GPII 1995 Insegnamenti 2053

Il messaggio del Santo Padre per l'XI Giornata Mondiale della Gioventù

Titolo: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68)

"Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68).

Carissimi giovani!

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1. "Ho un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi ed io" (
Rm 1,11-12).

Le parole dell'apostolo Paolo ai cristiani di Roma riassumono il sentimento con cui mi rivolgo a voi tutti, iniziando l'itinerario di preparazione all'XI Giornata Mondiale della Gioventù.

E' con lo stesso desiderio di incontrarvi, infatti, che idealmente vengo a voi, in ogni angolo del pianeta, là dove affrontate l'intensa, quotidiana avventura della vita: nelle vostre famiglie, nei luoghi dello studio e del lavoro, nelle comunità in cui vi raccogliete per ascoltare la Parola del Signore ed a Lui aprire il cuore nella preghiera.

Il mio sguardo si volge in particolare verso i giovani coinvolti in prima persona nei troppi drammi che ancora lacerano l'umanità: quelli che soffrono per la guerra, le violenze, la fame e la miseria, e che prolungano la sofferenza del Cristo, il quale è vicino con la sua Passione all'uomo oppresso sotto il peso del dolore e dell'ingiustizia.

La Giornata Mondiale della Gioventù, come ormai è consuetudine, si svolgerà nel 1996 all'interno delle comunità diocesane, in attesa del nuovo incontro mondiale che nel 1997 ci porterà a Parigi.

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2. Siamo incamminati ormai verso il Grande Giubileo del 2000, un appuntamento che con la Lettera Apostolica Tertio Millennio adveniente ho invitato tutta la Chiesa a preparare mediante la conversione del cuore e della vita.

Anche a voi domando fin d'ora di intraprendere questa preparazione col medesimo spirito ed i medesimi propositi. Vi affido un progetto di azione che, basato sulle parole del Vangelo e in corrispondenza alle tematiche proposte per ogni anno a tutta la Chiesa, costituirà il filo conduttore delle prossime Giornate Mondiali: Anno 1997: "Maestro, dove abiti? Venite e vedrete" (
Jn 1,38-39) Anno 1998: "Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa" (Jn 14,26) Anno 1999: "Il Padre vi ama" (Jn 16,27) Anno 2000: "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14).

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3. A voi, giovani, rivolgo in particolare l'appello a guardare verso la frontiera epocale dell'anno 2000, ricordando che "il futuro del mondo e della Chiesa appartiene alle giovani generazioni che, nate in questo secolo, saranno mature nel prossimo, il primo del nuovo millennio... Se (i giovani) sapranno seguire il cammino che Cristo indica, avranno la gioia di recare il proprio contributo alla sua presenza nel prossimo secolo" (
TMA 58).

Nel cammino di avvicinamento al Grande Giubileo vi accompagni la Costituzione conciliare Gaudium et spes, che intendo riconsegnare a tutti voi, come già ho fatto con i vostri coetanei del continente europeo, a Loreto, nel settembre scorso: è un "documento prezioso e sempre giovane. Rileggetelo attentamente. Vi troverete luce per decifrare la vostra vocazione di uomini e donne, chiamati a vivere, in questo tempo meraviglioso e drammatico insieme, come tessitori di fraternità e costruttori di pace" (Angelus del 10 settembre 1995).

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4. "Signore, da chi andremo?". La meta e il traguardo della nostra vita è Lui, il Cristo, che ci attende - ognuno singolarmente e tutti insieme - per guidarci oltre i confini del tempo nell'abbraccio eterno del Dio che ci ama.

Ma se l'eternità è il nostro orizzonte di uomini affamati di Verità e assetati di felicità, la storia è lo scenario del nostro impegno di ogni giorno.

La fede ci insegna che il destino dell'uomo è scritto nel cuore e nella mente di Dio, che della storia regge le sorti. Essa ci insegna altresi che il Padre affida alle nostre mani il compito di avviare fin da quaggiù l'edificazione di quel "Regno dei Cieli" che il Figlio è venuto ad annunciare e che troverà il suo pieno compimento alla fine dei tempi.

