiarezza come "un suicidio dell'umanità" (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991),
CA 18: AAS 83 (1991), 816]. Esso, infatti, a ben vedere, è una sconfitta per i vinti come per i vincitori.

La macchina propagandistica 10. Un'ulteriore riflessione s'impone: durante la seconda guerra mondiale, oltre che alle armi convenzionali e a quelle chimiche, biologiche e nucleari, s'è fatto ampiamente ricorso ad un altro micidiale strumento bellico: la propaganda. Prima di colpire l'avversario con i mezzi della distruzione fisica, si è cercato di annientarlo moralmente con la denigrazione, le false accuse, l'orientamento dell'opinione pubblica verso la più irrazionale intolleranza, mediante ogni forma di indottrinamento, specialmente nei confronti dei giovani. E' tipico infatti di ogni regime totalitario armare una colossale macchina propagandistica al fine di giustificare i propri misfatti ed incitare alla intolleranza ideologica e alla violenza razzistica contro quanti non meritano - si dice - di essere considerati parte integrante della comunità. Quanto è lontano tutto ciò dall'autentica cultura della pace! Questa suppone il riconoscimento del legame intrinseco che esiste tra la verità e la carità. La cultura della pace si costruisce respingendo sul nascere ogni forma di razzismo e di intolleranza, non cedendo in alcun modo alla propaganda razziale, controllando gli appetiti economici e politici, rigettando con decisione la violenza ed ogni tipo di sfruttamento.

I perversi meccanismi propagandistici non si limitano a contraffare i dati della realtà, ma inquinano anche l'informazione circa le responsabilità, rendendo assai difficile il giudizio morale e politico. La guerra origina una propaganda che non lascia spazio al pluralismo delle interpretazioni, all'analisi critica delle cause, alla ricerca delle vere responsabilità. E' quanto emerge dall'esame dei dati disponibili circa il periodo 1939-45, come pure dalla documentazione relativa ad altre guerre scoppiate negli anni successivi: in ogni società, la guerra impone un uso totalitario dei mezzi d'informazione e di propaganda, che non educa al rispetto dell'altro e al dialogo, ma piuttosto incita al sospetto ed alla rappresaglia.

La guerra non è scomparsa 11. Con il 1945, le guerre non sono purtroppo finite. Violenza, terrorismo ed attacchi armati hanno continuato a funestare questi ultimi decenni.

Si è assistito alla cosiddetta "guerra fredda", che ha visto contrapporsi minacciosamente due blocchi in equilibrio tra loro grazie ad una costante corsa agli armamenti. Ed anche quando è venuta meno questa bipolare contrapposizione, non sono finiti gli scontri bellici.

Troppi conflitti in diverse parti del mondo sono ancora oggi aperti.

L'opinione pubblica, colpita dalle orrende immagini che entrano ogni giorno nelle case attraverso la televisione, reagisce emotivamente, ma finisce troppo presto con l'abituarsi e quasi con l'accettare l'ineluttabilità degli eventi. Questo, oltre che ingiusto, è oltremodo pericoloso. Non si deve dimenticare quanto è successo nel passato e quanto anche oggi succede. Sono drammi che toccano innumerevoli vittime innocenti, le cui grida di terrore e di sofferenza chiamano in causa le coscienze di tutti gli onesti: non si può e non si deve cedere alla logica delle armi! La Santa Sede, anche attraverso la firma dei principali Trattati e Convenzioni internazionali, ha voluto richiamare, e continua a farlo instancabilmente, la Comunità delle Nazioni all'urgenza di rafforzare le norme circa la non-proliferazione delle armi nucleari e l'eliminazione delle armi chimiche e biologiche, come pure di quelle particolarmente traumatiche e con effetti indiscriminati. Parimenti la Santa Sede ha recentemente invitato l'opinione pubblica a prendere più viva coscienza del perdurante fenomeno del commercio delle armi, fenomeno grave circa il quale è necessaria ed urgente una seria riflessione etica (cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Documento Il Commercio internazionale delle armi (1 maggio 1994), Città del Vaticano 1994]. Occorre pure ricordare che non solo la militarizzazione degliDocumento Il Commercio internazionale delle armi (1 maggio 1994), Città del Stati, ma anche il facile accesso alle armi da parte dei privati, favorendo il diffondersi della delinquenza organizzata e del terrorismo, costituisce una imprevedibile e costante minaccia per la pace.

