GP2 Discorsi 1997 150


ALLA XLIII ASSEMBLEA GENERALE


DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA


Giovedì, 22 maggio 1997




Il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Jn 7,37-39).

151 Carissimi Fratelli nell’episcopato!

1. Avete scelto di celebrare la vostra Assemblea plenaria nei giorni immediatamente successivi alla Pentecoste: lo Spirito Santo, la cui discesa sulla Chiesa nascente abbiamo appena celebrato, illumini e guidi il vostro ritrovarvi insieme e i vostri lavori.

È per me una gioia essere con voi e condividere le vostre ansie e sollecitudini pastorali. Saluto e ringrazio il vostro Presidente, il signor Cardinale Camillo Ruini, insieme con gli altri Cardinali italiani; saluto pure i Vicepresidenti, con un particolare pensiero di gratitudine per Mons. Giuseppe Agostino, che ha concluso il suo servizio, e di cordiale augurio per Mons. Giuseppe Costanzo, eletto a rilevarne la funzione di Vicepresidente. Saluto, infine, il Segretario Generale e ciascuno di voi, venerati Fratelli nell’episcopato, a tutti augurando i frutti dello Spirito nel vostro impegno nelle singole Diocesi e all’interno della Conferenza Episcopale.

2. La vostra Assemblea ha dedicato ampio spazio al grande tema dell’incontro con Gesù Cristo attraverso la Bibbia. Nella Tertio Millennio adveniente ho sottolineato come sia importante che nel presente anno di preparazione al grande Giubileo, dedicato a Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre (cfr
He 13,8), i cristiani “tornino con rinnovato interesse alla Bibbia, sia per mezzo della sacra liturgia ricca di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi” (Giovanni Paolo II, Tertio Millennio adveniente TMA 40).

Nonostante il grande impulso che il Concilio Vaticano II ha impresso agli studi biblici e alla pastorale biblica nelle comunità cristiane, sono infatti ancora troppo numerosi i fedeli che restano privi di un vitale incontro con le Sacre Scritture e non nutrono adeguatamente la loro fede con la ricchezza della parola di Dio contenuta nei testi rivelati. È necessario dunque compiere un ulteriore sforzo perché essi abbiano largo accesso alla Bibbia. “Ignorare le Sacre Scritture infatti significa ignorare Cristo”, come dice San Girolamo, dato che tutta la Bibbia ci parla di lui (cfr Lc 24,27).

Per un efficace incontro con la Sacra Scrittura resta decisivo il riferimento alla Costituzione dogmatica Dei Verbum del Concilio Ecumenico Vaticano II. In essa ritroviamo i principi dottrinali e le vie pastorali più appropriate per far sì che l’incontro con il Libro Sacro mantenga la sua intrinseca qualità di ascolto della parola di Dio, sia un accostamento esegeticamente corretto, diventi fonte di vita spirituale, animi e rinvigorisca tutta l’azione pastorale, guidi e sostenga il dialogo ecumenico, manifesti la grande ricchezza anche umana e culturale che scaturisce dalla Bibbia e che ha prodotto meravigliosi frutti di civiltà in Italia come in tante altre nazioni.

In virtù di questo legame tra fede e cultura, la Bibbia si propone come testo fondamentale per la formazione delle nuove generazioni, nella catechesi di iniziazione cristiana come anche nell’insegnamento della religione cattolica impartito nelle scuole.

L’impegnativo compito della nuova evangelizzazione passa, dunque, attraverso la riconsegna della Bibbia all’intero popolo di Dio, mediante la sua proclamazione liturgica, l’omelia e la catechesi, la pratica della lectio divina ed altre vie ben delineate nella recente Nota pastorale della vostra Conferenza, “La Bibbia nella vita della Chiesa”. Le comunità parrocchiali e quelle religiose, le associazioni e i movimenti laicali, le famiglie e i giovani potranno sperimentare così la condiscendenza amorevole di Dio Padre che mediante la Sacra Scrittura si fa incontro ad ogni uomo manifestando la natura del suo Figlio unigenito e il suo disegno di salvezza per l’umanità.

Perché la Scrittura sia compresa e accolta dai fedeli in tutto il suo spessore di verità e di regola suprema della nostra fede, è chiaramente necessaria un’opera di accompagnamento che eviti letture superficiali, emotive o anche strumentali, non illuminate da un sapiente discernimento e ascolto nello Spirito. È questa una nostra specifica responsabilità di Pastori, coadiuvati dai sacerdoti e dai catechisti: la vera e genuina interpretazione e trasmissione dei testi sacri può avvenire, infatti, soltanto nel seno della Chiesa, alla luce della vivente Tradizione e sotto la guida del Magistero (cfr Dei Verbum DV 10).

3. Dedicando particolare attenzione all’incontro con Gesù Cristo attraverso la Bibbia, avete inteso, cari Fratelli, dare impulso alla preparazione di questo speciale Anno Santo, nel quale celebreremo i duemila anni del farsi carne del Verbo di Dio. Conosco l’impegno con il quale ciascuno di voi nella propria Chiesa particolare, e tutti insieme riuniti nella Conferenza Episcopale, state predisponendovi a questo grande appuntamento. Me ne rallegro e mi compiaccio con voi.

Un momento saliente di questo cammino di preparazione al Giubileo sarà il Congresso Eucaristico nazionale in programma per fine settembre a Bologna, dedicato al tema stesso di questo anno preparatorio, “Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre”. Sarò lieto di potervi incontrare a Bologna e ringrazio fin d’ora il Cardinale Giacomo Biffi per lo zelo con il quale sta preparando questa grande manifestazione di fede nel Cristo eucaristico e di appartenenza ecclesiale.