E' nostro dovere, dunque, vivere dentro la storia, fianco a fianco con i nostri contemporanei, condividendone le ansie e le speranze, perché il cristiano è, e deve essere, pienamente uomo del suo tempo. Egli non evade in un'altra dimensione ignorando i drammi della sua epoca, chiudendo gli occhi e il cuore alle ansie che pervadono l'esistenza. Al contrario, è colui che, pur non essendo "di" questo mondo, "in" questo mondo è immerso ogni giorno, pronto ad accorrere là dove ci sia un fratello da aiutare, una lacrima da asciugare, una richiesta d'aiuto da soddisfare. Su questo saremo giudicati!

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5. Ricordandoci l'ammonimento del Maestro: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi" (
Mt 25,35-36), dobbiamo mettere in pratica il "comandamento nuovo" (Jn 13,34).

Ci opporremo così a quella che sembra oggi la "disfatta della civiltà", per riaffermare con vigore la "civiltà dell'amore" che - unica - può spalancare agli uomini del nostro tempo orizzonti di autentica pace e di duratura giustizia nella legalità e nella solidarietà.

La carità è la strada maestra che ci deve guidare anche al traguardo del Grande Giubileo. Per giungere a quell'appuntamento, bisogna sapersi mettere in discussione, affrontando un rigoroso esame di coscienza, premessa indispensabile di una conversione radicale, in grado di trasformare la vita e di darle un senso autentico, che renda i credenti capaci di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la forza e il prossimo come se stessi (cfr. Lc 10,27).

Confrontando la vostra esistenza quotidiana col Vangelo dell'unico Maestro che ha "parole di vita eterna", sarete in grado di diventare autentici operatori di giustizia, nel solco del comandamento che fa dell'amore la nuova "frontiera" della testimonianza cristiana. Questa è la legge della trasformazione del mondo (cfr. GS 38).

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6. Occorre innanzitutto che da voi giovani giunga una testimonianza forte di amore per la vita, dono di Dio; un amore che si deve estendere dall'inizio alla fine di ogni esistenza e deve battersi contro ogni pretesa di fare dell'uomo l'arbitro della vita del fratello, di quello non nato come di quello sulla via del tramonto, dell'handicappato e del debole.

A voi giovani, che naturalmente e istintivamente fate della "voglia di vivere" l'orizzonte dei vostri sogni e l'arcobaleno delle vostre speranze, chiedo di diventare "profeti della vita". Siatelo con le parole e con i gesti, ribellandovi alla civiltà dell'egoismo che spesso considera la persona umana uno strumento anziché un fine, sacrificandone la dignità e i sentimenti in nome del mero profitto; fatelo aiutando concretamente chi ha bisogno di voi e che forse senza il vostro aiuto sarebbe tentato di rassegnarsi alla disperazione.

La vita è un talento (cfr.
Mt 25,14-30) affidatoci perché lo trasformiamo e lo moltiplichiamo, facendone dono agli altri. Nessun uomo è un "iceberg" alla deriva nell'oceano della storia; ognuno di noi fa parte di una grande famiglia, all'interno della quale ha un posto da occupare e un ruolo da svolgere. L'egoismo rende sordi e muti, l'amore spalanca gli occhi ed apre il cuore, rende capaci di arrecare quell'originale e insostituibile contributo che, accanto ai mille gesti di tanti fratelli, spesso lontani e sconosciuti, concorre a costituire il mosaico della carità, capace di cambiare le stagioni della storia.

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7. "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna".

Quando, considerando troppo duro il suo linguaggio, molti dei discepoli lo abbandonarono, Gesù domando ai pochi rimasti: "Forse anche voi volete andarvene?", Pietro rispose: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (
Jn 6,67-68). E scelsero di rimanere con Lui. Rimasero perché il Maestro aveva "parole di vita eterna", parole che, mentre promettevano l'eternità, davano senso pieno alla vita. Ci sono momenti e circostanze in cui bisogna operare scelte decisive per tutta l'esistenza. Viviamo - e voi lo sapete - momenti difficili nei quali è spesso arduo distinguere il bene dal male, i veri dai falsi maestri. Gesù ci ha avvertiti: "Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: "Sono io" e "Il tempo è prossimo": non seguiteli" (Lc 21,8). Pregate e ascoltate la sua parola; lasciatevi guidare da veri pastori; non cedete mai alle lusinghe ed alle facili illusioni del mondo che poi, assai spesso, si trasformano in tragiche delusioni.

