GPII 1995 Insegnamenti 1769

Lettera al Direttore dell'U.N.E.S.C.O. - Città del Vaticano

Titolo: Per il 50° anniversario dell'Atto costitutivo

Al Signor Federico MAYOR ZARAGOZA Direttore generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura In occasione del cinquantesimo anniversario della Conferenza che istitui l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, desidero confermare il sostegno della Santa Sede apostolica per il raggiungimento dei nobili obiettivi inseriti in questo documento. Mi preme ribadire l'intenzione della Sede apostolica di continuare a collaborare all'adempimento dei compiti dell'U.N.E.S.C.O. e di incoraggiare ad affrontare, sulla base della ricca esperienza acquisita nel corso dei primi cinquanta anni di attività, le nuove sfide che si presentano alla vigilia dell'anno 2000.

Con ammirazione e riconoscenza desidero ricordare gli uomini e le donne di paesi e culture diversi che da cinquant'anni impegnano le loro migliori capacità intellettuali e morali nella realizzazione di numerosi progetti, quali, per citarne alcuni, l'elaborazione di strumenti giuridici internazionali, la salvaguardia di opere d'arte appartenenti al patrimonio dell'umanità, la promozione di un'adeguata istruzione elementare accessibile a tutti o, ancora, la valorizzazione delle risorse idriche della terra. Denominatore comune di queste attività è la convinzione che "le guerre nascono dal cuore dell'uomo, per cui è nel cuore dell'uomo che bisogna portare la difesa della pace" (Preambolo dell'Atto costitutivo).

I principi e gli obiettivi enunciati nell'Atto costitutivo sono ancora oggi del tutto attuali e meritano di ricevere l'appoggio e la solidarietà di ogni paese. I notevoli progressi delle scienza, soprattutto delle scienze della vita, aprono all'umanità sempre maggiori possibilità di dominare la natura. Il principio secondo cui le conquiste del sapere sono al servizio dell'ideale democratico di uguaglianza e di rispetto dell'umana persona continua a rivestire un'importanza fondamentale: non dobbiamo mai dimenticare che, perché il frutti dell'intelligenza dell'uomo siano davvero utili a tutti, il progresso delle scienze deve procedere di pari passo con una maggiore consapevolezza delle esigenze derivanti dalla dignità di ogni essere umano. Far partecipi tutti gli uomini delle scoperte del sapere è un semplice atto di giustizia, giacché, nel campo della diffusione della cultura e dell'istruzione, si impongono "per tutte le nazioni doveri sacri cui attendere in uno spirito di reciproco aiuto" (Ibidem).

Possiamo inoltre affermare che, sulla base dei principi riconosciuti nel 1945, nuove prospettive si aprono per gli anni a venire. Gli obiettivi sono quelli di dare un vigoroso impulso all'istruzione popolare e alla diffusione della cultura" e di "realizzare gradualmente l'ideale della possibilità, uguale per tutti, di ricevere un'istruzione, senza distinzioni" (Atto costitutivo, art.1), ricordando a ciascuno il dovere morale di assicurare un'istruzione a ogni essere umano, condizione necessaria per una partecipazione attiva nella vita della società di appartenenza e per contribuire allo sviluppo di questa. L'umana persona, infatti, non può essere considerata solo nella sua esistenza individuale: essa ha una dimensione sociale e proprio nelle comunità si realizza per gran parte lo sviluppo della persona. Qui sorgono anche conflitti pericolosi quando i membri di un gruppo si sentono oppressi o minacciati in quanto tali. Perché la pace possa affermarsi è quindi necessario che vengano riconosciuti i diritti delle nazioni, comunità unite da vari legami, ma soprattutto da quello della cultura. I campi di attività della vostra Organizzazione sono fondamentali per garantire i diritti delle nazioni, in particolar modo il diritto a conservare la propria lingua e cultura, o il diritto a costruire il proprio avvenire trasmettendo il proprio patrimonio culturale alle giovani generazioni attraverso un'educazione adeguata.

Si tratta di diritti umani intesi a livello di popoli. Per riuscire a edificare una civiltà della pace, è sempre più importante valorizzare e garantire i diritti di ogni nazione, anche di quelle che non godono delle prerogative di Stati, perché ognuna possa continuare a vivere in funzione delle proprie tradizioni, nel rispetto dei diritti umani di ciascuno.

E motivo di apprezzamento il fatto che l'U.N.E.S.C.O., nella sua ricerca sulla cultura della pace, tenga in considerazione anche il contributo delle religioni. Se, infatti, ogni cultura rappresenta un tentativo di riflettere sul mistero del mondo, e dell'uomo in particolare, e un modo di esprimere la dimensione trascendentale della vita dell'uomo, allora la religione, cioè l'approccio al mistero di Dio, è il cuore di ogni cultura. Possiamo altresi affermare che la religione, con la sua profonda concezione dell'uomo, rappresenta il fondamento stesso della cultura. La fede e la religione, d'altronde, richiedono un'adesione assolutamente libera, fatta in coscienza da ogni persona in quel sacrario in cui l'uomo si trova solo con Dio (cfr. Concilio Vaticano II, GS 16): per loro natura, la fede e la religione, di cui è necessario garantire la piena libertà, sono realtà che trascendono ogni cultura e tradizione umane. A ragione ci si attende quindi il contributo dei credenti alla causa della pace, la quale risponde alle più nobili e generose aspirazioni dell'uomo.