Una scuola per tutti i credenti 12. Mai più la guerra! Si alla pace! Questi erano i sentimenti comunemente manifestati all'indomani di quello storico 8 maggio 1945. I sei terribili anni del conflitto sono stati per tutti un'occasione di maturazione alla scuola del dolore: anche i cristiani hanno avuto modo di riavvicinarsi tra di loro e di interrogarsi sulle responsabilità delle loro divisioni. Essi hanno inoltre riscoperto la solidarietà di un destino che li accomuna tra loro e con tutti gli uomini, di qualsiasi nazione essi siano. In tal modo, l'evento che ha segnato il massimo della lacerazione e della divisione tra i popoli e le persone si è rivelato per i cristiani un'occasione provvidenziale per prendere coscienza di una comunione profonda nella sofferenza e nella testimonianza. Sotto la croce di Cristo, membri di tutte le Chiese e Comunità cristiane hanno saputo resistere fino al sacrificio supremo. Molti di essi hanno sfidato esemplarmente, con le armi pacifiche della testimonianza sofferta e dell'amore, i torturatori e gli oppressori. Insieme ad altri, credenti e non credenti, uomini e donne di ogni razza, religione e nazione, hanno lanciato ben alto, al di sopra della marea montante della violenza, un messaggio di fratellanza e di perdono.

In questo anniversario, come non fare memoria di tali cristiani che, rendendo testimonianza contro il male, hanno pregato per gli oppressori e si sono curvati a curare le piaghe di tutti? Nella condivisione della passione, essi hanno avuto modo di riconoscersi fratelli e sorelle, sperimentando tutta l'illogicità delle loro divisioni. La sofferenza condivisa li ha portati a sentire maggiormente il peso delle divisioni tuttora esistenti tra i seguaci di Cristo e delle conseguenze negative da esse derivanti per la costruzione dell'identità spirituale, culturale e politica del continente europeo. La loro esperienza è per noi un monito: su questa linea occorre proseguire, pregando e lavorando con intensa fiducia e generosità, nella prospettiva dell'ormai prossimo Grande Giubileo del 2000. Verso quella meta siano incamminati con un pellegrinaggio di penitenza e riconciliazione (cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), TMA 50: AAS 87 (1995), 36], nella speranza di poter realizzare finalmente la piena comunione tra tutti i credenti in Cristo, con sicuro vantaggio per la causa della pace.

13. L'onda di dolore, che con la guerra si è riversata sulla terra, ha spinto i credenti di tutte le religioni a mettere le loro risorse spirituali al servizio della pace. Ogni religione, sia pure con percorsi storici diversi, ha vissuto tale singolare esperienza in questi 5 decenni. Il mondo è testimone che, dopo l'immane tragedia della guerra, è nato qualcosa di nuovo nella coscienza dei credenti delle varie Confessioni religiose: essi si sentono più responsabili della pace tra gli uomini e hanno cominciato a collaborare tra di loro. La "Giornata mondiale di preghiera per la pace" ad Assisi, il 27 ottobre 1986, ha pubblicamente consacrato questo atteggiamento maturato nella sofferenza. Assisi ha rivelato "il legame intrinseco che unisce un autentico atteggiamento religioso e il grande bene della pace" (Giovanni Paolo II, Discorso in occasione della solenne preghiera inter-religiosa mondiale per la pace, 6: AAS 79 (1987), 868]. Nelle successive "Giornate di preghiera per la pace nei Balcani" (ad Assisi il 9-10 Gennaio 1993 e nella Basilica di San Pietro il 23 gennaio del 1994) si è sottolineato specialmente il contributo specifico richiesto ai credenti per la promozione della pace mediante le armi della preghiera e della penitenza.