E' nei momenti difficili, nei momenti della prova che si misura la qualità delle scelte. E' dunque in questa stagione non facile che ognuno di voi sarà chiamato al coraggio della decisione. Non esistono scorciatoie verso la felicità e la luce. Ne sono prova i tormenti di quanti, lungo l'arco della storia dell'umanità, si sono posti in faticosa ricerca del senso dell'esistenza, delle risposte ai fondamentali quesiti scritti nel cuore di ogni essere umano.

Voi sapete che questi interrogativi altro non sono se non l'espressione della nostalgia di infinito seminata da Dio stesso dentro ognuno di noi. Allora è con senso del dovere e del sacrificio che dovete camminare lungo le strade della conversione, dell'impegno, della ricerca, del lavoro, del volontariato, del dialogo, del rispetto per tutti, senza arrendervi di fronte ai fallimenti, ben sapendo che la vostra forza è nel Signore, il quale guida con amore i vostri passi, pronto a riaccogliervi come il figliol prodigo (cfr. Lc 15,11-24).

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8. Cari giovani, vi ho invitati ad essere "profeti della vita e dell'amore". Vi chiedo anche di essere "profeti della gioia": il mondo ci deve riconoscere dal fatto che sappiamo comunicare ai nostri contemporanei il segno di una grande speranza già compiuta, quella di Gesù, per noi morto e risorto.

Non dimenticate che "il futuro dell'umanità è riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza" (
GS 31).

Purificati dalla riconciliazione, frutto dell'amore divino e del vostro pentimento sincero, operando per la giustizia, vivendo in rendimento di grazie a Dio, potrete essere credibili ed efficaci profeti della gioia nel mondo, così spesso cupo e triste. Sarete annunciatori della "pienezza dei tempi", della quale il Grande Giubileo del 2000 richiama l'attualità.

La strada che Gesù vi indica non è comoda; assomiglia piuttosto ad un sentiero che s'inerpica sulla montagna. Non vi perdete d'animo! Quanto più erta è la via tanto più in fretta essa sale verso orizzonti sempre più vasti. Vi guidi Maria, Stella dell'evangelizzazione! Come Lei docili alla volontà del Padre, percorrete le tappe della storia da testimoni maturi e convincenti.

Con Lei e con gli Apostoli sappiate ripetere in ogni istante la professione di fede nella vivificante presenza di Gesù Cristo: "Tu hai parole di vita eterna!".

Dal Vaticano, 26 novembre 1995, Solennità di N. S. Gesù Cristo, Re dell'Universo.

Data: 1995-11-26 Data estesa: Domenica 26 Novembre 1995

Udienza: il Papa alla Conferenza Internazionale organizzata dal Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari - Aula Paolo VI, Città del Vaticano

Titolo: Un fecondo sodalizio tra ragione e fede per costruire la civiltà della vita nella libertà e nel rispetto dell'uomo



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1. Sono lieto di rivolgermi a tutti voi, carissimi Fratelli e Sorelle, in occasione di questa Conferenza internazionale, diventata ormai un tradizionale appuntamento annuale, che vede riunite con entusiasmo e fedeltà tante persone generose, impegnate nel mondo della sanità e della salute.

Quest'anno, poi, ricordiamo una ricorrenza particolare: sono trascorsi, infatti, dieci anni dall'istituzione del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari. Il successo delle Conferenze finora celebrate è una conferma tangibile dei frutti maturati per l'instancabile e fervida attività svolta da questo Dicastero, che ha come finalità quella di "diffondere, spiegare e difendere gli insegnamenti della Chiesa in materia di sanità e di favorirne la penetrazione nella pratica sanitaria" (Lett. ap. Dolentium hominum, n. 6).

Saluto con affetto il Signor Cardinale Fiorenzo Angelini e lo ringrazio per le cortesi parole, con le quali ha interpretato i sentimenti di tutti i presenti. Rinnovo il mio più vivo apprezzamento ai responsabili del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, che con assiduo e costante impegno hanno promosso e organizzato questo appuntamento. Rivolgo inoltre un deferente pensiero agli illustri scienziati, ricercatori, studiosi ed esperti di problemi di medicina, di biomedicina e di morale che hanno offerto a questo incontro di studio e di riflessione il prezioso contributo della loro competenza ed esperienza. Estendo infine il mio cordiale benvenuto a tutti i presenti.