Nella fase attuale del cammino dell'U.N.E.S.C.O., la Sede apostolica esprime le sue felicitazioni per l'opera sin qui compiuta e auspica che tutti gli Stati membri siano decisi a cooperare al fine di "assicurare a ciascuno il pieno e uguale accesso all'istruzione, la libera ricerca della verità oggettiva e il libero scambio di idee e di conoscenze" (Preambola all'Atto costitutivo).

Di tutto cuore invoco il sostegno della grazia divina per Lei, Signor Direttore Generale, e per quanti portano avanti la missione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la Scienza e la Cultura al servizio di tutta l'umanità.

Dal Vaticano, 14 ottobre 1995.

IOANNES PAULUS PP. II (Traduzione dal francese]

Data: 1995-10-14 Data estesa: Sabato 14 Ottobre 1995

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano

Titolo: Il Concilio Vaticano II

Carissimi Fratelli e Sorelle!

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1. Trent'anni fa, l'8 dicembre 1965, si concludeva il Concilio Ecumenico Vaticano II. Lo aveva inaugurato tre anni prima, proprio l'11 ottobre, il coraggio mite, lungimirante e perseverante, del Pontefice Giovanni XXIII. Lo portarono a compimento la grande mente e il grande cuore del Papa Paolo VI. Mentre ci incamminiamo verso il Giubileo dell'anno 2000, non possiamo non tornare a tale avvenimento, che costituisce una pietra miliare, un "evento provvidenziale" nella storia della Chiesa contemporanea (
TMA 18).

Nella storia dei Concili, esso riveste una fisionomia del tutto singolare. Nei Concili precedenti, infatti, il tema e l'occasione della celebrazione erano stati dati da particolari problemi dottrinali o pastorali. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha voluto essere un momento di riflessione globale della Chiesa su se stessa e sui suoi rapporti col mondo. A tale riflessione la spingeva il bisogno di una sempre maggiore fedeltà al suo Signore. Ma l'impulso veniva anche dai grandi cambiamenti del mondo contemporaneo, che, come "segni dei tempi", esigevano di essere decifrati alla luce della Parola di Dio. Fu merito di Giovanni XXIII non solo l'aver indetto il Concilio, ma anche l'avergli dato il tono della speranza, prendendo le distanze dai "profeti di sventura", e confermando la propria indomita fiducia nell'azione di Dio.

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2. Grazie al soffio dello Spirito Santo, il Concilio ha messo le basi di una nuova primavera della Chiesa. Esso non ha segnato una rottura col passato, ma ha saputo valorizzare il patrimonio dell'intera tradizione ecclesiale per orientare i fedeli nella risposta alle sfide della nostra epoca.

A distanza di trent'anni, è più che mai necessario tornare a quel momento di grazia. Come ho chiesto nella Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente (
TMA 36), tra i punti di un irrinunciabile esame di coscienza, che deve coinvolgere tutte le componenti della Chiesa, non può non esserci la domanda: quanto del messaggio conciliare è passato nella vita, nelle istituzioni, nello stile della Chiesa? Già nel Sinodo dei Vescovi del 1985 fu posto un analogo quesito. Esso resta valido ancor oggi, ed obbliga innanzitutto a rileggere il Concilio, per raccoglierne integralmente le indicazioni ed assimilarne lo spirito. Cercheremo di farlo insieme, ripercorrendo le grandi tematiche conciliari nel corso di alcuni prossimi appuntamenti domenicali dell'Angelus. La storia testimonia che i Concili hanno avuto bisogno di tempo per portare i loro frutti. Molto tuttavia dipende da noi, con l'aiuto della grazia di Dio.

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3. Maria Santissima, che proprio nel corso dell'Assise conciliare fu proclamata dal mio predecessore Paolo VI "Madre della Chiesa", ci aiuti in questo cammino.

Sentiamola tra noi, come gli Apostoli alla vigilia della Pentecoste. Ella ci renda docili allo Spirito di Dio, perché il Terzo Millennio ormai alle porte trovi i credenti più saldi nella fedeltà a Cristo e pienamente dediti alla causa del suo Vangelo.

(Dopo la preghiera, Giovanni Paolo II ha così ricordato la celebrazione della Giornata Mondiale del Rifiuto della miseria indetta dall'Organizzazione delle Nazioni Unite:] Il 17 ottobre si terrà la Giornata Mondiale del Rifiuto della miseria, indetta dall'Organizzazione delle Nazioni Unite. Vorrei che i più poveri, nei 5 continenti, sappiano che hanno un posto privilegiato nella Chiesa come nella comunità umana. Ammiro il loro coraggio di fronte alle grandi difficoltà della vita, il loro amore generoso per i bambini che allevano nobilmente, il loro senso della solidarietà con quelli che hanno meno di loro. Li incoraggio nella loro lotta per preservare la loro dignità di esseri umani che Dio ama. Conto su di loro nel cuore della nostra società, perché le loro prove ne fanno spesso i più convincenti operatori di pace. Dio benedica tutti i poveri del mondo! (Il Papa ha salutato un gruppo di studenti e di professori olandesi con le parole che pubblichiamo in una traduzione italiana:] Di cuore saluto gli studenti e i professori del "Gymnasium Romanum Catholicum" di Waalwijk. Che Dio vi benedica! (Rivolgendosi poi a gruppi di pellegrini provenienti dalla Polonia il Papa li ha salutati con le parole che diamo in una nostra traduzione italiana:] Do il benvenuto e saluto cordialmente i pellegrini venuti dalla Polonia.

