GP2 Discorsi 1996 112

Maggio 1996



AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE


PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI


Venerdì, 3 maggio 1996




Signor Cardinale Prefetto,
Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
Fratelli e Sorelle nel Signore!

1. Sono lieto di incontrarmi con voi in occasione della Plenaria del vostro Dicastero. Il mio affettuoso pensiero va innanzitutto ai Signori Cardinali qui presenti ed in modo particolare al Prefetto della Congregazione Card. Antonio Maria Javierre Ortas, che ringrazio per le cortesi parole poc’anzi rivoltemi. Saluto il Segretario Mons. Geraldo Majella Agnelo, i Membri, gli Officiali, i Consultori e quanti prestano la loro opera nelle Commissioni speciali. Desidero ringraziarvi tutti per la competenza e la generosità con cui svolgete il vostro apprezzato servizio alla Santa Sede in un settore tanto importante per la vita della Comunità ecclesiale.

In questi giorni vi siete soffermati in un attento esame dell’attività ordinaria del quinquennio trascorso, richiamando i problemi incontrati e le soluzioni adottate e cercando, al tempo stesso, di prevedere quanto resta da incrementare e promuovere per il futuro. Siamo nella fase antepreparatoria del cammino verso il Grande Giubileo del 2000. Nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente, rilevando che "nell’Assise conciliare la Chiesa, proprio per essere fedele al suo Maestro . . . ha provveduto alla riforma della liturgia "fonte e culmine" della sua vita" (Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente TMA 19, AAS 87[1995], 17), sottolineavo la necessità di esaminarsi sulla "ricezione del Concilio" in particolare per quanto concerne la liturgia (cf. Ivi, n. 36: 1. c., 28).

2. Essa infatti nel suo insieme, e in special modo nella Celebrazione eucaristica, costituisce il culmine a cui tende l’intera azione della Comunità ecclesiale e insieme la fonte dalla quale promana la glorificazione di Dio, unitamente alla progressiva santificazione del credente nel concreto contesto delle circostanze in cui vive. Era dunque necessario che la liturgia venisse resa più consona a rispondere alle attese degli uomini di oggi e più assimilabile dalle diverse culture.

113 A questo proposito mi preme tuttavia ricordare che anche per la riforma della liturgia, in particolare del Rito Romano, vale quanto più in generale ho avuto modo di osservare nella Tertio millennio adveniente riguardo al Concilio: "Si ritiene spesso che il Concilio Vaticano II segni un’epoca nuova nella vita della Chiesa. Ciò è vero, ma allo stesso tempo è difficile non notare che l’Assemblea conciliare ha attinto molto dalle esperienze e dalle riflessioni del periodo precedente, specialmente dal patrimonio del pensiero di Pio XII. Nella storia della Chiesa, il "vecchio" e il "nuovo" sono sempre profondamente intrecciati tra loro. Il "nuovo" cresce dal "vecchio", il "vecchio" trova nel "nuovo" una sua più piena espressione (n. 18: l. c., 16). Come non ricordare allora che la riforma liturgica è il frutto di un lungo periodo di riflessione che risale fino all’azione pastorale di san Pio X e che ha trovato un singolare impulso nell’Enciclica Mediator Dei di Pio XII (AAS 39 [1947] 521-595), della quale il prossimo anno ricorderemo il cinquantesimo anniversario di pubblicazione?

Scopo di quanto è stato fatto per la vita liturgica, sia prima del Concilio Vaticano II che nel periodo dei lavori conciliari e poi della riforma liturgica che ne è scaturita come autorevole applicazione, era di facilitare l’assimilazione dello "spirito della liturgia" e, partendo da questo, la comprensione delle azioni liturgiche nel loro giusto ed essenziale valore.

Era evidente che lo spirito della liturgia non poteva essere ritrovato grazie ad una semplice riforma. Era necessario un vero e profondo rinnovamento liturgico. Uno "spirito", infatti, in quanto intrinsecamente legato ad "azioni" liturgiche, non può risiedere se non negli "agenti umani" della liturgia, chiamati ad "esercitare il sacerdozio di Cristo". Ciò tuttavia non significa che possano essere trascurate le forme mediante le quali il sacerdozio di Cristo si esprime e si esercita, cioè quei "segni sensibili" dai quali la liturgia non può prescindere.

