GPII 1995 Insegnamenti 1847

Udienza: il discortso del Papa agli oltre diecimila fedeli dell'Arcidiocesi di Bologna - Aula Paolo VI, Città del Vaticano

Titolo: "Tutta la Comunità diocesana trovi la via di un'autentica rinascita della vita cristiana e della fede nel territorio emiliano"

Signor Cardinale, Venerati Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, Autorità civili, Religiosi e Religiose, Carissimi fedeli dell'Arcidiocesi di Bologna!

1848
1. Questo vostro pellegrinaggio a Roma suscita in me speciali motivi di gioia per la memoria che conservo particolarmente della prima visita compiuta, la domenica 18 aprile 1982, alla vostra Città ed all'intera Comunità cattolica bolognese, sempre così spiritualmente vicina alla Sede di Pietro.

Rivolgo il mio cordiale saluto al vostro caro Arcivescovo, il Cardinale Giacomo Biffi, al Vescovo Ausiliare Mons. Claudio Stagni, ai sacerdoti e ai diaconi, alle persone consacrate nella vita religiosa, ai collaboratori laici delle Associazioni e dei Movimenti d'impegno apostolico, a tutti voi, cari fedeli della Chiesa che vive in Bologna e nel suo territorio diocesano.

Siete venuti da Pietro perché riconoscete che l'eterno Pastore, Gesù Cristo, ha stabilito in lui "il principio e il fondamento visibile dell'unità della fede e della comunione" (
LG 18).

La santa Messa, che nel pomeriggio il vostro Arcivescovo concelebrerà all'altare della Confessione, esprimerà anche visibilmente la bimillenaria, perdurante e irrevocata unità della fede della Chiesa di Bologna con la fede di Pietro nel suo Signore: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).

1849
2. Siete venuti per concludere un lungo itinerario spirituale, il "biennio della fede". E' questo un "tempo favorevole", che ha visto fiorire nella vostra Arcidiocesi numerose e provvidenziali iniziative per riportare alla considerazione di molti il valore della Liturgia come "fonte" e "culmine" della vita cristiana e di ogni opera ecclesiale (cfr.
SC 10). Avete meditato sul significato della Domenica, giorno del Signore; delle Feste, memoriali dei misteri della fede sempre attuali nel tempo; nonché sull'efficacia salvifica dei Sacramenti.

Questo itinerario ha, inoltre, sollecitato in voi il desiderio di proclamare il carattere sempre sacro di ogni vita umana e vi ha spinto a riaffermare senza incertezze il ruolo naturalmente primario della famiglia nella società e la sua importante funzione ecclesiale. Durante il "biennio della fede" vi siete impegnati a rispondere con rinnovato slancio di carità alle invocazioni di poveri e di sofferenti, rianimando in voi lo spirito missionario, tanto necessario pure nella vostra terra. Ben ricordo come vi esortai, poco prima della recita del "Regina Caeli", nella splendida Piazza Maggiore, ad essere araldi del Vangelo, annunciatori di Dio, missionari della fede.

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3. Le motivazioni che stanno alla base del "biennio della fede" si fondano nella storia e nelle origini della vostra Comunità diocesana: la parola di Cristo, l'insegnamento della Chiesa e lo spirito di preghiera sono infatti fortemente radicati nelle tradizioni della Chiesa bolognese.

Il "biennio della fede" muove dalla memoria di Vitale e Agricola, martiri di Cristo nella vostra regione. La fede dei martiri è modello per noi, poiché è fede provata come l'oro del crogiolo (cfr.
1P 1,7), certificata e sigillata dall'atto definitivo e irrevocabile dell'effusione del sangue. Invero, non vi è propriamente fede se non in relazione al martirio, poiché il nostro Salvatore è "venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità" (Jn 18,37).

Per la verità Egli ha consegnato la propria vita ai persecutori.

Vi è così una inseparabile connessione tra martirio e verità: la misura della nostra adesione alla fede dei martiri si compie nell'accoglienza della verità, tutta intera, senza mutilazioni e senza pentimenti.

"La Chiesa del primo millennio nacque dal sangue dei martiri" (TMA 37). Lo sa bene la Chiesa di Bologna, che oggi si è fatta pellegrina a Roma per visitare la Chiesa segnata dal sangue degli Apostoli Pietro e Paolo.

1851
4. La fede di Pietro, la fede dei martiri indica "Gesù Cristo unico Salvatore del mondo: ieri, oggi e sempre". Questo è il tema opportunamente scelto per la celebrazione del Congresso Eucaristico Nazionale, in programma a Bologna nel 1997.