152 4. Porto ancora nel cuore, cari Fratelli, il ricordo del Convegno di Palermo, nel quale tutte le diocesi d’Italia sono convenute insieme per animare con il Vangelo della carità la vita della nazione. Dopo il Convegno già avete molto lavorato per dare attuazione alle scelte ivi compiute, nel senso del primato della vita spirituale, dell’impegno per la nuova evangelizzazione, del rapporto tra fede e cultura, della famiglia, dei giovani, dell’amore preferenziale per i poveri, dell’animazione cristiana della vita politica e sociale.

In particolare il progetto culturale orientato in senso cristiano individua un fondamentale obiettivo a cui tendere e sul quale fare convergere sensibilità ed energie: quello di una fede che sappia tradursi in opere, in modo che Gesù Cristo ispiri e sostenga anche l’impegno temporale dei credenti per il futuro del popolo italiano, come già è avvenuto per il passato. In questa prospettiva desidero incoraggiare gli sforzi che andate compiendo per una più incisiva e organica presenza cristiana nell’ambito della comunicazione sociale, ben sapendo come su questo terreno si giocano oggi sfide decisive.

5. Condivido con voi, carissimi Fratelli, la sollecitudine e anche la preoccupazione per le sorti della nazione italiana. Per la sua unità, per la sua grande eredità cristiana e per il ruolo conseguente che essa deve saper svolgere in Europa.

Il popolo italiano è ricco di energie, capace di affrontare e superare le difficoltà anche più dure, ma queste energie devono potersi esprimere in maniera libera e solidale, lasciando spazio e anzi dando impulso a quella “soggettività della società” (Centesimus annus
CA 13) che ha i suoi punti di forza nei molteplici corpi e aggregazioni intermedie, e anzitutto nella famiglia che della società, come della Chiesa, è la cellula base.

Di fronte ai molteplici attacchi che la famiglia subisce oggi anche in Italia, dove pure essa svolge una particolarmente rilevante funzione sociale, voglio dire a voi, miei Fratelli nell’episcopato, che sono al vostro fianco sia nell’azione pastorale a favore della famiglia sia nell’impegno a cui tutti i cattolici e gli uomini di buona volontà sono chiamati per salvaguardare sul piano legislativo i diritti propri della famiglia fondata sul matrimonio e per sollecitare l’assunzione di nuovi provvedimenti e iniziative, riguardo all’occupazione, all’edilizia, alle normative fiscali, affinché la famiglia e la maternità non siano ingiustamente penalizzate.

Non meno grande, cari Fratelli, so essere la vostra attenzione per la scuola: sia per la scuola in generale, che deve essere sostenuta anzitutto nel suo primario compito di educazione e formazione della persona, sia in specie per la scuola libera. Rinnovo qui, insieme a voi, la richiesta che “si dia finalmente attuazione concreta alla parità per le scuole non statali, che offrono un servizio di pubblico interesse, apprezzato e ricercato da molte famiglie” (Giovanni Paolo II, Discorso all’Istituto romano “Villa Flaminia”, 23 feb. 1997). Anche in questo campo le legislazioni di molti Paesi dell’Unione europea possono essere di esempio.

6. Venerati Fratelli nell’episcopato! Poniamo nel cuore di Maria, nostra dolce Madre, i progetti maturati in queste giornate di preghiera, di scambi fraterni, di riflessioni comuni.

Uniti a Maria, ai Martiri e ai Santi che hanno scritto la storia di questa nazione guardiamo con fiducia ai compiti che ci attendono.

Dio benedica ciascuno di voi e le vostre Chiese. Dio benedica il popolo italiano, lo confermi nella fede dei padri, gli dia luce di mente e apertura di cuore per l’edificazione, alle soglie del terzo millennio, della civiltà dell’amore.


ALLA DELEGAZIONE UFFICIALE


DELLA EX REPUBBLICA JUGOSLAVA DI MACEDONIA


Venerdì, 23 maggio 1997




Ministro,
Signori,

153 Ancora una volta, in occasione della lieta solennità dei santi Cirillo e Metodio, siete venuti in pellegrinaggio presso la tomba di san Cirillo nella Basilica di san Clemente, nel centro della vecchia Roma. A motivo del ruolo unico svolto nello sviluppo del patrimonio culturale e spirituale dell’Europa, i santi fratelli di Salonicco sono un simbolo dell’unità di questo Continente e le lezioni che la loro vita ci ha lasciato sono particolarmente opportune oggi che l’Europa cerca di dare un senso nuovo alla propria identità e al proprio destino.

Cirillo e Metodio mostrano soprattutto quanto sia importante cercare l’unità di tutti i cristiani nell’unica Chiesa di Cristo. Erano stati mandati nell’Europa Orientale dal Patriarca di Costantinopoli in risposta alla richiesta del Principe Rotislav della Grande Moravia. Il Principe desiderava imparare il Vangelo della Salvezza e aveva chiesto che fossero inviati fra i suoi sudditi “un Vescovo e un maestro . . .”, che fossero “in grado di spiegare loro la vera fede cristiana nella loro lingua” (Vita Constantini, XIV, 2-4; Giovanni Paolo II, Slavorum apostoli, n. 5). Le Diocesi occidentali ai confini della Grande Moravia credevano invece che la responsabilità di portare la Croce di Cristo nei Paesi slavi fosse loro e per questo ostacolarono i due fratelli nella loro impresa. Cirillo e Metodio allora si recarono dal Papa per ricevere la conferma della loro missione fra gli slavi. In un’epoca nella quale la Chiesa non era divisa fra Est e Ovest, un intervento congiunto di Roma e di Costantinopoli apportò un grande beneficio all’opera di diffusione del Vangelo. Prego sempre affinché arrivi presto il momento in cui le tradizioni dell’Est e dell’Ovest, delle quali i santi “Cirillo e Metodio sono ora come allora gli anelli di congiunzione”, si incontreranno “nell’unica grande tradizione della Chiesa universale” (Vita Constantini, XIV, 2-4; Slavorum apostoli, n. 27).