3. Il Concilio Vaticano II ha risposto alle attese degli uomini del nostro tempo chiamando i credenti, come ho ricordato nella Lettera apostolica Orientale lumen, "a mostrare con parole e gesti di oggi le immense ricchezze che le nostre Chiese conservano nei forzieri delle loro tradizioni" (Giovanni Poalo II, Orientale lumen, n. 4: AAS 87[1995], 748). Uno di questi "forzieri" è sicuramente il Missale Romanum, del quale state preparando la tertia editio typica. In esso la lex orandi ha racchiuso, per il Rito Romano, l’esperienza di fede di intere generazioni, insieme con molti tratti caratteristici di culture che sono state progressivamente trasformate in civiltà cristiane.

La riforma liturgica ha voluto che si attuasse, su più vasta scala e con modalità diverse secondo i tempi e le necessità, quanto già si era verificato altre volte nella storia della Chiesa, come ad esempio nella straordinaria impresa pastorale dei santi Cirillo e Metodio, giacché "la rivelazione si annuncia in modo adeguato e si fa pienamente comprensibile quando Cristo parla la lingua dei vari popoli, e questi possono leggere la Scrittura e cantare la liturgia nella lingua e con le espressioni che sono loro proprie" (Giovanni Paolo II, Orientale Lumen, 7: l. c., 751).

4. L’editio typica tertia del Messale Romano vi offre l’opportunità di riflettere su alcune caratteristiche di questo rinnovamento. Al riguardo, vale la pena richiamare quanto scrivevo nella Epistola apostolica Dominicae cenae: "Sebbene in questa tappa di rinnovamento sia stata ammessa la possibilità di una certa autonomia "creativa", tuttavia essa deve strettamente rispettare le esigenze dell’unità sostanziale. Sulla via di questo pluralismo (che scaturisce tra l’altro già dall’introduzione delle diverse lingue nella liturgia) possiamo proseguire solo fino a quel punto in cui non siano cancellate le caratteristiche essenziali della celebrazione dell’Eucaristia e siano rispettate le norme prescritte dalla recente riforma liturgica" (Giovanni Paolo II, Dominicae Cenae, n. 12: AAS 72 [1980], 143). Ed aggiungevo: "Occorre compiere dappertutto lo sforzo indispensabile, affinché nel pluralismo del culto eucaristico, programmato dal Concilio Vaticano II, si manifesti l’unità di cui l’Eucaristia è segno e causa" (Ivi, n. 12: AAS 72 [1980], 143).

So bene che il vostro Dicastero è impegnato a promuovere la massima fedeltà alle leggi liturgiche, richiamando alla memoria di tutti i principi che, al riguardo, ha formulato il Concilio Ecumenico Vaticano II: "Regolare la sacra liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa, che risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel Vescovo... Perciò nessun altro, anche se sacerdote, aggiunga, tolga o muti alcunché di sua iniziativa in materia liturgica" (Sacrosanctum Concilium
SC 22).

5. Dev’essere, pertanto, a tutti chiaro che, se gli esperti con il loro apporto possono illuminare utilmente le scelte operabili, le decisioni in materia liturgica restano sottoposte alla diretta responsabilità dell’autorità ecclesiastica, la quale mira soltanto a favorire la partecipazione liturgica del popolo alla glorificazione di Dio e, insieme, a rendere più accessibili e fruttuose per ogni credente le possibilità di santificarsi.

Alle esigenze e finalità della vita cristiana può rispondere solo una liturgia che produca nel cuore in ascolto della Parola e proteso verso l’Eucaristia quel "silenzio carico di presenza adorata" di cui ho avuto modo di parlare nella recente Esortazione postsinodale sulla Vita consacrata (cf. Giovanni Paolo II, Vita Consecrata VC 38). In un mondo pervaso da messaggi audiovisivi di ogni genere è necessario ricuperare zone di silenzio che permettano a Dio di far sentire la sua voce e all’anima di comprendere ed accogliere la sua Parola (cf. Giovanni Paolo II, Orientale Lumen, 16, l. c., 762). È quanto insegna il luminoso esempio di innumerevoli Santi e Beati, che ci hanno preceduto glorificando Dio con il raccoglimento orante della loro vita, e di Martiri, che hanno scelto per amore "il silenzio" del dono totale dell’esistenza quale risposta all’amore di Dio percepito nella Parola e nell’Eucaristia.