Il mondo, che si avvia alla fine del secondo Millennio, attende dai credenti un'azione più incisiva in favore della pace. Ai rappresentanti delle Chiese cristiane e delle grandi religioni, riuniti a Varsavia nel 1989 per il cinquantesimo anniversario dell'inizio del conflitto, dicevo: "Dal cuore delle nostre diverse tradizioni religiose scaturisce la testimonianza della partecipazione compassionevole ai dolori dell'uomo, del rispetto per la sacralità della vita. E' questa una grande energia spirituale che rende fiduciosi per il futuro dell'umanità" (Messaggio televisivo ai partecipanti all'incontro internazionale di preghiera per la pace in occasione del 50 anniversario dell'inizio del II conflitto mondiale (1 settembre 1989); Insegnamenti XII, 2 (1989), 421]. Le tristi vicende del secondo conflitto mondiale, a cinquant'anni di distanza, ci rendono maggiormente consapevoli dell'esigenza di liberare, con rinnovata forza ed impegno, queste energie spirituali.

E' doveroso, a questo proposito, ricordare che proprio dalla terribile esperienza della guerra è nata l'Organizzazione delle Nazioni Unite, considerata dal Papa Giovanni XXIII di v.m. uno dei segni dei nostri tempi per la "volontà di mantenere e consolidare la pace tra i popoli" (Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), IV: AAS 55 (1963), 295]. Dal crudele disprezzo per la dignità e per i diritti delle persone è nata inoltre la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Il cinquantesimo anniversario delle Nazioni Unite, che si celebra quest'anno, dovrà essere l'occasione per rafforzare l'impegno della comunità internazionale a servizio della pace. A tal fine, occorrerà assicurare all'Organizzazione delle Nazioni Unite gli strumenti di cui essa ha bisogno per perseguire efficacemente la sua missione.

C'è chi ancora prepara la guerra 14. Si tengono in questi giorni celebrazioni e manifestazioni in molte parti d'Europa alle quali prendono parte Autorità civili e Responsabili di ogni Comunità e Paese. Unendomi al ricordo del sacrificio di tante vittime della guerra, vorrei invitare tutti gli uomini di buona volontà a riflettere seriamente sulla necessaria coerenza che deve esservi tra la memoria del terribile conflitto mondiale e gli orientamenti della politica nazionale ed internazionale. In particolare, occorrerà disporre di efficaci strumenti di controllo del mercato internazionale delle armi ed insieme prevedere strutture adeguate di intervento in caso di crisi, per indurre tutte le parti a preferire la trattativa allo scontro violento. Non è forse vero che, mentre celebriamo la riconquista della pace, c'è purtroppo chi ancora prepara la guerra sia mediante la promozione di una cultura di odio che mediante la diffusione di sofisticate armi belliche? Non è forse vero che in Europa restano aperti dolorosi conflitti che attendono da anni pacifiche soluzioni? Questo 8 maggio 1995 non è purtroppo un giorno di pace per alcune regioni dell'Europa! Penso in particolare, alle martoriate terre dei Balcani e del Caucaso, dove ancora rumoreggiano le armi ed altro sangue umano continua ad essere versato.

A vent'anni dalla fine della seconda guerra mondiale, nel 1965, Paolo VI, parlando all'ONU, si chiedeva: "Arriverà mai il mondo a cambiare la mentalità particolaristica e bellicosa che finora ha intessuto tanta parte della sua storia?" (Discorso all'Assemblea generale delle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), 5: AAS 57 (1965), 882]. E' una domanda che ancora attende una risposta. Ravvivi in tutti la memoria della seconda guerra mondiale il proposito di operare - ciascuno secondo le proprie possibilità - a servizio di una decisa politica di pace in Europa e nel mondo intero.