Mi unisco anche alla venerazione che avete per la Madonna di Fatima che ieri ha iniziato il suo pellegrinaggio nella nostra Patria.

raccolti in Piazza San Pietro:] Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai ragazzi della parrocchia di Santa Maria Assunta in Velate Milanese, che hanno da poco ricevuto il sacramento della Cresima, come pure ai fedeli di Maglio di Sopra, diocesi di Vicenza, ed ai giovani dell'Oratorio di Battipaglia.

Saluto anche i soci dell'associazione "Amici per il Terzo Mondo" di Capannoli (Pisa) e il gruppo della Misericordia e Donatori di sangue della parrocchia di Cristo Re in Lido di Camaiore (Lucca).

Possa la sosta presso la tomba dell'apostolo Pietro rafforzare in tutti la fede e lo spirito di testimonianza.

Data: 1995-10-15 Data estesa: Domenica 15 Ottobre 1995

Ai Rappresentanti pontifici dei Balcani - Città del Vaticano

Titolo: Un "domani" è ancora possibile

Signori Cardinali, cari Fratelli nell'Episcopato! Ho voluto questo incontro per poter testimoniare la mia vicinanza a tutti voi, ai sacerdoti, vostri collaboratori nell'apostolato, ed a tutti i fedeli delle vostre Chiese particolari.

So che le vostre diocesi, soprattutto quelle della Bosnia ed Erzegovina, sono passate per un lungo "venerdi santo". Per alcune di esse il tempo della prova non è ancora terminato. Comunque, un campo immenso di lavoro già si apre di fronte a voi. Ma anche in altri Paesi le sfide da affrontare, dopo il crollo del comunismo, sono ingenti: si tratta, in ultima analisi, di rimodellare le anime! Il nostro incontro ha un fine eminentemente pastorale. Siamo qui quali Pastori preoccupati per la sorte del gregge e per considerare cosa sia possibile fare perché, alla luce e con la forza del Vangelo, possiamo aiutare tutti gli uomini di buona volontà a tracciare un cammino di fratellanza, per la ricostruzione spirituale e materiale dei popoli dei Balcani, così che le giovani generazioni possano guardare al futuro con piena fiducia.

In questo incontro saro lieto di ascoltare da voi alcune risposte sulle priorità spirituali da affrontare nell'ora presente. Come buon Samaritano sul cammino del mondo, ogni Vescovo dovrà poi anche prospettare come intenda collaborare per venir incontro alle necessità più urgenti delle rispettive popolazioni.

E, ancora, ci dovremo chiedere come si possa ricostruire, spiritualmente e materialmente, quella vasta parte dell'Europa con la collaborazione degli altri cristiani e di ogni credente.

Questo nostro incontro dev'essere un "segno" che indichi a tutti che un "domani" è ancora possibile, che la violenza e la sopraffazione non possono avere l'ultima parola. Questo incontro vuole anche ricordare che i cattolici vogliono dare il loro contributo specifico alla pace, attraverso l'esperienza del perdono e della riconciliazione. La nostra fede ci dice che non possiamo essere felici gli uni senza gli altri e, ancor meno, gli uni contro gli altri! Venerati Confratelli nell'Episcopato, in questi lunghi quattro anni, che hanno portato tante tribolazioni e tante lacrime fra le vostre popolazioni, vi sono stato sempre molto vicino, pregando e lavorando perché la stella della pace ritornasse a brillare sulle vostre terre. A voi sono stati anche molto vicini i miei Collaboratori nella Curia Romana, ognuno per il suo settore specifico di competenza. Oggi la Provvidenza ci ha concesso di ritrovarci tutti insieme, per rinnovarci nel nostro impegno pastorale al servizio della Chiesa e del mondo.

Insieme a voi, vorrei rivolgere un saluto cordiale a chi non è potuto intervenire a quest'incontro. In particolare, desidero rivolgermi al nostro caro Fratello il Vescovo di Banja Luka, S.E. Mons. Franjo Komarica, il quale non è potuto uscire dalla sua martoriata città, ancora provata da tante tribolazioni.

Insieme a lui, saluto i sacerdoti, i religiosi e le religiose che hanno voluto rimanere accanto ai loro fedeli in questo lungo periodo di prova. Sappiano essi che la Chiesa intera è vicino a loro e lo è particolarmente il Papa.

Signori Cardinali, cari Arcivescovi e Vescovi, vi ringrazio per aver accettato il mio invito e, anche a costo di gravi sacrifici, di venire all'incontro odierno. Sui nostri lavori invoco la speciale intercessione di Maria, Madre della Chiesa e regina della Pace!

Data: 1995-10-17 Data estesa: Martedi 17 Ottobre 1995

Lettera alla Superiora delle Religiose del Verbo Incarnato - Città del Vaticano

Titolo: Per il IV centenario della nascita della vostra Fondatrice

Alla Reverenda Madre Gloria Leticia RAMIREZ GODOY Superiora Generale delle Religiose del Verbo Incarnato Il quarto centenario della nascita di Jeanne Chézard de Matel, fondatrice delle Religiose del Verbo Incarnato, offre alla diocesi di Lione, sua città di origine, e alla vostra Congregazione l'occasione di ricordare questa grande figura del sei cento francese. In un'epoca particolarmente travagliata, Jeanne Chézard de Matel seppe volgersi a Dio e vivere in piena comunione con Lui.