Desidero incoraggiarvi cordialmente a ben preparare questo evento, che porrà la vostra Comunità al centro dell'attenzione dell'intera Chiesa italiana e potrà contribuire ad una riscoperta adeguata delle radici cristiane dell'Italia.

Cristo Gesù è il Salvatore dei cuori, che riscatta dalla condizione di disperazione e di abbandono, offrendo una prospettiva senza eguali. "A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome" (
Jn 1,12); Egli è il "Salvatore del mondo" (Jn 4,42) e lo libera dai gioghi pesanti delle "strutture di peccato" (cfr. SRS 36).

E' così potente la forza della Grazia, che niente di ciò che è umano nel lavoro, nell'attività culturale, nella vita privata e pubblica, nell'impegno politico, nella ricerca scientifica e nella scuola può essere legittimamente sottratto alla forza rinnovatrice del Vangelo.

1852
5. Il 25 novembre prossimo, vigilia della solennità di Cristo Re dell'universo, voi inizierete la preparazione diocesana al Congresso. Vi accompagno anch'io con la preghiera e vi invito a fare in modo che in questo tempo rifulga la verità di "Gesù Cristo, unico Salvatore". Specialmente ai "lontani" essa appaia come l'unica valida risposta ai gravi interrogativi posti dalle tante incognite incombenti sul nostro tempo. Voi saprete spiegare ai vostri fratelli che Cristo è il Figlio del Dio vivente, colui che ha parole di vita eterna. Nella confessione di Pietro, "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente", troviamo il cuore e la somma del messaggio cristiano.

1853
6. Siamo ormai alle porte del terzo Millennio dell'era cristiana e questo suscita in noi nuove prospettive e speranze. Il tempo presente segna come una speciale scansione, che ci fa riflettere sul fatto che tutto il tempo è permeato dalla presenza di Dio e dalla sua azione salvifica. perciò ho indetto per l'anno 2000 un Grande Giubileo, che "vuol essere una grande preghiera di lode e di ringraziamento, soprattutto per il dono dell'Incarnazione del Figlio di Dio e della Redenzione da Lui operata" (
TMA 32).

L'odierno vostro pellegrinaggio si colloca nel contesto della preparazione a tale Giubileo, e ad esso è orientato.

Chiediamo a Dio che il Giubileo costituisca per l'intero popolo di Dio una "nuova primavera di vita cristiana" (TMA 18).

Come ebbi a dirvi, cari fedeli dell'Arcidiocesi di Bologna, nel corso della Visita del 7 giugno 1988, siete chiamati a realizzare una nuova evangelizzazione, per la quale occorre una nuova cultura, una nuova inculturazione della fede (cfr. Discorso conclusivo della visita di Giovanni Paolo II a Bologna, 7 giugno 1988).

Vi illumini, vi sorregga ed interceda per voi in questo compito la Vergine di San Luca, da tutti i Bolognesi venerata ed amata. Vi guidino i santi martiri e pastori dell'Arcidiocesi. I venerati Arcivescovi che l'hanno servita in questo secolo, così carico di problemi, di scontri e violenze, di guerre e rivoluzioni sociali, intercedano dal cielo, affinché tutta la Comunità diocesana trovi la via di un'autentica rinascita della vita cristiana e della fede nel territorio emiliano.

"Combatti la buona battaglia della fede - ci esorta l'apostolo Paolo - cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni" (1Tm 6,12).

Con tali sentimenti invoco il conforto della protezione divina anzitutto per Lei, Signor Cardinale Arcivescovo; per il Vescovo Ausiliare e l'intero Presbiterio; per i Religiosi ed i Laici impegnati nella diffusione del Vangelo; per i malati e sofferenti, specialmente per quelli che non hanno potuto intervenire a questo incontro; per i giovani e per le loro famiglie; per tutti coloro che con animo sincero cercano di conoscere il messaggio della fede che voi vi impegnate a testimoniare, mentre a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica.

Data: 1995-10-28 Data estesa: Sabato 28 Ottobre 1995

Visita "ad limina": il discorso di Giovanni Paolo II a Presuli della Conferenza Episcopale del Brasile della Regione Nord - Città del Vaticano

Titolo: Il legittimo adattamento alle situazioni locali non può prescindere dall'unità e dall'universalità della Chiesa, di cui Roma è garanzia

Carissimi Fratelli nell'Episcopato,

1854
1. Con grande gioia vi ricevo oggi, Vescovi della Regione Nord-2 del Brasile, in questo incontro collegiale con il quale terminano, per quest'anno, le Visite "ad limina Apostolorum" dell'Episcopato brasiliano. Desidero porgere il mio ringraziamento all'Arcivescovo Vicente Joaquim Zico per il saluto che mi ha appena rivolto a nome degli altri Fratelli Vescovi della Regione, facendosi portavoce di tutti voi e dei fedeli delle vostre diocesi.