L’influenza dei due santi perdura nel nostro patrimonio europeo, in particolare nella cultura delle nazioni slave che devono il loro “inizio” o il loro sviluppo all’opera dei fratelli di Salonicco (cfr Slavorum apostoli, n. 21). Le loro vite sante ci parlano ancora dell’importanza della comprensione fra le varie culture, essenziale per la coesistenza e la pace in Europa e in particolare nella regione dei Balcani. Spero che la vostra permanenza a Roma rafforzi il vostro impegno per custodire ed evidenziare l’eredità cristiana e i tesori artistici della vostra terra che sono sopravvissuti alle vicissitudini della Storia, affinché l’intera Europa possa beneficiarne.

Che Dio onnipotente benedica voi e i vostri concittadini con l’unità e la pace.


ALLA FONDAZIONE «PRO JUVENTUTE»


NEL 40° ANNIVERSARIO DELLA MORTE


DI DON CARLO GNOCCHI


Sala Clementina - Sabato, 24 maggio 1997




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di porgere il mio benvenuto e il più cordiale saluto a tutti voi, dirigenti e qualificati operatori della "Fondazione Pro Juventute Don Carlo Gnocchi". Ringrazio in particolare il Presidente, Mons. Angelo Bazzari, per le parole che mi ha rivolto e con le quali ha anche illustrato il contesto in cui si colloca l'odierna udienza.

Essa costituisce quasi un prolungamento delle celebrazioni per il 40° anniversario della morte di Don Carlo Gnocchi, svoltesi lo scorso anno. Il nostro incontro era infatti previsto già per l'ottobre scorso, ma la Provvidenza ha disposto diversamente, così che oggi ci troviamo a rinnovare la commemorazione di Don Gnocchi a cinquant'anni da quando egli diede vita alla "Federazione Pro Infanzia Mutilata", destinata a diventare la "Fondazione Pro Juventute". Ciò mi offre l'opportunità di riprendere insieme con voi i pensieri che, alcuni mesi fa, affidai allo speciale messaggio inviato in occasione del vostro Congresso internazionale sul tema della riabilitazione.

2. Commemorare figure come quella di Don Gnocchi dà modo, specialmente ai credenti, di toccare quasi con mano la realtà di una vita che perdura, anzi, che in qualche modo cresce oltre la soglia della morte.

Per il cristiano l'atto del morire rappresenta il compimento della vita, della propria vocazione e missione. Egli, alla sequela di Gesù, ha imparato a morire a se stesso e a realizzarsi nel dono di sé, a ritrovarsi compiutamente ed in verità "perdendosi", come il chicco di grano. Per chi ha conosciuto e crede all'amore di Dio (cfr 1Jn 4,16), l'unica cosa essenziale è amare, sia vivendo che morendo. E il senso autentico e pieno del vivere diventa "dare la vita".

Per un sacerdote, in particolare, questo significa seguire l'esempio di Cristo Buon Pastore, che "offre la vita per le pecore" (Jn 10,11). Così è stato, in modo mirabile, per il vostro Fondatore. La sua prematura dipartita costituì il sigillo di un'esistenza interamente donata a Dio ed al prossimo. Persino da morto egli volle donare ancora qualcosa di sé, offrendo le proprie cornee ad un ragazzo e una ragazza non vedenti, che dal 29 febbraio 1956, all'indomani del suo decesso, poterono così cominciare a vedere.

154 Si trattò, per quei tempi, di un gesto coraggioso ed innovatore, anche se umile e discreto, un gesto capace di smuovere le coscienze e di stimolare positivamente la società.

In occasione del funerale, una folla immensa si strinse intorno a colui che, nel secondo dopoguerra, era diventato quasi un simbolo della speranza. Un sacerdote che, dopo aver condiviso, come cappellano, la tragica sorte degli Alpini sul fronte russo, si era dedicato ai loro figli orfani e mutilati, iniziando una tenace "ricostruzione" umana, per la quale aveva speso tutte le energie della sua geniale e infaticabile carità.

3. Lo sviluppo, che la Pro Juventute ha conosciuto in questi quarant'anni, costituisce la migliore testimonianza della fecondità dell'opera apostolica di Don Carlo Gnocchi. Egli non solo seppe rispondere a bisogni concreti ed urgenti, ma soprattutto seppe farlo con uno stile di grande attualità, precorrendo i tempi, e ciò grazie alla sua spiccata sensibilità educativa, maturata nel primo periodo del suo ministero e poi sempre coltivata. Egli non si accontentava di assistere le persone, ma intendeva "restaurarle", promuoverle, metterle in grado di ritrovare una condizione di vita il più possibile adeguata alla loro dignità. Fu questa la sua grande sfida. E questa rimane la sfida della Fondazione che porta il suo nome.

In tale prospettiva, la figura di Don Gnocchi può essere a buon diritto citata come esempio incoraggiante di quell'azione caritativa, profondamente inserita nella storia, che la Chiesa italiana si è data quale modello di impegno pastorale per il decennio in corso (cfr Nota pastorale C.E.I. dopo il Convegno di Palermo). Una carità segnata, appunto, da forte e costante attenzione educativa, che ha come obiettivo la promozione integrale della persona in vista dell'edificazione di una società solidale e fraterna.