Nelle vostre persone vedo e saluto tutti gli operatori sanitari che, in ogni parte del mondo, come servitori e custodi della vita, testimoniano la presenza della Chiesa accanto alle persone malate o sofferenti.

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2. Quest'anno avete scelto di sviluppare le vostre riflessioni nella luce del monito evangelico: "Vade et fac tu similiter: da Ippocrate al buon Samaritano". In tale duplice riferimento può ben essere compendiata l'intera storia della medicina. Come, infatti, ricordava il Papa Pio XII, di venerata memoria, "gli scritti di Ippocrate contengono, senza alcun dubbio, una delle più nobili espressioni della coscienza professionale che impone, in particolare, il rispetto della vita e la dedizione al malato" (Discorso ai partecipanti al XIV Congresso Internazionale di Storia della Medicina, 17 settembre 1954: Discorsi e Radiomessaggi XVI (1953-1954], 148). La pagina del buon Samaritano evangelico arricchisce l'eredità ippocratica della visione trascendente della vita umana, che è dono di Dio ed è chiamata a partecipare dell'eterna comunione con Lui.

Con rigorosa attenzione ai gravi e urgenti problemi che, nel nostro tempo, interpellano la ricerca e la scienza medica, durante i lavori di questi giorni avete ripercorso il cammino compiuto lungo la storia dall'assistenza sanitaria, individuando nell'incontro tra umanesimo ippocratico e umanesimo cristiano un decisivo fattore di progresso verso una civiltà sempre più degna di questo nome. Inoltre, i contributi scientifici presentati da studiosi ed esperti di ogni parte del mondo hanno dimostrato come, nell'attenzione a chi soffre e nell'impegno per una qualità della vita degna della persona, si configuri una visione antropologica nella quale è possibile a persone di culture diverse trovare un punto di incontro. Ciò è confermato dalle esperienze personali e sociali di tanti "buoni Samaritani" dei tempi moderni, tra i quali avete voluto opportunamente ricordare persone quali Henry Dunant, Florence Nightingale, Albert Schweitzer, Janusz Korczak, Ildebrando Gregori, Raoul Follereau e Marcello Candia.

"Colui che s'imbarca sulla navicella del rispetto per la vita - scriveva Albert Schweitzer - non è un naufrago portato alla deriva, ma un viaggiatore ardito che sa dove andare e che tiene saldamente il timone nella giusta direzione" (La civilisation et l'éthique, 63-64).

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3. Da Ippocrate al buon Samaritano, dalla coscienza guidata dalla ragione alla ragione illuminata dalla fede, unico dev'essere l'annuncio del Vangelo della vita; infatti, la sua promozione e la sua difesa "non sono monopolio di nessuno, ma responsabilità di tutti" (Lett. enc.
EV 91). Ed è certamente un provvidenziale segno dei tempi che la fede nel messaggio di Cristo sia oggi chiamata a sostenere e a rafforzare il fondamento razionale del comune dovere di servire la vita in tutte le fasi dell'esistenza umana. Si tratta infatti di un compito che è insieme umano e cristiano, così che "solo la concorde cooperazione tra quanti credono nel valore della vita potrà evitare una sconfitta della civiltà dalle conseguenze imprevedibili" ().

Il buon Samaritano della parabola evangelica interpella ogni coscienza umana che aspiri alla verità e sia attenta alle future sorti dell'umanità. Non si spiegherebbe, tuttavia, il lungo cammino percorso dall'assistenza sanitaria se questa non avesse altro scopo che la salvaguardia e il ricupero della salute; in realtà l'assistenza sanitaria, per le radici che affondano nel rispetto della vita e della dignità della persona umana, è anche scuola di valorizzazione della sofferenza e del servizio ad essa. perciò, la parabola del buon Samaritano appartiene sia al Vangelo della vita che al Vangelo della sofferenza: "E qui tocchiamo uno dei punti chiave di tutta l'antropologia cristiana. L'uomo non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé. Buon Samaritano è l'uomo capace appunto di tale dono di sé" (Lett. ap. Salvifici doloris, n.28).