La preghiera, attraverso la quale Dio parlava al suo cuore, occupava infatti il posto principale nella sua vita quotidiana. Ella attingeva dalla contemplazione del mistero della Passione, in cui Cristo ci rivela il suo amore per l'umanità, la forza per annunciare il Vangelo. Per questa ragione non si stancava mai di meditare la Sacra Scrittura, regola suprema della fede della Chiesa ed essenza di ogni vita apostolica e di ogni riflessione teologica (cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, DV 21 DV 24). Jeanne Chézard de Matel viveva in un certo senso l'ideale del cristiano così come a suo tempo era stato presentato da San Francesco di Sales: "E noi, trovandoci attraverso la meditazione alla presenza del Salvatore e osservando le sue parole, le sue azioni e i suoi sentimenti, impariamo, per mezzo della sua grazia, a parlare, agire e volere come Lui" (Introduzione alla vita devota, 2,1). Ella fece esperienza del fatto che conformarsi alla volontà di Dio non ostacola affatto né la nostra libertà di uomini né le nostre azioni, mentre, invece, le indirizza per far produrre loro copiosi frutti.

Le Religiose del Verbo Incarnato non abbiano paura a lasciarsi guidare da Cristo! Egli mostrerà loro la via della felicità. Le sorelle della Congregazione e, in generale, tutti i discepoli del Signore devono impegnarsi secondo questo spirito. Le condizioni attuali sono certamente diverse da quelle conosciute da Jeanne Chézard de Matel, ma vita spirituale e dono di sé continuano a essere necessari per comunicare al mondo la vita del Signore.

Gli uomini del nostro tempo hanno quanto mai bisogno della vita religiosa. Questa insegna che l'amore per Cristo e per i propri fratelli, vissuto nella radicalità dei consigli evangelici, può colmare un'esistenza e affrancare dalle insidie del mondo d'oggi, ricordandoci che dobbiamo non solo costruire la città terrestre, ma anche tenere lo sguardo fisso al Regno che verrà e in cui troveranno compimento le nostre più intime aspirazioni.

La devozione delle Religiose del Verbo Incarnato ai misteri dell'Incarnazione e della Passione del Salvatore le prepara a numerose missioni in seno alla Chiesa. Innanzitutto permette loro di essere vicine ai più poveri, prediletti da Dio e fratelli del Signore (cfr. San Gregorio di Nissa, Sull'amore per i poveri), e a quanti, soprattutto negli ultimi anni della loro vita, patiscono sofferenze fisiche. La familiarità con il Verbo di Dio porta inoltre le Religiose del Verbo Incarnato a rivolgersi ai giovani, oggi quanto mai desiderosi di scoprire Colui che solo dona un senso all'esistenza e apre alla speranza. Le figlie spirituali di Jeanne Chézard de Matel devono avere a cuore l'annuncio, in primo luogo ai giovani, della Buona Novella attraverso la testimonianza di una vita conforme ai misteri divini e attraverso tutti i mezzi oggi a loro disposizione: la catechesi, le società bibliche, i gruppi giovanili, l'animazione liturgica e l'alfabetizzazione.

Gli uomini e le donne che fedelmente pregano ogni giorno, in particolare i religiosi e le religiose, possono insegnare a pregare agli uomini dei nostri tempi, rendendoli capaci di sviluppare la loro vita spirituale e rispondere così alla vocazione del loro battesimo. Infatti, "quando un cristiano prega, continua e completa la preghiera che Gesù fece sulla terra" (San Giovanni Eudes, Vita e Regno di Gesù, 2,2) e riceve lo spirito Santo, diventando apostolo.

Possano le Religiose del Verbo Incarnato, nei compiti chiamate a svolgere, essere come vasi nelle mani del vasaio (cfr. Jr 18,1-6)! così, lasciandosi guidare dallo Spirito, saranno sempre pronte a rispondere ai pressanti appelli rivolti loro dalla Chiesa perché Cristo sia meglio conosciuto e amato.

Nella gioia di questo quarto centenario, desidero invocare lo Spirito Santo su tutte le Religiose del Verbo Incarnato, perché offra loro l'occasione di fare esperienza di un sincero rinnovamento interiore e di un nuovo afflato missionario, per vivere sempre più intensamente secondo i carismi costitutivi della Congregazione. Desidero esprimere loro la fiducia e la gratitudine della Chiesa per il loro operato, in particolare nel campo dell'evangelizzazione.

Nell'invocare su loro l'intercessione della Madre di Dio, desidero affidarle a Cristo, vero Dio e vero uomo, e accordo loro la mia Benedizione apostolica, unitamente a quanti beneficiano delle loro missioni e a quanti partecipano alle celebrazioni anniversarie.

Dal Vaticano, 18 ottobre 1995.

IOANNES PAULUS PP. II (Traduzione dal francese]

Data: 1995-10-18 Data estesa: Mercoledi 18 Ottobre 1995


Visita "ad limina": il discorso di Giovanni Paolo II a Presuli della Conferenza Episcopale del Brasile delle Regioni Sud III e IV - Città del Vaticano

Titolo: La riaffermazione dell'insegnamento della Chiesa è la risposta necessaria del Magistero alla crisi etica della società

Cari Fratelli nell'Episcopato,

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1. Vi porgo il mio sincero benvenuto in occasione della vostra visita alla Città Eterna e alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo. A voi è stata affidata la responsabilità per la Chiesa nelle Diocesi di un Paese che, alle soglie del XXI secolo, celebrerà il V Centenario della sua scoperta, pertanto essa dovrà essere pronta per le enormi sfide che il Popolo di Dio si aspetta che i suoi Pastori affrontino.

Questa vostra visita "ad limina" possiede pertanto un profondo significato storico: le vie di Dio sono insondabili, ma rispettando il corso normale degli eventi, la Provvidenza vi chiama a illuminare le future generazioni di brasiliani, come araldi della Verità, "purché restiate fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza" (
Col 1,23).