La Pro Juventute ha dimostrato di saper prolungare con fedeltà l'opera del suo venerato Iniziatore - e di ciò occorre render merito in primo luogo ai suoi Successori -, facendo fruttificare quei "talenti" che egli aveva ricevuto e che, morendo, affidò ai suoi collaboratori. La Fondazione ha saputo, in particolare, mantenere una grande attenzione al mutare delle esigenze, sviluppando la capacità di rispondere a nuove situazioni di bisogno, senza però mai rinunciare alla centralità della persona ed al rigore scientifico degli interventi.

4. Carissimi, Fratelli e Sorelle, quasi tutti i Centri della Fondazione sono intitolati a Maria, anche a testimonianza della profonda devozione mariana di Don Carlo Gnocchi. Oggi, 24 maggio, ricordiamo la Vergine Santissima venerata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice. A Lei desidero affidare le vostre iniziative e le migliaia di persone che, grazie ad esse, trovano sollievo alle proprie sofferenze e speranza per il domani.

E proprio nel segno della speranza vorrei terminare questa mia riflessione: tutta la vita di Don Carlo Gnocchi, compresa la sua stessa morte, è un luminoso segno di speranza. Quella "insistente speranza" che - come scrisse egli stesso - ha sempre guidato la sua ricerca del volto di Dio in quello degli innocenti segnati dalla sofferenza (cfr Gli scritti, cit., p. 527). Vi auguro di saperlo sempre degnamente seguire per godere, come lui, la gioia che viene dall'amore. Con questi sentimenti imparto di cuore a tutti voi una speciale Benedizione Apostolica, estendendola all'intera famiglia della Pro Juventute.




ALLA DELEGAZIONE UFFICIALE


DELLA REPUBBLICA DI BULGARIA


Sabato, 24 maggio 1997

Presidente,

Ministri,
Signore e Signori,

155 1. Sono particolarmente lieto di accogliere la vostra Delegazione, venuta a Roma, seguendo una tradizione ormai consolidata, in occasione della solennità annuale dei santi Cirillo e Metodio.

Il vostro pellegrinaggio alla tomba di san Cirillo, nell'antica basilica di san Clemente, dimostra che il popolo bulgaro riconosce con gratitudine l'importanza della missione evangelizzatrice compiuta dai santi fratelli.

L'opera missionaria di Cirillo e di Metodio ha svolto un ruolo determinante per il destino dei popoli slavi e ha segnato profondamente la storia spirituale e culturale dell'Europa.

Originari di Salonicco, inviati presso le nazioni slave per mandato di Costantinopoli, i santi fratelli seppero predicare il Vangelo in comunione con tutta la Chiesa. Anche nei momenti difficili e nelle avversità, conservarono i vincoli di unità e di carità, al punto di divenire dei modelli per l'unità ecclesiale in Oriente e in Occidente. Riflettendo sull'importanza di questo grande periodo dell'evangelizzazione, ho potuto scrivere nell'Enciclica Slavorum apostoli che «per noi uomini di oggi il loro apostolato possiede anche l'eloquenza di un appello ecumenico: è un invito a riedificare, nella pace della riconciliazione, l'unità che è stata gravemente incrinata dopo i tempi dei santi Cirillo e Metodio e, in primissimo luogo, l'unità fra oriente ed occidente» (Giovanni Paolo II, Slavorum Apostoli, n. 13).

2. L'azione dei santi fratelli racchiude un'altra dimensione, strettamente legata alla loro missione d'evangelizzazione. Essi non hanno imposto alle popolazioni slave la loro cultura greca, sicuramente molto ricca, ma si sono ricordati delle parole della Scrittura: «e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (
Ph 2,11) e si sono dedicati alla traduzione dei libri santi. «Avvalendosi della loro padronanza nella lingua greca e della propria cultura per quest'opera ardua e singolare, si prefissero di comprendere e penetrare la lingua, le usanze e le tradizioni proprie delle genti salve, interpretandone fedelmente le aspirazioni ed i valori umani che in esse sussistevano e si esprimevano» (Slavorum apostoli, n. 10). La loro opera, specialmente la creazione di un alfabeto adattato alla lingua slava, apportò un contributo essenziale alla cultura e alla letteratura dell'insieme delle nazioni slave.

Tengo anche a ricordare che, attraverso i loro discepoli diretti, la missione dei santi fratelli si è rafforzata e accresciuta nel vostro Paese grazie a centri di vita monastica molto dinamici. Dalla Bulgaria il cristianesimo si è poi diffuso nei Paesi limitrofi fino a raggiunge la Rus' di Kiev (cfr Ibidem, n. 24).

3. Se una gran parte dell'Europa sembra oggi alla ricerca della sua identità, essa non può non ritornare alle sue radici cristiane, e soprattutto all'opera di Cirillo e di Metodio. Questa costituisce senza dubbio un contributo di primaria importanza per l'unità dell'Europa nelle sue dimensioni religiosa, civile e culturale. Uno studio approfondito dell'azione e dell'eredità dei santi fratelli permetterà di riscoprire i valori che hanno plasmato l'identità dell'Europa nel passato, ma che possono ancora oggi rinnovare il volto di questo continente.

Ringraziandovi per la vostra cordiale visita, formulo voti ferventi per la vostra Delegazione, per le Autorità e per il popolo bulgari.

Auspico che, conferendo nuova attualità all'eredità di Cirillo e di Metodio, tutti possano contribuire attivamente alla ricostruzione del vostro Paese e anche dell'Europa. Affido questi voti al Signore e invoco su di voi i benefici delle sue Benedizioni.

VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN LINO


AI BAMBINI DELLA PARROCCHIA


Domenica, 25 maggio 1997

«Quando sono entrato in questa chiesa ho preso l’acqua santa e ho fatto il segno della croce: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.


156 Perché ho fatto questo gesto? Perché oggi è la Solennità della Santissima Trinità: Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Ho fatto questo gesto anche perché l’acqua santa dappertutto, nelle chiese e nelle case, ci ricorda l’acqua del Battesimo. Noi tutti siamo stati battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ciascuno di voi, e anch’io, eravamo piccoli, appena nati, quando i nostri genitori ci hanno portato in chiesa per ricevere questo primo Sacramento. E il sacerdote che ci ha battezzato ha preso l’acqua e ha lavato il nostro corpo dicendo: io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E poi ha pronunciato il nostro nome. Ciascuno di noi infatti riceve al Battesimo il suo nome proprio, soprattutto riceve il nome di Figlio di Dio, e poi il nome di un santo scelto dai genitori - Francesco, Caterina - che lo accompagna durante tutta la vita.

Vedo che alcuni di voi sono vestiti solennemente in bianco. È un colore che ci richiama il Battesimo ed è per questo che si ritrova anche alla Prima Comunione. Durante il Sacramento del Battesimo, il bambino riceve una veste bianca. Lui non lo sa perché è troppo piccolo, ma voi che avete già fatto la Prima Comunione lo sapete perché portate una veste bianca.

Così voglio ringraziare, con voi tutti, la Santissima Trinità - Padre, Figlio e Spirito Santo - per il dono del Battesimo che abbiamo tutti ricevuto all’inizio della nostra vita cristiana ed umana. Con questo augurio saluto tutti i presenti, voi ragazzi e ragazze, le vostre famiglie, i vostri genitori, i vostri maestri, le suore e tutti i presenti.

Sia lodato Gesù Cristo!»



VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN LINO


AI BAMBINI DELLA PARROCCHIA


Domenica, 25 maggio 1997

«Quando sono entrato in questa chiesa ho preso l’acqua santa e ho fatto il segno della croce: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.


Perché ho fatto questo gesto? Perché oggi è la Solennità della Santissima Trinità: Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Ho fatto questo gesto anche perché l’acqua santa dappertutto, nelle chiese e nelle case, ci ricorda l’acqua del Battesimo. Noi tutti siamo stati battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ciascuno di voi, e anch’io, eravamo piccoli, appena nati, quando i nostri genitori ci hanno portato in chiesa per ricevere questo primo Sacramento. E il sacerdote che ci ha battezzato ha preso l’acqua e ha lavato il nostro corpo dicendo: io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E poi ha pronunciato il nostro nome. Ciascuno di noi infatti riceve al Battesimo il suo nome proprio, soprattutto riceve il nome di Figlio di Dio, e poi il nome di un santo scelto dai genitori - Francesco, Caterina - che lo accompagna durante tutta la vita.

Vedo che alcuni di voi sono vestiti solennemente in bianco. È un colore che ci richiama il Battesimo ed è per questo che si ritrova anche alla Prima Comunione. Durante il Sacramento del Battesimo, il bambino riceve una veste bianca. Lui non lo sa perché è troppo piccolo, ma voi che avete già fatto la Prima Comunione lo sapete perché portate una veste bianca.

Così voglio ringraziare, con voi tutti, la Santissima Trinità - Padre, Figlio e Spirito Santo - per il dono del Battesimo che abbiamo tutti ricevuto all’inizio della nostra vita cristiana ed umana. Con questo augurio saluto tutti i presenti, voi ragazzi e ragazze, le vostre famiglie, i vostri genitori, i vostri maestri, le suore e tutti i presenti.

Sia lodato Gesù Cristo!»



VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN LINO


AL CONSIGLIO PASTORALE DELLA PARROCCHIA


Domenica, 25 maggio 1997

157
«Sento che qui si pensa e si parla soprattutto della costruzione della nuova chiesa. E noi ci troviamo davanti al progetto. Ma bisogna pensare allo stesso tempo al modo in cui la Chiesa è stata costruita al tempo di san Lino, primo Successore di Pietro. Era originario di Volterra.


Certamente già si pensava come trasmettere la fede nelle catacombe: solo dopo tre secoli la Chiesa è potuta uscire dalle catacombe alla luce del sole e ha potuto cominciare a costruire la chiesa visibile: tante chiese, tante basiliche, tante opere d’arte. Roma è ricca di tutto questo.

Qui ci troviamo nella nuova Roma, in un nuovo ambiente, e si deve costruire una nuova chiesa, architettonicamente un po' diversa dalle antiche Basiliche come san Pietro o san Paolo. Ci vuole una chiesa moderna, corrispondente alla mentalità di oggi. Auguro agli artisti, agli architetti e anche a tutti i parrocchiani di costruire veramente una bella chiesa che corrisponda alle aspettative dei nostri contemporanei.

Auguro tutto il bene possibile per le vostre famiglie. Vi ringrazio per la vostra collaborazione con il vostro parroco nel Consiglio pastorale. Vi benedico di cuore.

Sia lodato Gesù Cristo!»

L'ultimo incontro della visita pastorale è stato con le 150 religiose presenti nel territorio della parrocchia. Giovanni Paolo II si è rivolto loro con queste parole:

«Mi sono domandato più volte perché il parroco di san Lino è così contento e sempre sorridente. Adesso ho capito: è circondato da tante suore e può camminare sicuro, con tutta la parrocchia, anche verso la nuova chiesa. Sì, sì. Che il Signore vi benedica in questa parrocchia di san Lino perché possiate continuare con la vostra professione religiosa a costruire la chiesa.