Per questi motivi sono lieto di esprimere il mio vivo compiacimento ai responsabili del Dicastero della Pastorale per gli Operatori Sanitari per aver redatto e pubblicato la prima Carta degli Operatori Sanitari, le cui indicazioni, aperte al contributo di tutti gli uomini di buona volontà, rappresentano una felice alleanza tra etica ippocratica e morale cristiana. Si tratta infatti di una sintesi attraverso la quale "vengono favoriti la riflessione e il dialogo - tra credenti e non credenti, come pure tra credenti di diverse religioni - su problemi etici, anche fondamentali che interessano la vita dell'uomo" (Lett.enc. EV 27).

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4. Il concorde e costruttivo cammino della scienza e della fede, auspicato dal Concilio Vaticano II (cfr. Messaggio agli uomini di scienza, 8 dicembre 1965), tende all'affermazione dei fondamentali diritti umani, incentrati nella promozione e nella difesa della vita e della sua dignità. La fede stimola, incoraggia e sostiene tale convergenza che s'è rivelata propizia alle conquiste della ragione, poiché nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel cuore dei cristiani.

Il campo della sanità e della salute, negli svariati ambiti dell'educazione sanitaria, della prevenzione, della diagnosi, terapia e riabilitazione, offre innumerevoli conferme della concreta possibilità di un fecondo sodalizio tra ragione e fede per costruire, nella libertà e nel pieno rispetto della persona umana, la civiltà della vita, la quale, per essere veramente tale, deve essere anche civiltà dell'amore.

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5. Nella edificazione di una simile civiltà, il buon Samaritano, nel quale si rispecchia l'amore del Figlio di Dio, è modello dei doveri e dei compiti degli operatori sanitari. Tale modello riafferma, carissimi Fratelli e Sorelle impegnati nell'assistenza e nella pastorale sanitaria, che il vostro servizio, prima che una professione, è una missione, sostenuta dalla crescente coscienza della solidarietà esistente tra gli esseri umani. Questa consapevolezza è rafforzata e incoraggiata dalla fede, di cui vi esorto a rendere generosa testimonianza, quali araldi di fiducia e di speranza nell'uomo, chiamato da Dio a realizzarsi nella gratuità.

Con tali auspici, invoco su di voi e sul vostro servizio agli ammalati la protezione della Vergine Santissima, alla quale affido l'implorazione di salvezza e di conforto che sale dall'umanità sofferente. Maria, Madre del divino Samaritano delle anime e dei corpi, accompagni ogni vostra benemerita attività, imprimendole i connotati materni della disponibilità amorevole e dell'inesauribile generosità. Vi accompagni anche l'Apostolica Benedizione, che di cuore imparto a tutti voi qui presenti, ai vostri collaboratori e a quanti assistete nel vostro quotidiano lavoro.

Data: 1995-11-26 Data estesa: Domenica 26 Novembre 1995

Ad un comitato di vescovi cattolici e ortodossi - Città del Vaticano

Titolo: Il Signore ci conceda la grazia dell'unità

Cari Fratelli in Cristo, Sono felice di avere l'occasione di poter incontrare i membri del Comitato congiunto di Vescovi cattolici e ortodossi degli Stati Uniti e del Canada. Il vostro pellegrinaggio comunitario, che vi porta ora alla Chiesa di Roma e tra breve alla Chiesa di Costantinopoli, testimonia il vostro profondo desiderio di progredire nella ricerca di quella piena comunione che le nostre Chiese sono impegnate a realizzare lungo la via del reciproco rispetto, del dialogo e dell'amore.

Tra pochi giorni saranno trascorsi trenta anni da quando Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora I, in una dichiarazione congiunta del 7 dicembre 1965 chiesero alla Chiesa ortodossa e alla Chiesa cattolica di cancellare dalla memoria le sentenze di scomunica scambiatesi nel 1054. Questa Dichiarazione "era al tempo stesso purificazione della memoria storica, perdono reciproco e solidale impegno per la ricerca della comunione" (Lettera Enciclica UUS 52).

Il Signore è così grande e il suo nome così glorioso da permetterci di poter vedere quanto cammino abbiamo percorso nei tre decenni trascorsi da quello storico momento! In occasione della visita a Roma, nel giugno di quest'anno, di Sua Santità Bartolomeo I, abbiamo ricordato nella nostra Dichiarazione congiunta che il Comitato congiunto internazionale per il Dialogo Teologico ha potuto dichiarare che noi ci riconosciamo come "Chiese sorelle; responsabili insieme della salvaguardia della Chiesa unica di Dio" (Dichiarazione congiunta, 29 giugno 1995, n. 2). Siamo felici di sapere che condividiamo la stessa idea sacramentale della Chiesa "sostenuta e trasmessa nel tempo dalla successione apostolica" (Ibidem).