Con riconoscenza verso Dio, penso ai giorni pieni di grazia, nel 1991, in cui, accettando il vostro invito fraterno, ho potuto realizzare la mia seconda Visita Pastorale alla Chiesa in Brasile. Conservo ancora vivo il grato ricordo della testimonianza di fede di molti uomini, donne e bambini, dell'accoglienza sincera e piena di gioia ricevuta in tutto il vostro immenso Paese. In tutti ho potuto scorgere un autentico desiderio di bene e di verità e un clima di fiducia e di rispetto per i Pastori. Mediante le lettere che giungono continuamente a Roma alla ricerca di luce, di conforto e d'aiuto, che manifestano sincera devozione per il Successore di Pietro, sento l'"anima" del brasiliano. Voi stessi, quando mi scrivete, aprite il vostro cuore descrivendo lealmente la situazione e la vita delle vostre Chiese particolari. E' mio vivo desiderio incoraggiarvi e sostenere la vostra opera molto spesso faticosa e piena di sfide. Con l'aiuto di Dio dovete superare le vostre prove, purché restiate uniti con spirito fraterno e testimoniate apertamente la vostra comunione con il Papa e con i Fratelli nell'Episcopato.

Saluto di cuore l'Arcivescovo Altamiro Rossato che, a nome delle Province ecclesiastiche che compongono le regioni Sud 3 e Sud 4, del Rio Grande do Sul e di Santa Catarina, ha esposto il quadro generale delle vostre Diocesi, con le loro ansie e le loro preoccupazioni. Grazie! Che la luce del Divino Consolatore vi ispiri sempre mentre svolgete, con fede e con fiducia nella Provvidenza, la vostra missione episcopale!

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2. Le relazioni quinquennali offrono un quadro obiettivo dello stato delle vostre Diocesi, dei felici progressi e anche di alcuni sviluppi che richiedono un'attenta riflessione. Ciò che accade oggi nella Chiesa, in qualsiasi luogo, ha ripercussioni sulla società nel suo insieme. In un mondo che si incamminava verso l'unità, la responsabilità di tutti per tutti diventa un'esperienza diretta.

Svolgete quindi il vostro ministero episcopale con coscienza e con abilità; che esso sia sempre più anche un ministero di unità della Chiesa universale, contribuendo in tal modo all'unità della dottrina della fede e della morale, così come questa vincola il Magistero.

La Chiesa, in effetti, conserva una verità, una dottrina, una sapienza e un'esperienza di cui le persone hanno bisogno per percorrere il cammino della vera liberazione e per raggiungere l'autentico bene. E' questo il contesto nel quale si deve comprendere l'Enciclica Veritatis splendor che ho voluto pubblicare mosso dall'urgenza di ripresentare alla luce del Vangelo l'insegnamento ufficiale della Chiesa di fronte alla malsana confusione che molte persone avvertono circa la questione fondamentale del bene e del male, di ciò che è corretto e di ciò che è errato. La riaffermazione dell'insegnamento morale della Chiesa - che è costante e al contempo sempre nuovo - è la necessaria risposta del Magistero alla diffusa crisi etica che colpisce la società contemporanea.

Mi ha particolarmente commosso, nel recente incontro con la gioventù europea a Loreto, vedere tanti giovani che cercano ansiosamente di amare e di servire Cristo nella sua Chiesa. Sono certo, in quanto ho già avuto occasione di conoscere il suo dinamismo interiore, che lo stesso avviene nella vostra Patria.

Questi uomini e queste donne del Terzo Millennio si aspettano che i loro Vescovi e i loro sacerdoti li aiutino a vivere secondo la verità che rappresenta il dono prezioso che Cristo ha riservato loro (cfr.
Ga 5,1).

I fedeli guardano ai Vescovi della Chiesa come a "dottori autentici, cioè rivestiti dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede" (Cons. Dogm. LG 25). Come Pastori esperti, dovete essere profondamente consapevoli delle enormi conseguenze di questa crisi sulla vita quotidiana delle persone e dovete riconsocere la vostra responsabilità, che consiste nell'offrire orientamenti pastorali che siano in conformità con la mente di Cristo e della Chiesa.

Di fronte alla sfida, senza dubbio dolorosa, dell'abbandono della Fede e della Morale nei Paesi cristiani, dobbiamo rinnovare continuamente in noi quel carisma della vigilanza, che porto Sant'Agostino a ricordarci la serietà delle nostre responsabilità, quando affermava: "oltre a essere cristiano... sono anche responsabile, e per questo devo rendere conto a Dio del mio ministero" (Sermone 46: Sui Pastori, n. 2).

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3. Al centro del messaggio della Veritatis splendor c'è la riaffermazione del rapporto essenziale tra la verità e la libertà (cfr.
VS 32). La verità universale circa il bene della persona umana e le norme sempre valide che garantiscono la tutela di tale bene sono realmente accessibili alla ragione umana; in effetti noi possiamo partecipare alla conoscenza di Dio su ciò che dobbiamo essere e fare al fine di raggiungere l'obiettivo per il quale siamo stati creati.