6. Ecco perché risulterà di grande aiuto alla vita cristiana l’insieme delle riflessioni che avete sviluppato sia circa il culto dei Beati, sia circa il Martirologio Romano, in quanto libro liturgico, che contribuisce in modo singolare all’interscambio della venerazione dei Santi tra le Chiese, come comunicazione di doni, nello spirito della comunione dei santi. So bene che si tratta di un lavoro lungo e delicato, che occupa da molti anni la riflessione e il lavoro della vostra Congregazione. È arrivato il momento di portare a termine questa importante opera, così che il Martirologio si unisca agli altri libri liturgici già rinnovati. Apparirà così chiaramente che la parsimonia con la quale il Calendario Romano generale ha fatto spazio alle memorie dei Santi, per dare la precedenza al Giorno del Signore e alla celebrazione del suo Mistero, non significa affatto minor considerazione per tutti coloro che, a cominciare da Maria Santissima, rendono testimonianza con la loro vita alle meraviglie operate dalla grazia, in modo che i fedeli non solo commemorino e meditino i misteri della Redenzione, ma anche li raggiungano personalmente, vi prendano parte e vivano di essi (cf. Pio XII, Mediator Dei, AAS 39 [1947], 580).

Nell’auspicare che i lavori dell’Assemblea Plenaria contribuiscano ad una sempre più profonda vita liturgica del Popolo di Dio invoco sul vostro Dicastero la costante protezione di Maria, modello insuperabile di perfetta Orante.

114 Con tali voti, mentre vi ringrazio ancora una volta per la vostra generosa collaborazione, imparto con affetto a ciascuno di voi una speciale Benedizione Apostolica.

VISITA PASTORALE NELLA DIOCESI DI COMO


ALLA CITTADINANZA


Piazza Cavour (Como) - Sabato, 4 maggio 1996

Illustri Signori!

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Grazie per la vostra cordiale accoglienza. Ringrazio anzitutto il Signor Ministro e i due Sindaci che mi hanno dato il benvenuto anche a nome vostro. Nelle loro parole ho sentito evocare con efficacia i vostri problemi e le vostre speranze.

A ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto, con un particolare pensiero per il Presidente della Regione, per le Autorità civili qui presenti e per i rappresentanti dei Comuni e delle Comunità montane che appartengono alla diocesi di Como.

Saluto il pastore di questa Chiesa, il caro Mons. Alessandro Maggiolini, insieme con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e le Comunità parrocchiali della vostra grande Diocesi. Ringrazio con viva cordialità quanti si sono personalmente impegnati nella preparazione di questa mia Visita pastorale. Sono lieto di trovarmi con voi, in questa Terra illustre e laboriosa.

2. Voi vivete in un territorio di peculiare bellezza, entro il quale è incastonato il lago ridente su cui si affaccia la vostra Città. Qui Alessandro Manzoni ha voluto ambientare la vicenda del suo romanzo, che appartiene alla letteratura universale, iniziandolo proprio con il nome della vostra Città: "Quel ramo del lago di Como . . . ". Ci sono poi i monti verdeggianti e le cime innevate, che fanno lo splendore della Valchiavenna, presidiata dal Pizzo Tambò e dal Pizzo Stella, dove nascono gli affluenti di tre grandi fiumi d’Europa: il Reno, il Danubio e il Po. E come non ricordare lo splendore della Valmalenco, dove si ammira il Bernina e il Disgrazia; la meraviglia della Val di Dentro, al di là della quale è situata, a oltre 2000 metri, la parrocchia più alta d’Europa; e la Valfurva, che termina con l’Ortles, il Gran Zebrù e il Cevedale? Si tratta di località incantevoli che invitano chi le visita ad elevare il pensiero a Dio, alla sua grandezza ed alla sua bontà.