Un significato speciale per i giovani 15. Il pensiero va ai giovani, che non hanno sperimentato personalmente gli orrori di quella guerra. Ad essi dico: cari giovani, ho grande fiducia nella vostra capacità di essere autentici interpreti del Vangelo. Sentitevi personalmente impegnati al servizio della vita e della pace. Le vittime, i combattenti ed i martiri del secondo conflitto mondiale erano in gran parte giovani come voi. Per questo chiedo a voi, giovani del 2000, di vigilare attentamente di fronte all'insorgere della cultura dell'odio e della morte. Respingete le ideologie ottuse e violente; respingete ogni forma di nazionalismo esasperato e di intolleranza; è per queste vie che si introduce insensibilmente la tentazione della violenza e della guerra.

A voi è affidata la missione di aprire nuove vie di fratellanza tra i popoli, per costruire un'unica famiglia umana, approfondendo la "legge della reciprocità del dare e del ricevere, del dono di sé e dell'accoglienza dell'altro" (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), EV 76: L'Osservatore Romano 31 marzo 1995, p. 10]. Lo richiede la legge morale iscritta dal Creatore nell'intimo di ogni persona, legge da Lui ribadita nella Rivelazione dell'Antico Testamento e portata infine a perfezione da Gesù nel Vangelo: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Lv 19,18 Mc 12,31); "Come Io vi ho amato così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Jn 13,34). E' possibile realizzare la civiltà dell'amore e della verità solo se l'apertura all'accoglienza dell'altro si estende ai rapporti tra i popoli, fra le nazioni e le culture. Risuoni nella coscienza di tutti questo invito: Ama gli altri popoli come il tuo! La via del futuro dell'umanità passa per l'unità; e l'unità autentica - questo è l'annuncio evangelico - passa per Gesù Cristo, nostra riconciliazione e nostra pace (cfr. Ep 2,14-18).

Il bisogno di un cuore nuovo 16. "Ricordati di tutto il cammino che il Signore Dio tuo ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi.

Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che neppure i tuoi padri avevano mai conosciuto, per farti capire che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore" (Dt 8,2-3).

Non siamo ancora entrati nella "terra promessa" della pace. La memoria del doloroso cammino della guerra e di quello non facile del secondo dopoguerra ce lo richiama costantemente. Questo cammino, nei tempi bui della guerra, nei momenti difficili del dopoguerra, nei nostri incerti e problematici giorni, ha spesso rivelato che nel cuore degli uomini, ed anche dei credenti, è forte la tentazione dell'odio, del disprezzo dell'altro, della prevaricazione. In questo stesso cammino, pero, non è mancato l'aiuto del Signore, che ha fatto germinare sentimenti di amore, di comprensione e di pace, insieme col sincero desiderio di riconciliazione e di unità. Come credenti, siamo consapevoli che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Sappiamo pure che la pace si radica nei cuori di quanti si aprono a Dio. Ricordarsi della seconda guerra mondiale e del cammino percorso nei decenni successivi non può non evocare nei cristiani l'esigenza di un cuore nuovo, capace di rispettare l'uomo e di promuoverne l'autentica dignità.

Questa è la base della vera speranza per la pace del mondo: "Un sole - ha profetato Zaccaria - sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace" (Lc 1,78-79). In questo tempo pasquale, che celebra la vittoria di Cristo sul peccato, elemento disgregatore e apportatore di lutti e squilibri, ritorna sulle nostre labbra l'invocazione con cui si chiude l'Enciclica Pacem in terris del mio venerato Predecessore Giovanni XXIII: "Illumini il Signore i responsabili dei popoli, affinché accanto alle sollecitudini per il giusto benessere dei cittadini, garantiscano e difendano il gran dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; in virtù della Sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace" (PT 5: AAS 55 (1963), 304].

Maria, Mediatrice di grazia, sempre vigile e premurosa verso tutti i suoi figli, ottenga per l'umanità intera il dono prezioso della concordia e della pace.

Dal Vaticano, 8 Maggio dell'anno 1995.

IOANNES PAULUS PP. II

Data: 1995-05-08 Data estesa: Lunedi 8 Maggio 1995


GPII 1995 Insegnamenti 788