Sia lodato Gesù Cristo!»


AI VESCOVI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE


DI ANGOLA E SÃO TOMÉ


IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


Martedì, 27 maggio 1997




Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell'Episcopato!

158 1. Com'è piacevole la vostra presenza oggi qui, che rappresenta e presenta la Chiesa che, fra le tribolazioni del mondo e le consolazioni dello Spirito Santo, peregrina in Angola e in São Tomé e Príncipe! L'ho auspicata molte volte e, in tutte le forme possibili, non ho mai cessato di essere al vostro fianco, quando una folle guerra si è riaccesa con la sua sequela di privazioni, rovine, lutti, umiliazioni e sofferenze di ogni sorta, che si sono abbattute su voi e sulle vostre comunità e nazioni, decimando impietosamente il gregge e costringendo i sopravvissuti alla diaspora e alla miseria. Sembrava che l'inferno si fosse innalzato, furibondo, per spegnere quella aurora di pace e di speranza che la mia Visita Apostolica si era proposta di incoraggiare e di confermare con rinnovati doni dall'Alto, in quei giorni benedetti e indimenticabili della Pentecoste del 1992.

Come non ricordare, fra le altre cose, quella moltitudine immensa di gente di tutte le età, stretta intorno all'altare nella «Praia do Bispo» a Luanda, con i suoi abiti da festa colorati e con le sue anime unite nello stesso canto di gratitudine a Dio e di fratellanza in Cristo? Ricordo le sue cordiali manifestazioni di gioia e di contentezza nel sapere dei Pastori che il Cielo le mandava come Ordinario di Mbanza Congo e come Vescovo Ausiliare di Luanda, rispettivamente nella persona di Seferim Shingo-Ya-Hombo e di Damião António Franklin, oggi qui presenti. Voi siete la prova che quel giorno non è terminato e che l'inferno non prevarrà. Di fatto, nonostante le grandi e persistenti difficoltà, negli anni successivi si è assistito a un rinnovamento della gerarchia ecclesiastica anche a Lubango, Kwito- Bié, Novo Redondo e Saurimo, e alla nomina di un Coadiutore per Malanje. Con viva riconoscenza ecclesiale verso tutta la Conferenza Episcopale - in particolare verso quanti si sono presi cura, e continuano a farlo, del Gregge di Cristo nelle suddette Diocesi - vi do il benvenuto in questa umile «casa di Pietro» che è sempre stata la vostra casa. Esprimo le mie congratulazioni al vostro Presidente, eletto di recente, Zacarias Kamweho, e ringrazio il signor Cardinale do Nascimento per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome di tutti, che hanno rivelato il palpitare del cuore afflitto delle Comunità che vi sono state affidate; e saluto fraternamente ognuno di voi, desiderando unire le mie braccia alle vostre per stringere nuovamente al cuore tutti i miei Fratelli e le mie Sorelle dell'Angola e di São Tomé e Príncipe, con i loro concittadini e le autorità, in una reiterata implorazione di pace e di pacificazione: «Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace» (
Nb 6,24-26).

2. Con quella celebrazione eucaristica di Luanda, in quel 7 giugno 1992, si chiudevano le commemorazioni giubilari del Quinto Centenario dell'Evangelizzazione dell'Angola. Si chiudevano con una sentita azione di rendimento di grazie alla Santissima Trinità e ai «padri e alle madri» della vostra fede e, con lo sguardo già rivolto al Terzo Millennio, veniva rinnovato da quella moltitudine di figli e di fratelli l'impegno di continuare, orgogliosi della loro adesione a Cristo e aperti al soffio vivificante dello Spirito Santo, a seminare la Buona Novella della Salvezza fino ai confini dell'Angola e a farla fruttificare nei solchi della cultura e della vita angolana, molti dei quali insanguinati e compromessi nella loro apertura dalle vicissitudini della guerra.

«Laici per l'anno 2000»! Con questo tema si è svolto un mese dopo, precisamente dal 7 al 12 luglio, il I Congresso Nazionale dei Laici Angolani, invitando il laicato cristiano a essere l'anima di una Nazione bisognosa di concentrare tutte le sue forze lungo le vie della pace e della riconciliazione, per organizzare la speranza in un futuro degno della società angolana. Ho saputo, con grande soddisfazione, dell'alto grado di maturità mostrato dai vostri fedeli laici, sia nella lunga preparazione compiuta a livello parrocchiale, diocesano e nazionale per l'Assemblea, sia negli interventi fatti in tale ambito con grande sintonia e conoscenza della dottrina del Concilio Vaticano II e delle Esortazioni Apostoliche posteriori, soprattutto della Christifideles laici.

3. I tragici eventi che ebbero inizio negli ultimi mesi di quello stesso anno 1992, misero a dura prova l'entusiasmo e le risoluzioni prese in quei giorni. Il Calvario era più vicino al «Monte Tabor» di quanto sembrasse! Quando infine speravate di raccogliere i frutti di una lunga e dolorosa semina, vedendo ognuno dei fedeli divenire un «altro Cristo» lungo le strade della vita, ecco che un Cristo oltraggiato, perseguitato e martoriato in molte sue membra, vi venne lasciato fra le braccia, a somiglianza di quanto era accaduto in passato alla Madre dolorosa e benedetta, spettando a voi, ai sacerdoti, alle religiose e a quanti potevano aiutarvi, di chiedere a Dio per i morti la pace che i vivi negavano loro, di mettere in salvo e proteggere i sopravvissuti, di invitare alla conversione i prevaricatori e di mantenere accesa in tutti la luce della speranza.