Voi guidate le Chiese presenti negli Stati del Para e dell'Amapa che hanno in comune una fisionomia economico-sociale e una realtà pastorale sottoposte a costanti sfide, viste le distanze tra una comunità e l'altra e gli innumerevoli problemi che dovete affrontare: un annuncio della Parola di Dio che implichi una realtà sacramentale viva e operante, l'organizzazione della vita diocesana nei suoi molteplici aspetti strutturali e assistenziali, il far germinare "i semi del Verbo" nelle diverse culture di questo popolo assetato di Dio - inclusi gli indigeni - che anela a nuovi orizzonti di pace, di giustizia e di benessere. Il mio pensiero si volge ora a queste Chiese, ai vostri sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli laici. E' per loro che il Signore vi ha costituito "veri e autentici maestri della fede" (
CD 2).

In questo momento di intensa comunione spirituale vorrei esprimervi la mia gratitudine per l'instancabile lavoro pastorale che svolgete nelle vostre Chiese e allo stesso tempo a favore della Chiesa universale. Il Successore dell'Apostolo Pietro in questa occasione privilegiata delle visita "ad limina" desidera confortarvi nella fatica che comporta il ministero episcopale, compiendo così il mandato del Sommo Pastore.

1855
2. Il Concilio Vaticano II, riprendendo tutta una luminosa tradizione, decise "di professare e di dichiarare pubblicamente la dottrina sui Vescovi, successori degli Apostoli, i quali col successore di Pietro, Vicario di Cristo e Capo visibile di tutta la Chiesa, reggono la casa del Dio vivente" (
LG 18).

La natura dei Vescovi è di essere "successori degli Apostoli" (Ibidem, LG 20), partecipi della "pienezza del Sacramento dell'Ordine" (Ibidem, LG 21) e membri del "corpo episcopale in virtù della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col capo del collegio e con i membri" (Ibidem, LG 22).

La figura del Vescovo è definita dalla triplice funzione che svolge all'interno della sua comunità, ossia quella d'insegnare, di santificare e di governare (cfr. Ibidem, LG 25-27). Questra trilogia dà forma alla sua missione per far si che egli garantisca di fatto l'attuazione piena nella sua comunità della persona di Cristo. Questo enorme compito si realizza per mezzo dell'azione magisteriale e profetica nell'annuncio del Vangelo, dell'azione sacerdotale nella celebrazione dei sacramenti e dell'azione pastorale, mettendo la propria vita al servizio degli uomini.

Ciò che Cristo è stato per tutti gli uomini è il Vescovo per il Popolo della sua diocesi, includendo fedeli e non fedeli. Per mezzo dello Spirito, i Vescovi sono la presenza viva e attuale di Gesù, "Pastore e guardiano delle vostre anime" (1P 2,25). Sono Vicari della persona di Cristo (cfr. LG 27) e non solo della sua parola.

Essi costituiscono il fenomeno visibile che il Signore utilizza per poter continuare nel tempo. I primi Dodici che egli chiamo a sé andando lungo il mare della Galilea e che poi invio a predicare il Regno istituendoli come collegio stabile, erano il volto umano del Signore che s'irradiava nelle città e nei villaggi della Palestina e che, dopo la Pentecoste, inizio a diffondersi nel mondo intero "affinché, partecipi della sua podestà, rendessero tutti i popoli suoi discepoli" (Ibidem, LG 19).

L'autorità dei Vescovi, vissuta "cum Petro e sub Petro" (AGD 38), ha il fine di dare continuità nel tempo al volto del Signore, che è costituito da tutta la Chiesa, vegliando in particolare affinché non vengano alterati i suoi tratti essenziali e le sue fattezze specifiche che lo rendono unico tra tutti i volti della terra.

Carissimi Fratelli, che grande compito ci è stato affidato! Tuttavia sappiamo bene che il Signore ci invia lo Spirito Consolatore, assicurandoci della sua costante protezione (cfr. Mt 28,20) per poter essere suoi testimoni fino ai confini della terra e aiutandovi a discernere il volto di Cristo nella delicata e difficile situazione nella quale si trovano in particolare le diocesi di cui siete Pastori. In questo lavoro di discernimento sono di grande aiuto le Conclusioni della IV Conferenza dell'Episcopato Latinoamericano di Santo Domingo che riprendono quelle delle precedenti Conferenze di Rio de Janeiro, di Medellin e di Puebla.