Venendo in elicottero, ho potuto apprezzare dall’alto la bellezza dei monti e delle vallate di questo vostro territorio che presenta una singolare configurazione geografica. Ho diretto, in particolare, il mio sguardo verso la Valtellina, pensando con sempre viva commozione alla zona colpita dalla disastrosa alluvione del luglio del 1987 con la drammatica frana di sant’Antonio Morignone e Tártano. Furono momenti terribili, che restano impressi nella nostra memoria. In poche ore la Valtellina fu coinvolta in una tragedia che seminò paura e sconforto, rovina e morte.

Ora, dopo quasi dieci anni, sono lieto di apprendere che, superata coraggiosamente ogni difficoltà, quella vallata è in netta ed incoraggiante ripresa. Ho pregato per le vittime di quell’improvvisa sciagura affidandole ancora una volta alla misericordia del Signore. E lo faccio ogni giorno. Ed ho pregato per gli abitanti della Valtellina perché sappiano guardare fiduciosi verso il futuro, sostenuti dalla grazia di Dio, il Quale - come scrive il Manzoni - "non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne una più certa e più grande" (A. Manzoni, "I Promessi Sposi", cap. VIII). Anche a voi, Valtellinesi, si volge il mio cordiale saluto.

3. La mia Visita segna, voi lo sapete, la solenne inaugurazione dell’Anno di preparazione al Congresso eucaristico diocesano, che sarà celebrato nel settembre del 1997. Vengo tra voi a ripetere la confessione di Pietro davanti a Gesù: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16) e a rinnovare la domanda-implorazione: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68).

115 Vengo a confermare la vostra fede in Cristo, Verbo incarnato, morto e risorto: la vostra fede in Cristo, Primogenito del Padre, modello e fine di ogni uomo e del cosmo, che è presente sotto i segni del pane e del vino nell’Eucaristia; in Cristo, che vive nei suoi Ministri, nella proclamazione della sua Parola e nei sacramenti; in Cristo, che non mortifica e non opprime l’umanità dell’uomo, ma la assume, la rende consapevole e, redimendola, la porta a pienezza.

Carissimi Fratelli e Sorelle, vengo a far visita ad una Chiesa locale ricca di storia. Vengo nella diocesi dei Protomartiri Carpoforo e Compagni - dei quali, il prossimo anno, celebrerete il XVII centenario del martirio, avvenuto a metà costa del Baradello - e dei Santi Vescovi Felice e Abbondio, del Beato Innocenzo XI, del Beato Card. Ferrari e dei Beati della carità, Don Luigi Guanella e Suor Maria Chiara Bosatta.

Nel novero delle ricorrenze - che fate bene a ricordare, perché sono garanzia per un rinnovato cammino! - cade pure, quest’anno, il sesto centenario degli inizi della costruzione della vostra magnifica Cattedrale, segno di fede e di unità, che raccoglie i sentimenti più genuini del credere e del civile convivere, mentre lo scorso anno avete commemorato il nono centenario della dedicazione, ad opera del mio predecessore Urbano II, della Basilica di sant’Abbondio.

Nel 1999, poi, renderete omaggio a quel grande scienziato e profondo uomo di fede che fu Alessandro Volta, nel secondo centenario dell’invenzione della pila elettrica. Si vede che siete ricchi. Ricchi nella natura, ricchi nella storia, ricchi nel cuore. I comaschi sono ricchissimi.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle! Mi rallegro con voi per questa vostra millenaria tradizione religiosa: una tradizione che ha formato coscienze limpide e severe. Esprimo cordiale stima anche a voi, laici di retto sentire, che perseguite con rigore i valori umani dell’onestà, della laboriosità, della fedeltà alla parola data, della capacità di rapporti profondi e duraturi.

Città di Como, cammina nel solco di una così feconda tradizione spirituale! Cammina fidando in Dio, aprendo a Lui le porte delle tue case!

A voi, cristiani di questa Chiesa, domando di essere fervidi nella professione della fede. Siate testimonianza viva di unità e di comunione con il vostro Vescovo e con i sacerdoti. Rispondendo ai bambini che mi hanno dato il benvenuto allo stadio comunale ho detto a Monsignor Maggiolini che lui è un uomo felice per il fatto di essere Vescovo di Como. Pensavo soprattutto alle bellezze naturali, ma i motivi sono anche altri.