Aiutare gli uomini e le donne a riscoprire "la connessione inscindibile tra verità e libertà" (Ibidem, VS 99) è la pressante esigenza del nostro ministero pastorale, sia individuale sia collettivo. Assicurando l'insegnamento chiaro delle verità fondamentali presentate dalla dottrina morale della Chiesa, promuoveremo una nuova affermazione della dignità della persona umana, una corretta comprensione della coscienza, che rappresenta l'unica base solida per l'esercizio della libertà umana, oltre che il fondamento per la vita in comune, nella solidarietà e nell'armonia civica. Tutto ciò costituisce un servizio fondamentale a favore del bene comune. Come può la società moderna liberarsi dalla crescente decadenza, dal suo comportamento distruttore - nel quale è compresa la violazione dei diritti della persona umana - senza recuperare il carattere inviolabile delle norme morali che devono, sempre e in ogni luogo, orientare la condotta umana (cfr. Ibidem, VS 34)? E' risaputo che la nostra epoca ha acquisito una percezione particolarmente viva della libertà. Questa percezione, tuttavia, si è espressa in molteplici modi che a volte si allontanano dalla verità dell'uomo. In alcune correnti di pensiero si è giunti a esaltare la libertà fino a trasformarla in un assoluto. Alla coscienza individuale sono state attribuite le prerogative dell'istanza suprema del giudizio morale. L'esigenza della verità è scomparsa al punto da essere pervenuti a una concezione radicalmente soggettiva del giudizio morale. Quando si perde l'idea di una verità universale sul bene, si tende a concedere alla coscienza dell'individuo il privilegio di stabilire autonomamente i criteri del bene e del male e ad agire di conseguenza. Questa visione s'identifica con un'etica individualistica nella quale ognuno si vede confrontato con la "sua verità", diversa dalla verità degli altri; si capiscono così le difficoltà incontrate nella recente Conferenza sulla Donna a Pechino per un'affermazione chiara e inequivocabile dei valori universali inscritti nel cuore di ogni uomo.

Sempre, ma specialmente nel contesto culturale attuale, sarà nostro dovere affermare la dignità umana come fondamento della libertà, della giustizia e della pace, e anche la salvaguardia della famiglia, il concetto di maternità e la responsabilità dei genitori nell'educazione dei figli.

Questi temi sono troppo importanti per essere messi da parte. La Chiesa non smetterà mai di mettere in guardia i fedeli, e tutti gli uomini di buona volontà, contro qualsiasi attentato alla dignità dell'uomo e della donna, proclamando sempre con il dovuto coraggio pastorale i valori perenni della Legge naturale, confermati da Cristo nel Vangelo.

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4. Alcune tendenze culturali odierne sono all'origine di molti orientamenti etici che pongono al centro del loro pensiero un supposto conflitto tra libertà e legge.

Sono dottrine che attribuiscono agli individui e ai gruppi sociali la facoltà di decidere il bene o il male.

Questa erronea rivendicazione di autonomia ha esercitato il proprio influsso anche nell'ambito della teologia morale cattolica, e alcuni sono giunti a teorizzare una completa sovranità della ragione sulle norme morali relative al giusto ordinamento della vita in questo mondo. Di conseguenza si è giunti al punto di negare, in contrasto con l'insegnamento della Sacra Scrittura e la costante dottrina della Chiesa, che la Legge Naturale abbia Dio come autore, e che l'uomo, mediante la sua ragione, partecipi alla legge eterna, che non è pero stabilita da lui (cfr.
VS 36). Un'autonomia così concepita nega alla Chiesa e al suo Magistero una competenza dottrinale specifica sulle norme morali concrete relazionate con il cosiddetto "bene umano". E' necessario tuttavia ricordare costantemente che la libertà, intesa come arbitrio, separata dalla verità e dal bene, la libertà separata dai Comandamenti di Dio, diventa una minaccia per l'uomo e per la donna, e porta alla schiavitù, rivoltandosi contro l'ndividuo e contro la società. La Chiesa, che è sempre accorsa in difesa dei diritti dell'uomo, non può tacere, anche a rischio di perdere popolarità. Il Concilio ci insegna: "Nessuna legge umana v'è che possa porre così bene al sicuro la personale dignità e la libertà dell'uomo, quanto il Vangelo di Cristo affidato alla Chiesa" (GS 41).

Ringrazio Dio per le recenti notizie sulle nuove iniziative nel campo dei mezzi di comunicazione sociale, da parte sia della Chiesa sia di gruppi privati, per annunciare, con rinnovato ardore missionario, la Verità rivelata. Non basta comunque parlare alle grandi masse molto spesso polivalenti se non si affrontano individualmente le persone, sapendo che Cristo ha versato tutto il suo preziosissimo Sangue per ognuna di esse. La libertà ha bisogno di essere guidata da una coscienza ben formata, che sia in grado di distinguere il bene e il male morale e sappia scegliere il bene in ogni situazione. La libertà non è relativismo morale, ma si fonda su criteri morali chiari e trasparenti. I brasiliani devono essere oggi ben orientati dai loro Pastori per resistere alle tendenze che giungono loro da diverse parti riguardanti la modernità e la liberazione, tendenze che, in realtà, sono molto spesso prive di autentici principi morali.

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5. L'Evangelizzazione è, indubbiamente, la sfida più grande e sublime che la Chiesa è chiamata ad affrontare. Il momento che stiamo vivendo è soprattuttto d'incitamento alla "Nuova Evangelizzazione", nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione. Questa evangelizzazione tuttavia "comporta anche l'annuncio e la proposta morale" (
VS 107) vissuta nella santità di tanti membri del Popolo di Dio.

Nel contesto della Nuova Evangelizzazione, che deve generare e alimentare la fede, possiamo capire il posto che nella Chiesa spetta alla riflessione che la Teologia deve svolgere sulla vita morale, così come possiamo presentare la missione e la responsabilità propria dei teologi moralisti. E' su di essi che ricade in particolare una grave responsabilità, se la Nuova Evangelizzazione deve diventare una preoccupazione di tutti.