Cari Fratelli, nei giorni della vostra visita alla tomba dell'apostolo Pietro qui in Roma il Signore vi conceda la grazia della perseveranza nella ricerca dell'unità. Quando visiterete la Chiesa di Costantinopoli, piena delle memoria dell'apostolo Andrea, il Signore vi conceda il coraggio di continuare a edificare sui rapporti finora sviluppati.

Con l'approssimarsi dell'Anno 2000, possano le figure dei fratelli Pietro e Andrea, uniti anche nel loro martirio in nome del Vangelo; ispirare tutti noi ad amare la Chiesa con cuore indiviso. Possano gli Apostoli intercedere per noi perché ricerchiamo solo la volontà di Cristo, nostro Signore e Maestro, il quale prega per i suoi discepoli "perché tutti siano una sola cosa, perché il mondo creda" (Jn 17,21).

"Grazie a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo" (Ph 1,2).

(Traduzione dall'inglese]

Data: 1995-11-28 Data estesa: Martedi 28 Novembre 1995


Udienza: il discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti all'Assemblea Plenaria della Congregazione per il Clero - Sala Clementina, Città del Vaticano

Titolo: Fedeltà alla tradizione cattolica, al Magistero, all'impegno di rievangelizzazione che lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa

Signor Cardinale, Venerati Fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, Carissimi Fratelli e Sorelle!

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1. Sono lieto di incontrarvi, in occasione dell'Assemblea Plenaria della Congregazione per il Clero, riunita per esaminare una questione di singolare importanza per la Chiesa: "Il ministero e la vita dei diaconi permanenti". Saluto con affetto il Cardinale José Sanchez, Prefetto, che ringrazio per le parole rivoltemi. Saluto pure Monsignor Crescenzio Sepe, Segretario, e i Membri della Congregazione, insieme con gli Officiali e gli Esperti che vi prestano la loro preziosa opera.

Sulla base di un Instrumentum laboris, che ha tenuto conto dei suggerimenti e dei contributi di ogni Conferenza Episcopale, avete svolto queste intense giornate di riflessione e di dialogo. Alla soddisfazione per il lavoro compiuto e per i risultati fin qui raggiunti, si unisce l'intenzione di preparare un Documento concernente la vita e il ministero dei diaconi permanenti, simile a quello per i presbiteri, che avete curato nella vostra precedente Plenaria. Si potrà così offrire, in tale campo, un provvidenziale orientamento pratico sulla scia delle decisioni del Concilio Vaticano II. Incoraggio e benedico il vostro impegno, animato com'è da profondo amore per la Chiesa e per i nostri fratelli diaconi.

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2. Da quando è stato ripreso nella Chiesa latina il diaconato "come un grado proprio e permanente della gerarchia" (
LG 29), si sono moltiplicate al riguardo le indicazioni e gli orientamenti del Magistero. Basti qui ricordare gli insegnamenti del Papa Paolo VI, ed in particolare quelli contenuti nei Motu proprio Sacrum Diaconatus Ordinem (18 giugno 1967, AAS 59 (1967], 697-704) e Ad Pascendum (15 agosto 1972, AAS 64 (1972], 534-540), che rimangono un punto di riferimento fondamentale. La dottrina e la disciplina esposte in questi documenti hanno trovato la loro espressione giuridica nel nuovo Codice di Diritto Canonico, a cui deve ispirarsi lo sviluppo di questo sacro ministero. Al diaconato permanente sono state dedicate altresi talune Catechesi che ho rivolto ai fedeli durante il mese di ottobre del 1993.

Riflettendo sul ministero e la vita dei diaconi permanenti, ed alla luce dell'esperienza fin qui acquisita, occorre procedere con attenta indagine teologica e prudente senso pastorale, avendo di mira la nuova evangelizzazione alle soglie del terzo millennio. La vocazione del diacono permanente è un grande dono di Dio alla Chiesa e costituisce, per questo, "un importante arricchimento per la sua missione" (CEC 1571).