Mettere insieme i mille pezzi che restano del vaso infranto e ricomporli con materna pazienza e illimitata fiducia nell'uomo per amore di Dio: è questa la prova tangibile e autentica che lo Spirito Creatore è con voi e vi assiste, Lui che quasi non ha fatto altro da quando il suo capolavoro terreno, modellato con il fango ma animato dal suo afflato divino, Gli è sfuggito dalle mani e si è infranto nel giardino dell'Eden. Per questo, amati fratelli, non scoraggiatevi! Continuate invece a elevare la vostra voce unanime, facendo sapere a tutti, con assoluta certezza, che il chicco di grano che, caduto in terra, muore, produce molti frutti (cfr Jn 12,24). Fate sì che le vostre comunità cristiane venerino i loro membri, caduti o dispersi, vittime dell'odio e dell'ingiustizia. Come accadeva nelle comunità apostoliche (cfr 4, 19), insegnate loro a distinguere bene il soffrire per causa del Regno di Dio e della sua giustizia dal soffrire «come omicida o ladro o malfattore o delatore» (1P 4,15): il secondo deve essere corretto, il primo glorificato perché produrrà molto frutto!

4. Possa il ricordo di tante vite umane sacrificate accelerare in Angola i tempi del rinnovamento e della concordia! Tutte le vite... Quelle di ieri, cadute vittime dell'inclemenza dei viaggi e del clima, o delle incomprensioni e delle insidie umane: forse ancora nominate in qualche croce o lapide ignorata o infranta, forse disprezzate e dimenticate, perché considerate in modo sommario e indiscriminato conniventi con gli interessi di esploratori e commercianti, forse tacciate di schiavismo, o vendute al potere coloniale! Chiesa in Angola, se non riesci oggi a riscattare l'onore dei tuoi padri e delle tue madri nella fede, come potrai sperare ancora di sopravvivere nei tuoi figli? Ogni volta che qualcuno ha preso la tua mano nella sua e ha tracciato un segno della croce su di te e sulla tua terra, non è stata questa portatrice di benedizione? Hai cinquecento anni di evangelizzazione: di quale di essi pensi di lasciarti privare?

Tutte le vite sacrificate... anche quelle di oggi! In occasione della mia Visita Pastorale, la vostra Commissione «Giustizia e Pace» preparò un elenco di cristiani rapiti, torturati o assassinati negli anni che vanno dal 1960 al 1991. Rilessi, commosso, quei nomi: erano persone appartenenti a vari livelli ecclesiali, che provenivano dai più diversi angoli dell'Angola, e molti dall'estero. Come vorrei che le rispettive comunità locali potessero gloriarsi di queste persone e imitarle nel coraggio della loro fede e nella loro testimonianza di vita cristiana: se esse hanno potuto, perché non posso anch'io? Siano narrati, secondo la buona tradizione africana, i loro atti gloriosi. Che i loro nomi e i loro esempi vivano nei cuori e configurino l'ideale umano e cristiano di tutto il Popolo di Dio: bambini e anziani, giovani e adulti, ordinati, consacrati o sposati, senza dimenticare tutti coloro che oggi si sentono chiamati e si preparano per assumere in tempo breve gli stessi impegni ecclesiali. Saranno così demistificate, una volta per tutte, le pseudo-ragioni invocate per mantenere l'uomo e la donna africani ai margini della vita cristiana.

5. La «Chiesa che è in Africa» ha parlato . . . È alla portata di tutti l'Esortazione Apostolica che raccoglie «i frutti delle loro riflessione e delle loro preghiere, delle loro discussioni e dei loro scambi» (Ecclesia in Africa, n. 1), mirando decisamente alla meta della santità, riconosciuta e confessata come la vocazione comune di tutti i battezzati: «Il Sinodo ha riaffermato che tutti i figli e le figlie dell'Africa sono chiamati alla santità » (n. 136), intesa come «configurazione a Cristo» (n. 87).

In questa prospettiva, il «matrimonio cristiano» è definito come «uno stato di vita, una via di santità cristiana», se vissuto in un «amore indissolubile; grazie a questa sua stabilità può contribuire efficacemente a realizzare appieno la vocazione battesimale degli sposi» (n. 83). Passando poi alla «vita consacrata », l'Esortazione Apostolica Post-Sinodale afferma che essa «riveste un ruolo particolare» nella Famiglia di Dio che è la Chiesa: quello di «indicare a tutti l'appello alla santità» (n. 94). A quanti si prendono cura del Gregge del Signore, lancia questo monito: «Il Pastore è luce dei suoi fedeli soprattutto mediante una condotta morale esemplare e impregnata di santità» (n. 98).

Poi, volgendo lo sguardo all'immenso campo lussureggiante del mondo da evangelizzare, che attende i mietitori, l'Assemblea Sinodale li ammonisce dicendo: «Ogni missionario è autenticamente tale solo se si impegna nella vita della santità». Perché non restino dubbi, poi aggiunge: «La rinnovata spinta verso la missione Ad gentes esige missionari santi. Non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggiore acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo “ardore di santità” fra i missionari e in tutta la comunità cristiana» (n. 136).