Perché la Chiesa possa compiere la sua missione profetica è necessaria una riflessione sempre più profonda della fede, sotto la guida dello Spirito Santo. E' al servizio di questa riflessione e ricerca che si pone la vocazione del teologo nella Chiesa. Per questo faccio mie le precisazioni relative al Magistero della Chiesa il cui compito è "di discernere, mediante giudizi normativi per la coscienza dei fedeli, gli atti che sono in sé stessi conformi alle esigenze della fede e ne promuovono l'espressione nella vita, e quelli che al contrario, per la loro malizia intrinseca, sono incompatibili con queste esigenze" (Congregazione per la Dottrina della Fede, Donum veritatis, 24-V-1990, n. 16).

A tutti coloro che insegnano Teologia Morale, per mandato dei leggittimi Pastori, desidero ricordare il grave dovere d'istruire i fedeli - specialmente i futuri sacerdoti - con l'insegnamento che la Chiesa dichiara con autorità. In modo particolare, tutti noi dobbiamo impegnarci nella organizzazione dello studio della teologia, e nello sviluppo fecondo delle Facoltà e degli Istituti Superiori di Teologia. Nell'Esortazione Apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis ho espresso i principi fondamentali della formazione scientifico-intellettuale e spirituale dei candidati al sacerdozio: "La formazione intellettuale dei candidati al sacerdozio trova la sua specifica giustificazione nella natura stessa del ministero ordinato e manifesta la sua urgenza attuale di fronte alla sfida della 'nuova evangelizzazione' alla quale il Signore chiama la Chiesa alle soglie del terzo millennio" (PDV 51).

Vi raccomando soprattutto di essere particolarmente vigili in ciò che riguarda la formazione dei vostri seminaristi nel campo della Teologia Morale.

Essi saranno i futuri formatori di coscienze cristiane, come confessori, direttori spirituali e animatori di comunità. Devono pertanto essere preparati a svolgere questa importante funzione del loro sacerdozio in totale sintonia con la dottrina della Chiesa. Per questo è indispensabile che i manuali e i professori di Teologia Morale vengano attentamente scelti per far si che non venga introdotta nei seminari e nelle facoltà ecclesiastiche di teologia alcuna forma di dissidenza, che sarebbe dannosa in un campo così importante.

Ciò che interessa nella formazione teologica dei futuri sacerdoti, dei professori e di quanti collaborano all'insegnamento della religione è non solo la qualità scientifica della propria preparazione intellettuale ma anche il "sentire cum Ecclesia" tra professori e studenti. Vale la pena precisare che spetta in modo particolare ai teologi moralisti esporre la dottrina della Chiesa dando esempio di una leale adesione interna ed esterna all'insegnamento del Magistero, sia nel campo del Dogma come in quello della Morale (cfr. VS 110). I teologi hanno una responsabilità intellettuale, spirituale e pastorale dovendo insegnare la dottrina morale della Chiesa senza alterarla in nulla. La discordanza con la dottrina morale manifestata da contestazioni e polemiche, attraverso i mezzi di comunicazione sociale, è contraria alla comunione ecclesiale e alla sua retta comprensione della costituzione gerarchica del Popolo di Dio. Un'opposizione all'insegnamento del Magistero della Chiesa non può essere considerata espressione di libertà cristiana e di diversità dei doni dello Spirito: tutti i fedeli - laici, religiosi o sacerdoti - hanno il diritto di ricevere la Dottrina Cattolica nella sua purezza e nella sua integrità che, in questo caso, i Pastori devono far rispettare.

Questi presupposti diventano ancora più attuali al momento di considerare l'influsso del Magistero della Chiesa volto a esporre, alla luce del Vangelo, il cammino comune verso lo sviluppo e la liberazione integrale dell'uomo.

E' ovvio che la formulazione di giudizi morali su situazioni, strutture e sistemi sociali richiede un'attenta e diligente riflessione; del resto la Chiesa si è ripetutamente pronunciata in difesa e per la promozione dei diritti dell'uomo e io stesso l'ho riaffermato nell'Enciclica Centesimus annus (cfr. CA 22).

Vale comunque la pena ricordare le parole che ho rivolto ai seminaristi di Brasilia nel corso del mio ultimo Viaggio Pastorale nella vostra terra: "Abbiate sempre come guida, per gli studi, il magistero autentico e universale della Chiesa. Solo quando il Magistero viene accettato docilmente, con spirito di fede (...), si potranno evitare le tentazioni del fascino superficiale esercitato dalle correnti e dalle mode teologiche, che deturpano e oscurano la Verità" (Discorso ai seminaristi, 15-X-1991, n. 4). Un'analisi sociologica non può mai essere l'istanza suprema nell'elaborazione del discorso teologico. Se stabilisce un'elaborazione obiettiva di dati e di fatti, nelle loro connessioni e nella loro casualità, essa potrà essere un utile strumento per conoscere meglio la realtà umana, ma è la Rivelazione in sé, e solo essa, che può offrire al teologo la luce necessaria per comprendere sempre più profondamente la verità sull'uomo, che si trova intimamente vincolata alla verità di Dio e su Dio. Solo così si potranno evitare i rischi di una strumentalizzazione ideologica della teologia.