Conoscendo bene la dedizione e lo zelo apostolico che avete dimostrato nell'esercizio del ministero pastorale, in modo particolare nelle avverse condizioni delle immense regioni di cui dovete abitualmente occuparvi, la vostra autorità si configura come un autentico servizio che risponde al mandato di Cristo di governare la sua famiglia. Questo compito pastorale, realizzato in nome di Cristo "è proprio, ordinario e immediato, quantunque il suo esercizio sia in definitiva regolato dalla suprema autorità" (LG 27). Il Vescovo è il principio e il fondamento visibile dell'unità nella Chiesa particolare affidata al suo ministero pastorale (cfr. LG 23), tuttavia, perché ogni Chiesa particolare sia pienamente Chiesa, deve essere presente in essa, come elemento proprio, la suprema autorità della Chiesa: il Collegio episcopale "insieme con il Romano Pontefice, successore di Pietro, quale suo Capo" (LG 22) (cfr. Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come Comunione, 28-V-1992, n. 13).

Corollario di questa verità fondamentale è la piena e totale autorità del Pastore in ogni diocesi, che non può essere confusa con l'influenza del gregge nella direzione della vita ecclesiale. Non si possono ammettere concezioni unilaterali che, sotto influssi teologici diversi, difenderebbero la tesi secondo la quale un'assemblea, che riunita in nome di Cristo diventa comunità, "porterebbe in sé i poteri della Chiesa, anche quello relativo all'Eucaristia; la Chiesa, come alcuni dicono, nascerebbe "dal basso"" (Ibidem, n. 11).

Come comprenderete, non mi riferisco al già riconosciuto e opportuno contributo delle Comunità Ecclesiali alla vita di ogni diocesi o parrocchia; il loro dinamismo sta di fatto acquisendo sempre più il valore di un'autentica comunione ecclesiale per risvegliare l'impulso missionario (cfr. CL 27) ad gentes. Si tratta di ripetere nuovamente che "l'unicità e l'indivisibilità del Corpo eucaristico del Signore implica l'unicità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa una e indivisibile" (Lettera cit. 28-V-1992, n. 11).

Nella persona del Vescovo, assistito dai presbiteri, è presente in mezzo ai fedeli, mediante una speciale effusione dello Spirito Santo, Gesù Cristo; solo ai Vescovi, attraverso la consacrazione episcopale, sono stati conferiti i poteri di santificare, d'insegnare e di governare, purché vengano esercitati in comunione gerarchica con il Sommo Pontefice e con i membri del Collegio Episcopale (cfr. LG 21).

Riempitevi di santo orgoglio, cari Fratelli nell'Episcopato, perché, per svolgere funzioni tanto elevate, siete stati investiti dall'Alto e rappresentate in modo eminente e cospicuo Cristo stesso, Maestro, Pastore e Pontefice. Svolgete questa funzione con umiltà e mansuetudine, ma non esitate ad affermare coraggiosamente la vostra autorità per esortare i fedeli sia al lavoro apostolico e missionario sia all'osservanza del Magistero della Chiesa divinamente rivelato.

1856
3. "Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (
Mt 18,20).

Un incontro tra Pastori, in particolare un incontro preparato con attenzione e con pieno e totale interesse per la Chiesa, non deve smettere di essere questa presenza quasi palpabile del Maestro tra di noi. Non posso non dire quanto mi rallegra e mi conforta vedere e conoscere lo sforzo che compite per raggiungere l'unità e la comunione in seno a tutta la Chiesa, in particolare nell'ampia Conferenza Episcopale della quale siete membri, con l'unico obiettivo di possedere gli stessi sentimenti presenti in Gesù Cristo (cfr. Ph 2,5). Come faccio sempre, desidero ora rivolgermi a tutti per rafforzare, alla luce del Signore, questi vincoli di unità e di carità che regnano tra i membri della CNBB.

Tutti conosciamo l'importanza fondamentale della testimonianza che i Vescovi devono dare di reciproca unione e di collaborazione, di amore fraterno e di effettiva solidarietà. Questa testimonianza è parimenti imprescindibile per l'efficacia del loro lavoro pastorale.

Alla comunione dei sentimenti e degli affetti deve corrispondere una comunione effettiva che affronti coraggiosamente i problemi che possono sorgere nella vita ecclesiale, le tentazioni ed eventualmente le deviazioni per conseguire quella unità di direttive e di orientamenti che porta le Chiese particolari a vivere sempre più la loro fedeltà all'insegnamento di Cristo, in comunione piena con tutta la Chiesa universale.