Ciò che si riferisce alla vita e al ministero dei diaconi potrebbe essere riassunto in un'unica parola: fedeltà. Fedeltà alla tradizione cattolica, testimoniata specialmente dalla lex orandi, fedeltà al Magistero, fedeltà all'impegno di rievangelizzazione che lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa.

Quest'impegno di fedeltà invita, prima di tutto, a promuovere con sollecitudine, in ogni ambito ecclesiale, un sincero rispetto dell'identità teologica liturgica canonica, propria del sacramento conferito ai diaconi, così come delle esigenze richieste dalle funzioni ministeriali che, in virtù della ricezione dell'Ordine, vengono loro assegnate nelle Chiese particolari.

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3. Il sacramento dell'Ordine ha, infatti, natura ed effetti propri, qualunque sia il grado in cui viene ricevuto (episcopato, presbiterato e diaconato). "La dottrina cattolica, espressa nella Liturgia, nel Magistero e nella pratica costante della Chiesa, riconosce che esistono due gradi di partecipazione ministeriale al sacerdozio di Cristo: l'episcopato e il presbiterato. Il diaconato è finalizzato al loro aiuto e al loro servizio (...). Tuttavia, la dottrina cattolica insegna che i gradi di partecipazione sacerdotale (episcopato e presbiterato) e il grado di servizio (diaconato) sono tutti e tre conferiti mediante un atto sacramentale chiamato 'ordinazione', cioè dal sacramento dell'Ordine" (
CEC 1554).

Mediante l'imposizione delle mani del Vescovo e la specifica preghiera di consacrazione, il diacono riceve una peculiare configurazione a Cristo, Capo e Pastore della Chiesa che, per amore del Padre, si è fatto l'ultimo e il servo di tutti (cfr. Mc 10,43-45 Mt 20,28 1P 5,3). La grazia sacramentale dà ai diaconi la forza necessaria per servire il popolo di Dio nella "diaconia" della Liturgia, della Parola e della carità, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio (cfr. CEC 1588). In virtù del sacramento ricevuto, viene impresso un carattere spirituale indelebile, che segna il diacono in modo permanente e proprio come ministro di Cristo. Egli non è più, di conseguenza, un laico né può ridiventare laico in senso stretto (cfr. CEC 1583). Queste caratteristiche essenziali della sua vocazione ecclesiale devono informare la sua disposizione a donarsi alla Chiesa e riflettersi nei suoi atteggiamenti esterni. Dal diacono permanente la Chiesa si attende una testimonianza fedele della condizione ministeriale.

In particolare, egli deve mostrare un forte senso di unità col Successore di Pietro, col Vescovo e col presbiterio della Chiesa per il servizio della quale è stato ordinato e incardinato. E' di grande importanza per la formazione dei fedeli che il diacono, nell'esercizio delle funzioni assegnategli, promuova un'autentica ed effettiva comunione ecclesiale. Le relazioni con il proprio Vescovo, con i presbiteri, con gli altri diaconi e con tutti i fedeli, siano improntate ad un diligente rispetto dei diversi carismi e delle diverse funzioni. Soltanto quando ci si attiene ai propri compiti, la comunione diventa effettiva e ciascuno può realizzare pienamente la propria missione.

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4. I diaconi vengono ordinati per l'esercizio di un ministero proprio, che non è quello sacerdotale, poiché a loro "sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio" (
LG 29). Ad essi competono, pertanto, determinate funzioni, i cui contenuti sono stati ben delineati dal Magistero: "Assistere il Vescovo e i presbiteri nella celebrazione dei divini misteri, soprattutto dell'Eucaristia, distribuirla, assistere e benedire il matrimonio - se delegati dall'Ordinario o dal parroco (cfr. CIC 1108 CIC 1) - proclamare il Vangelo e predicare, presiedere ai funerali, e dedicarsi ai vari servizi della carità (cfr. CEC 1570; cfr. LG 29 SC 35 AGD 16).

L'esercizio del ministero diaconale - come quello di altri ministeri nella Chiesa - richiede di per sé, in tutti i diaconi, celibi o sposati, una disposizione spirituale di piena dedizione. Benché in certi casi sia necessario rendere compatibile lo svolgimento del servizio diaconale con altri obblighi, non avrebbe assolutamente senso un'autocoscienza e atteggiamenti pratici di "diacono a tempo parziale" (cfr. ).