Al processo di scristianizzazione e di disumanizzazione che minaccia di inquinare e travolgere un così ricco patrimonio religioso e umano, corrisponda sempre in voi il coraggio della perseveranza e della fermezza, la capacità di una proposta di vita radicata nel Vangelo e nell’insegnamento della Chiesa. Siate intrepidi discepoli di Cristo ed annunciatori instancabili del suo messaggio di salvezza. Guardate al traguardo storico che ci attende: il Grande Giubileo dell’Anno Duemila, tappa significativa nel cammino della storia e della nostra fede.

A tutti voi, uomini di buona volontà, domando di riconoscere e di proporre gli autentici valori morali quale sostegno insostituibile di una convivenza libera e giusta, guidata da responsabili pronti al servizio di tutti ed attenti specialmente ai più poveri e bisognosi.

A tutti gli abitanti della Città e della Diocesi, in particolare alle famiglie, ai giovani, agli anziani, ai bambini, ai malati un abbraccio affettuoso, avvalorato da una speciale Benedizione Apostolica.

VISITA PASTORALE NELLA DIOCESI DI COMO

SALUTO DI GIOVANNI PAOLO II

AL TERMINE DELLA RECITA DEL SANTO ROSARIO


Duomo di Como - Sabato, 4 maggio 1996




116 Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di aver potuto recitare insieme con voi il Santo Rosario in questa Chiesa Cattedrale dedicata alla Beata Vergine Maria Assunta. L’ultima volta, nel mese di ottobre dell’anno scorso, ho recitato così il Santo Rosario nella Cattedrale di San Patrizio, St. Patrick Cathedral, a New York. Un buon segno! Cade quest’anno il sesto centenario degli inizi della sua costruzione. L’armonioso edificio, con le sue splendide strutture e i suggestivi affreschi, crea un’atmosfera sacra in cui è facile raccogliersi e pregare.

Dalle numerose raffigurazioni mariane presenti nel tempio ci viene l’invito ad accostarci con fiducia alla Madre di Dio e Madre nostra. Sul Calvario Gesù ci ha affidati a Lei perché ci conduca per mano, in ogni momento della vita, verso una sempre più profonda adesione ai disegni provvidenziali che Dio ha su ciascuno di noi.

Esprimo il mio affetto anzitutto a voi, cari malati, che vedo con piacere qui davanti, come pure a tutti gli infermi che non sono potuti intervenire a questo momento di preghiera. Sappiate unire costantemente, nella fede, le vostre sofferenze alla croce vittoriosa di Cristo e pregate anche per me e per il ministero che mi è affidato.

Ringrazio voi, cari Sacerdoti qui presenti, e quanti, attraverso la radio o la televisione, si sono spiritualmente uniti a noi per la recita della corona del Rosario. Esorto tutti, specialmente in questo mese di maggio che la devozione popolare dedica alla Madonna, a ricorrere con fiducia al Santo Rosario. Invitate, altresì, cari Sacerdoti, le famiglie e le comunità a voi affidate a recitare spesso la Corona, preghiera efficacissima per impetrare doni celesti.

Saluto cordialmente e ringrazio le Religiose che sono numerose e auguro per loro di crescere nelle vocazioni. Voi non sapete come siete necessarie! Saluto poi i tanti fedeli che, in vario modo, hanno preso parte a questo incontro, sia nella Cattedrale che all’esterno. A ciascuno invio il mio affettuoso pensiero.

2. In questo primo sabato del mese di maggio, carissimi Fratelli e Sorelle, mi è spontaneo indicarvi Maria Santissima come modello a cui fare riferimento nel corso della giornata, per trovare nei suoi esempi ispirazione e guida sicura. Vi esorto ad invocare Maria senza mai stancarvi: sarà per voi motivo di conforto e di speranza. Maria, infatti, sostiene i cristiani nel loro quotidiano pellegrinaggio della fede, rafforza la loro fedeltà agli impegni evangelici ed apre i cuori alla carità verso tutti, specialmente verso i meno fortunati.

Nel darvi appuntamento a domani ed invocando l’intercessione della nostra Madre celeste e dei santi Patroni di questa Diocesi, a tutti imparto di cuore la mia Benedizione.

Al termine del Santo Rosario, nel fare rientro in Episcopio, il Papa ha augurato "Buona notte" ai tanti fedeli che lo attendevano.