L'ordine episcopale è, per sua natura, di indole collegiale; pertanto, sebbene abbia piena giurisdizione solo nella sua diocesi, ogni Vescovo nutre una viva sollecitudine per la Chiesa universale. Questa dimensione di collegialità si manifesta in vari modi, uno dei quali è costituito dalla Conferenza dei Vescovi.

Questa è un'espressione istituzionalizzata non della collegialità in senso stretto ma dell'affectus collegialis (LG 23), ossia del sentimento di unione con il Romano Pontefice e tra di loro che i Vescovi diocesani devono nutrire nello svolgimento del proprio compito.

Pertanto, come afferma il Concilio Vaticano II, la Conferenza dei Vescovi ha il fine d'incrementare il "bene, che la Chiesa offre agli uomini, specialmente per mezzo di quelle forme e quei metodi di apostolato, che sono appropriati alle circostanze dei nostri giorni" (CD 38).

L'affetto collegiale si traduce in un'azione pastorale d'insieme, soprattutto di fronte alle sfide comuni che devono affrontare le varie diocesi dei territori dove vivete. Si tratta di un rapporto fraterno che, in qualche modo, si sostituisce o invade la giurisdizione propria di ogni Vescovo, ma che favorisce la sintonia nella sollecitudine pastorale del Popolo di Dio.

Ciò si manifesta chiaramente quando sia il Vescovo sia la Conferenza Episcopale seguono nelle loro decisioni un'autorità superiore, ossia l'autorità del Romano Pontefice e della Santa Sede. Ogni situazione ha delle caratteristiche proprie che ciascun Vescovo e ciascuna Conferenza devono affrontare con lo stile e la sensibilità che gli sono propri; tuttavia il criterio ultimo, soprattutto di fronte a nuovi problemi come, ad esempio, l'inculturazione, sono sempre "la sintonia con le esigenze obiettive della fede e l'apertura alla comunione con la Chiesa universale". Per questo vi dissi al termine del Congresso Eucaristico a Natal: "Alla luce di questa verità, è evidente che l'unità nelle cose necessarie è il presupposto indispensabile perché sia legittima la libertà, ed è anche condizione per cui l'unione tra i membri della Conferenza Episcopale costituisce espressione della carità" (Discorso, 13-X-1991, n. 7).

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4. Questi criteri aiutano anche a risolvere il problema proprio di ogni Chiesa particolare e della Chiesa universale: quello della centralizzazione e della decentralizzazione. Esiste un patrimonio obiettivo che la Chiesa riceve dal Signore per mezzo della Rivelazione, del quale non è proprietaria ma al quale obbedisce. Questo patrimonio caratterizza la "Catholica", l'unica Chiesa presente in tutto il mondo; questo centro non è di tipo sociologico, politico o amministrativo, ma dogmatico e corrisponde quindi al contenuto della fede. Questo contenuto e questo centro vivono nel mondo intero, coesistendo nelle varie situazioni e affrontando in modo originale le varie sfide che le circostanze storiche pongono. Non avrebbe senso pertanto parlare di "vaticanizzazione", o di "romanizzazione" della Chiesa diffusa in tutto il mondo; romanizzarsi non significa "vaticanizzarsi", ma promuovere da Roma l'autentico carattere universale della Chiesa. In questo senso è pienamente legittimo l'adattamento dell'unica e identica esperienza alle diverse circostanze locali, assumendo il volto dei popoli dove la Chiesa vive e, allo stesso tempo, cercando di trasfigurare questo volto alla luce dell'annuncio di Cristo, ma senza mai perdere di vista l'universalità della Chiesa della quale Roma è garante.

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5. Sulla scia di queste osservazioni, vi è un'ulteriore considerazione che vorrei fare in questo nostro incontro fraterno: si tratta del recupero del valore della legge canonica nella vita pastorale della Diocesi.

In realtà la legge canonica è un atto della "potestas legislativa" della Chiesa che ha come sua legge suprema la "salus animarum" (
CIC 1752). L'obiettivo della "magna disciplina" della Chiesa è il bene delle persone e della comunità ecclesiale. Tutti i canoni e le leggi della Chiesa hanno sempre una funzione pastorale per la diffusione del Regno di Dio e per l'edificazione del Corpo di Cristo. Lungi dal voler sostituire il primato della grazia, dell'amore e dei carismi nella vita dei fedeli, la legge canonica tende a creare nella società ecclesiastica quell'ordine che rende possibile un maggiore sviluppo sia delle persone sia della comunità nel suo insieme. Pertanto la disciplina ecclesiastica, che nasce dall'attuale Codice di Diritto Canonico, che ebbi la gioia di promulgare nel 1983, è la traduzione, in un linguaggio canonico, della dottrina del Concilio Vaticano II.