Il diacono non è un impiegato o un funzionario ecclesiastico a tempo parziale, ma un ministro della Chiesa. La sua non è una professione, bensi una missione! Sono eventualmente le circostanze della vita - prudentemente valutate dal candidato stesso e dal Vescovo, prima dell'ordinazione - a dover essere adattate all'esercizio del ministero, agevolandolo in ogni modo.

In tale luce vanno esaminati i non pochi problemi che ancora restano da risolvere e che molto stanno a cuore ai Pastori. Il diacono è chiamato ad essere uomo aperto a tutti, disposto al servizio delle persone, generoso nello stimolare le giuste cause sociali, evitando atteggiamenti o posizioni che possano farlo apparire come persona di parte. Un ministro di Gesù Cristo deve infatti sempre favorire, anche nella sua veste di cittadino, l'unità ed evitare, per quanto possibile, di essere occasione di disunione o di conflitto. Possa lo studio attento che avete condotto anche in questi giorni fornire indicazioni utili in tale settore.

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5. Con la restaurazione del diaconato permanente è stata riconosciuta la possibilità di conferire tale Ordine a uomini in età matura, già uniti in matrimonio che pero, una volta ordinati, non possono accedere ad un secondo matrimonio in caso di vedovanza (cfr. Sacrum Diaconatus Ordinem, 16, AAS 59 (1967], 701).

"Va pero notato che il Concilio ha conservato l'ideale di un diaconato accessibile a giovani che si votino totalmente al Signore anche con l'impegno del celibato. E' una via di "perfezione evangelica" che può essere capita, scelta e amata da uomini generosi e desiderosi di servire il Regno di Dio nel mondo, senza accedere al sacerdozio, per il quale non si sentono chiamati, e tuttavia muniti di una consacrazione che garantisca ed istituzionalizzi il loro peculiare servizio alla Chiesa mediante il conferimento della grazia sacramentale. Non mancano oggi di questi giovani" (Catechesi nell'Udienza generale del 6 ottobre 1993, 7: L'Osservatore Romano, 7 ottobre 1993, p. 4).

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6. La spiritualità diaconale "ha la sua sorgente in quella che il Concilio Vaticano II chiama "grazia sacramentale del diaconato" (
AGD 16)" (Catechesi nell'Udienza generale del 20 ottobre 1993, 1: L'Osservatore Romano, 21 ottobre 1993, p.4). Essa ha come tratto qualificante, in forza dell'Ordinazione, lo spirito di servizio. "Si tratta di un servizio da rendere prima di tutto in forma di aiuto al Vescovo e al Presbitero, sia nel culto liturgico che nell'apostolato (...). Ma il servizio del diacono è rivolto, poi, alla propria comunità cristiana e a tutta la Chiesa, per la quale non può non nutrire un profondo attaccamento, a motivo della sua missione e della sua istituzione divina" (AGD 2).

Per realizzare appieno la sua missione, il diacono ha pertanto bisogno di profonda vita interiore, sostenuta dalla pratica degli esercizi di pietà consigliati dalla Chiesa (cfr. Sacrum Diaconatus Ordinem, 26-27: AAS 59 (1967], 702-703). L'espletamento delle attività ministeriali e apostoliche, delle eventuali responsabilità familiari e sociali e, infine, della personale e intensa vita di preghiera, richiedono dal diacono - sia celibe che sposato - quell'unità di vita che soltanto si può raggiungere, come insegna il Concilio Vaticano II, mediante una profonda unione con Cristo (cfr. PO 14).

Carissimi Fratelli e Sorelle! Mentre vi ringrazio per l'attivo impegno dispiegato nel corso di questa Assemblea Plenaria, vorrei insieme con voi deporre nelle mani di Colei che è "Ancilla Domini" il frutto del lavoro al quale vi siete applicati. Prego la Vergine Immacolata di accompagnare lo sforzo della Chiesa in questo importante campo di impegno pastorale in vista anche della nuova evangelizzazione.

Con tali sentimenti, volentieri imparto a tutti la mia Benedizione.

Data: 1995-11-30 Data estesa: Giovedi 30 Novembre 1995


GPII 1995 Insegnamenti 2053