VISITA PASTORALE NELLA DIOCESI DI COMO


AI RAPPRESENTANTI DEL MONDO DEL LAVORO


Cattedrale di Como - Domenica, 5 maggio 1996




Carissimi Fratelli e Sorelle!

117 1. Sono lieto di trovarmi tra voi, rappresentanti del mondo del lavoro e in particolare, artigiani, dirigenti e imprenditori, che costituite il nerbo dell’economia di questo territorio. A tutti porgo il mio cordiale saluto. Rivolgo un affettuoso pensiero al vostro Vescovo, Mons. Sandro Maggiolini, e lo ringrazio per le parole che poc’anzi mi ha rivolto a nome di tutti voi, ma soprattutto ringrazio per le parole rivoltemi dai due rappresentanti del mondo del lavoro.

Mi è gradito incontrarvi in questa Cattedrale che testimonia in modo eloquente le tradizioni di fede e di operosità della vostra Comunità: i vostri Padri hanno voluto esprimere nelle linee architettoniche di così insigne monumento, nonché nelle immagini e nelle scritte, la loro convinzione che "la terra dona il cielo", se l’uomo si impegna a trasformare il mondo con lo sguardo rivolto alle "cose di lassù". In tal modo essi vi invitano a far fruttificare appieno le tradizionali qualità dei Comaschi, come l’attaccamento al lavoro, l’intraprendenza e la tenacia, che sono all’origine della singolare fioritura di imprese artigianali e di piccole e medie industrie, motivo del vostro attuale benessere, nonché elemento fondamentale della economia nazionale.

2. A voi, carissimi, mentre esprimo la grande stima della Chiesa, desidero offrire alcune riflessioni che scaturiscono dalla visione cristiana della vita economica. Il mondo del lavoro, in tutte le sue espressioni, sta molto a cuore alla Chiesa. A prima vista, gli ambiti dell’azienda, del profitto, dell’occupazione, potrebbero apparire estranei alla sua missione. Non ha forse la Chiesa un fine eminentemente spirituale? Ma se ben si riflette, il lavoro non può essere affatto considerato privo di risvolti spirituali. Esso infatti non esiste indipendentemente dall’uomo, è anzi parte integrante della sua vocazione e della sua missione, è elemento della sua dignità.

All’origine del lavoro c’è il mirabile disegno di Dio, che ha voluto porre l’uomo al di sopra di tutte le cose, affidandogli la tutela e la protezione del creato. Questo disegno originario è stato rivelato pienamente da Gesù, il figlio di Dio fatto uomo, che ha voluto assumere e redimere anche la realtà del lavoro, vivendo come Figlio di un artigiano e lavorando con le sue mani. Cristo ci ha dato un autentico "vangelo del lavoro". In esso è svelato il senso pieno dell’operare umano, di cui viene sottolineata la profonda dignità. Per questo la Chiesa "considera come suo dovere pronunciarsi a proposito del lavoro... in ciò ravvisando un suo compito importante nel servizio che rende all’intero messaggio evangelico" (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens
LE 24).

3. Molti problemi della vita economica derivano dal fatto che si pensa soprattutto all’aspetto oggettivo del lavoro, considerandolo prevalentemente come processo produttivo.

La Chiesa, senza sottovalutare gli aspetti oggettivi, guarda soprattutto all’uomo: nel lavoro è la persona che si attua e si promuove ed è proprio questa soggettività del lavoro che sta al centro del disegno di Dio. Infatti, "l’uomo creato a immagine di Dio, mediante il suo lavoro partecipa all’opera del Creatore, ed a misura delle proprie possibilità, in un certo senso, continua a svilupparla e la completa, avanzando sempre più nella scoperta delle risorse e dei valori racchiusi in tutto il creato" (Ivi, 25).

Perfezionando il cosmo per metterlo al servizio dell’uomo, il lavoro rende l’universo voce che celebra la potenza e la bontà di Dio. A causa della colpa originale (cf. Gen Gn 3,17-19) che ha turbato il disegno di Dio, il compito di "completare" e di umanizzare il mondo fino al compimento della storia e del cosmo costituisce motivo di fatica e, talora, di sofferenza. Ma sia la fatica che la sofferenza, vissute in Cristo, possono diventare occasione di purificazione e di collaborazione all’opera della salvezza.