Per questo i Pastori devono vegliare affinché i presbiteri e il Popolo di Dio non trascurino le leggi ecclesiastiche considerandole inutili, estrinseche alla vita della fede o semplicemente repressive. Su tale punto, anche nella vita della Chiesa si paga il prezzo della mentalità attuale che tende a considerare contrario alla libertà e all'autonomia umana qualsiasi tipo di norma. "Non si tratta evidentemente - come ho già avuto occasione di dire - di adattare la norma divina o addirittura di piegarla al capriccio dell'uomo, poiché ciò significherebbe la negazione stessa di quella e la degradazione di questo: si tratta piuttosto di comprendere l'uomo di oggi, di metterlo a giusto confronto con le inderogabili esigenze della legge divina" (Discorso, Apertura dell'Anno Giudiziario, 23-I-1992, n. 3). In realtà già nel Nuovo Testamento e anche negli scritti paolini si sottolinea l'importanza della disciplina per la pratica del messaggio evangelico. L'unica legge dell'"uomo nuovo" (Ep 4,24), che è la carità, ha come caratteristica la sequela del mandato di Cristo e della Chiesa in tutti i suoi aspetti.

D'altro canto, in questo impegnativo sforzo di confronto, mediante il quale l'ordinamento canonico cerca di esprimere in modo visibile l'anima interiore della società, allo stesso tempo esteriore ma sempre misticamente soprannaturale che è la Chiesa, "tale testo... cesserebbe di essere lo strumento che deve essere nel compito salvifico della Chiesa, se coloro a cui spetta non ne curassero con diligenza l'applicazione" (Discorso, 23-I-1992, n. 3). Tale applicazione esigerà sempre sia la corretta interpretazione del testo promulgato sia il bene spirituale delle anime. Le materie relazionate, ad esempio, con l'ammissione di candidati al sacerdozio, la considerazione degli errori, previsti dalla legislazione canonica, che possono invalidare il consenso matrimoniale, la corretta applicazione delle norme liturgiche in conformità al Rito Romano - o Orientale, a seconda del caso -, la facoltà di amministrare collettivamente il Sacramento della Penitenza in determinate e ben precise circostanze, per non citarne altre, richiedono una riflessione da parte vostra "graviter et onerata conscientia", in quanto esprimono ragioni di giustizia e di carità verso il Popolo fedele. Per questo, cari Fratelli nell'Episcopato, confermate i sacerdoti e tutto il Popolo di Dio in questo cammino di sequela, libero e pieno di gioia, della legge del Signore, affinché Cristo sia amato in ogni cosa e al di sopra di ogni cosa.

Richiamo la vostra attenzione anche sulla questione della preparazione canonica dei futuri sacerdoti. Per un lungo periodo l'antico testo legislativo, il Codice pio-benedettino, ha subito continue trasformazioni, a causa dell'applicazione delle direttive conciliari. Questo fatto può aver ostacolato lo studio del Diritto Canonico. Con la promulgazione dell'attuale Codice, l'iter seminaristico deve introdurre, nel suo curriculum, uno spazio sufficiente per far si che il candidato al Sacerdozio familiarizzi con lo spirito dell'attuale normativa, ma anche con la sua conoscenza concreta e con la sua applicazione pratica. E' necessario preoccuparsi della preparazione di buoni professori, in sintonia con la mente pastorale, e allo stesso tempo giuridica, del nostro Codice.

E' necessario rivedere i contenuti e i tempi dedicati al Diritto Canonico nel curriculum scolastico.

Vorrei dire ancora una parola sui Tribunali Ecclesiastici che nel vostro Paese hanno assunto una dimensione regionale. Essi sono il valido strumento dell'attività giudiziaria propria del Vescovo che li presiede per mezzo del suo Vicario Giudiziale. Come non vedere nella sua attività un'importante dimensione pastorale? Senza nulla perdere del rigore scientifico e dell'applicazione fedele della norma e dei procedimenti giudiziari, i Tribunali sono chiamati a dedicarsi a vari campi della Chiesa, dalle questioni matrimoniali ai gravi problemi penali o disciplinari, come espressione della Giustizia, in difesa dei reali diritti dei cristiani o della stessa istituzione ecclesiale. E' importante e necessario che i Vescovi seguano con attenzione e interesse quelli che, a nome loro e per loro autorità, esercitano il servizio della Giustizia, dando loro la possibilità di ricevere una formazione adeguata, vegliando sulla corretta esecuzione del loro compito, e fornendo i mezzi opportuni perché possano agire con la dovuta rapidità.