Per questo la Chiesa desidera - come è stato opportunamente dichiarato - che i professori dei Centri di formazione ecclesiastica, "ai quali è affidata la formazione del clero, siano scelti tra i migliori e possiedano una solida dottrina e una conveniente esperienza pastorale, unite a una buona formazione spirituale e pedagogica"; allo stesso tempo "è necessario promuovere una stretta collaborazione con i professori di morale, dogmatica e di pastorale per garantire la coerenza, l'unità e la solidità dell'insegnamento" (Orientamenti per lo Studio e l'Insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa nella Formazione Sacerdotale, Roma, 1988, n. 67).

A voi, cari Fratelli nell'Episcopato, è stato affidatato il compito di vegliare sulla trasmissione dell'insegnamento teologico e di ricorrere alle misure opportune perché i fedeli possano essere preservati da qualsiasi dottrina o teoria ad esso contrarie. In questo compito i Vescovi sono aiutati dai teologi, ma le opinioni teologiche non costituiscono la regola né la norma del loro insegnamento; vige qui il principio secondo il quale l'insegnamento del Magistero - grazie all'assistenza divina - vale più di un'argomentazione meramente umana. Inoltre il pluralismo teologico, invocato a volte senza criterio, "non è leggittimo se non nella misura in cui è salvaguardata l'unità della fede nel suo significato obiettivo" (Donum vitae, n. 34).

1784
6. Di fronte a una società che sempre più sembra vivere indipendentemente dai valori morali, assumendo atteggiamenti non solo contrari ma anche indifferenti a tali valori, giungendo così a quella che comunemente viene chiamata "civiltà della morte", la Chiesa non si stanca di difendere con fermezza quelle norme morali che, essendo universali e immutabili, in quanto originarie della legge della propria natura, costituiscono la condizione necessaria all'esistenza della libertà. Alla cultura della morte la Chiesa contrappone la cultura dell'amore. Solo nell'osservanza di tali norme, che proibiscono tutto il male intrinseco e regolano la giusta e pacifica convivenza umana, diventano possibili il buono sviluppo della struttura sociale, il bene pubblico come tale e l'armonia personale dell'essere umano.

E' proprio per questo che le parole dell'Apostolo Paolo risultano così attuali nel nostro tempo: "Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna... Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina" (
2Tm 4,2-3). La missione della Chiesa dovrà dunque essere sempre quella d'interpretare la norma morale, proponendola a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà, senza nascondere le sue esigenze e i suoi impegni... Anche quando la vera dottrina è impopolare, non ci sarà concesso di ricercare una facile popolarità! E' evidente che, nella sua costante sollecitudine verso i fedeli, la Chiesa, Madre e Maestra, ha sempre in mente le situazioni conflittuali ed estremamente complesse della vita dell'uomo e della società contemporanea, il cui cammino morale diventa spesso faticoso per le difficoltà, per le debolezze e per le situazioni dolorose (cfr. VS 95). Tuttavia, nella sua sollecitudine pastorale, la Chiesa non può dimenticare che la genuina compassione e la vera comprensione comportano l'amore per la persona umana, per il Bene Supremo e per l'autentica libertà che non si può separare da un'opzione fondamentale per il Sommo Bene. Non sarà indebolendo la verità morale e trascurando i veri valori che la Chiesa compierà la sua missione a favore dell'uomo.

La Chiesa, obbediente al Signore, che è venuto non per giudicare ma per salvare, deve manifestare la misericordia verso le persone senza tuttavia rinunciare al principio della verità e della coerenza secondo il quale non si può chiamare bene il male e male il bene. Non sminuire in nulla la dottrina redentrice di Cristo costituisce un'eminente forma di carità verso le anime. Non possiamo non tenere presente che, in tutti i secoli, la forza della Chiesa è stata ed è nella testimonianza dei Santi, ossia di coloro che fecero propria la verità di Cristo.

Alla domanda "che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?" (Mt 19,16), la Chiesa risponde come Maria: "Fate quello che vi dirà" (Jn 2,5).

Certamente a tutti noi, specialmente a voi Vescovi di Santa Catarina, tornano in mente quei giorni di Beatificazione di Madre Paulina che la Provvidenza mi ha concesso la grazia di celebrare. Vi ho detto in quella

"(la Chiesa) ha bisogno, oggi più che mai, di santi!" (Omelia 18-X-1991, n. 5). E' proprio per questo che la società moderna ha un estremo bisogno di Verità, poiché solo sul fondamento della Verità si può costruire, in modo sicuro, l'edificio della vita morale e ascetica. Solo dalla verità nasce la moralità autentica, obiettiva e universale.

1785
7. Cari Fratelli nell'Episcopato, nel concludere questo incontro, vorrei confermarvi nel vostro servizio personale alla Chiesa, questa Madre nel cui grembo dobbiamo "imparare tutto" e che prefigura la Gerusalemme celeste già presente in mezzo a noi. Fra tutti i Santi, Maria Santissima condivide con noi la condizione umana in una totale trasparenza alla grazia di Dio. Comprende l'uomo peccatore e lo ama con amore di Madre. Proprio per questo sta dalla parte della verità e condivide il fardello della Chiesa nel ricordare a tutti e sempre le esigenze della Fede. Con speranza, chiedo alla Vergine Maria, a cui date il bel nome di Nossa Senhora da Conceiçao Aparecida, d'intercedere tutti i giorni per voi insieme a suo Figlio, affinché la vostra missione vi dia molta gioia. Di tutto cuore concedo la mia Benedizione Apostolica a voi, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e ai fedeli a voi affidati, così come al vostro Paese affinché possa essere esempio e testimonianza di Nuova Evangelizzazione in un'America Latina rinnovata in Cristo.

Data: 1995-10-18 Data estesa: Mercoledi 18 Ottobre 1995


GPII 1995 Insegnamenti 1769