Questa dimensione in certo senso "religiosa" del lavoro implica per sua natura quella della solidarietà e della fraternità. È in questa prospettiva che trovano il loro più saldo fondamento il rispetto della giustizia e il pieno riconoscimento dei diritti del lavoratore. Egli non può mai essere asservito alle cose, non può mai essere trattato come un semplice strumento di produzione. La sua dignità di persona lo innalza al di sopra di tutte le realtà materiali.

Anche mediante il lavoro i credenti, che attendono il ritorno di Cristo, preparano in qualche modo i "cieli nuovi e la terra nuova", e invocano che la storia si concluda con l’esaudimento della preghiera: "Vieni, Signore Gesù"! (cf. Gaudium et Spes, GS 38).

4. Alla luce del disegno di Dio si possono intuire alcune conseguenze importanti per la retta organizzazione del lavoro. In particolare, si coglie la necessità di organizzarlo in modo da valorizzare le qualità e le competenze di ciascuno, scongiurando il pericolo della massificazione delle persone e della specializzazione ossessiva, che mortificano l’umanità del lavoratore.

Occorre, in sintesi, creare le condizioni che rendono possibile un’occupazione lavorativa nella quale, mentre si consegue una produzione efficace e razionale di beni e di servizi, si sviluppano le capacità personali e si aiuta l’operaio a sentirsi profondamente coinvolto in quello che fa e, in certo senso, a sentire sempre come qualcosa di "suo" quello che produce.

118 Tutto ciò è favorito dal clima di libertà di iniziativa, che i Pubblici Amministratori hanno il dovere di promuovere, pur non omettendo interventi regolatori ispirati al principio di sussidiarietà e dettati dalle esigenze del bene comune, con particolare considerazione per le classi sociali più deboli. Una libertà assoluta, senza riguardo alle ragioni della solidarietà, non sarebbe certo conforme al disegno di Dio.

5. Come valutare, in questa prospettiva, la ricerca del profitto? Essa non è certo illecita, anzi, nella misura in cui è un indice del buon funzionamento di un’azienda è persino doverosa. Il profitto però non può essere l’unico criterio in base al quale organizzare un’impresa, a spese anche della crescita globale delle persone. Il successo di un’azienda in campo economico non può essere ottenuto a prezzo della perdita del gusto di vivere e di lavorare da parte dei dipendenti. La coesistenza tra l’umanizzazione dell’ambiente di lavoro e l’efficienza è possibile, quando c’è vera partecipazione e tutti sono consapevoli delle finalità del profitto e della sua utilizzazione.

È alla luce di questi principi che la Chiesa riconosce "il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia" (Giovanni Paolo II, Centesimus annus
CA 42) ed approva altresì la sana concorrenza tra le imprese. Essa mette in guardia, invece, dall’antagonismo e dalla conflittualità sistematica, che, ignorando il bene comune, logorano operai e datori di lavoro, senza promuovere la qualità dell’azienda. La concorrenza, pertanto, non allontani dal dialogo e dal confronto e non faccia perdere di vista che l’azienda è un bene che interessa l’intera collettività, bene da tutelare e difendere anche nei momenti di maggiore crisi.

Una concezione integrale del lavoro e dell’impresa postula, pure, l’armonizzazione della produzione con la salvaguardia del territorio, bene prezioso da consegnare intatto alle nuove generazioni. Il rispetto del creato è un atto di culto verso il Creatore ed un atto d’amore verso se stessi ed i propri simili. Un progresso economico che distrugga o inquini il territorio si risolve in un grave impoverimento per tutti.

6. Carissimi Fratelli e Sorelle! Il vostro attaccamento all’azienda e la vostra responsabilità di datori di lavoro vi conducano ad un aggiornamento costante delle metodologie e delle tecniche, ad una professionalità ricca di qualità operative, ma anche alla pratica di valori umani, sociali, culturali ed etici tali da rendere il lavoro produttivo e, insieme, gratificante. Non abbiate paura di promuovere forme di corresponsabilità che, prevedendo una qualche partecipazione agli utili dell’azienda, favoriscano un clima più positivo, capace di motivare i dipendenti a compiere seriamente il proprio dovere e a vivere il lavoro come momento di crescita personale e comunitaria.