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6. Di fronte all'immensità della missione che vi è stata affidata, non vi lasciate mai vincere dalla stanchezza o dallo scoraggiamento. Il Risorto cammina con voi e rende fecondi tutti i vostri sforzi. Si tratta di proseguire un'opera già iniziata, il cui artefice principale è il Signore; si tratta di offrire, con umiltà e disponibilità totale, il proprio contributo quotidiano, affinché "venga il Regno" di Dio e "sia fatta" la sua volontà. In questo momento il mio pensiero si volge a tutti i brasiliani e in modo particolare ai vostri sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai membri delle istituzioni e dei movimenti laici e a tutti i fedeli. A tutti dico con le parole dell'Apostolo Paolo: "attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza" (
Ep 6,10). Non scoraggiatevi; al contrario, nel vostro lavoro e nella vostra testimonianza, con piena fiducia nella grazia di Dio, rendete Cristo presente in tutte le circostanze della vostra vita.

E' questo il mio desiderio: "E lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene" (2Th 2,16-17).

Amatissimi Fratelli, nel fare ritorno alle vostre Diocesi, sappiate che vi accompagna la mia più viva riconoscenza per il vostro compito, il mio affetto, la mia preghiera costante e la Benedizione Apostolica che vi imparto di cuore. A Maria, Madre del Redentore, che con il nome di Aparecida invocate come Patrona dei brasiliani, affido con fervore le vostre persone, le vostre Chiese particolari e tutta la vostra Nazione.

Data: 1995-10-28 Data estesa: Sabato 28 Ottobre 1995

Ai membri dell'Associazione "Pro Petri Sede" - Città del Vaticano

Titolo: Grazie per il vostro operato

(In olandese:] Signor Elemosiniere Generale, Signore e Signori, In occasione del vostro pellegrinaggio a Roma vi ricevo qui, nella casa dei discepoli di Pietro, con una immensa felicità. Questo pellegrinaggio molto significativo, dà atto del vostro desiderio d'appartenere alla Chiesa universale.

Dalle lettere del vostro giornale traspare molto chiaramente la vostra viva attenzione verso le attività e le necessità della nostra Chiesa, poichè vi sta molto a cuore la sua crescita. In questo siete seguaci del Signore. E come disse il Concilio Vaticano II: "lo spirito d'amore è infatti la gloria e il segno della Chiesa di Cristo" (GS 88). Possiate, durante questa permanenza, essere rinnovati nel vostro credo e nelle vostre preghiere, con le preghiere degli Apostoli e dei Martiri. Altrettanto si rinnovi la vostra testimonianza incontrando intensamente il Signore e prendendo l'esempio da coloro che diedero la loro vita per Cristo. Sarete così sempre più in grado di portare la vostra testimonianza ai vostri connazionali in Belgio, in Lussemburgo ed in Olanda. In questo modo risponderete alla vocazione del vostro battesimo ed al vostro peculiare servizio alla comunità della Chiesa ed alla società.

(In francese:] La vostra presenza, qui, di delegati dell'associazione Pro Petri Sede, associazione nata dalla fedeltà dei vostri predecessori alla Sede apostolica, mi offre la possibilità di esprimere i miei ringraziamenti per il vostro operato in seno alla Chiesa. Desidero in particolar modo manifestare la mia gratitudine per il vostro generoso contributo in occasione della mia visita in Belgio per la beatificazione di Padre Damiano de Veuster, suprema dimostrazione di come l'amore per Cristo porti ad amare i propri fratelli fino all'estremo delle proprie forze.

Mi preme inoltre rinnovarvi i sensi del mio sostegno e della fiducia in voi riposta. La Chiesa fa affidamento sui suoi figli e sulle sue figlie per poter crescere e far scoprire agli uomini del nostro tempo il mistero cristiano, il quale conferisce un senso a tutta la vita umana. Ognuno di noi deve, secondo le proprie capacità, rispondere all'appello di Cristo: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19). In questa prospettiva è da lodare l'impegno della vostra rivista Témoignage a presentare gli aspetti fondamentali della fede e della storia della Chiesa, tesori della nostra comunità di cristiani.

Al termine di questo incontro desidero affidare agli apostoli Pietro e Paolo voi e i membri delle vostre famiglie e della vostra associazione. ai quali vi prego di voler trasmettere i miei cordiali saluti, e di tutto cuore vi accordo la mia Benedizione Apostolica.