159 Non si tratta di una norma limitata all'ambito spirituale e alla missione religiosa della Chiesa, giacché l'obiettivo che questa si propone nel dialogo pluriculturale avviato con la società è proprio quello di «porre l'uomo in condizione di accogliere Gesù Cristo nell'integrità del proprio essere personale, culturale, economico e politico, in vista della piena adesione a Dio Padre, e di una vita santa mediante l'azione dello Spirito Santo» (n. 62). Per limitarmi all'ambito politico, ricordo come l'Assemblea Sinodale, nel vedere il bisogno in esso esistente di «grande abilità nell'arte di governare . . . ha elevato al Signor una fervente preghiera perché sorgano in Africa politici - uomini e donne - santi; perché si abbiano capi di Stato, che amino il proprio popolo fino in fondo e che desiderino servire piuttosto che servirsi » (n. 111).

6. Ultimamente, nella Nazione angolana, sono stati compiuti passi molto importanti: mi riferisco al Governo di Unità e Riconciliazione Nazionale, costituito lo scorso 11 aprile, e all'Assemblea Nazionale, che può finalmente contare sulla presenza di tutti i suoi membri. Sono eventi politici importanti, attesi da lungo tempo, in vista di una normalizzazione democratica nelle Istituzioni Nazionali. Possano queste, sempre con l'aiuto della Comunità Internazionale, restituire al più presto possibile, la Nazione intera alla normalità della vita familiare, culturale, economica, socio-politica e religiosa. Di fatto, ci duole sapere che, in diverse regioni, vi sono comunità prive di assistenza religiosa dal 1975. Nel succedersi delle ultime azioni belliche, le difficoltà di comunicazione e di libero transito si sono accentuate ancora di più in alcune zone, per le arbitrarietà assolutamente ingiustificate delle parti contendenti, negando così alla Chiesa il più elementare dei suoi diritti: quello dell'assistenza religiosa e dell'aiuto umanitario ai suoi fedeli. Unendo la mia voce alla vostra, chiedo a chi di dovere di porre termine a tali irregolarità affinché nessun cittadino debba più sentirsi straniero nella propria patria.

7. Miei amati Fratelli, la lettura delle vostre relazioni quinquennali mi consentirebbe di soffermarmi anche su altri temi relativi alla vita delle vostre Diocesi. Tuttavia, avendoli già affrontati con ognuno di voi negli incontri individuali, ho preferito riservare per questa occasione più collegiale la testimonianza della gratitudine di tutta la Chiesa per voi che avete amato il vostro Gregge più della vostra vita, esortandovi a perseverare unanimi nel vostro ministero come «vicari e delegati di Cristo» (Lumen gentium
LG 27), che è venuto perché gli uomini abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza (cfr Jn 10,10).

L'incarnazione di Dio in Gesù Cristo ci porta a quella pienezza della vita che invochiamo sull'umanità intera, invitata a dissetarsi alle fonti della salvezza. In verità, il Padre celeste, con l'invio del proprio Figlio, ha dato risposta, in modo totale e definitivo come solo Lui sapeva e poteva fare, alle molteplici inquietudini, ai dubbi e alle aspettative del cuore umano. Ai nostri giorni, assistiamo a un materialismo pratico, con la sua visione consumistica delle cose e del tempo, che sta soffocando nel cuore dell'umanità la nostalgia naturale di Dio e la ricerca di una vita nella pienezza, tarpando le ali all'intelligenza e alla fede. Questa mentalità secolare è un terreno arido per il seme del Vangelo, e costituisce una nuova e difficile sfida per tutti noi: la sfida alla forza spirituale di ognuna delle Chiese locali e di ognuno dei cristiani. Solo lo Spirito Santo, che irriga ciò che è arido e ammorbidisce ciò che si è indurito (cfr Sequenza di Pentecoste), può dissodare un simile terreno e renderlo fecondo, affinché il Verbo di Dio possa gettarvi le proprie radici.

Confidando nello Spirito Santo, che ha guidato la Chiesa attraverso numerosi ostacoli nei duemila anni passati, potrete varcare, senza paura, le soglie del Terzo Millennio. Possano questi anni di preparazione e la celebrazione del Grande Giubileo propiziare quella «vita in abbondanza » che il Salvatore viene a portare a tutte le vostre comunità locali, in particolare all'amata Diocesi di São Tomé e Príncipe, che ricordo con grande affetto dinanzi al Signore. I suoi operai del Vangelo non si lascino impressionare dai frutti, apparentemente scarsi, del loro lavoro apostolico; pensando a ognuno di essi e a te, caro e venerato Fratello Abilio, ricordo le parole di Gesù: «Non avere paura, ma continua a parlare e non tacere . . . perché io ho un popolo numeroso in questa città » (Ac 18,9-10).

Ho ancora davanti agli occhi la preziosa e vigorosa immagine di vita delle vostre isole, alimentate da un clima generoso e fecondo, e nel mio cuore vedo quella natura come un'allegoria degli abitanti di São Tomé che devono ricambiare, nella stessa forma e misura, la grazia divina, certamente non meno generosa né meno creatrice di vita del clima. Consapevoli che soltanto i santi sono veramente felici, si lascino elevare al cielo, che non cessa di chiamarli e di attrarli, e si uniscano intimamente, con il cuore e con la vita, alla «terra» ecclesiale dove furono trapiantati dal Battesimo e si nutrano soprattutto dell'Eucaristia.

Infine, implorando da Dio un reale benessere fisico e spirituale per tutti gli abitanti di São Tomé e dell'Angola, nel rispetto della loro dignità di persone amate da Dio e riscattate dal sangue di Cristo, li benedico di tutto cuore, e soprattutto benedico quanti soffrono nel corpo o nello spirito, privi dei loro familiari o lontani dalla loro casa. Ai vostri collaboratori nell'edificazione della Chiesa e a ognuno di voi imparto un'affettuosa Benedizione Apostolica.


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