Un tale orientamento è tutt’altro che difficile, anzi trova già significative realizzazioni nella vostra terra, dove esistono molte ditte che vedono i figli continuare e perfezionare il lavoro dei padri e dei nonni. Il frequente legame tra azienda e famiglia ha promosso una forma di "economia familiare", fondata sui vincoli di parentela più che sulla dipendenza dal datore di lavoro: spesso, infatti, lo stesso artigiano o imprenditore gestisce direttamente l’azienda con i propri familiari.

Mi congratulo vivamente per questa particolare caratteristica delle vostre aziende, che porta a mirare alla qualità del prodotto prima che alla quantità. Sono ben noti i ragguardevoli risultati che questa impostazione ha permesso di raggiungere nella lavorazione della seta e del legno, ove spesso l’accuratezza della fattura dei prodotti si coniuga con significativi esiti artistici.

7. Bisogna porre tuttavia una particolare attenzione perché l’interesse, la passione ed il livello di umanità suscitati da simili lodevoli traguardi non siano insidiati dall’individualismo, dall’idolatria del lavoro e da gravi negligenze verso i valori più alti della stessa famiglia.

La grande lezione della tradizione cristiana, che insegna a vedere nei beni della terra un mezzo e non il fine dell’attività umana, vi aiuterà ad evitare eccessi dannosi ed a promuovere un ordinato sviluppo. Essa porterà, altresì, ad eliminare povertà vecchie e nuove, e a risolvere problemi, presenti anche nella vostra zona, quali la disoccupazione, che costituisce un dramma oggi specialmente per i giovani, e i disagi legati al frontalierato e alla riqualificazione tecnologica.

Sono scelte che esigono da parte dei responsabili delle Pubbliche Amministrazioni l’impegno ad offrire un quadro politico solido in grado di garantire le condizioni necessarie per lo sviluppo e il sostegno dei livelli raggiunti dalle vostre imprese, favorendo insieme il perseguimento di concrete prospettive di solidarietà nei confronti di quanti giungono da voi alla ricerca di lavoro e rispetto al bene comune dell’intera comunità nazionale ed internazionale.

8. Carissimi Fratelli e Sorelle, importante è il ruolo che voi imprenditori e lavoratori siete chiamati a svolgere nella moderna società, il cui futuro dipende in gran parte dal vostro spirito di iniziativa, dalla vostra dedizione all’impresa, dal vostro ordinato e reciproco rapporto. Nello svolgimento di tali responsabilità non perdete mai di vista i valori più alti dell’esistenza. Accanto ai momenti di lavoro sappiate programmare anche spazi da dedicare a Dio, a voi stessi, alla famiglia, perché non abbiate a lasciar svanire la densità e l’urgenza delle motivazioni che vi spingono alle vostre quotidiane occupazioni. Nelle vicende di ogni giorno, nei momenti di successo e nelle situazioni difficili vi sostengano la preghiera ed il costante riferimento ai valori del Vangelo.

119 Vi assista san Giuseppe Patrono dei lavoratori; vi protegga Maria, la Vergine di Nazaret, perché abbiate sempre la forza necessaria per vivere con serenità e portare avanti responsabilmente la vostra missione di lavoratori.

Con questo augurio imparto volentieri a voi ed alle vostre famiglie la mia Benedizione.

Al termine del discorso il Papa ha aggiunto:

Voglio ringraziare tutti i presenti per questo incontro, per questi doni offertimi alla fine. Oggi, domenica, Giornata del Signore, il mondo del lavoro si trova in chiesa. E così ogni settimana prende un grande respiro. Questo respiro che è indispensabile per essere uomo, per essere persona, per essere ad immagine di Dio. E poi per trasformare con questa immagine di Dio il mondo visibile. Che Dio sia presente in tutte le sue creature così che l’uomo da queste creature che il Signore ha messo a sua disposizione, possa formare un mondo migliore, più umano, più vicino a Dio. Questo è il mio augurio, carissimi fratelli e sorelle, a conclusione di questo nostro importantissimo incontro, qui, nella Cattedrale di Como. Sia lodato Gesù Cristo!

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