Data: 1995-10-28 Data estesa: Sabato 28 Ottobre 1995

Angelus: il Santo Padre guida la rilettura del Concilio a trent'anni dalla conclusione - Città del Vaticano

Titolo: La profetica attualità della "Gaudium et spes"

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1860
1. Il 10 settembre scorso, durante l'indimenticabile raduno dei Giovani d'Europa a Loreto, ho voluto simbolicamente riconsegnare loro, quale orientamento di vita, il documento del Concilio Vaticano II Gaudium et spes, che delinea la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Riascoltiamone lo splendido esordio: "Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore" (
GS 1). Come non essere conquistati ancor oggi dall'afflato di tali parole? Si, la Chiesa le ribadisce con pari convinzione, intensità e speranza.

A distanza di trent'anni, la Gaudium et spes non ha perso nulla della sua freschezza. Con singolare efficacia, anzi, essa testimonia l'atteggiamento di dialogo e di solidarietà con cui la Chiesa del Concilio si è posta di fronte all'umanità del nostro tempo; un'attitudine pervasa dalla speranza cristiana, che sa guardare al mondo con stima e simpatia, ma anche con realismo e discernimento, distinguendo luci ed ombre e scrutando i "segni dei tempi".

1861
2. Al centro della sua riflessione, la Gaudium et spes pone il mistero dell'uomo (cfr.
GS 10): l'uomo visto nella sua concretezza storica, ma anche colto nelle istanze immutabili della sua natura; l'uomo segnato dalla fragilità e, tuttavia, dotato di incomparabile dignità, essendo creato "ad immagine di Dio", unica creatura in terra "che Dio abbia voluto per se stessa" (GS 24); l'uomo chiamato a costruire la storia, eppure fatto per l'eternità. Di quest'uomo la Costituzione conciliare ci addita l'immagine piena in Cristo, rivelatore di Dio all'uomo e dell'uomo a se stesso: "In realtà - dice il Concilio - solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo" (GS 22).

E' questa antropologia integrale ad ispirare la Gaudium et spes quando, nella seconda parte, affronta alcuni dei problemi più urgenti dell'epoca contemporanea: il matrimonio e la famiglia, la cultura, la realtà economico-sociale, la politica, la promozione della pace e la solidarietà fra i popoli. Sono pagine concrete, dense, impegnative. A rileggerle oggi, dopo il compiersi di numerosi eventi nel mondo ed alla vigilia ormai del terzo Millennio, è difficile non avvertirne tutta la profetica attualità.

1862
3. Carissimi Fratelli e Sorelle! La Vergine Santa ci insegni a seguire fedelmente la "via maestra" tracciata dal Concilio. Illumini l'umanità di oggi, perché non perda mai di vista il fondamento trascendente e le esigenze irrinunciabili dell'umana dignità. Accompagni il cammino della Chiesa affinché, attenta ai segni di tempi e vigile nel servizio operoso all'uomo, testimoni efficacemente il Vangelo e contribuisca alla costruzione del mondo secondo il disegno di Dio.

(Il Santo Padre si è così rivolto ai fedeli presenti:] Rivolgo ora un cordiale pensiero ai pellegrini di lingua italiana. In particolare ai ragazzi della Parrocchia di "San Pietro ad Mensulas" in Pieve di Sinalunga (Siena) ed ai fedeli di San Fele (Potenza), che ricordano il ventesimo anniversario della canonizzazione del loro concittadino San Giustino de Iacobis.

(Quindi il Papa ha ricordato la celebrazione della II Giornata diocesana della Scuola cattolica:] Saluto poi gli alunni, i genitori, i docenti e responsabili delle scuole cattoliche romane, qui convenuti in occasione della seconda giornata diocesana della scuola cattolica dal tema: "Scuola della comunità cristiana per una nuova cittadinanza". Mentre esprimo apprezzamento a quanti operano generosamente in tale importante ambito educativo, esorto le comunità religiose a riservare all'insegnamento le migliori energie di personale e di mezzi, e le comunità parrocchiali a collaborare attivamente per trovare risposte adeguate alle esigenze delle scuole cattoliche. Auspico soprattutto che sia effettivamente riconosciuto e sostenuto il diritto delle famiglie a scegliere per i figli la scuola cattolica, con pari dignità ed opportunità rispetto a quella statale.

(Seguono saluti in francese e tedesco] (Infine, ai pellegrini provenienti dall'Arcidiocesi di Bologna, il Papa ha detto:] Saluto cordialmente i campanari di Bologna, giunti ieri a Roma insieme col loro Arcivescovo ed un numeroso pellegrinaggio.

Li ringrazio di averci fatto ascoltare il suono delle loro campane.

Data: 1995-10-29 Data estesa: Domenica 29 Ottobre 1995


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